I giorni successivi al primo impatto con la villa e con i suoi occupanti furono certamente meno traumatici per Anna. Iniziò ad abituarsi alle piccole consuetudini quotidiane, agli atteggiamenti da mantenere in pubblico, si creò una piccola nicchia di intimità che le consentiva di superare la solitudine che era alla base del processo di addestramento alle regole.Vide più volte Marco ma egli non la toccò più, quasi la considerasse ancora una novizia del sesso. Le sue mete erano più elevate e si aspettava un qualcosa che lei non era ancora in grado di concedergli. Lo vide anche con una donna mentre la possedeva ma a lei non fu concesso partecipare all’atto sessuale dei due. Le giornate si susseguivano fra letture e cura del corpo ed erano molto estenuanti. La mattina jogging e nuoto, di pomeriggio sauna, massaggi e danza. Il fisico di Anna, già aggraziato ed agile in precedenza acquistava una tonicità muscolare che solo intorno ai vent’anni si ottiene con l’esercizio. Si sentiva molto meglio rispetto al suo arrivo, quasi cominciava a considerare casa sua quella villa persa nel bosco. Certo la mancanza di sesso le pesava perché, da quando aveva avuto l’ultimo rapporto con Marco ed i suoi amici, nessuno l’aveva più avvicinata. D’altra parte ricordava ancora bene le conseguenze della sua disobbedienza quando si era masturbata nella vasca idromassaggio e non aveva alcuna intenzione di ripetersi. La notte però era difficile affrontare i suoi sogni senza bagnarsi, e fermare la mano che scendeva per darsi piacere dava sofferenza. Si ricordava un sogno vividissimo che aveva avuto due notti prima e che le dava conforto ancora adesso poiché si era risvegliata con quel senso di pace e soddisfazione che conferiscono i sogni piacevoli. Lei era in un grande magazzino per shopping e gironzolava per i reparti guardando con scarso interesse cose già viste; si fermava e riprendeva a camminare a passo lento indecisa sul da farsi; senza volere urtò un oggetto che cadde, rompendosi. Il commesso, un ragazzo della sua età molto bello e gentile, fu premuroso e assicurò che non valeva la pena preoccuparsi per un pezzo in esposizione di scarso valore. Lei gli fu grata, non tanto per il gesto, ma per il modo in cui lui la trattò: da vera signora. Rimasero pochi minuti a parlare del più e del meno e lui le offri un caffè al bar. Erano due ragazzi giovani, felici della vita che si stavano conoscendo. Fu così cortese che quando le chiese il numero di cellulare lei non seppe rifiutare. Si lasciarono con la muta promessa di rivedersi quanto prima. Difatti dopo due giorni il cellulare squillò e Gianni, questo era il nome del ragazzo, la invitò fuori a cena: lei era raggiante, corse subito a casa, si infilò sotto la doccia e restò a lungo sotto l’acqua corrente, Si asciugò e si rivolse all’armadio con sguardo interrogativo Già, quale vestito mettere? L’abito scollato beige no, il tubino rosso no, ecco forse il vestito lungo blu poteva fare al caso suo. Perfetto. Si infilò il tanga in tinta, le autoreggenti e scivolò con grazia nel vestito. Niente reggiseno perché non serviva per il suo seno sodo ed elastico. Scarpe con tacco alto e un filo di trucco ed era pronta per la sua serata di gala. La venne a prendere sotto casa con la sua BMW nera e si avviarono insieme al ristorante. Una cena deliziosa e una complicità intima fecero da cornice alla serata, Risero, ballarono e si strinsero tutta la sera. La riaccompagnò a casa e quando furono sotto il portone lei lo invitò a salire. Le venne naturale, da Gianni non si poteva aspettare nulla di male. Una volta entrati bevvero insieme un cognac e ascoltarono musica. Seduti vicini sul divano si sfioravano leggeri le mani e le gambe, sembravano due liceali alle prime armi. Poi lui prese l’iniziativa baciandola con dolcezza dietro l’orecchio, una zona erogena terribile per Anna che si sentì sciogliere. La baciò lentamente, più volte, piccoli baci leggeri, a fior di pelle sufficienti però a risvegliare i sensi di ambedue. Avvicinò le labbra a quelle di lei e si scambiarono un bacio lungo e profondo. Le mani di lui iniziavano a saggiare il terreno; prima sul seno, poi sulla coscia e ancora sul viso a carezzare infinite volte. Anna non opponeva resistenza, anzi cercava di favorire alcuni suoi movimenti allargando delicatamente le cosce per invitarlo ad entrare con la mano. Gianni non aveva fretta, era un amante delicato e premuroso, alternava baci e paroline a nuove conquiste sempre più intime. Anna sentì il