Iniziazione Mi chiamo Alessio e quella che vi racconterò è la mia storia di qualche anno fa. Sarò costretto a cambiare i nomi per evitare di essere riconosciuto. All’epoca avevo appena compiuto 18 anni anche se, per via del mio aspetto minuto, in molti mi scambiavano per un bambino. La barba, infatti, tardava a crescere, e la mia altezza (bassezza) facevano il resto. A complicare le cose la mia inguaribile timidezza che mi costringeva ad arrossire per qualsiasi stupidaggine e che veniva spesso giudicata come infantile. Frequentavo il quarto anno di un liceo di Roma e andavo anche piuttosto bene. Difatti, ancora per via della mia timidezza, con gli anni non ero riuscito a legare molto con i miei compagni di classe e passavo le mie giornate sui libri cercando quello che la vita non riusciva a darmi. Con le ragazze non ero certo uno di successo, nonostante non fossi brutto, e a 18 anni compiuto ero completamente vergine. Solo una piccola storiella a 12 anni, sempre si possa definire tale, e poi niente più: completamente vergine. La mia esperienza sessuale era, di conseguenza, paragonabile a quella di un bambino di otto anni. Con una delle mie compagne, però, le cose andavano diversamente. Non che io avessi mai osato pensare di ottenere qualcosa di “spinto” da lei ma la sua gentilezza e i suo considerarmi importante mi rendevano spesso felice. In realtà non lo faceva che per interesse, credo di essermene inconsciamente accorto solo molto tempo dopo, visto che capitava spesso mi trovassi a passarle i miei compiti in classe o a fargli copiare le mie versioni di latino la mattina presto. Non era la mia compagna di banco ma sedeva proprio dietro di me. Un giorno, dopo una spiegazione di quelle impossibili della mia professoressa di matematica, Monica, questo era il suo nome, si avvicinò al mio orecchio da dietro e mi disse: – Martedì prossimo c’è il compito in classe ed io non ho capito nulla, non potresti darmi delle ripetizioni? Il suo modo di fare così gentile e il fatto che nel parlarmi avesse avvicinato il suo seno alla mia schiena quasi a farli toccare mi indussero ad una risposta positiva. D’altronde non le dicevo mai di non e spesso lei si approfittava di questo. Era abituata a farsi obbedire, la sua bellezza le donavano un potere implacabile su noi ragazzi e lei sapeva sfruttarlo tutto questo potere. Io ero innamorato della sua bellezza, ero innamorato di tutto di lei ma mai avrei osato confessarglielo. – Potremmo fare a casa mia domani! Le dissi prontamente – Non meglio da me, non ho voglia di uscire il pomeriggio con il motorino, fa troppo freddo! – Va bene, mangio qualcosa e vengo da te! Sapevo perfettamente dove abitava, si era fatta spesso accompagnare a casa dopo scuola e qualche volta ero anche andato a prenderla la mattina. Arrivai da lei puntuale e non nascondo di essere stato anche molto emozionato. Mi aprì la porta subito, quasi senza darmi il tempo si suonare il campanello. Sembrava avermi aspettato sulla porta. Che fosse ansiosa anche lei di vedermi? Cominciai la mia lezione ma lei mi parve assente e nulla di quello che dicevo veniva recepito dalla sua testolina capricciosa distolta com’era dai suoi pensieri. – Cosa c’è che non va? E’ inutile che perdiamo tempo…….. se non hai voglia… – No, scusa hai ragione ……..è che……….. – Cosa? – No niente! Scusa! Ricominciai allora a parlare ma ancora mi accorsi di quanto vane fossero le mie parole e di quanto, forse, non avesse nessuna intenzione di ascoltarmi. – Monica per favore, stiamo solo perdendo tempo! – Senti posso chiederti una cosa? – Dimmi? Se vuoi smettere sappi che sono d’accordo! – Prometti di non dirlo a nessuno se te lo chiedo? – Cosa vuoi, dimmelo! – No, prima devi promettere di non dirlo a nessuno e di non ridere di me! – Ok, prometto! – Vedi…….. mi vergogno a dirlo……. ecco, io non ho mai visto un ragazzo nudo e vorrei che tu, il mio migliore amico, mi mostrassi com’è fatto un uomo. Altro che ridere….. ci mancò poco non mi prendesse un colpo. In