Sai spiegarmi perché sono finita in questa bolgia di vacanzieri della domenica che, con millimetrici movimenti del proprio asciugamano, sembrano i giocatori di una partita di Risiko intenti a conquistare il fazzoletto di spiaggia del vicino di ombrellone? No, eh? Bene, allora te lo dirò io. Sono venuta qui oggi nel disperato tentativo di riuscire a distrarmi dal costante pensiero di te. Le ho provate tutte, credimi. Mi sono messa buona buona sul letto a leggere un libro, ma mi sono resa conto che i miei occhi scorrevano le parole impresse su quei fogli di carta di scarsa qualità, mentre i miei pensieri vagavano in tutt’altra direzione. Ho provato a cantare, ma guarda caso sceglievo solamente testi che mi facessero pensare a te. Ieri sera ho provato anche ad uscire con alcuni amici e a bere un po’ più del dovuto: peggio che mai, l’eccitazione alcolica mi portava ad appoggiarmi alle pareti immaginando che tu fossi in piedi dietro di me, armato di una frusta e pronto a punirmi. Così mi ritrovo qui, adesso, impanata di sabbia come una cotoletta alla milanese, incastrata tra bambini che mi camminano a sei centimetri dal viso e allegre signore di mezza età che, urlando, richiamano all’ordine la famigliola per il pranzo, annientandomi con zaffate olfattive di pasta al forno e melanzane alla parmigiana che fuoriescono non appena viene aperto uno spiraglio del contenitore Tupperware che le isolava dall’aria che respiro. Mi trascino verso l’ombra prodotta dal mio ombrellone in modo da evitare che almeno la testa si lessi sotto i raggi di questo sole terrificante, mi sdraio a pancia in giù e cerco di concentrarmi sul rumore delle onde per convincermi che non fa poi così caldo. Scavo con i piedi delle buche nella sabbia in cerca di un po’ di frescura e, in preda al sonno e allo stordimento dovuto al caldo, lentamente chiudo gli occhi. ** Mi sto dirigendo verso il bar, canticchio Light My Fire sulla voce di Will Young che esce dalle casse dello stereo delle baracche che noleggiano lettini e ombrelloni. C’è poca gente, mi metto a scrutare la lista dei panini indecisa tra un caprese e un cotto&fontina. Mi metto a pensare che in realtà avrei una gran voglia di crostacei, quando un morso deciso e delicato va ad infierire sulla pelle già duramente provata dal sole, a sinistra, tra il collo e la spalla. Faccio per reagire, ma ancora prima di voltarmi, incredula, capisco che non ce n’è bisogno. – Piccola, ciao. – Ciao.. che… – Non pensavo di trovarti qui, non me lo avevi detto. – Lo so.. l’ho deciso da ultimo… nemmeno io pensavo… Io ho… portato i miei fratelli al mare… – Anche io sono qui con i bambini – Ah… – Hai fame? – Sì, prendevo un panino – Anche io Torniamo verso la spiaggia con le scorte per il pranzo. Ogni tanto appoggia una mano sul mio culo, insinua le dita sotto al costume… sa che può farlo, sa che voglio che lo faccia. Io ancora non riesco a credere di essere lì e di camminare vicino a lui. Vorrei fermarmi in mezzo al vialetto di lastroni di cemento che stiamo percorrendo, lasciar cadere i sacchetti di plastica, spogliarmi e farmi prendere. Così, in mezzo alla gente. Sto perdendo il lume della ragione. Mi sta dicendo che è lì con sua moglie, anche. Merda. Prima di rientrare nella visuale degli ombrelloni mi bacia. Ok, fine. Mi sa che devo accontentarmi. Ripenserò al morso sul collo e magari verrò da sola stanotte, immaginandomi chissà quale scenario di passione travolgente. Adesso camminiamo più distanti, possiamo sentirci parlare, ma nessuno vedendoci penserebbe che stiamo chiacchierando insieme. Arriviamo ad un bivio. – Tra dieci minuti, dietro le docce. Se ne va. Corro dai miei fratelli, distribuisco i panini. Dico al più grande di badare per un po’ agli altri, devo fare una cosa, ma torno prestissimo. Niente bagno finché non sono di ritorno. Mi dirigo verso la baracca delle docce, nervosa ed impaziente per questo incontro ancora più clandestino di quelli a cui siamo abituati. Lui ancora non c’è. Pazienza, lo aspetterò. Mi siedo su di un tubo di cemento ed attendo, fino a che il rumore di ciabatte di plastica