tanga bagnarsi e cercò di stringersi a lui ancora più forte, premendo il seno contro il torace dell’uomo. Intanto Gianni aveva raggiunto l’inguine bagnato di Anna e le stimolava il clitoride da sopra le mutandine con grande abilità. Anna si accasciava sempre più sul divano offrendosi aperta alle carezze e eccitandosi sempre più. Decisero che era giunto il momento di svestirsi e Gianni la spogliò con lentezza esasperante, baciandola da ogni parte, indugiando sulle zone più delicate. Le umettò i capezzoli, la leccò lungo la colonna vertebrale fino al solco delle natiche, penetrò, ma di poco, fra le due rotondità con la lingua e continuò a scendere senza fermarsi fino ai polpacci. Invertì il percorso e si trovò con il viso davanti alla vulva gocciolante ricoperta dal tanga blu. La fece muovere per toglierlo e affondò il viso nei suoi umori, godendo dei succhi che si liberavano. Lei restava immobile beandosi del trattamento dell’amante e piegando appena le gambe per offrirsi meglio. In calze autoreggenti con il tanga ancora indossato ed il vestito abbandonato sul divano sembrava una squillo a disposizione di un cliente. Invece in quell’atto sessuale c’era tutta la poesia di cui Anna aveva bisogno e l’innocenza che la scaldava il cuore. Finalmente Gianni si rialzò e lei restituì il favore: gli sbottonò la camicia e la aprì scoprendo un torace glabro e muscoloso, gli baciò i capezzoli e li mordicchiò delicatamente, slacciò la cintura dei pantaloni e si chinò per baciare il suo gonfiore oltre il tessuto, quindi abbassò la cerniera e, senza incontrare l’ostacolo degli slip inesistenti, estrasse un membro di tutto rispetto, di oltre venti centimetri. Lo tenne in mano leccandolo per tutta la superficie, saggiandone la consistenza con brevi strette delle dita che stimolavano ancor più l’erezione; infine se lo infilò in bocca con un movimento mortalmente lento, su e giù nella bocca vellutata, lambendo con lievi colpi di lingua, alternando gli affondi al tocco della sola punta. Scese e risalì infinite volte su quel palo di carne che cresceva in continuazione, lo sentiva come suo e si perdeva al pensiero di poter godere grazie a quello. Gianni resisteva stoicamente in piedi e mostrava un notevole autocontrollo nonostante l’età, soprattutto quando lei, con il membro gonfio in mano, lo guardava innamorata fissandolo mentre continuava il devastante lavoro con la bocca. Durò molto quel rapporto orale, perché nessuno voleva cedere per primo e confessare di essere pronto per l’atto finale. Anna si stimolava la zona genitale con la mano piatta al di sopra del tanga che ancora indossava, Marco cercava di resistere agli attacchi delle sua lingua infuocata. Finalmente, sul punto di non ritorno, Marco fece delicatamente alzare Anna, la prese in braccio e la depositò sul letto, Anna sfilò veloce il tanga restando nuda e bagnata con le sole autoreggenti. Marco svettava su di lei con un’erezione prossima all’orgasmo. Si presero qualche attimo per raffreddare gli animi troppo accesi e finalmente Marco si sdraiò su Anna entrando in lei. Fu un’introduzione lentissima e progressiva, sembrava non dover mai finire, e ad ogni colpo cresceva nuovamente la passione e la voglia di esplodere. Anna gli toccava i testicoli marmorei da dietro, passando leggera anche sull’ano che frizionava con due dita. Marco leccava i capezzoli appuntiti con vigore, era un rapporto tenero e animale nello stesso tempo, istinti atavici affioravano per guidare l’uomo e la donna a gesti innati nel momento dell’amore. Poi tutto accadde in un lampo: Marco iniziò a gemere sempre più forte, Anna strinse le gambe con vigore accentuato, quindi un fiotto di liquido si riversò in Anna che rispose con rapidi spasmi vaginali gemendo per il piacere. Continuavano a muoversi nonostante il momento culminante fosse passato ma avevano bisogno di sentirsi uniti, il loro amore contro la vita……Questo ricordava Anna del suo sogno, ma era più che sufficiente per dare poesia alla sua permanenza nella villa. Durante le sue escursioni nel parco aveva scoperto un gazebo sotto le fronde di un acero gigante; andava lì ogni tanto per riflettere e mettere a fuoco i suoi pensieri. Un giorno, dopo il jogging e la piscina, si stava lentamente recando verso il suo posto preferito quando fu apostrofata da una coppia: “ Tu, ragazza, vieni qua, subito”. Dopo essersi guardata intorno per essere sicura di essere l’oggetto dell’attenzione, Anna si indirizzò veloce verso di loro. Dei due l’aveva chiamata la