Quella mattina mi svegliai alquanto stranita. Rimasi a letto più del solito, come se avessi paura di uscirne e di affrontare la giornata. Non avevo avuto neanche voglia di alzarmi alle 7 con mio marito, per preparagli la colazione e salutare mio figlio prima che andasse all’asilo, come facevo sempre per poi poltrire a letto fino alle 10, forse mi sentivo in colpa per questo o forse……. Il fatto è che quel giorno, lunedì, era il giorno in cui sarebbe dovuta accadere una cosa particolare, avrei dovuto saltare il fosso, come diceva Liliana, una delle mie amiche solite del bridge del venerdì sera. Ma andiamo per ordine; tutto risaliva infatti all’ultimo venerdì in cui, come da anni facciamo, io e mio marito ci eravamo visti con altre tre coppie di carissimi amici; noi signore giochiamo a bridge ed i nostri mariti fanno il loro pokerino settimanale. Ovvio che fra donne, durante la partita, più che giocare si pensa a spettegolare, soprattutto in un gruppo di amiche dove c’è Liliana. Liliana è la mia migliore amica, in più di un frangente mi è stata vicino in maniera disinteressata, ma è anche un tipo un po’ particolare, come diciamo fra di noi “senza olio ai suoi freni inibitori”. E quel venerdì, appena ci sedemmo tutte e quattro al tavolo, ci annunciò con fare fra l’ammiccante e l’orgoglioso, che aveva grandi cose da raccontarci, ed effettivamente fu di parola. Insomma, per farla breve, ci disse che, nella palestra di ballo sudamericano che lei frequentava assiduamente da un anno, era venuta a sapere, per chiacchiera di spogliatoio, che uno degli insegnanti di samba, un certo Manuel, faceva marchette con le signore bene della nostra città. Ci disse che era un bel ragazzo di colore, sui 25 anni, cubano per la precisione, dal corpo atletico e guizzante che solo a vederlo “ti fa bagnare tutta la passerina” aggiunse con aria di intesa. Al suo racconto, noi altre tre ridevamo e facevamo battute e raffronti con i nostri mariti che, sebbene non arrivassero ancora ai quaranta, dimostravano già i primi cenni di decadimento fisico dovuti ad una giornata lavorativa sedentaria passata dietro le scrivanie dei loro studi professionali. Dopo un po’ di questo conversare, Fabia, un’altra del quartetto, ci invitò a non distrarci ed a pensare a giocare, e prontamente, dato che era un po’ la leader del nostro gruppetto avendo 37 anni ed essendo la più grande di noi, eseguimmo. Il gioco filò liscio per un’oretta, poi, durante un cambio di mano, Liliana fece esplodere la bomba che teneva in serbo: “Ebbene -disse fissandoci nelle palle degli occhi- io con Manuel ci sono andata! E devo dire che le 500.000 che si prende sono più che meritate!” Rimanemmo di sasso; pur essendo un tipo un po’ fuori dall’ordinario, mai avremmo pensato Liliana essere in grado di una cosa simile, andare con un gigolò! Aveva solo 33 anni era una bella donna ed un felice matrimonio, ma cosa poteva averla spinta ad un’esperienza così degradante? In fin dei conti, le chiedemmo, i gigolò sono lì per le tardone che non possono trovare nessuno o vogliono rinverdire i vecchi fasti, ma lei, così bella e piacente, se voleva cornificare il marito, con tutti i corteggiatori che aveva e che passavano a trovarla con ogni scusa nel suo negozio di pelletteria non avrebbe avuto certo problemi. “Il gusto della sfida!” Ci rispose con aria orgogliosa”I nostri mariti non sono mai andati a puttane? Gli uomini non vanno a puttane? Ecco, io ho voluto provare la sensazione di pagare qualcuno per andarci a letto. Proprio come fanno loro, e vi posso assicurare che fra il gusto di un’idea così e un ragazzo così sexy, ne è valsa veramente la pena. Anzi, vi consiglio anche a voi un’esperienza simile, allargherà i vostri orizzonti, …non solo mentali!” E ridendo alla sua battuta volgare, segnò su un pezzetto di carta il telefono cellulare del ragazzo”Questo è il suo telefonino se volete prendere appuntamento, ma dite che vi manda Carmen come parola d’ordine”. Riprendemmo a giocare e non toccammo più l’argomento. Il foglietto rimase sul tavolo tutta la serata, ma dentro di me si era come sprigionato qualcosa; giocai il resto della partita in modo pietoso, tanto che io e Liliana, che a bridge formavamo una discreta ed affiatata coppia, perdemmo quella sera una discreta cifra. “Carla, mi sa che non scopi da un po’ – disse Liliana mentre firmava il suo assegno- il cellulare di Manuel è qui, usalo!” Ebbi solo la forza