La sorella gemella di mia madre era zia Angelica, ma a vederla sembrava più giovane. Sempre allegra, sorridente, disponibile. Abitava nella gran villa paterna, alla periferia della città. Sola, con una donna che andava qualche ora il giorno per le faccende più pesanti e qualche volta le preparava da mangiare. Utilizzava soltanto una parte dell’edificio: l’ala meridionale, quella a destra di chi entrava, arredata con mobili di prestigio e di valore. Forse ne riparleremo a mano a mano che incontreremo i vani. Dal cancello al fabbricato il vialetto era asfaltato molto bene. L’acqua piovana andava nei rivoli che scorrevano ai lati, per poi finire nei tombini riparati da grosse griglie metalliche. Zia Angelica possedeva due automobili. Una grossa decappottabile azzurra metallizzata, che stava nella rimessa per quasi tutta la settimana, e la piccola utilitaria che spesso lasciava dinanzi all’ingresso del garage. Era quella che usava per andare all’Università, dove insegnava tecnica aziendale. Era stata la più giovane ordinaria della facoltà, avendo vinto la cattedra a ventinove anni, ma la sua attività più proficua derivava dalle consulenze affidatele da grandi multinazionali. Diceva sempre che ero il nipote prediletto, e sorrideva sorniona perché ero il suo unico nipote. Seguiva con interesse i miei studi, e ripeteva spesso che quando sarei capitato… sotto di lei, all’Università, mi avrebbe torchiato a dovere. Ci voleva ancora tempo, però. Ogni tanto, nel passato, specie nei periodi estivi, mi recavo a trascorrere qualche giorno da zia Angelica. Andavamo in giro per la città, o nei dintorni, fermandoci a mangiare ora al self-service ora in deliziose trattorie tipiche. Poi si tornava a casa, per un riposino, specie quando faceva più caldo, nel gran letto d’ottone lavorato, dove, mi avevano detto, era nata la mia mamma e la zia. Erano quasi cinque anni, però, che quelle visite non s’erano ripetute, senza alcuna ragione, anche se i rapporti tra la nostra famiglia e zia Angelica erano stati, ed erano, sempre molti, stretti e frequenti. Chissà perché l’avevano battezzata Angelica. Io, quando avevo letto Ariosto e Boiardo, l’avevo capito: Angèlica, leggendaria principessa del Cataio, bellissima eroina, seducente, causa di tanti viaggi e avventure dei paladini. Di lei s’innamorano Rinaldo, Sacripante, Ferraù e Orlando, ma s’invaghisce di un semplice soldato, Medoro. M’ero sentito, di volta in volta, uno di quei cavalieri, ma desideravo, in effetti, il ruolo del modesto guerriero. Mio padre doveva andare, per la sua attività, in un centro petrolifero del Medio Oriente, ed era riuscito ad ottenere il visto d’ingresso anche per la mamma, che era chimica, mentre per nessun motivo le autorità locali mi avrebbero concesso di accompagnare i miei genitori. Zia Angelica s’offrì d’ospitarmi. Mi abbracciò e mi disse che avremmo fatta una lunga rimpatriata. Quando l’aereo della MEA s’alzò in volo, tornammo alla piccola auto della zia, e ci avviammo verso casa. Cominciava a calare la sera. Le cena fu pronta in breve, con un ottimo gelato alla fine, e poi andammo a sedere sul divano della veranda, di fronte alla televisione. Trasmettevano il remake di un vecchio film con Marylin Monroe. Una serata molto calda. Non ho parlato, finora, dell’aspetto di zia Angelica. Era una bionda che faceva voltare la gente per strada, che riscuoteva apprezzamenti e sogghigni dai suoi allievi, e con le curve giuste al posto giusto. Nessuno, però, aveva mai conosciuto se e quali esperienze sentimentali avesse fatto. Eravamo seduti vicini, mi aveva messo un braccio sulle spalle, quasi a proteggermi, e sentivo il caldo morbido del suo petto sodo. “Ti piace Marylin? E’ bella, vero?” Mi guardava negli occhi, maliziosa. “E’ quasi bella quanto te, zia.” “Bugiardo adulatore!” “Solo sincero osservatore.” “Hai capito, il mio nipotino, sta divenendo galante. Bravo Piero!” “Non capisco. Uno ti dice quello che vede, quello che pensa, e tu lo chiami… come hai detto?” “Galante, cerimonioso.” “Ripeto, solo sincero, schietto, spontaneo.” Il film era finito. Il caldo non accennava a diminuire. “Piero, io direi di andare a nanna. Chiudo tutto e salgo in