donna, una trentacinquenne molto elegante, la cui ricchezza traspariva dai particolari. L’uomo invece non aveva fiatato ma guardava con piacere Anna che, ancheggiando, si avvicinava. Giunta alla loro presenza si vide squadrare dalla testa ai piedi. Le chiesero dove stesse andando e lei disse loro del gazebo. Vollero accompagnarla e restare con lei. Una volta giunti la donna le chiese di spogliarsi ed accucciarsi a gambe larghe sull’erba, toccandosi come se si fosse dovuta masturbare, Anna accettò con piacere questo incarico che le consentiva finalmente di prestare attenzione alla sua femminilità dimenticata, Si accinse a dimostrare l’apprezzamento per quell’ordine. Si leccò con lentezza le dita, sfiorò il seno e la vita, quindi si diresse verso la vulva dove poggiò i polpastrelli inumiditi: quel contatto le scatenò una tempesta ormonale ed una rapida eccitazione. Guardando negli occhi l’uomo iniziò dei movimenti circolari sul clitoride, raggiungendo in fretta una grande tensione. Aumentò il ritmo ansimando e introdusse una falange del dito medio in vagina, mentre con il pollice si strofinava il bottoncino rosato. Fissò gli occhi sfolgoranti dal piacere in quelli della donna cercando comprensione ed avvicinandosi veloce all’orgasmo. Già sentiva le prime contrazioni involontarie quando la donna, avvicinatasi, le mollò un violento ceffone. Anna cadde nell’erba con una mano sulla vulva e l’altra che titillava un capezzolo. Non capiva dove aveva sbagliato. La donna disse risoluta:” Non hai il permesso di godere fino a quando non ti sarà concesso”. Anna frustrata e stupita si rialzò attendendo ordini. La donna chiamò il marito e lo invitò vicino a loro. Lui, senza dire una parola, estrasse un fallo molto piccolo, quasi infantile e lo posizionò di fronte ad Anna. Senza parole, Anna prese il membro in bocca ed iniziò a succhiare un organo che sembrava uscito da un reparto di pediatria più che dai calzoni di un uomo. Dieci minuti di sapiente lavoro di bocca ottennero come risultato la crescita di un fallo di circa dodici centimetri, quasi filiforme. La moglie osservava il marito sogghignando e si toccava l’inguine più eccitata dell’uomo. Anna fu fatta girare e le fu appoggiato il piccolo membro sull’ano: l’uomo spinse e, trovando poca resistenza, penetrò tutto subito. Pochi colpi di reni e Anna si sentì qualche goccia schizzare nell’intestino. Non voleva girarsi perché non aveva idea di come affrontare al situazione. Sentiva un po’ di umidità al posteriore ma questa era l’unica sensazione avvertibile. Aspettò qualche secondo che le dicessero cosa fare e, quando aveva deciso di voltarsi, sentì un dito intrufolarsi nel suo retto. Inaspettato ma non spiacevole. Anna fece qualche movimento per assestarsi meglio e sentì un secondo dito seguire il primo. Forse l’organo era piccolo, ma l’uomo con le mani ci sapeva fare….. il terzo dito provocò un fastidio che rapido si risolse a mano che lo sfintere si dilatava. La vulva cominciava a dare segni di risveglio e Anna sentì colare le prime gocce. Quando però il quarto dito raggiunse gli altri, il fastidio virò verso il dolore. Ma anche questa nuova introduzione trovò il suo spazio nell’elastico sfintere della nostra ragazza. Certo, quattro dita nell’entrata posteriore davano una sensazione più spiacevole che eccitante, ma Anna aveva saltato il suo orgasmo poco prima ed era tutta tesa. Iniziava però a sentire bene le dita nel retto; l’uomo le muoveva con abilità e di nuovo l’eccitazione spuntò in Anna. Avanti e indietro, dentro e fuori, si lubrificava sempre più. Poteva considerarsi fortunata per aver conosciuto il vecchio marito, ipodotato ma abile nel gioco di mano. Ad un tratto sentì un’ulteriore pressione e il quinto dito raggiunse gli altri quattro. “No, così fa maleeeee”, urlò con quanta voce aveva Anna, ma l’aguzzino perseverò nel suo intento. Per quanto cercasse di spostarsi, le dita la seguivano e stavano penetrando sul serio tutte e cinque. Con un ultimo affondo la mano penetrò fino al polso lasciando Anna senza fiato. Aveva paura a muoversi per il terrore di farsi male, problema che invece non sembrava interessare il proprietario della mano che, raggiunto il suo scopo, continuava imperterrito a stringere ed allargare le dita nel retto. Era inchiodata al suo torturatore, senza poter fare nulla. La mano insisteva a spingere e continuava la sua folle intromissione. Anna si girò per chiedere pietà ma quel che vide la sconvolse; la donna, sollevata la manica del vestito, aveva