di reagire con un banale “Ma non dire stronzate”. In realtà la mia testa aveva preso a rimuginare l’idea in maniera confusa; fin da giovane avevo sempre pensato a come sarebbe stato comportarsi in questo caso come un uomo, e cioè pagare qualcuno per andarci a letto; ovvio che non l’avevo mai fatto, sia perché non avevo mai avuto l’occasione sia perché, se capitava, da ragazza, un periodo di astinenza, sapevo come muovermi sulla mia agendina e organizzare una seratina con qualche amico di vecchia data con cui si potesse fare la classica scopata da una botta e via senza problemi. Pur tuttavia, ogni tanto era un’idea che mi si era affacciata in mente più per curiosità che per altro. Quella notte la passai piuttosto agitata; presi sonno dopo un bel po’, ed intanto nel mio cervello cominciava a prendere forma la malsana idea. Chissà come sarebbe, pensavo rigirandomi nel letto, che gusto si prova a sfilare i soldi dal portafoglio e metterli su un tavolino, e poi vedere la persona che hai pagato, come se tu avessi premuto un bottone, spogliarsi e poi scopare con te; poi cercavo di immaginarmi questo Manuel, sicuramente come fisico, essendo ballerino, non doveva essere niente male, e poi, da quello che Liliana aveva fatto intendere, doveva anche scopare piuttosto bene, ed essere anche abbastanza dotato, pensavo, altrimenti come avrebbe potuto fare il gigolò? E come sarebbe scopare con un uomo di colore? Lo avevo visto ogni tanto nei filmini che vedevo con mio marito, erano tutti dei ragazzi dal fisico stupendo e dai cazzi enormi, sarebbe stato anche Manuel così? Ma sì ,lasciamo perdere, diceva la parte razionale della mia mente, hai un bel marito, un ottimo rapporto con lui ed una bella famiglia, perché devi andare ad impelagarti in faccende come queste? E se poi si creano delle conseguenze che si r! ipercuotono sul tuo matrimonio? Mi giravo e rigiravo nel letto, non riuscivo proprio a prendere sonno; mi alzai ed andai in cucina a bere un bicchiere d’acqua, poi andai in bagno per fare pipi. Mi sedetti sul water e, quasi istintivamente, mi passai un dito fra le labbra della fica; era zuppa! Oddio mio, pensai, mi sono eccitata! Risalii con lo stesso dito medio della mano destra al clitoride, era gonfio come una nocciolina; presi a masturbarlo, allora, con un lento movimento rotatorio, mentre l’altra mano era scivolata sotto la camicia da notte e stringeva forte uno dei miei grossi seni, martoriando il capezzolo indurito e puntuto. Mi immaginavo, mentre mi toccavo, la scena di me che andavo da questo ragazzo, lui che mi prendeva con il suo grosso cazzo nero, io che lo succhiavo avida, lui che mi veniva con un lungo getto di sperma sulla pancia fino a lambire i seni. Quasi senza accorgermene, un brivido mi percorse la schiena e mi scosse tutta; venni reprimendo i mugolii di piacere. Stetti seduta sul water qualche istante, con le gambe distese ed ansimante per riprendermi, poi mi alzai, mi ripulii la fica dagli umori prima con la carta igienica, poi con un bel bidet di acqua gelata e tornai a letto. “Ora -pensavo prima di addormentarmi- mi sono tolta dalla testa questa idea balorda, mi sono sfogata. Ma si ecco, era tutta una fantasia che mi si era accesa e nulla più” e mi addormentai. La mattina dopo, però, fui svegliata sempre dallo stesso pensiero e dalle stesse immagini; io che lasciavo i soldi sul tavolino, lui che si spogliava estraendo il suo enorme, almeno così lo immaginavo, cazzo, lui che mi scopava in tutte le posizioni, lui che mi schizzava il suo sperma addosso. Mi alzai e preparai frettolosamente la colazione per mio marito e mio figlio; non vedevo l’ora che uscissero per riordinare le mie idee, e farmi un bel ditalino in santa pace accarezzandomi e penetrandomi come solo io so fare. Appena usciti, ebbi appena il tempo di fare pipi che, mentre già mi stavo carezzando la fica gonfia di desiderio, suonò alla porta Daniela, la cameriera polacca; un po’ seccata andai ad aprire; mi aveva interrotto proprio quando il mio clitoride si stava risvegliando e, appena toltasi il cappotto, cominciò a pulire il casino che avevamo lasciato la sera prima. Stavo andando in bagno per riprendere la mia masturbazione quando fui folgorata da un pensiero; il bigliettino dove Liliana aveva segnato il numero di cellulare del gigolò! “Cazzo!” pensai, “lo devo prendere prima che Daniela pulisca e lo butti!”