un attimo diventai completamente rosso, cosa che non era capitata a lei che pure sembrava molto imbarazzata, e non mi riuscii di spiccicare nemmeno una parola…. – Ti prego, non lo saprà nessuno! Sapeva come farmi accettare, ogni volta che mi vedeva dubbioso mi imprecava quasi ed io mi scioglievo lentamente ai suoi piedi. Non so come vinsi la mia timidezza, forse il sapere di essere considerato il suo migliore amico, l’amico al quale rivolgere una richiesta tanto personale, fatto sta che accettai. – Ok, ma non lo dovrà sapere nessuno. – Oh grazie, grazie, ti voglio bene! MI abbracciò con forza e il contatto delle sue tette, abbastanza grandi a dir la verità, sul mio petto fecero inorgoglire il mio pene che fino ad allora, forse spaventato dalla situazione, non aveva accennato reazioni. Mi avvicinai al letto, mi slegai le scarpe e le riposi con cura affianco al comodino. Cominciai a sbottonare i pantaloni ma le mani mi tremavano e non riuscivo a sbottonarne uno. – Aspetta, ti aiuto io! Fece lei decisa avvicinandosi ai miei pantaloni. Li sbottonò tutti e subito si rimise a sedere sulla sedia che aveva sistemato di fronte il letto. Incrociò le gambe, visibilmente emozionata, e rimase a braccia conserte. Io mi sfilai i pantaloni tra il tremore delle mie gambe e delle mie caviglie. Posai i pantaloni ripiegati alla meglio su un puff vicino a letto, il maglione e la camicia fecero la stessa fine dopo un travaglio non certo minore. Rimasi per un po’ davanti a lei, in piedi, con addosso solo una maglietta bianca che copriva quasi del tutto le mie mutandine e un paio di ridicoli calzini corti di quelli da due soldi che si comprano al mercato e che dopo due lavaggi tendono irreparabilmente a calare a terra. Mi pentii di non essermi cambiato prima di andare da lei. Quegli slip che indossavo, a tinta unita, dovevano sembrare così infantili, cosa stava pensando di me? Feci per togliere la maglietta ma la sua voce mi fermò. – Aspetta, sdraiati così! Naturalmente le obbedii. MI sdrai a pancia all’aria tenendo le braccia davanti gli slip, il cuore mi batteva fortissimo, una sensazione mai provata fino ad allora. Comunque, questo era certo, era lei a condurre il gioco. – No, girati schiena, voglio vederti prima dietro….! Mi girai lentamente, ruotai dalla parte opposta di dove si trovava lei, non volevo farmi vedere in faccia. Lei si alzò solo ora dalla sedia e si avvicinò a me. Tirò la mogliettina bianca in su lasciano scoperta gran parte della mia schiena. Le braccia era affianco le gambe e mi chiese di distaccarle un pochettino dal mio corpo. Mi accarezzò la schiena qualche secondo, dopo avvicino le mani fredde all’incavo facendomi provare un brivido. Con le dita cominciò ad insinuarsi tra i miei slip giocherellando con l’elastico. – Alzati un pochettino, per favore! Mi disse con modi gentili Alzai il bacino quel poco che le bastava per permettergli di sfilare delicatamente la mutandine. Non appena arrivò alle ginocchia mi riabbassai subito e lei le fece sfilare fino alle caviglie senza toglierle del tutto. Ora ero lì, sdraiato sul letto e nudo. Il contatto del mio pene con la frescura del piumone mi donavano allegre sensazioni. La vergogna, però, era tanta e il silenzio di lei contribuiva ad esaltare le mie paure. In quel momento, con il mio culetto nudo completamente a disposizione di lei, squillò il telefono. La sacralità del momento fu bruscamente interrotta ed io tentai subito di recuperare i miei slip per riportarli al loro posto. – No, ti prego, resta così, ci metto solo un attimo! Restare così! Nudo mentre lei parlava con qualche sconosciuto al telefono? Accettai ancora una volta senza troppo obiettare. Andò nel salone uscendo dalla porta che si trovava alle mie spalle quindi non la vidi uscire, averi potuto farlo certo, ma non mi mossi e rimasi sdraiato in quella posizione imbarazzante nonostante non ce ne fosse alcun bisogno. La sentivo parlare al telefono. – Si mamma, sono a casa a studiare con un amico, non ti preoccupare