“Dick! .. Dick” dove diavolo si era cacciato quel bastardo di un cane! Come ogni giorno ero sceso per la passeggiata quotidiana da far fare al quattrozampe di famiglia nella villa vicino casa ed era più di dieci minuti che giravo a zonzo tra i vialetti, andando alla sua ricerca. Ormai lo aveva per vizio: appena arrivati, iniziava a fare capricci sino a quando non mi convinceva a sganciarlo dal guinzaglio e partiva subito a razzo, scomparendo tra gli alberi ed i cespugli. Solo che, generalmente, tornava subito, quando lo chiamavo ma, questa volta, non stava andando come al solito. “Dick! .. Dick! Ma dove diavolo sei sparito?! Dick!!” “Vuole fare silenzio?” Quando quella figura era apparsa tra le fronde, sussurrando appena le parole, ero rimasto di sasso. Ma che ci faceva lì, in mezzo ai cespugli? “Dice a me?” avevo risposto, impettito (ma dubbioso), con voce sonante. Subito, ero stato ripreso. “La vuole fare finita? Così, finisce che vanno via!” Se prima era stato un sussurro, a quel punto la voce mi era giunta come un soffio. Era rimasto a guardarmi col viso truce per qualche attimo, poi, forse convintosi che non avrei aperto più bocca, era scomparso alla mia vista. Ma che cazzo stava facendo? Chi era? E perchè si era rivolto a me in quel modo? E, soprattutto, dov’era finito? Spinto da tutte queste domande – non so io nemmeno il perché – ho lasciato il vialetto, dimenticandomi del mio cane, immergendomi in mezzo alla boscaglia. Non avevo dovuto faticare molto per trovarlo. Poteva essere a non più di tre o quattro metri dalla stradella, schiacciato contro un tronco ed immobile; stava scrutando qualcosa ma, da dov’ero, io non potevo sapere cosa. Credevo che non si fosse accorto di me invece, appena fatto un passo in avanti, un braccio si era steso e la mano mi aveva fatto chiari cenni di procedere cautamente, senza fare rumori. Aveva un qualcosa di autoritario nel suo modo di agire e mi ero ritrovato ad eseguire quello che era stato un ordine perentorio, muovendomi un passo alla volta, e poggiando le scarpe sul suolo in modo da non schiacciare, col mio peso, i rami e le foglie secche. Quando lo avevo raggiunto, ponendomi alla sua destra, aveva girato il volto verso di me e si era portato l’indice sulla punta del naso chiarendomi che non mi era consentito aprire bocca. Intanto, con l’altra mano teneva un ramo davanti a sé leggermente spostato. Aveva girato la testa e, utilizzando lo stesso indice, mi aveva indicato qualcosa che era dietro a quell’intreccio di rami. Oramai roso dalla curiosità, avevo sporto il viso in avanti, cercando uno spiraglio lasciatomi libero da quell’uomo, ed ero rimasto a bocca aperta! Sei o sette metri avanti a noi, in un piccolo spazio creato dalla natura tra alcuni alberi c’era una giovane ragazza alle prese con un coetaneo abbastanza focoso. Tutti e due sui diciotto anni, mori di capelli e di carnagione, con lui non troppo alto ma muscoloso al punto giusto per la sua età e lei minuta ma ben fatta, erano stretti in un abbraccio appassionato. Per meglio dire, la ragazza era impossibilitata a muoversi, anche quando lo avesse voluto, stretta com’era tra le braccia del suo compagno e con i pantaloni e le mutandine abbassate a metà coscia. Lui la teneva stretta a sé col braccio sinistro intorno al collo e, mentre la riempiva di baci, la stava martoriando in mezzo alle gambe strofinandoci sopra la mano, a palmo aperto. “Non sono uno splendore?” Senza perderli di vista, l’uomo mi bisbigliava tutta la sua ammirazione per quei due sbarbatelli alle prime armi. Ero senza fiato. Guardare la pelle nuda di quella ragazza mi aveva causato un’immediata erezione e, a quel punto, mi sentivo calamitato dalla scena che avevo di fronte. Temevo di avere un’allucinazione ma quei due si stavano