. Corsi in salone e feci appena in tempo a toglierlo, tutto appallottolato, dal portacenere dove lo avevamo messo, prima che la mia colf lo pulisse e lo gettasse nella spazzatura. Con quel bigliettino fra le mani tornai in camera mia, mi stesi sul letto e, quasi senza pensarci, presi il telefono e composi il numero di cellulare del ragazzo; rispose la segreteria telefonica che mi diceva di lasciare un messaggio; abbassai col cuore in gola. Ero stata ad un passo dal rispondere ad un messaggio di un gigolò! Andai in bagno ed anziché masturbarmi decisi di farmi un bel bagno caldo che forse mi avrebbe rilassato e scacciato dalla testa quella malsana idea; vana speranza! Durante tutto il bagno pensai sempre a quell’ipotetico incontro; mi immaginavo Manuel, muscoloso, alto, nero come l’ebano, con un cazzo stupendo che mi prendeva e mi faceva venire. Mi sgrillettai nella vasca ed ebbi un paio di orgasmi, poi uscii, mi avvolsi nel morbido accappatoio di ciniglia e, gocciolante, andai in camera. Mi tolsi l’accappatoio e rimasi nuda davanti al grande specchio del guardaroba, mi guardai. In fondo, pensavo, dovrei piacergli, ho 35 anni ed anche se sono alta poco più di 1,60 ho tutte le mie curve; un viso particolare ma bello e, soprattutto, come dicevano le mie amiche, molto interessante, con un’espressione fra l’austero e il mignottesco, incorniciato da un caschetto di capelli biondi quasi naturali e con due splendidi occhi grigio azzurri, grandi e luminosi. Un bel seno, tondo con l’attaccatura molto larga, grosso, con larghe aureole rosa chiaro e due capezzoli carnosissimi e sensibili ;un bel sedere tondo e grosso anche se ben proporzionato, con due fossette proprio sopra le natiche e dove, spesso, mio marito si divertiva a venirci addosso; una fica accogliente, dalle labbra molto carnose, specie le grandi, un pelo ben curato di colore castano, che depilavo regolarmente in una sottile striscetta di due cm di larghezza, due cosce certo non chilometriche, ma molto tornite e che, quando indossavo autoreggenti o calze col reggicalze, hanno fatto impazzire se! mpre chiunque avesse avuto il privilegio di vedermi in quell’abbigliamento; una pelle chiara e vellutata che suscitava l’ invidia delle mie amiche. Si, pensavo, davanti allo spettacolo del mio corpo nudo, nonostante abbia dieci anni più di lui dovrei senz’altro piacergli, non credo che abbia spesso l’occasione di scoparsi delle fiche così. Istintivamente presi il telefono e, completamente nuda, rifeci il numero del cellulare. Questa volta, quando la segreteria terminò il suo messaggio, risposi: “Ciao Manuel, sono Carla, mi manda Carmen, se mi vuoi richiamare il mio cellulare è…….” Riattaccai di colpo. Ormai è andata pensai tanto vale ballare; e come se mi fossi tolta un peso dalla coscienza, mi vestii ed uscii. La giornata trascorse come tante altre. Dopo essermi vestita andai un po’ a zonzo per la città, finché non venne l’ora di andare a prendere mio figlio a scuola, poi il pranzo, il solito riposino pomeridiano e verso le quattro mi preparai per andare a trovare Liliana che si era beccata l’influenza. Avevo quasi dimenticato la telefonata fatta a Manuel di prima mattina, quando, appena salita in macchina trillò il cellulare: “pronto Carla?” sussurrò una voce suadente dal forte accento esotico; un brivido freddo mi percorse la schiena, Manuel! “S…. sì” balbettai come un’ebete, “sono io chi è?” “Hai una bellissima voce”, fece di rimando il ragazzo, “senti sai cosa faccio vero” “SI”, risposi, “Bene ,se vuoi un’ora sono 500.000, una serata intera un po’ di più”: Rimasi come stordita tanto che il ragazzo mi chiese se ero ancora in linea.”Sì, sì, sono qui, no va bene un’ora per cominciare, quando si può?”. Era sabato, ci accordammo per il lunedì successivo alle 5 del pomeriggio, riattaccai con il cuore in gola: “Dio mio cosa sto per fare!” pensai, ma mi ripresi subito dopo e fino a quel lunedì mattina non ci pensai più, trascorrendo un sereno fine settimana in famiglia……. Ad ogni modo, verso le undici dovetti per forza vincere quella abulia e quel senso di disagio che, come ho detto all’inizio di questo racconto, mi avevano assalito quel lunedì mattina e mi alzai ;indossai la vestaglia e, mentre infilavo la porta del bagno, dissi a Daniela di prepararmi il caffè. Mi feci una rapida doccia e ammirai ancora il mio corpo che di lì a poche ore avrebbe assaggiato le mani nervose e il membro di ebano del ragazzo. Mi asciugai e andai in cucina, dove