tutta la mano destra nel suo posteriore e affondava fino a metà avambraccio attraverso l’ano dilatato. Non sentiva ragioni e continuava a spingere come dovesse raggiungere una meta agognata. A forza di spingere era riuscita a penetrare fin quasi al gomito. Oltre non poteva andare per la fisiologica piega dell’intestino. Stantuffò a lungo aprendo e chiudendo le dita per provocare più dolore ad Anna e poi, di colpo, estrasse l’arto dal retto con un osceno rumore di risucchio. “Arghhhhhhh…….. ahhhhhhh…… noooo. … ahhhhhhhh”. Finalmente Anna si sentì svuotata. Accasciata a terra, con rivoli di sangue che fluivano copiosi, tremante, aspettava nuovi comandi. Dopo alcuni minuti di silenzio si decise ad alzare il viso e con sorpresa non vide più nessuno in giro. Dolorante, sanguinante, offesa spiritualmente e fisicamente, si avviò verso la sua camera. Altri giorni, altre stranezze della villa. Vide ragazze sodomizzate nel parco, cani succhiati fino alla eiaculazione, uomini con enormi pesi attaccati ai testicoli, persino una donna matura posseduta da un cavallo. Tutto quanto accadeva nella villa aveva uno sfondo sessuale, tenero o violento, ma sempre finalizzato a provocare piacere a qualcuno e dolore ad altri. Anna cercava di sopravvivere attenendosi strettamente alle regole imposte. Saltuariamente le veniva richiesta una prestazione sessuale incolore per soddisfare uomini di passaggio ricchi ed insoddisfatti. Ne ricordava uno che aveva preteso la presenza di due ragazze contemporaneamente, e lei era stata scelta per formare la coppia. In una stanza interna della villa le due fanciulle aspettavano che entrasse l’uomo accucciate contro il muro. Lui, nudo, si era seduto subito sulla poltrona rivolgendo loro solo un cenno del capo. Le due ragazze allora avevano cominciato a toccarsi mentre lui si masturbava. Dopo tre minuti di prestazioni, quando l’ambiente iniziava a riscaldarsi, l’uomo era venuto gemendo e se ne era andato subito. Eccitate dagli approcci e sole, avevano continuato a leccarsi e strusciarsi l’una contro l’altra, per calmare il desiderio impellente. Era anche un modo per provare un affetto che in quel luogo non sembrava esistere. Con le dita in vagina e le lingue intrecciate si avviavano verso l’inevitabile orgasmo quando furono bloccate dall’entrata di due domestici.Capirono allora di avere compiuto una nuova infrazione, ancora più grave delle precedenti perché reiterata. Legate loro le mani dietro la schiena, gli uomini le spinsero malamente verso un luogo mai visto della villa. Era sottoterra, le scale per giungervi erano ripide ed umide, sembrava essere vicino alle cantine. La porta di solida quercia si aprì al loro arrivo e si ritrovarono in un locale ampio con strani aggeggi alle pareti e al centro della stanza. Anna fu fatta inginocchiare su un banchetto di legno e la testa e le braccia vennero chiuse in una gogna del tutto simile a quelle utilizzate nel medio evo per punire i malfattori. Restava così inginocchiata con il posteriore bene in mostra, bloccata per il collo e le braccia. Vide l’altra ragazza, Lucia, attaccata ad una croce (detta di sant’Andrea per la disposizione a X). Legacci di cuoio le impedirono qualsiasi movimento e alla vita venne applicata un’altra cintura legata strettissima. Si vedeva che faticava a respirare per la costrizione imposta, in più le applicarono una benda nera ed un bavaglio per accrescere il suo stato di terrore. Tutto si svolgeva nel più completo silenzio; i camerieri erano in disparte in attesa di ordini. Comparve una donna vestita di pelle nera e si diresse alla parete. Sganciò dal muro una doppia barra di alluminio con viti all’estremità. Svitò con lentezza i galletti fino a far divergere le due barre parallele e si guardò in giro con calma. Avvicinatasi a Lucia le pizzicò i capezzoli per farli allungare e le applicò il rudimentale arnese di tortura. Stringendo le viti la barra inferiore si avvicinava a quella superiore schiacciando fatalmente il contenuto. Quando le viti iniziarono a sforzare e Lucia cominciò a divincolarsi, la donna girò ancora un paio di volte i morsetti. Lucia ululava nel bavaglio, sbattendo la testa a destra e sinistra per il dolore. Dopo qualche minuto l’acuzie si placò e Lucia gemette lentamente nel silenzio totale. Con soddisfazione la donna prese un peso da bilancia e lo appese al centro delle barre scatenando una nuova serie di urla soffocate. Ammirando il suo lavoro si dedicò ad Anna che rimase terrorizzata quando i suoi