“… si chiamava Antenor e niente, si chiamava Antenor e basta / perché per certa gente non importa grado o casta….”, Marco ascoltava Guccini sullo stereo della sua macchina sportiva. I pensieri vagavano sempre durante i suoi spostamenti da casa all’ambulatorio medico specialistico di cui era titolare da alcuni anni. La canzone in sottofondo gli ricordava l’età più giovane quando, ancora professionalmente immaturo, cercava uno spazio per esprimere le sue capacità. La vita, tutto sommato, era stata generosa con lui: la casa di proprietà, una buona moglie, due figli, una situazione economica stabile ed invidiabile. Chiunque avrebbe cambiato volentieri la sua posizione per avere ciò che Marco dava per scontato. Certo nulla era arrivato per caso…. Studio, lavoro, congressi, ma a lui tutto questo aveva dato un senso di sicurezza. Era stato abituato al dovere prima che al piacere e la sua vita scorreva oramai su binari tracciati. Già la maledetta regolarità, il ripetersi delle azioni e delle consuetudini, le solite frasi: “Buongiorno dottore, prego dottore, si accomodi dottore…”. Non ne poteva più della sua gabbia dorata, della sua vita schematica e monotona. In aggiunta non era più giovanissimo, il lavoro gli aveva rubato la vita degli anni più spensierati e lui si sentiva stanco. Sua moglie gli diceva sempre che lavorava troppo. Certo, tutti erano pronti a metterlo in guardia ma nessuno considerava veramente la sua posizione di marito e padre. Ancora quella maledetta necessità di pianificare tutto e il senso del dovere che riprendeva il sopravvento. Era suo dovere provvedere alla famiglia, ai figli, mantenere la casa ed un tenore di vita consono, doveva tenere il controllo della situazione, doveva..doveva, doveva…. Ora era stanco di essere stanco. Così aveva deciso di prenotare un viaggio da solo in Brasile. Sua moglie, ovviamente aveva attraversato tutte le fasi tipiche del bisticcio: rabbia, sfuriata, disinteresse, rancore. Si era perduto la giovinezza ed ora gli mancava un tassello della vita che non avrebbe più potuto incastrare. Questo viaggio poteva essere l’occasione per rimettere a fuoco la sua esistenza. Assorto nei pensieri aveva guidato fino al suo ufficio. Posteggiata la macchina, si diresse verso l’ascensore. “Buongiorno dottore…” disse la portiera sfoderando un sorriso a tutti denti. “Signora…” rispose per cortesia Marco. Primo piano, interno 3; cinque passi a sinistra, entrare, salutare. “Buongiorno Monica”. “Buongiorno dottore”. Monica era la sua infermiera da due anni quando l’arpia tedesca, efficiente ma odiosa, se n’era andata di punto in bianco. Comunque non importava, Monica aveva preso degnamente il suo posto e si comportava in modo corretto con la clientela. Già Monica. Non ne sapeva nulla di quella ragazza. Si era presentata a seguito di un annuncio stilato in tutta fretta sulla gazzetta cittadina. Poca esperienza, voglia di lavorare. Ma sì, perché no? l’aveva assunta e non se ne pentiva. Non era appariscente al primo sguardo, insomma una ragazza normale, bel seno, bel posteriore, capelli neri, alta circa 1.68. Quello che però colpiva della giovane era il suo sguardo. Indefinibile. Occhi scuri di un colore strano con un certo non so che di particolare, indescrivibile. Comunque non era il momento di pensare a Monica, il lavoro attendeva. “Iniziamo?”. “Certo dottore”. Avanti il primo, poi il secondo, poi … giunse mezzogiorno. Ora di pranzo. Un po’ di relax. Di solito lui andava nel ristorantino all’angolo e Monica si fermava a sistemare le carte per il pomeriggio: non pranzava mai. “Monica, io vado” e prese la valigetta.. “posso parlarle per favore?” rispose Monica. Non se lo aspettava, non era mai successo…. “Dimmi, qualcosa non va?” e si risedette. Monica era in piedi, sconvolta. “Che ti succede, non ti ho mai vista così”.