la cameriera mi aveva apparecchiato per la colazione, ma non avevo fame; la bocca dello stomaco era chiusa dal nervoso. Bevvi rapidamente il caffè e poi tornai in camera per vestirmi e correre dal parrucchiere con cui avevo preso appuntamento per le dodici. Andare dal parrucchiere era sempre stata una cosa estremamente rilassante per me, fin da quando ero una ragazzina, ed anche quel giorno, anzi forse soprattutto quel giorno, lo fu ancor di più. Mi feci leggermente schiarire i capelli, che già ho biondo cenere di natura, di un paio di toni, fino a farli diventare quasi di quel biondo platino che tanto piaceva a mio marito perché, diceva, mi davano un’aria da troia di casino degli anni trenta. Terminai appena in tempo per prendere mio figlio a scuola e portarlo a casa, dove Daniela aveva già preparato il pranzo. Sbocconcellai qualcosa, guardando mio figlio e pensando cosa avrebbe potuto dire da grande di sua madre se avesse saputo che aveva pagato un uomo per farsi scopare; mille pensieri si affollavano per la mia mente; mille ma non quello di rinunciare ad andare. Mi sembrava, ormai, che con quella telefonata e quell’appuntamento, mi fossi irrimediabilmente compromessa, che non potessi più tornare indietro dalla mia decisione. Comunque ormai era fatta, pensai, e tanto valeva prenderla nel migliore dei modi possibili ; anzi, dissi a me stessa che, tutto sommato, era quasi come quando mi masturbavo con i miei falli; nulla più. Sarebbe stato come avere un vibratore umano che mi avrebbe dato solo piacere carnale, niente sentimento, solo un atto meccanico per togliersi la curiosità e provare qualcosa di diverso nella mia vita annoiata di signora borghese. Erano le due passate, andai in camera per riposare un po’ prima di prepararmi. Mi rigirai nel letto con un tremendo senso di inquietudine fino alle tre, quando suonò la baby-sitter che sarebbe dovuta stare con Giuseppe per il pomeriggio. Le aprii la porta di casa e non appena si mise a giocare con mio figlio iniziai a preparami. Feci un lungo bagno stando attenta a non rovinarmi la piega fresca di parrucchiere. Mi divertivo a vedere i miei capezzoli turriti che foravano la schiuma e rimasi in acqua oziando, finché non divenne freddina. Uscii dalla vasca e mi asciugai per bene; mi guardai ancora una volta allo specchio, poi mi slacciai l’ accappatoio e rimasi nuda. Dall’armadietto sopra il lavabo presi il rasoio e la schiuma da barba, mi accovacciai sul bidet a cosce divaricate ed inumidii accuratamente l’inguine e gran parte del pube, poi raccolsi un po’ di schiuma sulla dita e la passai attorno alla sottile striscetta di peli che mio marito voleva curassi; a lui non piacciono le fiche pelose, e fin dall’inizio del nostro rapporto ha preteso che, se io non volevo depilarmi completamente il pube o le labbra della fica, almeno tenessi meno pelo possibile. Mi rasai accuratamente attorno alla striscetta di pelo castano finché non sentii la pelle liscia come una pesca; poi mi sciacquai accuratamente e infine andai in camera per vestirmi. Sapevo già cosa avrei indossato; mi sarei vestita in maniera carina, leggermente sexy, ma non sfacciata, e soprattutto avrei indossato cose semplici da togliere; ho sempre provato un po’ di imbarazzo, le prime volte che andavo a letto con una persona, a doverci mettere mezz’ora per spogliarmi, armeggiando con reggiseni, collant e quant’altro. Decisi quindi di indossare un vestitino corto di mohair, color crema, molto semplice ma di gran gusto, abbottonato tutto sul davanti e che mi arrivava a mezza coscia; non misi volutamente reggiseno, né collant. Optai per un paio di calze autoreggenti nere di quelle spesse, che vanno di moda ora, in modo da non dovermele sfilare, un piccolo perizomino nero velato, di pizzo, e scarpe di camoscio col tacco alto e il cinturino alla caviglia, in maniera di rimanere con calze e scarpe e dovermi solo sbottonare il vestito e sfilare in un secondo il perizoma che sarei stata pronta per essere scopata; tutto ciò, come ho detto, non certo per avere l’aria di una mignotta, ma per evitare quei penosi imbarazzi di quei brevi ma interminabili momenti in cui una si spoglia davanti all’uomo che la deve scopare, oltretutto in una situazione del genere! Era ormai ora di andare. Mi affacciai alla porta della stanza di Giuseppe e lo salutai baciandolo e stringendolo forte, poi presi un cappotto di quelli lunghi, di lana spessa, di