occhi incontrarono quelli gelidi della aguzzina. Questa fece avvicinare un domestico e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio poi si accinse ad aspettare. Anna aveva tutti i sensi vigili, non poteva controllare dietro di sé che cosa stava accadendo e ogni minimo rumore la metteva in allarme. D’un tratto avvertì una sensazione strana vicino all’ano, come di un soffio leggero, seguita da un’altra ed un’altra ancora. Realizzò che doveva trattarsi di una piuma passata con leggerezza nei suoi punti più vulnerabili e sensibili: le venne spontaneo confrontarsi con la povera Lucia che mugolava ancora ondeggiando le mammelle in tondo per togliere il peso che gravava sui capezzoli allungati. A lei stava andando bene, anzi benissimo, perché la leggera stimolazione era proprio piacevole, se la gustava. L’uomo seduto di fianco alle sue rotondità guardava bene di variare sempre il punto di passaggio della piuma per non stimolare solo alcune zone a discapito di altre. Passava nel solco della vulva fino al clitoride, poi risaliva verso l’ano, lo contornava per riprendere la discesa sul clitoride. La manovra era deliziosa ma non appagante, richiedeva altro per portare a soddisfazione Anna. Lentamente lei capì che quella era una tortura proprio come l’altra, solo più sottile. Le accendeva i sensi senza alcuna possibilità di placarli, la estenuava con i delicati sfioramenti ma rappresentava solo la premessa ad una fine che non ci sarebbe stata mai… I suoi sensi ora erano eccitati e, come la solito, iniziava a gocciolare, sotto lo sguardo divertito della donna. Era terribilmente bello essere sfiorati così intimamente ma il gioco acuiva le sensazioni e la voglia di godere; non si poteva toccare, non avrebbe potuto avere un orgasmo anche se avesse voluto e, se avesse potuto, le sarebbe stato vietato. Capì allora la sottigliezza della tortura, non fisica ma psicologica. Nella stanza Lucia ansimava e piangeva nella stretta feroce delle barre, Anna fremeva e smaniava sotto le sapienti carezze della piuma…. Il mondo sembrava essersi fermato in attesa di qualcosa. Finalmente la donna ordinò all’uomo di smettere quella lenta atrocità, fece sbloccare la gogna e legò personalmente Anna dall’altra parte della croce. Lo stesso trattamento che aveva subito Lucia fu riservato a lei, tranne per la stretta ancora più spasmodica delle barre e del peso superiore. Le due ragazze erano legate strettamente, con il busto piegato leggermente in avanti a compensare gli oggetti appesi ai loro seni. Solo i lamenti e i gemiti si udivano nel silenzio assoluto. Anna era bendata per la prima volta e la sconvolse la mancanza di percezione visiva: non era in grado di determinare quanto avveniva intorno a sé, provocandole uno stato di panico che il bavaglio non sminuiva di certo. Si stava chiedendo quale avrebbe potuto essere il passaggio successivo della punizione, quando una scudisciata le centrò in pieno l’addome. Percepì un bruciore simile ad un’ustione e subito dopo un dolore violento, da levare il fiato. Alla seconda sferzata capì che la sua compagna non era stata risparmiata: si contrasse in attesa del secondo colpo che non arrivò. La donna era troppo smaliziata per non sapere che Anna si aspettava il colpo e che si tirava per sentire meno male. Attese fino a che percepì un cedimento ed allora indirizzò un colpo dritto sulla coscia destra. Altro urlo, altro dolore. Poi fu la volta delle gambe e dei piedi. I colpi si susseguivano senza posa, alcuni violenti altri precisi. Una scudisciata le strappò quasi un capezzolo schiacciato dalle barre. Quindi fu la volta della vulva che era stata lasciata per ultima, non per dimenticanza ma per soddisfazione. La donna controllò bene la mira ed esplose una frustata in mezzo alle gambe. Le due ragazze ballavano una danza di alto contenuto erotico per gli astanti. Nude, legate, con i capezzoli strizzati, bendate e imbavagliate, con la vulva disponibile ed inerme di fronte ai colpi di frusta. In più i pesi che si muovevano ad ogni colpo amplificavano lo strazio. Per fortuna ogni inizio ha un termine e la donna si stancò di frustare. Fece slegare Anna e Lucia, levare gli stringicapezzoli e sbavagliare le due. Striate a sangue, i capezzoli schiacciati e violacei, non si reggevano in piedi, i domestici dovevano sostenerle. La donna fece un cenno e indicò due sedie nella stanza; con qualche difficoltà le giovani furono portate lì vicino. Anna fra le lacrime che le appannavano la vista riuscì a percepire ancora