“Dottore, lei non mi guarda mai…”. Beh, si era vero, fra pazienti, aggiornamenti e mille problemi, Monica era il suo ultimo pensiero. “Ma ….. Monica….”, cercò di farfugliare senza gran successo. “Io oggi mi ero vestita in modo speciale per lei e non mi ha neanche degnato di uno sguardo”. Era fremente dalla rabbia e lui cercava ancora di capire che cosa non andasse con una sensazione strana di irrealtà. “Beh… insomma… veramente…“ prendeva tempo per realizzare. Non ci riuscì mai. Monica era davanti a lui con il camice slacciato. A lui venne in mente una battuta idiota (”guarda che bel vestito di pelle che ha”) per l’imbarazzo. Era nuda, cioè era proprio tutta pelle tranne un tanga grosso come….. o meglio, piccolo come… insomma proprio piccolo. Di così piccoli non n’aveva mai visti. Deglutì a vuoto. La vita gli passò davanti e … oh mamma..“Sono così brutta? le pare che sia da buttare via? queste tette sono mie sa? e del sedere che ne dice?” …una fila di domande senza risposta. “Mo… Mo… Monica” si schiarì la voce…. “Dottore lei mi piace, lo so che è diverso da come sembra”. Per la miseria, non gli lasciava mettere a fuoco un pensiero che già era pronta con un altro…: “Dottore io voglio, pretendo un rapporto con lei”. L’aveva detto. E adesso? La famiglia, i figli, il lavoro, l’immagine, l’etica…. Una vita spesa a costruire e…….. “E CHI SE NE FREGA” pensò finalmente. Prese l’iniziativa. Era ora di dimostrare a se stesso che c’era altro oltre il lavoro. “Monica, vieni qua”. Lei questo non se lo aspettava, immaginava di andare all’attacco di un reticente ora si sentiva attaccata: indietreggiò. “Ho detto di venire qua..”. Monica ristette, poi piano si avvicinò. “Ti sembra il modo di parlare con il tuo principale?”. La tirò per un braccio, lei perse l’equilibrio e si trovò sdraiata sulle sue gambe. Bene, posizione perfetta, pensò Marco… e giù uno schiaffone sulle natiche nude. Monica spiccò un salto più per la reazione che per il dolore. Marco invece ci prendeva gusto a schiaffeggiare le natiche di Monica: si fermò solo quando furono rosse. “Ahia” disse lei massaggiandole “mi soffre di male”. Però intanto gli stava vicino e con la scusa di farsi vedere il di dietro gli piantava le mammelle sotto il naso. “Guardi, non mi potrò sedere per una settimana”. Marco proprio non resisteva più. Questa volta la fece sedere sulle sue ginocchia e le sfiorò il seno con le mani, Monica non oppose resistenza ma sollevò la testa in alto chiudendo gli occhi e gemendo dolcemente. Lui prese forza ed iniziò un lieve movimento circolare con la lingua intorno alle areole, puntando ai capezzoli. Monica aveva dei capezzoli da urlo, sembravano gonfi sulle areole e poi svettavano verso l’alto, rosei anche loro. Il collo era delicato e Marco la baciò e leccò più volte, piccoli succhiotti senza segno e intrusioni nell’orecchio con la lingua. Lei sembrava gradire perché Marco sentì umido sulle gambe, quindi raddoppiò l’impegno. Leccò ogni centimetro del suo seno, passò la punta della lingua sulla colonna vertebrale facendola rabbrividire, ma non tralasciò i fianchi, l’addome piatto e si spinse più giù per arrivare al centro del piacere. Monica godeva veramente del trattamento, non aveva più detto una parola, si era lasciata andare ed era in balia della libidine di Marco. Lui pensò che i lettini ambulatoriali una volta tanto potevano essere utili e la guidò al centro della stanza. Lei si distese lascivamente, si tolse il tanga e sempre guardandolo negli occhi lo invitò. Lui riprese il lavoro di lingua, non dimenticò nessuna cellula…. Che sapore stupenda aveva la sua vagina lucida di secrezioni, come era gonfia la vulva, pulsava ad ogni tocco, il clitoride era sollevato tanta era l’eccitazione di Monica. Lui titillava il bottoncino, poi scendeva fra le cosce, ritornava al punto di partenza, divaricava con la lingua le grandi labbra e s’insinuava fra le