camera. Tu precedimi. Puoi usare il bagno di destra. Hai portato il pigiama?” “Si, quello con i pantaloncini.” “Se hai caldo puoi limitarti a quelli.” “Credo proprio di si.” “Lasceremo un po’ il balcone aperto, sperando che l’aria rinfreschi durante la notte. Avviati.” Salii lentamente le scale, andai nel bagno per prepararmi per la notte. Sì, faceva caldo. Indossai i pantaloncini del pigiama, entrai in camera e misi la giacca sulla poltroncina ai piedi del letto. Lenzuola celestine. Solo quelle. Non serviva altro, e forse erano anche di troppo. Sedetti sulla poltroncina e restai a pensare con mille idee confuse che mi frullavano per la mente. Quanti anni che non dormivo in quel lettone. Non immaginavo che vi sarei tornato ancora. Zia Angelica apparve poco dopo. “Mettiti pure a letto, e se hai sonno dormi. Io farò una breve doccia prima di coricarmi. Buona notte.” Si avvicinò a me e mi baciò sulle guance. Entrai sotto il lenzuolo, spensi la luce sul mio comodino e mi rincantucciai con gli occhi chiusi, come per dormire. Sentii scrosciare l’acqua della doccia; poi silenzio, un lieve fruscio di stoffa, il cauto aprirsi e richiudersi della porta del bagno, e zia Angelica comparve in una corta camicia rosa, velata. Si avvicinò a me, piano, si chinò per accertarsi se dormissi. Il mio respiro, profondo, la convinse che ero già tra le braccia di Morfeo, mi carezzò il volto con la mano, andò dall’altra parte. La luce attraversava la leggera camicia e poneva in evidenza il suo corpo, il seno. Scostò il lenzuolo e si sdraiò, si voltò dalla parte del suo comodino e spense la luce. Dopo poco sentii che dormiva, con un lieve russare, come le fusa d’un gattino. Con piccoli movimenti, impercettibili, mi avvicinai a lei, tesi il braccio, la sfiorai appena, poggiai leggermente la mano sul fianco, attraverso la camicia velata sentivo il tepore della sua pelle, ne percepivo la serica morbidezza. Quello era il corpo d’una donna adulta, io lo toccavo, sentivo pulsarmi le tempie, avvertivo un eccitamento mai provato. Scesi piano con la mano, sul fianco, su quell’incantevole rotondità, in parte scoperta. Sollevai piano la camicia. Nessun movimento. Ora carezzavo la carne nuda, sentii il solco che divideva i glutei, vi intrufolai timidamente le dita, era morbido, appena umido, come di rugiada. Proseguii cauto la mia esplorazione. Fece un sospiro, tirò un po’ su le gambe, come a rannicchiarsi, riprese il suo delizioso ronfare. Ecco, adesso ero dove iniziavano le cosce. Mi sembrava più caldo, cominciava una peluria vellutata. Oddio, era la fica di zia Angelica! M’assalì un’erezione prepotente, che non riuscivo a vincere, dovetti liberarmi dei pantaloncini. Mi mossi senza troppa prudenza. Temevo che si sarebbe destasse, tolsi la mano da quell’incantevole calamita. Nessun segno di risveglio. Tornai a poggiarla sul fianco, mi accostai ancora, il mio fallo, gonfio di desiderio, la sfiorava, lo infilai, piano in quel solco tentatore, facendolo scendere lentamente. Zia Angelica si mosse appena, sembrava spingersi verso me, e così finii con la punta del mio sesso nel calore accogliente di quello che mi sembrò l’ingresso del paradiso. Era la prima volta che mi trovavo in quella situazione. Il “mio” vicinissimo a “quella” d’una femmina, e che donna! Volevo restare immobile, ma non vi riuscivo. Piccoli movimenti involontari che non ero capace di frenare. Con la mano risalii lungo i fianchi, l’infilai sotto il suo braccio, che non oppose alcuna resistenza, raggiunsi il petto. Saldo, si sollevava ritmicamente. L’ampia scollatura della camicia aveva scoperto un capezzolo, turgido, che sembrò irrigidirsi ancor più allorché lo strinsi tra le dita. Zia Angelica si mosse ancora, venendomi incontro col bacino, mi parve che le sue gambe si disserrassero. Era proprio così. Il mio fallo stava entrando in qualcosa di deliziosamente nuovo, di voluttuoso. Le mie dita stringevano il seno, senza quasi accorgermi di quanto stava accadendo. Spinsi ancora, assecondato dal lento movimento della donna. Forse sognava, chissà cosa. Non ero in grado di controllarmi, il piacere prendeva il sopravvento sulla ragione… lei dormiva, e pur nel sonno si