un pericolo ma fu fatta sedere di forza sul pianale. L’aguzzina l’aveva fatto ricoprire di puntine da disegno e nel mezzo delle sedie spuntava un legno triangolare alto circa cinque centimetri. Una volta sedute le ragazze si infilzarono con il loro stesso peso e il legno si ficcò profondamente divaricando le grandi labbra della vulva e schiacciando le piccole. Allora le giovani si contorsero per il nuovo dolore ma più si contorcevano, più le puntine penetravano nella carne ed il legno si incuneava schiacciando l’organo genitale. Stare ferme era impossibile, muoversi atroce. A completare l’opera gli uomini le tenevano schiacciate per le spalle. Le urla eruppero ancora sotto lo sguardo divertito dei presenti. Finalmente anche questo gioco non sembrò più divertire la sadica. Il suo nuovo giocattolo erano i domestici. Una volta liberate le ragazze, furono chiamati al cospetto della padrona. Si svestirono e lei li costrinse a masturbarsi a vicenda, quindi a leccarsi fallo e testicoli, senza dimenticare l’introduzione di due dita nell’ano. Le manovre però non ottenevano il risultato sperato e siccome le ragazze si stavano riprendendo furono chiamate ad eccitare i maschi. Ognuna imboccò un membro procedendo ad una fellatio magistrale. Anna aveva il maschio meno dotato in lunghezza ma di diametro maggiore, Lucia teneva in bocca un pene di buone dimensioni ma più lungo. Si scambiarono più volte il partner continuando l’opera di risucchio. Quando la padrona fu soddisfatta fece alzare gli uomini e li prese per i membri strattonandoli violentemente. La rigida erezione lasciò spazio al dolore e quindi alla retrazione del pene; allora le ragazze furono nuovamente invitate a succhiare e leccare fino alla nuova erezione. Di nuovo lei afferrò i falli svettanti e li strattonò verso terra. Le urla furono atroci, ma di nuovo iniziò il processo di eccitazione orale: le ragazze facevano fiorire i sessi e la padrona li appassiva. Quando fu contenta dell’ultima erezione ottenuta prese i due uomini per il membro e, stringendoli, li portò verso il centro della stanza. Lì applicò loro delle cinghie atte a stringere la base del pene e i testicoli, in modo da mantenere permanente l’erezione. I due falli violacei si ergevano al cielo e i testicoli sembravano uova, duri e gonfi di sperma. Li fece chinare in avanti, faccia in giù, gambe larghe; così facendo aveva ben in vista l’ano e i testicoli frementi. Sfiorò con le dita lo scroto di tutti e due e poi, presili entrambi in mano, strizzò con violenza le gonadi dei maschi. Questi rotolarono al suolo, raggomitolati, doloranti e senza fiato: li fece rialzare senza tante cerimonie e li riposizionò nello stesso modo. Questa volta colpì i testicoli con un calcio. Ancora urla e ancora strazio per gli uomini. I membri tuttavia continuavano a rimanere eretti grazie ai lacci di cuoio. Facevano pena alle ragazze così ridotti; fino a poco prima sicuri e quasi arroganti, ora costretti a strisciare per terra senza forze per rialzarsi. Nuovamente fu richiesto un atto orale alle fanciulle che iniziavano a loro volta ad eccitarsi. Ristabilite le condizioni iniziali, ai maschi furono applicate le mollette sui capezzoli. Sembrava però che l’erezione ormai non volontaria ma impossibile da evitare desse fastidio alla donna. Prese un filo sottile e circondò il prepuzio di ogni pene stringendo bene. Appese i fili tesi ad una carrucola ed alla stessa le mani legate degli uomini. I sessi circondati dal filo in un punto particolarmente sensibile provocavano dolore e tensione, nulla in confronto a quello che accadde quando la frusta iniziò a sibilare. Non potevano muoversi per paura di strapparsi il pene ma non potevano sopportare da fermi le scudisciate. Per fortuna il supplizio durò poco, la femmina si stancò subito. Di nuovo Anna e Lucia ripresero il lavoro di lingua e mani, leccando, graffiando e suggendo: agli uomini il membro era divenuto un blocco di marmo, teso, lucido e dolorosissimo. I testicoli danzavano al ritmo delle bocche delle ragazze. La padrona diede via libera al godimento che tutti attendevano. Toccandosi a vicenda e contemporaneamente masturbando i domestici, Anna e Lucia portarono gli uomini all’orgasmo simultaneo. Quando le prime scosse riempirono le bocche delle ragazze, esse aspettarono lo sperma come ricompensa al loro lavoro. Però, nonostante la grande eccitazione, dai due membri nemmeno una goccia di liquido si versò, provocando un dolore tremendo ai maschi. Difatti le cinghie erano