colore nero e scesi in garage; misi in moto, alzai col telecomando la saracinesca ed uscii, avviandomi all’indirizzo che Manuel mi aveva dato. Piovigginava e faceva abbastanza caldo per la stagione, mentre guidavo nel traffico del pomeriggio, vampate di calore mi salivano al viso facendomi arrossire, il cuore mi batteva forte e più di una volta dovetti tirare il fiato per tranquillizzarmi. Arrivai quasi senza accorgermene all’indirizzo: era una stradina senza uscita, in una zona residenziale della città ma piuttosto tranquilla e discreta; le palazzina erano a tre piani e sommerse dal verde, niente traffico, né di macchine né di pedoni; un posto tranquillo, insomma, l’ ideale per una garconniere o per mini appartamenti per puttane o, come in questo caso, pensai fra me e me …… puttani. Scesi dalla macchina che ormai era buio e mi avviai a cercare il numero civico con cancelletto indipendente dove Manuel mi aveva detto che avrei dovuto suonare. Feci un po’ di fatica ad individuarlo, coperta come era, la targhetta del numero, da una folta siepe. Dovetti passare davanti un paio di volte contando i civici ed individuandolo per deduzione. Dietro le piante c’era il campanello con su scritto “STUDIO DI DANZA” come mi aveva detto. Allungai l’indice della mano destra per suonare e arrivai fino a sfiorare il campanello. Rimasi così, in quella posizione qualche terminabile istante, poi decisi che avrei fatto due passi a piedi, per schiarirmi le idee e tranquillizzarmi. Percorsi lentamente, con le mani infilate nelle tasche del cappotto, i cinquecento metri che portavano dal cancello di Manuel alla fine della stradina. In quel breve percorso cercai di riordinare le mie idee: ero in uno stato di ansia e non capivo il perché, o meglio lo capivo ma non ne sapevo spiegare la ragione. In fin dei conti, pensavo, non sono certo una ragazzina al suo primo incontro con un ragazzo e che sa di dover essere sverginata; di uomini, prima di conoscere mio marito ne ho avuti diversi, direi quasi parecchi; né si poteva dire che non sapessi come trattare a letto un uomo e avessi paura di fare brutta figura ; oltretutto, non avrebbe probabilmente richiesto nulla da me se non di abbandonarmi alle sue carezze e al suo cazzo, non dovevo certo mettermici insieme! E allora? Cosa era quello stato di ansia che mi prendeva alla bocca dello stomaco e mi faceva sentire le ginocchia come se andassero per conto loro senza più controllo? Forse il fatto di dover tradire mio marito? No pensai immediatamente, non può essere, non posso certo considerare un tradimento il fatto di andare a scopare con un ragazzo a pagamento. Ecco! Ragionando su altri argomenti ero finalmente arrivata alla risposta; era per il fatto che avrei dovuto pagarlo! Mi sentivo degradata al ruolo di vecchia tardona per questo. Ci ragionai rapidamente sopra mentre, intanto, ero arrivata nuovamente al cancelletto. “Ok, Carla- mi dissi- metti da parte queste cazzate e comportati da donna emancipata, se vanno gli uomini a puttane ci puoi andare, per una volta anche tu”, e, terminando di pensare, affondai il dito sul campanello. Dopo qualche secondo, il cancello si aprì con un sordo rumore e mi trovai davanti un breve vialetto che, dall’ingresso portava all’uscio dell’appartamento. Lo percorsi cercando di darmi l’andatura più sicura possibile e, quando affrontai il primo dei tre gradini che portavano sul ballatoio, la porta si schiuse. Appena varcai la soglia mi si fece incontro Manuel. Un po’ per l’emozione della situazione, un po’ per le sue fattezze, rimasi quasi senza fiato. Mi stese la mano aprendosi in un largo sorriso e mi salutò; io, deglutendo per l’emozione, risposi con un flebile: “Ciao, piacere sono Carla”. Mi invitò a sfilarmi il cappotto, che appese all’attaccapanni del piccolo ingressino, e, guidandomi con la sua mano dietro la schiena mi fece accomodare nel salottino, grazioso e arredato con gusto, facendomi sedere su una poltrona .Si mise davanti a me, in piedi, appoggiato al tavolo di legno scuro e potei osservarlo in tutta la sua bellezza e sensualità esotica. Avevo già visto, come ho detto, altri ragazzi di colore in qualche filmino porno che ogni tanto guardavo con mio marito, ma Manuel li superava tutti senz’altro e superava anche le mie fantasie su di lui. Era a dorso nudo, indossava solo un paio di pantaloncini di quelli aderenti che arrivano sopra il ginocchio, da ciclista per