scambiando, effettivamente, delle effusioni carine e delicate che esprimevano una sensualità e una sessualità esasperate. I baci erano appassionati, con un gioco di lingue che, dalla mia postazione, potevo vedere distintamente; la mano di lui si limitava a passare e ripassare sopra il triangolo scuro, causandole brividi più di eccitazione per quel che sarebbe stato se fosse stato meno maldestro, che non per altro. L’altra mano era scesa, dalla scollatura, sotto la maglia e stava strofinando chiaramente un seno. Avevo decisamente gli occhi fuori dalle orbite, non riuscivo a staccarmi dallo spettacolo e sentivo il mio pene gonfiarsi sempre di più nelle mutande, fino a premere dolorosamente contro i pantaloni. Intanto, il ragazzo aveva smesso di accarezzala in mezzo alle gambe per prenderle una mano e sfregarsela lungo la patta. La giovane aveva le guance rosso fuoco per la stimolazione sopportata sino a quel momento, senza che fosse sfociata in un orgasmo. Magari quell’imbranato si era staccato da lei proprio in un momento cruciale?! Era talmente preso da schiacciarle la mano sul suo gonfiore che mai e poi mai si sarebbe posto quella domanda. Continuava ad impasticciarle il viso con la saliva della sua bocca, slurpando a destra e a manca, mentre le strizzava una mammella nel pugno (si capiva perfettamente anche se stava operando sotto la maglia) e si contorceva col bacino contro la mano della compagna d’avventura. Erano paradisiaci da guardare, ma quella che mi stava facendo letteralmente impazzire era lei. Mi sembrava una piccola preda, chiusa in gabbia. Non riusciva ad averla vinta sulla goffaggine del maschio ma si vedeva che tremava dalla voglia di uscire da quell’empasse. Non che sapesse cosa fare, magari, ma, pur muovendosi di istinto, con ogni probabilità avrebbe raggiunto lo scopo meglio di quanto non stesse facendo il suo amico. “Che idiota! Saprei io cosa fare a quel bocconcino!” Mi ero dimenticato del mio vicino e la sua affermazione, fatta a fil di voce, mi aveva colto di sorpresa; ma aveva ragione da vendere, cazzo!! Sì che avremmo saputo come fare divertire quel bocconcino!! Intanto il ragazzo aveva lasciato la mano della giovane e, spostatosi leggermente indietro, districandosi alla bel e meglio, si era abbassato la cerniera dei jeans, calandoseli sulle cosce insieme agli slip. A quel punto erano ambedue nella stessa identica situazione, impossibilitati a fare grandi movimenti. Un attimo dopo la ragazza impugnava il suo palo, incominciando ad agitarlo in modo screanzato. Lo tirava verso il basso come se lo stesse mungendo, poi dimenava la mano, oscillando da un lato all’altro e strofinava continuamente il pollice sulla capoccia. Il modo grossolano con cui quei ragazzi affrontavano i primi approcci col mondo del sesso mi stava conturbando come mai nessuna donna esperta era riuscita a fare. Vedevo negli occhi della ragazza tutta la passione possibile, concentrata com’era a dare piacere al suo amico. Anche se in modo rozzo e inesperto, gli stava regalando un momento indimenticabile, ed io col mio vicino ne eravamo testimoni occulti. Non era durato a! lungo, non poteva, eccitato com’era. Si era stretto intorno a lei, dimenando il bacino e sputando dal suo pene una quantità di gocce biancastre che erano andate, per lo più, perse tra il fogliame. Solo qualche rivolo era caduto sui pantaloni della ragazza ma gli unici a notarlo eravamo stati noi due. Lei, era stata impegnata a scuotere ancora più celermente quel bastone sino a quando lui non le aveva fatto cenno di fermarsi. Continuava ad accarezzarle i capelli e le labbra con le punte delle dita. Poi si è chinato, sedendosi sulle ginocchia, facendole scivolare pantaloni e slip ancora più in giù, sino ai polpacci. Lentamente, aveva