piccole, colpiva, affondava e poi fuggiva. Monica rantolava frasi sconnesse e bagnava il lettino con una quantità di liquido impressionante. Non stava ferma un momento, si divincolava in preda al furore sessuale, urlava frasi sconnesse e s’infilava due dita in vagina davanti a lui, consapevole di eccitarlo a morte. Lui la fece girare sul lettino e iniziò una lunga leccata anche sul posteriore. Lei divaricò le gambe, consentendogli la visione delle due sue fessure, ma dal sotto non lasciava tranquilla la vulva che continuava a sfregare con più dita. Marco si avvicinò al buchino posteriore un po’ intimorito, sua moglie non glielo lasciava mai fare. “Mi fa male lì e poi non mi piace”.. Già che cosa le piaceva? La realtà lo colpì come un pugno nello stomaco; quello che stava facendo con Monica non sarebbe nemmeno venuto in menta a sua moglie. I rapporti con lei erano monotoni e poco appaganti. Avevano trovato un equilibrio apparentemente condiviso, in realtà univoco. Lei gli si concedeva una volta alla settimana, alla sera, dopo aver messo a letto i figli, se non era stanca, se non avevano bisticciato, se non ….. Non parliamo di novità… “Vienimi sopra” gli diceva: Marco era pieno di liquido e dopo pochi massaggi e due colpi di reni finiva per venire. Lei mai. Questo l’aveva convinto di non essere un grande amante e che le donne fossero tutte uguali. Questa volta però aveva sotto mano una giovane vogliosa e disposta a tutto per lui, Marco G., Medico internista stupratore di infermiere…Macché stupratore, Monica ci stava, eccome. Non aveva figli da mettere a letto, non era stanca, non bisticciava, godeva per le sue evoluzioni della lingua sulla pelle, inventava movimenti e si masturbava tranquillamente davanti a lui. Da non credere. Mentre pensava e leccava, Monica era passata all’attacco. Giratasi di lato gli aveva aperto la cerniera dei pantaloni, trovando un membro di tutto rispetto. La manina correva veloce sull’organo e lei gli leccava la sacca dei testicoli succhiandone uno ogni tanto come se volesse farlo uscire: vellicava ano e testicoli con le unghie e Marco sentiva il fuoco in un punto imprecisato del suo inguine. Aveva una tecnica insolita di succhiare: quando era sulla punta del pene aspirava l’aria attraverso il forellino e scatenava una specie di risucchio interno da far impazzire. Non stava ferma un momento con le mani; al colmo della voluttà glielo prese con due mani e se lo mise tutto in bocca e tutto voleva proprio dire tutto.. non ce n’era più fuori e lei continuava a introdurre con una punta di lingua che spuntava solo alla base del pene. Cambiarono posizione perché lei potesse scatenarsi. Gli si mise cavalcioni sul viso e si fece leccare con ardore. Gli disse “entra con a lingua fino a dove riesci, poi mettimi un dito dietro e muovilo piano”. Marco non aveva mai sentito sua moglie dire queste cose e si sentiva come un mandrillo in astinenza. Fece quello che gli fu chiesto e si rese anche la libertà di inventare una cosa nuova. Chiese a Monica di alzarsi un attimo e di prendere dal cassetto l’apparecchio per provare le pressioni, estrasse la gomma dentro al bracciale e la infilò nella vagina di Monica. Lei era un po’ scettica ma non gli rifiutava niente. Cambiò decisamente parere quando lui iniziò a gonfiare il palloncino che le riempiva la fessura. “Dai, ancora, uhhhhhhh come mi piace, ohhhhhhhhhhhh, si dai, dai, gonfia, gonfiami….” Non l’aveva studiato su nessun manuale questo sistema di valutazione pressoria ma sembrava proprio funzionare bene “ahhhhhhhhh, sei un porco, sono piena ……ohhhhhhh dai toccami il clitoride, morsicalo, sfregalo forte… così mi piace, ancora….. ancora……sfondami”. Marco gonfiava e intanto pensava alla moglie: chissà se mai aveva avuto in vita sua un trasporto pari almeno alla metà di quello che stava manifestando Monica…… Fra urla, palpate e succhiate la