intenderci, color bianco che risaltavano ancor di più sulla sua pelle d’ebano e mettevano in risalto l’enorme rigonfiamento, non potè il mio occhio fare a meno di caderci, formato dal suo membro a riposo e dalla sua sacca scrotale. Aveva la pelle scurissima, talmente nera che sembrava lucida; era alto circa un metro e ottanta, ed aveva il corpo atletico e muscoloso, più muscoloso di quello che pensassi o almeno di quello che pensavo dovesse essere per un ballerino. Atletico sì ma non molto massiccio avevo immaginato; ed invece aveva due spalle enormi, muscolose, che solo a vederle davano un’idea di potenza e di virilità. Fianchi stretti sormontati da un torace muscoloso, con due pettorali ampi e ben sagomati e addominali che sembravano essere la corazza di un guerriero; cosce nervose e statuarie, con i muscoli che sembrava volessero stracciare i pantaloncini, il tutto coronato da un viso esotico, dal tratto tipico dei negri caraibici, con labbra carnose, occhi allungati e cranio rasato. “Gradisci qualcosa da bere?” esordì Manuel cercando di mettermi a mio agio e di farmi rilassare; doveva infatti aver notato che non ero certo tranquillissima, dato che, a questa sua domanda, mi accorsi di essere seduta, con le ginocchia serrate, proprio sul bordo della poltrona. “Un goccio di whisky, grazie” risposi abbozzando un sorriso per celare il mio imbarazzo; di solito bevo rarissimamente, in genere solo il venerdì durante le famose partite a carte, ma ci voleva proprio. Il ragazzo si mosse come una pantera verso il carrello dove erano le bottiglie e ne potei ammirare i glutei marmorei; mi versò due dita di liquore e mi porse il bicchiere, poi, mentre sorseggiavo il mio whisky, cominciò a rompere il ghiaccio “Non sei della palestra vero?” mi domandò “non ti ho ami vista prima, e sì che una bella donna come te la avrei certamente notata”: A questo complimento, ai suoi sforzi per mettermi a mio agio, e un po’ anche grazie al whisky che mi stava sciogliendo, sorrisi e mi feci scivolare sulla poltrona in una posizione un po’ più comoda, accavallando le cosce. “Stupende!” esclamò Manuel “Cosa?” ribattei io ingenuamente. “Le tue cosce, sono molto sensuali. Sai, senza offesa credimi, poche volte ho occasione di incontrare donne giovani e belle come te per lavoro. In genere hanno almeno cinquanta anni e devo fare sforzi tremendi per accontentarle” Concluse sorridendo. “Beh” feci io “per lavoro ma …..quando non lavori avrai senz’altro tante belle ragazze dietro”. Era una considerazione stupida, ma, in quel momento, fu l’unica risposta che riuscii ad abbozzare. Manuel lasciò cadere il discorso e scese sul concreto del nostro incontro: “Ti ho detto del regalino per un’ora vero?”. Annuii con la testa . “Bene” proseguì il ragazzo “se vuoi passeremo dei gradevoli momenti, faremo l’amore in modo molto dolce, non ti preoccupare. Io, naturalmente, faccio uso del profilattico, a meno che, ma solo per i preliminari, tu non ne abbia voglia.” Rimasi un attimo pensierosa a queste sue considerazioni, tanto che mi domandò se ci fosse qualche cosa che non andasse in quello che mi aveva detto, scusandosi se era stato forse troppo diretto. “No no,” risposi “assolutamente non è per questo, anzi, ti ringrazio della chiarezza, solo che……… che vorrei sapere…… ecco……. cosa dovremmo fare” Il ragazzo rise; di una risata leggera, e mi rispose: “Come cosa dovremmo fare l’amore no?”. “Ah”, soggiunse “Vuoi dire se faremo qualcosa di particolare? Non ti preoccupare, tutto in maniera per così dire….. molto classica, per giochetti più raffinati chiedo di più” Stetti a pensare, come assente, e dopo ribattei: “Assolutamente non volevo dire questo, scusami, mi sono spiegata male, forse l’imbarazzo della situazione, è che io avrei solo un desiderio come dire……. accessorio al fatto di venire a letto con te”: “Dimmi pure” mi sorrise rassicurante Manuel: Decisi di essere sfacciata fino in fondo, del resto c’era poco da fare la timida verginella in quello stato. Ero una signora sposata che si andava a far sbattere a pagamento da un negro superdotato dopotutto e decisi di rivelargli il mio desiderio di quella che era stata la mia fantasia più eccitante su di lui che avevo fatto nei giorni precedenti immaginandomi il nostro incontro: “Ecco Manuel, non voglio nessun giochino particolare, non fraintendere, mi sta bene fare l’ amore come dici tu, sta bene l’uso del profilattico, anche se preferirei che