Arrivare nel Convento dei monaci di S. Rocco non fu facile: disponevo di indicazioni imprecise e solo l’incontro con qualche viandante mi consentì di non perdermi nella fitta foresta che circondava la collina sulla quale sorgeva l’edificio, una severa costruzione in pietra bianca dotata di una torre svettante dalla quale si potevano sorvegliare tutti gli accessi. La decisione per la strada della castità e della carità era stata per me repentina: a diciotto anni appena compiuti, quando ancora non avevo assaggiato i piaceri della carne (neppure quelli solitari dei quali, strano a dirsi, nessuno mi aveva informato e ai quali non ero arrivato con l’intuizione…) coltivavo in me fosche fantasie sessuali che mi inquietavano, e mi dibattevo nell’incertezza sulla strada da seguire quando avevo avuto improvvisamente una visione accompagnata da una chiarissima chiamata di Nostro Signore: mi era apparso un angelo bellissimo, dalla bocca ardente e dagli occhi come soli, che aveva pronunciato parole celestiali, irripetibili, ma il cui significato, traducibile, si era impresso nella mia mente in modo indelebile: “Recati al Convento di S. Rocco, là troverai risposta ai tuoi travagli!” A mente fredda avevo poi razionalizzato: il Padre vuole che io diventi monaco, e che spenga quindi in me tutto questo ribollire di immagini oscure che mi tormenta. Egli esiste, è certo, la prova è questa stessa visione che mi è arrivata chiarissima ed inequivocabile: non mi resta che ubbidire alla sua richiesta. Lungo il viaggio per arrivare al Convento, intanto, la decisione interiore mi aveva placato, e il contatto prolungato con la natura mi aveva rigenerato le membra stanche di dolorose tensioni irrisolte e prolungate. Avevo mandato una lettera per avvisare Padre Marcello del mio arrivo, ma mi chiedevo se fosse già arrivata mentre percorrevo il vialetto di ghiaia antistante il portone d’ingresso. Mi venne ad aprire un monaco che si presentò subito, e il suo nome mi colpì: Virgulto. Quando mi aprì, prima di farmi entrare, notai che il suo sguardo percorreva tutta la lunghezza del mio corpo e si soffermava più volte, furtivamente, sul punto in cui non avrebbe dovuto fermarsi. Questo particolare mi sconcertò perché era esattamente il contrario di quello che mi aspettavo. Era vero che i miei pantaloni da borghese, discretamente attilati, mettevano in evidenza l’abbondanza di cui Madre Natura mi aveva dotato, ma l’interesse rivelato dall’occhiata del monaco era del tutto incomprensibile. Pensai con impazienza al momento in cui avrei indossato la tunica di juta con la quale vestivano i monaci, che avrebbe dissimulato quella vergogna che ero costretto a portarmi appresso. Virgulto mi informò che la lettera era arrivata nella mattina, e che Padre Marcello sarebbe stato felice di parlare con me per decidere se accogliere la mia richiesta. Mentre aspettavo nel chiostro che Padre Marcello fosse pronto a ricevermi, mi sembrò di sentire, nel silenzio assolato, un prolungato e sommesso mugolio. Nel chiostro, a quell’ora, non c’era nessuno. Pensai che fossero tutti ritirati, ciascuno nella sua cella, raccolti in preghiera, ma non riuscii a spiegarmi quello strano rumore: che avessero delle mucche vicino al convento? Finalmente Virgulto venne ad avvisarmi che potevo entrare nello studio di Padre Marcello. Anche quest’ultimo, nel vedermi, tradì (ma questa volta fu veramente una frazione di secondo) un’occhiata sulla mia vergogna prominente. Poi, nel proseguire della conversazione, notai che deglutiva con frequenza, ma attribuii la cosa a un tic passeggero. Padre Marcello mi accolse con grande calore, ma prima di ammettermi al Convento volle interrogarmi per chiarire la natura della mia vocazione. Spiegai a lui le cose più o meno come le ho raccontate qui, ma Marcello non fu soddisfatto della vaghezza con la quale trattavo il punto delle mie fantasie. “Che tipo di fantasie?” A quel punto fui costretto a entrare in dettaglio nella natura delle immagini che mi tormentavano, e vedevo che più proseguivo nel discorso più il colorito di Padre Marcello si faceva rossastro e il suo respiro si affannava. “Ma quando dici “torrenti di materia seminale maschile” intendi quel seme che Dio ha voluto esca dall’uomo per fecondare la donna? Ma tu sai, caro Boltraffio, che la quantità che fuoriesce dal membro ogni volta è molto meno copiosa…” “No, Padre, non lo so perché non ho mai osservato un tale fenomeno.” “Neanche su te stesso?” “No, Padre” Qui Padre Marcello ebbe un improvviso accesso di tosse che interruppe la nostra conversazione per qualche minuto. Quando riemerse dalla sua crisi (pensai soffrisse di asma) mi guardò negli occhi a lungo e poi mi disse: “Sei ammesso fra noi. Virgulto ti assegnerà una cella e ti illustrerà le regole del Convento.” Ci fu poi una lunga attesa durante la quale sentivo, fuori dallo studio, che Padre