per cena non è problema, mi preparerò qualcosa al volo. Ciao, ci vediamo domani La madre era un infermiera o forse una dottoressa ricordavo comunque, da quello che potevo intuire, non sarebbe tornata per la notte. La sentii rientrare alle mie spalle. La stanza era buia, le tende scure impedivano al sole di penetrare la stanza e la luce della plafoniera era di quelle poco appariscenti. – Scusami – mi disse – riprendiamo da dove eravamo rimasti! Per tutto il tempo che ero rimasto da solo il cuore aveva continuato a battermi forte e c’era stato un momento nel quale avevo anche pensato di andarmene e di rinunciare a quel giochino così vergognoso. Si avvicinò di nuovo, si sedette al mio fianco su letto, solo per attimo, e prese ad accarezzarmi delicatamente le cosce senza avvicinarsi neanche alle mie parti più intime. Poi fu di nuovo dietro di me, seguirono alcuni attimi di silenzio, poi dei piccoli rumori metallici. Girai la testa di scatto per capire cosa stesse accadendo ma era troppo tardi. In mano aveva una di quelle piccole macchinette digitali, non riuscivo a credere a miei occhi. Cercai subito di alzarmi intenzionato a fermarla e ad andarmene ma fui fermato bruscamente dal suo tono perentorio. – Fermati, fermati ho detto! Quasi pietrificato dall’urto del suo urlo mi sdraiai di nuovo, ancora col sedere alla sua mercè. – Ma cosa stai facendo Monica, avevi detto che non lo avrebbe saputo nessuno! – E difatti non lo saprà nessuno………….. se farai il bravo! – Cosa vuoi dire……. cosa vuoi da me! Il suo tono era tornato quello gentile di prima, mentre io, preso alla sprovvista, stavo praticamente piagnucolando. – Farai tutto quello che ti chiederò, vero? Farai il bravo! – Si, però non far vedere a nessuno quelle foto! – Lo sapevo che avresti fatto il bravo, sei troppo timido per sopportare un affronto del genere, vedrai che sarà divertente! Capii da quelle parole che aveva macchinato tutto sin dall’inizio. Mi conosceva e sapeva bene che sarei stato disposto a tutto pur di non essere umiliato davanti ad altre persone. – Adesso giochiamo un po’ al dottore, ti va? Certo che ti va! Ora non ti girare! Sentii aprire e chiudere un cassetto, forse la macchinetta ora era ben custodita in qualche cassetto con la chiave. Prese la sedia che era ancora di fronte al letto e la avvicinò a me. Si mise a sedere e mi chiese di girare la testa dalla sua parte. Voleva la guardassi in faccia. Scostò la mogliettina bianca ancora un po’ più su e fece scivolare la sua mano destra lentamente fino all’incavo delle natiche. Con tocco soffice ed estremamente piacevole prese a palpeggiarmi il sedere con una mano. Diede due schiaffetti alla mia chiappa destra con mano rigida. – Credo tu abbia la febbre, piccolino, dobbiamo misurarla! Mi cominciò a parlare come si fa con un bambino che sì vuole tenere calmo. Andò verso la scrivania e prese qualcosa. Era un termometro, di quelli che si usano comunemente per misurare la febbre sotto il braccio. Si rimise seduta e scaricò l’attrezzo con qualche gesto rapido del braccio. – Forse farà un po’ male ma tu sei un bambino grande adesso, vero? Capii solo allora quello che aveva intenzione di fare. Con la mano sinistra allargò le due natiche, con tocco molto professionale, ed infilò il termometro nel mio buchino inviolato. Lo infilò gradualmente ma all’inizio provai una fitta di dolore e inarcai le spalle stringendo i denti ed emettendo un mugolio. – Bravissimo, sei un vero ometto! Mi accarezzò la guancia con la mano sinistra mentre con la destra spingeva sempre più a fondo il termometro nel mio orifizio anale. Avevo chiuso gli occhi per cercare di resistere al dolore. – Basta ti prego, mi fa male! – Buono, stai buono, ancora un attimo! Per un paio di minuti rimasi fermo in quella posizione. – – Avevo ragione, hai proprio la febbre, dobbiamo farla abbassare! MI lasciò di nuovo sdraiato. Nudo. Andò verso il comò, sembrava sicura di quello che stava facendo. Dal primo cassetto estrasse una piccola siringa che cominciò