lo mettessi solo per la penetrazione, ma avrei una richiesta da farti; ecco vorrei che….. che …… sì, insomma……. Che quando stai per venire ecco, te lo sfilassi e mi venissi addosso, si può?” Manuel sorrise, allargò le braccia e mi rispose che certo, non c’erano assolutamente problemi, se volevo questo sarei stata accontentata. Questa richiesta, il fatto di essere riuscita a dirgliela, mi tranquillizzarono, ed un senso di leggera euforia cominciò a pervadermi . Manuel mi domandò: “Allora è ok?” “Ok ” dissi io sorridendo. “Bene, se puoi lasciarmi prima il regalino…….” Fece Manuel mentre mi voltava le spalle per andare ad accendere lo stereo. Io aprii la borsa, presi il portafoglio e sfilai i cinque biglietti da centomila che avevo preso al bancomat quella mattina e li posai sul tavolo. Intanto i ritmi di un merengue tipicamente sudamericano, o meglio caraibico, si spandevano per la stanza e Manuel aveva cominciato a ballare al ritmo della musica. Io rimasi in piedi ad ammirare il suo corpo di potente animale nero che si muoveva felino, con i muscoli che cominciavano a prendere tono e ad ingrossarsi per il movimento. Devo dire che cominciai a sentirmi leggermente stordita, tipico sintomo che mi prende quando comincio ad eccitarmi ed avvertii che la mia fica cominciava a risvegliarsi e a far colare il dolce miele dei miei umori sul tassello del perizomino. Muovendosi sinuosamente, Manuel venne dietro di me, accostò il suo bacino al mio culo e cominciò a muoversi ed a farmi muovere con un sensuale movimento rotatorio. Io mi abbandonai alla presa delle sua mani sui miei fianchi e lo seguii docile nei suoi passi di danza. Intanto sentivo crescere il suo cazzo che premeva sulle mie chiappe e che si andava indurendo a causa del movimento; Manuel lo premette contro il mio culo, proprio in mezzo al solco delle natiche, ancora di più e cominciò a far scivolare le sue mani lungo le mie cosce fino a farle risalire per stringere con una presa da maschio i miei grossi seni; avevo i capezzoli induriti; talmente induriti e grossi che mi facevano quasi male e Manuel prese a stringermeli leggermente fra indice e pollice. E’ una cosa che mi fa eccitare moltissimo questa ed abbandonai la mia testa sulla sua spalla; il ragazzo mi baciò sul collo e infilò la sua lingua nella mia bocca; aveva una lingua lunga, mobile, quasi serpentina, che rovistò ogni anfratto della mia bocca. Intanto le sue mani avevano lasciato i miei capezzoli ed avevano cominciato a sbottonare il vestitino . In breve fu tutto aperto sul davanti, Manuel si voltò, si mise davanti a me e cominciò a baciarmi e a leccare i seni ed i capezzoli. Mugolavo come una cagna, ogni remora, ogni timore era ormai scomparso e volevo solo che mi sfondasse la fica. Cominciai ad accarezzargli il cazzo da sopra i pantaloncini; era enorme! Lungo, sembrava che non dovesse finire mai, largo, gonfio, potevo sentire distintamente il grosso canale urinario che è sul retro del cazzo ; lo volevo! Lo volevo vedere, ammirare, accarezzare, baciare succhiare! Scesi con la mano sotto l’ elastico dei suoi pantaloncini ma in quel momento Manuel, con un sorriso, si staccò dai miei capezzoli, fece qualche passo indietro e, mentre io mi sfilavo il vestito, rimanendo nuda con calze autoreggenti, scarpe e perizoma ormai zuppo dei miei umori, cominciò ad abbassarsi lentamente, molto lentamente i pantaloni. Quello che vidi quando fu completamente nudo fu il più grosso e bel cazzo che avessi mai visto nella mia vita, sia dal vero che nei filmini: lungo almeno ventitré centimetri, largo, scurissimo, con una vena centrale enorme, una cappella scura larga che torreggiava a fungo sopra quell’immenso bastone di carne eretto e leggermente ricurvo a destra. Due coglioni grossi come limoni e gonfi di sperma, il tutto accentuato dal fatto che aveva il pube completamente depilato. Mi avvicinai a lui fissando il suo cazzo, lo baciai in bocca ed intanto cominciai masturbarlo lentamente, facendo scivolare la mia mano su ogni centimetro del cazzo ed accarezzandogli gli enormi coglioni. Manuel, nel frattempo, aveva scostato il mio perizoma ed era entrato come un coltello caldo nel burro con due dita lunghe ed affusolate nella mia bagnatissima fica che chiedeva solo di essere spaccata in due da quel cazzo divino. Rimanemmo per un po’ in quella posizione, in piedi, baciandoci in bocca e giocando con le nostre lingue e masturbandoci a