che si avvicinano mi annuncia l’arrivo del mio Padrone. Mi alzo, gli vado incontro. Appoggia per terra una piccola borsa di plastica, mi prende il viso tra le mani e mi accarezza, prima di darmi un bacio dolcissimo e profondo che mi piega completamente al suo volere, se mai ce ne fosse stato ulteriore bisogno. – Abbiamo solo pochi minuti. Lo capisci, vero? – Sì. – Puoi scegliere, possiamo stare dieci minuti qui a parlare oppure puoi inginocchiarti adesso lì davanti, dove c’è la sabbia. Non è la mia testa a decidere, mi muovo per bisogno. Mi inginocchio sulla sabbia ruvida dandogli le spalle ed aspetto. – Giù le mani. Mi sistemo a quattro zampe e con la coda dell’occhio lo vedo strappare una giovane canna dal terreno sabbioso per poi ripulirla dalle foglie. Si avvicina e mi abbassa gli slip del costume. Mi accarezza, mi bacia. – Non voglio sentirti fiatare, se qualcuno ti sente gridare arriverà qui mezza spiaggia. E non lo vogliamo questo, vero piccola? Faccio cenno di no con la testa. Mi gira intorno, mi scruta, mi sfrega la canna tra le cosce, sul viso. La mordo come un cane rabbioso. Ho i muscoli contratti, sono in attesa. I primi colpi sono quasi carezze delicate. Andiamo… sto aspettando… non è per questo che sono qui. Quasi leggendo nei miei pensieri, come sembra riesca sempre a fare del resto, mi colpisce entrambe le natiche con un’unica profonda vergata. Ingoio l’urlo che naturalmente vorrebbe uscirmi dalle labbra, sento gli occhi gonfiarsi di lacrime. Solo dopo qualche secondo mi accorgo che la sabbia mi sta graffiando le ginocchia. Mi viene vicino a mi bacia una guancia. La sua voce è un lieve sussurro, reso ancora più tenue dalle urla che mi affollano la testa e che non ho potuto buttare fuori: – Ti amo, lo sai vero piccola? Muovo la testa per dirgli di sì. Non riesco a parlare. Se ci provo urlo, ne sono certa. E non voglio. Cerco di capire cosa mi aspetta: è sicuramente un “six of the best”, altrimenti non avrebbe usato tanta forza. Torna alle mie spalle. I colpi successivi si susseguono con una rapidità che mi lascia senza fiato. L’istinto di spostarmi in avanti per attenuare l’impatto della canna su di me è frenato dalla sabbia che sta martoriando le mie ginocchia ad ogni più piccolo movimento. Quando finisce mi sento mancare le forze, vorrei buttarmi a terra. Mi brucia la pelle, vuoi per i colpi di canna, vuoi per la scottatura dovuta al primo sole. Il mio Padrone si siede vicino a me e mi aiuta a sedermi sulle sue gambe. Mi coccola come se fossi una bambina, mi accarezza i capelli, il viso, mi bacia, mi stringe le mani. Io sono la sua bambina. Mi aiuta a rialzarmi e istintivamente gli butto le braccia al collo, consapevole che tutto sta per finire. Il mio bacino sbatte contro la sua erezione. Sono stata brava. – Prendimi – Non possiamo Mi tornano le lacrime agli occhi, prendo le sue mani e le appoggio sul mio sedere perché senta i segni del suo possesso e capisca che mi merito una ricompensa. – Tesoro mio, lo vorrei, non sai quanto. Ma non possiamo. Mi mordo le labbra, triste. Ci baciamo a lungo. In certi istanti penso che non so quando ci rivedremo e lo stringo a me fino quasi a fargli male. Mi dà un’ultima carezza al viso e torna verso la borsa di plastica che aveva lasciato a terra solo pochi minuti prima. Prende un pareo blu, me lo allaccia sui fianchi. – Non puoi mica tornare là con questi segni. – Grazie.. – Adesso vai. Ti chiamo io domani. – Ti amo. – Lo so. E mi bacia sulla fronte. – ** – Ci riporti a casa? Sento la voce di mia sorella in lontananza, cerco di riaprire gli occhi ma il sole mi acceca. – Svegliati! Vogliamo andare a casa! Siamo stanchi. – Sì… certo… andiamo… A fatica mi alzo e raccolgo le nostre cose, constatando con un filo di disillusione che non ho nessun pareo blu sui fianchi e che gli unici segni sul mio sedere sono quelli dell’abbronzatura. Prendo i miei fratelli per mano e mi dirigo verso la macchina, guardandomi intorno nella speranza di incrociare il tuo sguardo. Continuo a cercare i segni del tuo “six of the best” su di me. Maledizione.
Aggiungi ai Preferiti