strette in modo da impedire le eiaculazione, ma non la marea montante di succo seminale. Godere e non emettere sperma era dolorosissimo, ma le due giovani non lo sapevano e continuavano con diligenza a succhiare voracemente i falli fra le urla ed i contorcimenti degli uomini. Solo quando la padrona slacciò le cinghie una marea di sperma di riversò nelle bocche e sul pavimento, lasciando i maschi sconvolti, dolenti e non appagati. Le due donne furono lasciate libere di leccarsi a vicenda, senza potersi toccare con le mani, fin a raggiungere l’orgasmo. Contrariamente al previsto non fu facile, sia perché le ferite sulla pelle dolevano ancora, sia perché era loro vietato penetrare nelle fessure. Cercarono allora di insinuare le lingue profondamente nelle rispettive vagine, leccando l’interno del canale e succhiandosi forte il clitoride con un movimento aspirante. La stimolazione non era sufficiente e le cose si protraevano oltre la pazienza della padrona. Stanca dell’inutile esibizione consegnò loro due vibratori da usare solo all’esterno, senza introduzione: le cose andarono meglio e tutte e due le ragazze, a cosce spalancate davanti alla donna ed ai maschi, vibravano l’ano ed il clitoride. Mancava un corpo all’interno, ma questo non era concesso. All’apice del piacere la donna si mosse verso di loro e, infilate tre dita nella vagina di ognuna, le mosse con esperienza, L’orgasmo trattenuto scattò simultaneo, copioso, avvolgente. Le dita frugavano e donavano piacere, i vibratori amplificavano le sensazioni. Infine la donna si svestì e chiamando a sé tutti i presenti si fece possedere da maschi e femmine, senza distinzione: pretese che i due uomini la penetrassero contemporaneamente in vagina mentre le giovani le leccavano il buchino posteriore e il clitoride sformato. Infine venne con urla di piacere che echeggiarono nella stanza per lunghi minuti. A quelle sedute particolari ne seguirono innumerevoli altre nel corso dei mesi. Tutte le riunioni a sfondo sadosessuale cui aveva partecipato Anna avevano lasciato una profonda ferita nella sua coscienza. Non era una donna forte, non lo era mai stata. L’ingresso di una massiccia dose di sesso senza amore nella sua vita aveva sconvolto il fine equilibrio mentale che la caratterizzava. Ogni nuovo amplesso rappresentava per lei un ulteriore gradino verso la depravazione e l’isolamento che , senza il conforto di una persona amata, la stava distruggendo internamente. Iniziò con segnali insignificanti che ad un occhio esperto avrebbero però indicato la disgregazione della personalità. Non opponeva più resistenza ai comandi, obbediva ciecamente qualsiasi fosse la richiesta, non rifiutava nulla. Si trovò coinvolta in un rapporto con un alano e non provò ribrezzo nel leccargli a lungo i genitali, si fece penetrare senza più partecipazione dagli oggetti più disparati. Leccò e succhiò, strinse e graffiò. Venne innumerevoli volte senza ricordare più i visi dei partner a lei affidati. Il rapporto sessuale era divenuto un modo per dimostrare agli altri quanto fosse brava, per attirare l’attenzione su di sé. Ad ogni costo. Provò a penetrarsi da sola con una mano, si trafisse il seno con aghi da siringa, bevve i liquidi organici dei suoi compagni occasionali. Nulla rappresentava più un limite per lei, l’importante era essere al centro dell’attenzione. Per queste sue prestazioni divenne in breve molto desiderata, di lei si dicevano cose stupende; una macchina da sesso senza limiti ed inibizioni. Mano a mano che cresceva la sua popolarità fra i frequentatori della villa il suo io si rinchiudeva in un angolo per difendersi dagli insulti esterni. Era proprio una macchina, lo era divenuta per la cattiveria sadica e l’egoismo dei suoi simili che vedevano in lei solo un simbolo sessuale e nulla più. Il fragile equilibrio ricevette il colpo finale il giorno in cui venne accompagnata alla presenza di Marco. Era oramai inverno, faceva freddo ed il camino scoppiettava allegro nella sala della villa. Lì si trovavano tre donne giovanissime, probabilmente novizie. Nude e depilate come richiedeva il regolamento della casa, erano desiderose di apprendere dalla esperta Anna i segreti che erano stati appannaggio delle geishe nei secoli e che lei aveva riscoperto. Con pazienza insegnò alle giovani come leccare un membro maschile, quando fermarsi e quando accelerare. Svelò i trucchi di una vita spesa a dare piacere agli altri, i movimenti migliori, gli sguardi, le posizioni dell’amore. Mise nella sua