tensione era al massimo, era solo questione di tempo. Lei continuava a rimanere attaccata al suo membro, lui non le lasciava più il clitoride arrossato e gonfio. “ahhhhhh…. Toccami lì, ancora…… ora infilamelo, dai adesso”. Marco non se lo fece ripetere, però aveva paura di fare brutta figura; con sue moglie bastavano pochi colpi e via….. si andava alla settimana successiva. Con Monica non voleva fare la scena di lasciarla sul più bello con l’organo flaccido e ridicolo. Si concentrò e partì alla carica. Mamma mia, che burro… il suo fallo scivolava all’interno senza quasi resistenza, avvolto in una marea di liquido viscido e caldo. Allora questo era il sesso, quello con la S maiuscola, anzi con la M di Monica…Andava su e giù con un animale selvatico sotto di sé; lei graffiava, mordeva, godeva, stringeva e rilasciava i muscoli vaginali in continuo. Mentre sentiva che arrivavano le prime scosse dell’orgasmo lui fece per estrarre il membro dalla vagina. Lei gli si avvinghiò contro non consentendogli la minima mossa. Al colmo della sorpresa e dell’eccitazione lui venne scaricando un torrente di sperma in Monica. Lei lo lasciò riposare qualche secondo, giusto il tempo d riprendere fiato e poi, tenendolo sempre in sé, ricominciò a stringere e mollare i muscoli interni. A marco parve di impazzire perché nel giro di pochi secondi gli ritornò marmoreo e ripresero il gioco di prima. Monica aveva orgasmi continui, meno evidenti di quelli maschili ma egualmente appaganti. A Marco sembrò di contarne cinque. Lei gli fece estrarre dalla vagina il pene e se lo succhiò avidamente, poi chiese a lui di leccarla di dietro. Un po’ di sperma era scivolato sul buchino e Marco non era molto propenso a mischiare il suo sperma con la sua saliva… e poi i batteri, i funghi, la flora vaginale che si riversava nella sua cavità orale…. Ecco di nuovo la parte razionale che emergeva…. Ancora una volta si indirizzò un accidente, buttandosi poi a leccare come un forsennato: Lei era accovacciata sul lettino con il dietro ben esposto: si teneva aperta con le due mani e il viso appoggiato al lettino guardava indietro. Il messaggio era chiaro. Marco infilò due dita nella vagina di lei e ne estrasse liquido in abbondanza. Con quello si bagnò l’apice del fallo quindi lo appoggiò alla rosellina che Monica teneva dilatata con le dita. “Piano, non mi fare male, ecco così, così… spingi piano… fermati un momento, ci sei…… mmmmmhhhhhhh che belloooooo……. Me lo sento tutto dentro”. Marco vide sparire tutto il suo membro nel buchino posteriore e sentì un sorta di risucchio che non voleva più lasciarlo andare. Avanti e indietro, su e giù mentre la donna accompagnava i suoi movimenti con dondolii del bacino. Questa volta esplosero di colpo insieme, urlando per il piacere. Monica era sfigurata, lui esausto. Crollarono tutti e due sul lettino senza respiro. La prima a muoversi fu Monica; andò in bagno e si rinfrescò, Marco la seguì barcollando poco dopo. Non sapeva più che pensare. Adesso? Adesso che avrebbe fatto? Che doveva dire alla moglie? Monica gli si accoccolò addosso, baciandolo sul collo. Gli disse “ti amo, non lasciarmi”.La decisione venne da sola; il biglietto aereo era pronto, acquistarne un altro non sarebbe stato un problema. Guardandola negli occhi, quegli occhi profondi con un certo non so chè, Marco disse a Monica: ”Vuoi venire con me”?. Monica non rispose ma mi gettò le braccia al collo “Sì, sì…”. Nessuno dei due voleva sapere altro. In garage la macchina attendeva fidata. Via verso l’aeroporto. “Un po’ di musica …”? Il CD riprese da dove si era fermato, come un presagio della loro vita futura … “… quante cose nate per sbaglio, quanti sbagli nati per caso / quante volte l’orizzonte non va oltre il nostro naso…”. Il Brasile era una grande terra dove tutto poteva accadere.
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