a preparare con cura. Era di spalle a me così quando le cadde una scatolina e si piegò per raccoglierla mi fu mostrato il suo splendido sedere. Non che fosse spogliata, indossava ancora una tuta acetata ma, forse a causa del momento di grande eccitazione, mi sembrò quasi di toccarla. Il pene, a contato con il letto, così indurito mi faceva male e, senza farmi accorgere da Monica, alzai leggermente il bacino per lenire in qualche modo il dolore. – Ecco, ho fatto! – Mentre si girava di nuovo a me ritornai nella posizione precedente – Vedrai che non sentirai alcun dolore. Con passo svelto mi venne incontro. Quando fu abbastanza vicina mi mostro la siringa che aveva in mano. La diresse verso l’alto e con le dita le diede un colpettino e successivamente fece uscire un po’ di liquido. Mentre con la mano detersa continuava a tenere la siringa in alto, con la sinistra impugnò un pezzettino di ovatta e la bagnò con dell’alcool che aveva sistemato sul comodino. – La facciamo a destra o a sinistra? Che importanza aveva, risposi che la destra poteva andare bene. Cominciò allora a passare l’ovatta bagnata sulla mia chiappa destra con gesti rapidi e decisi, poi più lentamente fece qualche passata circolare ed infine ritrasse la mano. – Stringi i denti piccolo che sta arrivando! Mi disse affettuosamente. Io lo feci, come fanno i bambini. Quando la sua mano stava per fare la puntura strinsi i denti per prepararmi al dolore. Lei posò la mano sinistra sulla mia schiena per trovare un appoggio sicuro e poi con molta delicatezza infilò l’ago nella mia carne. Non fu particolarmente dolorosa, anzi non lo fu quasi per nulla anche se un certo indolenzimento mi restò anche per il giorno successivo. – Bravo il mio tesorino, adesso girati che ti voglio vedere tutto! Era arrivato il momento. Ora mi avrebbe visto completamente nudo. Tutto quello che mi aveva fatto non era nulla in confronto alla paura di mostrarle il mio pisello. MI girai con un gesto rapido e smisi di guardarla in faccia cominciando a fissare il soffitto. Tenevo le mani a protezione del mio sesso per impedirle di guardarmi. – Metti le braccia ai lati, da bravo! Obbedii e per la prima molta mi mostrai completamente a lei. Mi sfilò le mutandine lasciandole cadere in terra poi mi aiutò a togliermi la canottiera bianca e rimasi sdraiato senza più nessun indumento se non i miei ridicoli calzini. – Com’è carino, così piccolo! Le sue parole ferirono mortalmente la mia virilità, avevo sempre pensato di non avere un pene abbastanza sviluppato e la sua sincerità mi mortificò. – Non hai che pochi peli, sembri un bambinetto! Mentre diceva queste cose, gia di per se molto offensive nei miei confronti, sul volto aveva un sorrisetto malizioso che mi fece rabbrividire dalla rabbia. Prese ad accarezzarmi i testicoli anche se credo lo facesse più per compiacere me che non se stessa, poi salì fino al mio pivellino come lo chiamò per tutto il tempo. – Piega le ginocchia e allarga le gambe! Io feci subito quello che mi aveva chiesto mentre lei si alzò e si andò a mettere proprio davanti a me. – Da qui la visuale è migliore! E sorrise Poi, senza curarsi di me, forse capendo che non la avrei intralciata, aprì un cassetto dal quale estrasse di nuovo la piccola macchinetta fotografica. – Allarga ancora un po’ le gambe, allargale il più che puoi! Mi mostrai a lei il più che potessi senza obiettare nulla e lei, contenta, cominciò a scattarmi delle fotografie. Ogni posa che mi chiedeva io eseguivo morendo dalla vergogna e forse anche eccitato. Quando ebbe finito di scattarmi fotografie mi diede il permesso di rivestirmi, cosa che feci con molta rapidità. – Ora vai a casa ma domani pomeriggio, alla stessa ora, voglio rivederti! Altrimenti…… Non la feci terminare di parlare, sapevo a cosa si riferisse e mi limitai ad annuire col capo. Non mi accompagnò alla porta, rimase a guardarmi mentre me ne andavo ed io non ebbi il coraggio di voltarmi indietro.
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