vicenda. Poi Manuel si staccò, mi prese per mano e mi condusse nella camera da letto attigua la soggiorno. Aveva le pareti completamente rivestite di specchi ed al centro aveva un grande letto con lenzuola di raso bordeaux. Mi fece scivolare di schiena sul letto, lui si inginocchiò sul bordo e mi sfilò le mutandine, poi mi tenne allargate con le mani le gambe e cominciò a leccarmi la fica. Impazzii . La sua lingua non mi dava tregua, risaliva dal buchino del sedere, aperto e rilassato, all’imbocco della fica che di lì a poco avrebbe conosciuto la potenza del suo cazzo, a percorrere il solco fra le grandi e le piccole labbra ,a martellare il clitoride. Venni. Venni urlando come la più sguaiata delle puttane, come una vacca . Manuel risalì sopra di me, cominciai con la lingua, come una cagna a ripulire la sua bocca e il suo viso dai suoi umori: Sentii, eccitatissima, l’ enorme cappella che si affacciava all’imbocco della mia fica; con un colpo di reni feci scivolare il suo cazzo dentro di me. Dio mio!! Una sensazione da brividi. Sembrava mi stessi per aprire in due da un momento all’altro, mi pompava e mi scopava con colpi ora lunghi e profondi ora secchi e violenti ; impazzivo. In un raro momento di lucidità mi staccai dal suo cazzo, mi misi in ginocchio sul letto e gli chiesi di sdraiarsi; volevo cavalcarlo per venire. Mi ci sedetti sopra e lo sentii fino in fondo all’utero; ormai non capivo più niente, avevo il clitoride duro come una nocciolina, le labbra della fica gonfie di godimento, i capezzoli duri, la lingua secca. Lo cavalcai brevemente ed esplosi nel più devastante orgasmo della mia vita, schizzando sul suo pube anche alcune gocce di pipì che non ero riuscita a trattenere per il godimento. Sfinita ma soddisfatta, e sempre col suo enorme palo nero di carne dentro, mi accasciai su di lui. Ora era venuto il suo momento; mi sfilai da sopra il suo cazzo e dalla mia fica, indolenzita e slargata, uscì un osceno rumore di aria che era stata compressa dal suo cazzo. Mi sdraiai sul letto, mi presi le gambe reggendo con le mani le caviglie e gli sussurrai: “Ora vienimi addosso”. Il ragazzo si sistemò nuovamente in mezzo alle mie cosce, entrò agevolmente col suo palo nella mia fica ormai aperta e cominciò a scoparmi. Dopo un paio di minuti sentii, dal cazzo che si era fatto più duro e dall’aumentata frequenza dei colpi che stava ormai per venire e per svuotare le sue palle addosso a me. Diede gli ultimi due tre colpi poi, fulmineo, uscì dalla mia fica si sfilò il preservativo e mi schizzò tre lunghi getti di sperma addosso, colpendomi il mento, i seni ed inondandomi la pancia. Anche Manuel, ormai stanco, si sdraiò accanto a me e mi baciò dolcemente, mentre io giocherellavo col suo sperma spalmandomelo sui seni. Non avevo mai visto un uomo sborrare in tale quantità. Ci riposammo un quarto d’ ora, poi si alzò e andò a prepararmi un caffè mentre io, in bagno mi facevo una rapida doccia. Uscita dal bagno, completamente nuda lo raggiunsi in soggiorno e bevemmo in silenzio il caffè. Raccolsi il mio abitino da per terra e mi rivestii. Ci salutammo con un lungo e dolce bacio sulla soglia di casa. Appena in macchina, prima di mettere in moto mi soffermai a pensare a tutto quello che era successo; tutto sommato era stato meno squallido di quello che pensassi e forse, chissà in un futuro ci sarei ritornata. Misi in moto e mi avviai verso casa. Quella sera decisi di realizzare uno dei desideri di mio marito: Messo a letto Giuseppe, mentre mio marito stava davanti alla televisione, andai in bagno. Mi sfilai il vestitino di mohair che avevo tenuto dal pomeriggio e il perizoma. Poi presi rasoio e sapone da barba, mi sedetti sul bidet e mi rasai completamente la fica. Uscii dal bagno nuda, con autoreggenti e scarpe, proprio come ero stata scopata da Manuel e mi misi davanti alla televisione con le mani sui fianchi. Mio marito rimase a bocca spalancata, la mia fica era liscia e vellutata, con le labbra che spuntavano grosse e impudenti, senza ormai un pelo. Mi prese e mi baciò in bocca, poi mi fece stendere sul tavolo, mi allargò le gambe, si slacciò i pantaloni e mi scopò. Mi venne dentro, eccitatissimo, dopo pochi colpi dicendomi che ero una gran puttana ora che avevo la fica depilata e che mi avrebbe voluto vedere scopare con uno dei negri che vedevamo nei filmini porno. Io gli sussurrai: “Ti amo”.
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