agitava, il suo respiro era cambiato, non era più il dolce far le fusa d’un gattino ma qualcosa di roco, d’affannoso. Il mio sesso sembrava imprigionato tra le labbra di una rovente e avida poppante ingorda. Non immaginavo che sarebbe stato così. Ancora palpiti, fremiti supremi, poi un inebriante senso di liberazione… Quando mi scossi dall’appisolamento, ero sgusciato fuori da lei, ma l’abbracciavo ancora. Mi girai sul dorso, e giacqui supino. Zia Angelica si voltò, senza dar segno di svegliarsi. S’accostò a me, pose la gamba su di me, facendo aderire il pube vellutato alla mia coscia, e m’abbracciò, con il seno poggiato sul mio petto. Era quasi mattino quando sentii sfiorarmi a bocca. Era piacevole, ma non distinguevo se fosse sogno o realtà. Ora lambiva il padiglione dell’orecchio. Avevo la sensazione d’un gradevole tepore che m’avvolgeva, una morbida coltre che m’accarezzava, mi vellicava. Sentivo il sesso, rigido, premere sul ventre, costretto a quella strana posizione… Aprii lentamente gli occhi, e qualcosa di delicato, di umido, costrinse le mie palpebre a richiudersi. Dischiusi di nuovo gli occhi. Zia Angelica era sdraiata su di me. La sua lingua passava sulle mie labbra, intorno alle orecchie, sulle palpebre. Il suo grembo premeva sul mio sesso. Il suo seno, nudo, carezzava il mio petto. Era splendidamente sorridente, coi lunghi capelli biondi che mi cadevano sul volto. Mi guardò negli occhi. “Non l’avevi fatto mai, vero?” Scossi il capo, mentre sentivo salire grossi lacrimoni. “E’ bello, vero?” “Annuii.” Mi baciò sulla bocca, sollevando leggermente il bacino, allargando le gambe. La sua mano scese tra noi, afferrò il mio sesso e lo condusse tra le piccole labbra, facendosi penetrare lentamente, con dolcezza infinita, mentre la lingua, avida, cercava la mia. Dondolava adagio, sorreggendosi sulle ginocchia e sui gomiti. Mi guardava in modo strano. Trasformata, trasfigurata, il viso illuminato, estatico, in un rapimento languido, il che andava aumentando a mano a mano che accelerava il suo muoversi, con lo stesso respiro roco che avevo sentito la notte, mentre ero dietro lei. Ebbe come un sussulto, s’abbatté su di me ormai del tutto ebbra di passione. Altro che il maldestro tentativo d’intrufolarmi non sapevo bene in cosa.Eravamo sudati, ansanti, ma deliziosamente affranti. Si pose supina, al mio fianco. “Sono matta, Piero… ho vent’anni più di te!” Non sapevo che dire, che rispondere. Mi prese la mano. “Ma sono felice d’essere stata la tua prima donna. E’ un dono che ho inteso farti, e una grande e dolce gioia per me. Ne sono sorpresa. Non so descriverla, non so spiegarla. Sento che è la più bella cosa della mia vita. Ieri sera ti ho sentito dal primo istante. Ho percepito la tua timidezza, il tuo timore, ma anche il tuo desiderio. Ho capito che non conoscevi donna. Ho subito deciso: incoraggialo, Angelica, per te è qualcosa che non si ripeterà mai più: trasformare il fanciullo in uomo. Forse tu non vorrai più ripetere con me questa esperienza. Lo capirei.” Scossi la testa quasi con violenza. Non riuscivo a parlare. “Hai fatto un segno di diniego, Piero, non più con la vecchia Angelica, vero?” Riuscii a gorgogliare qualcosa. “No, zia, non è come pensi tu…anzi.” “Ora resta qui. Desidero portare il caffè a letto al mio uomo-fanciullo!” Si alzò. Incantevole nella sua nudità. Prese una leggera vestaglia e sparì per qualche minuto. Furono giorni di fiaba, per me, non riuscivo a comprendere se quello che vivevo fosse vero o un delirio. Forse ero malato, gravemente, e avevo immaginato tutto. Zia Angelica era tenerissima, affettuosissima, mi riempiva di attenzioni, di coccole, mostrava voler vivere intensamente quel periodo, senza perdere nulla. Sembrava non pretendere nulla ma mi teneva totalmente in suo potere, ed era delizioso esserlo. Era ansiosa di fare sesso con me, eppure apparivo sempre io come colui che lo sollecitava. Era attenta al mio piacere, ma saliva alle più alte vette del godimento. Mi dava la voluttà di possederla, ed era lei, invece che mi dominava raggiungendo celestiali orgasmi. Riposava tra le mie braccia, la notte, ma era come se m’incatenasse a lei. Il giorno dopo sarebbero