lezione il meglio di sé, sempre alla ricerca di affermazione, soprattutto agli occhi di Marco che lei non aveva smesso di amare dalla prima sera. Ancora una volta mise a frutto ciò che sapeva fare di meglio nella vita, usare il suo corpo per far godere. Una ragazza stava imboccando il fallo di Marco sotto i suoi sapienti consigli; senza volere la giovane strinse troppo con i denti la parte superiore del pene provocando dolore all’uomo. Questi, con un violento scatto d’ira gettò a terra la ragazza e, rivoltosi ed Anna esclamò:”Stupida puttana, non sei capace nemmeno di insegnare questo”. La frase echeggiò fra le mura della sala, non fu nemmeno urlata, ma per Anna fu l’ultimo atto di una tragedia annunciata. Silenziosamente si alzò e si diresse fuori dalla villa. Oramai godeva di una certa libertà e non le era proibito formalmente più nulla. Si incamminò verso il suo gazebo, quello che amava tanto, sotto l’acero gigante. Questa volta proseguì senza fermarsi e raggiunse la fine del prato che terminava a precipizio sul fiume sottostante. Guardò l’acqua docile ed invitante scorrere lenta parecchi metri più in basso, si sentì chiamare da una voce lontana. Pensò alla sua famiglia che aveva volontariamente abbandonata appena maggiorenne, pensò ad un amore lontano di cui ricordava a malapena il nome, pensò alle occasioni di una vita perduta. Le avevano sottratto anche l’unico motivo di attaccamento alla vita, Marco l’aveva qualificata come una puttana. Ciò che le faceva male era la constatazione che, nonostante lei si ritenesse superiore alle altre, lui aveva ragione. Rivide la sua vita in un lampo, poco importava che lei si fosse comportata come geneticamente era predisposta; la colpa non era del tutto sua. Si sporse sul precipizio e si lasciò cadere verso le gelide acque del fiume. L’impatto con l’acqua fredda fu terribile, una lama di ghiaccio le entrò nel cuore e i polmoni inalarono acqua quando cercò di urlare il suo dolore, annaspò alla ricerca dell’ossigeno e della vita, quella vita che poco prima aveva rifiutato nel gesto disperato del suicidio. Si dibatté nell’acqua mentre le forze venivano meno e si sentiva avvolta da un torpore gelido; con l’istinto di sopravvivenza che dettava le sue regole scalciò furiosamente sott’acqua fino a risalire in superficie. Quando respirò di nuovo aria ebbe un attimo di lucidità che le consentì di capire che la riva non era lontana: Agit6 scompostamente le braccia alla ricerca di un appiglio che trovò in un fascio di erbe della sponda. Con uno sforzo immane si trascinò spasmodicamente sul greto del fiume ansimando e tossendo. Sì girò a guardare il cielo e capì che nulla vale come la vita. Infreddolita e bagnata mosse alcuni passi verso la radura e di lì riuscì a spingersi verso un canalone oltre al quale si intravedeva una strada. Cadde e si rialzò infinite volte fino a giungere al limitare dell’asfalto. Cadde per l’ultima volta bocconi e svenne.Non era brutta la morte, si sentiva bene, uno stato di pulizia interiore che non provava da molto tempo: sentiva il profumo dei fiori e scorgeva una luce bianco latte, dei suoni giungevano ovattati alle sue orecchie…. Aprì gli occhi e si ritrovò in un letto bianco di ospedale…. Dov’era ? cos’era successo ? come mai una voce maschile si interessava al suo stato di salute ? mille domande senza risposta si agitavano nella sua mente ancora provata dallo shock. Tempo al tempo si disse, ora voleva apprezzare la vita fino in fondo, sarebbe cambiata, avrebbe fatto forza alla sua indole e si sarebbe costruita una vita normale. Si spinse ad immaginare una casa con dei bambini vocianti. Il pensiero la fece sorridere…lei che fino a poco prima desiderava la morte pensava alla vita che non avrebbe mai avuto… Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dalla porta che si apriva. Un uomo era sulla soglia, l’uomo che l’aveva raccolta sul ciglio della strada e l’aveva condotta all’ospedale: non riusciva a scorgerne bene i contorni perché si trovava controluce ma era alto, scuro di capelli e forte. Dopo averle rivolto uno sguardo preoccupato l’uomo si rese conto che era sveglia e si diresse verso di lei. Anna aprì gli occhi per guardare un angelo, il suo angelo, colui che l’aveva restituita alla vita. Con un filo di voce sospirò:”grazie per quello che ha fatto… come si chiama?”. L’uomo la guardò stupito con i suoi grandi occhi marroni, si avvicinò e disse sottovoce:”Piacere, mi chiamo Gianni…”
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