iniziato a percorrere le gambe con la lingua passandola sulle ginocchia, sul dorso delle cosce, nell’incavo delle ginocchia, sull’attaccatura delle natiche e poi, giù, lungo le cosce ma, questa volta, da dietro. La ragazza stava scoppiando. Lui le aveva afferrato tra le mani una gamba, all’altezza della coscia e si divertiva a solleticarle la pelle ! risalendo con la lingua dall’incavo del ginocchio sino al gluteo per poi proseguire in alto, sino al fondoschiena, e ridiscendere, attraversando velocemente il solco delle natiche, sino all’altra gamba. “Guardalo quel deficiente! La sta cocendo e non l’accontenterà, come sempre.” Mi ero girato solo per un attimo a guardare il mio vicino, immobile con lo sguardo rivolto ai due. “Ma non è la prima volta?” non ero riuscito a tenermi il dubbio dentro. “Scherzi!? Vanno avanti così da Marzo.” Ed eravamo a metà Maggio. “e vengono qui tutti i giorni, escluse le domeniche. Ecco, guarda! Si sta preparando per il finale. Che idiota!” Mi ero girato nuovamente verso i ragazzi. Giusto in tempo per vedere lui, già in piedi con le mani poggiate sulle braccia della ragazza, indirizzarla verso il tronco più vicino. Le aveva fatto distendere le braccia in avanti, in modo che si mantenesse in equilibrio. Poi le aveva spinto leggermente le gambe indietro, divaricandole. A quel punto la giovane era china in avanti, pronta per essere presa alla pecorina. Ma non poteva essere! Il mio vicino era stato molto chiaro sull’egoismo del giovane. Le si era avvicinato da dietro, incominciando a strusciarle il cazzo, semirigido, tra le natiche e sulle cosce. Poi, lo ha fatto sparire in mezzo alle gambe, in modo che si ritrovasse proprio a contatto con la fica della ragazza. A quel punto aveva incominciato a mimare un rapporto completo spingendo il bacino in avanti e indietro. Che scemo! Aveva a disposizione quel fior fiore di donna e si limitava a strusciarsi contro il monte di venere. Lei doveva sentire la punta del membro sfiorarle la clitoride e quello era l’unico momento in cui, involontariamente, il ragazzo pensava a lei. Poi era solo un andirivieni per il suo esagerato egoismo. L’aveva fatta rialzare, tirandola a sé con un braccio. Immediatamente le gambe, a quel punto dritte, si erano serrate intorno al palo di carne, rendendogli i movimenti più difficili ma molto più efficaci per tutti e due i giovani. Le mani del ragazzo erano corse alla maglia, sollevandola, e al reggiseno, estraendo due pere sode e ambrate. I capezzoli, turgidi, mi ricordavano due more mature. Glieli strizzava a più non posso e, nel mentre, continuava a fingere di pomparla con tutto il vigore a sua disposizione. Volendo, continuando così avrebbe fatto godere anche lei, ma non era nei suoi piani (o nelle sue conoscenze). Proseguendo la sua visita accurata alla consistenza delle mammelle, con un movimento indietro del bacino aveva liberato il suo pene dalla stretta delle gambe, poggiandone la punta sulla fessura posteriore della ragazza. “Se l’incula?” non so nemmeno io com’è che quelle parole mi erano uscite di bocca. “magari!” il mio complice mi aveva tolto ogni illusione. Quel timidone si era limitato a spingere leggermente in avanti, tornando subito indietro e poi nuovamente in avanti, sino a quando il suo pene non aveva seguito il percorso tra le due natiche, con la punta rivolta verso l’alto. In questo modo tutto loro avevano proseguito per altri cinque minuti, poi era giunta la seconda eiaculazione. Era passato un quarto d’ora quando, i due giovani, ricomposti, mi avevano incrociato nel viottolo mentre tenevo al guinzaglio il mio cane. Subito dopo un signore di mezz’età, seduto nella panchina vicina, mi aveva strizzato l’occhio. “Ci vediamo domani?”
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