tornati i miei. “Piero, vuoi rimanere con me?” “Com’è possibile?” “Lascia fare a me.” La mamma disse che stavo benissimo. “Si vede che la zia ti ha trattato bene.” Zia Angelica la rassicurò. “Non gli ho fatto mancare niente. Vero, Piero?” Annuii convinto. Il viaggio era andato abbastanza bene, ma la maggior parte del tempo era trascorsa nel lavoro. Per giustificare il proprio visto d’ingresso, anche la mamma aveva dato il suo contributo. In effetti, la loro professionalità era stata molto apprezzata. Di girare da soli non se ne parlava nemmeno, quindi avevano potuto vedere solo quello che era stato loro consentito dai gentilissimi ospitanti. La mamma assicurò zia Angelica che la sua gravidanza non ne aveva per niente risentito. E seppi, così, che la mamma aspettava un figlio. “A proposito della tua gestazione” -disse zia Angelica- “mi propongo di sollevarti, per quanto posso, da qualche tuo onere familiare, e nel frattempo la mia solitudine ne trarrebbe vantaggio.” “Cioè?” La mamma aggrottò le sopracciglia. “Piero potrebbe stare con me, mi farebbe compagnia, riempirebbe il vuoto che tanto mi tormenta, lo aiuterei scolasticamente, vi eviterebbe di doverlo accompagnare a scuola, così lontana da voi, mentre è sulla strada che io devo percorrere per andare in facoltà. E’ logico che sia voi che lui siete sempre liberi di tornare insieme, in qualsiasi momento. Questa mia offerta-richiesta, però, si mostrerà particolarmente utile, per voi, quando la nascita del bimbo comporterà un lungo periodo di attività particolare per i genitori del nascituro, anche se, sono certa, non vi mancherà il necessario aiuto. In quanto a me, Nena si interesserà delle faccende domestiche, è un’ottima cuoca, un’accurata stiratrice, e conosce Piero da molti anni.” I miei genitori mi guardarono senza manifestare alcun pensiero. Non comprendevo se temevano che una loro accettazione fosse da me interpretata come essere io di peso alla famiglia, o se la cosa non garbasse troppo. Fu la mamma a rompere il silenzio. “Piero, tu che ne dici? Sei tu l’interessato, tesoro mio, e questi giorni trascorsi con la zia hanno potuto darti un’idea di ciò che ti attende. Nessuna forzatura da parte mia e di tuo padre, né in un senso né nell’altro. Tu sei il principe della nostra casa, e già mi rammarico per le minor attenzione che, certo, potrò avere per te allorché nascerà la nuova vita che è in me.” Finsi di pensarci, con espressione volutamente indecisa. “La zia ha detto che potrei tornare a casa in qualsiasi momento volessi. Quindi credo che un esperimento in materia si potrebbe fare. In effetti, il dispiacere di non avervi vicini sarebbe relativo, potremo incontrarci a nostro piacimento, trascorrere insieme le feste. I miei studi potrebbero essere positivamente influenzati, e, non lo nascondo, la zia in certe cose è più comprensiva e arrendevole di voi. Che dire? Proviamo.” “D’accordo così, proviamo. Adesso andiamo a casa, perché ancora non abbiamo smaltito quella che potremmo definire la sbornia del viaggio.” I miei genitori ripresero l’auto e s’avviarono al cancello. Quella sera zia Angelica sembrava impazzita, non si stancava mai di baciarmi, di provocarmi, insaziabile.Mio fratello Paolo ha quindici anni. Angelica ed io lavoriamo nello stesso studio di consulenza. Il nostro. Abbiamo occupata l’altra ala della villa, e al piano superiore è stato realizzato quello che dovrebbe essere il mio appartamentino da scapolo. Con due ingressi, di cui uno esterno e indipendente. Finora nessun’altra donna vi è entrata, all’infuori d’Angelica. E’ sempre una donna splendida, gli anni la hanno sfiorata come l’acqua limpida carezza la roccia, levigandola appena, rendendola ancora più bella. I miei anni l’incantano, così come la sua stupenda maturità m’affascina. Sessualmente abbiamo un’intesa sublime. Chissà se i miei genitori hanno compreso ciò che lega me e Angelica. Ogni tanto me lo chiedo. Non parliamo mai dell’avvenire, Angelica ed io. Di quando lei avrà sessant’anni ed io quaranta, e così via. Abbiamo sempre deciso di vivere alla giornata. Ne sono passate diverse migliaia da quella prima volta.
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