Marcello dava istruzioni bisbigliate a Virgulto, con molta concitazione ma a volume così basso che mi fu impossibile capire ciò che si dicevano. La contemplazione del chiostro assolato e deserto mi fu però di molto conforto. Ormai mi sentivo placato. Anche il fatto di aver vuotato il sacco con Padre Marcello su tutte le oscenità che mi perseguitavano mi dava la sensazione di essermene come liberato. Virgulto mi portò in una cella che recava il numero 23 e mi consegnò una tabella sulla quale erano segnati tutti gli orari delle attività comuni alle quali avrei dovuto partecipare e aggiunse che per l’istruzione circa le attività da svolgere nel ritiro della propria cella avrebbe provveduto direttamente Padre Marcello più tardi. Quando fui solo mi distesi sul letto e cercai di riposare. Il mio sonno fu interrotto da un altro rumore che sembrava provenire da lontano, ma che, dato lo spessore notevole delle pareti, poteva in realtà anche essere molto vicino. Si trattava ancora di un lamento, questa volta chiaramente umano, come di chi si provasse dolore ma, stranamente, volesse continuare a provarlo. Tesi l’orecchio e udii che il lamento proseguiva a più riprese. Non riuscivo a capacitarmi di cosa potesse turbare la quiete di quel luogo, quando sentii bussare alla porta della mia cella. Era Padre Marcello che evidentemente veniva per spiegarmi gli esercizi spirituali. “Senti, Boltraffio, devo dirti subito che qui la tua vocazione sarà messa a dura prova.” iniziò con voce tremante, in vistoso imbarazzo. “Come?” “Sì, e capirai tu, senza bisogno che ti spieghi io il perché. Quello che voglio sapere è se sei veramente deciso a mettere a tacere in te tutte quelle fantasie malsane.” “Ma Padre, le ho già spiegato che…” “Anche di fronte a questo?” E qui Padre Marcello, cambiando improvvisamente espressione, si sollevò la tunica, mostrandomi che sotto era completamente nudo e sfoderava un attributo mostruoso, sicuramente più grande del mio e turgido come un cetriolo olandese. La mia reazione immediata fu di chiudere gli occhi. Sentii subito balzarmi il cuore in gola e mi tornò l’osceno formicolìo che preludeva alle erezioni dolorose e pressanti che ben conoscevo. Mentre restavo ad occhi chiusi mi vorticavano in testa domande e dubbi. Mi sta mettendo subito alla prova nel modo più diretto e sfrontato? È lui stesso il Diavolo in persona? Sto sognando? Cosa devo fare? Ero immobile, tremante e sudato, ma sentivo che inesorablmente il mio membro si stava allungando e faceva fatica a trovare la strada nella stoffa dei pantaloni. L’imbarazzo per la fragilità della mia vocazione, resa così evidente dalle modificazioni che il mio corpo stava subendo, si univa allo sgomento per il comportamento aggressivo di Padre Marcello, la cui figura mi appariva ormai ben diversa da come l’avevo ritenuto fino a quel momento. Anche lui, infatti, era eccitato. Ciò non si poteva mettere in dubbio. Mentre restavo ad occhi chiusi e come paralizzato, ormai con il membro del tutto eretto, anche se collocato in posizione sghemba data l’imbragatura nei pantaloni, sentii che Padre Marcello cominciava ad accarezzarmi proprio lì dove non avrebbe dovuto, stimolando quella parte che avrei voluto celare. Le sue parole ora si fecero suadenti e lascive: “Caro Boltraffio, ma non è possibile che tu non sappia come funziona il tuo stesso corpo. Non sai come raggiungere la fuoriuscita del seme?” “No… Pa…dre, gliel’ho… già detto…” balbettai “Ma avrai provato pure ad accarezzarti…” “Sì, ma… sem…pre per… poco…” “Ma no, Boltraffio, bisogna continuare, continuare…” E mentre diceva così aveva ormai tutte e due le mani sul mio fallo, che aveva nel frattempo liberato dai panni. Sentivo un’ondata di piacere provenire verso la testa, e aver radice nei miei testicoli, ma il punto in cui il piacere era più intenso si trovava nell’innesto della cappella sul fusto del mio membro. Il mio piacere aumentava e Padre Marcello non accennava a staccare le mani, roteando delicatamente le dita. Da solo non mi ero mai spinto fino al quel punto, frenato dai sensi di colpa e dalla vergogna. I suoi leggeri massaggi provocavano delle sottili sensazioni che legavano il mio cervello in una morsa implacabile. Non riuscivo più a pensare ad altro. Ero tutto concentrato su quello che il Padre mi stava facendo. Poi smise del tutto di toccarmi, per circa mezzo minuto. Non osavo aprire gli occhi e cominciai a interrogarmi. Sentivo il membro puntare decisamente verso l’alto. Padre Marcello si era ricomposto? Perché mi aveva eccitato così tanto? Dove voleva arrivare? Forse la prova era finita, ma come spiegare la sua eccitazione? Quando riprese mi sentii trasalire perché capii che ora non si trattava più delle sue mani. La mia cappella era avvolta in una cavità umida, morbida, calda… Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo e a quel punto non resitetti alla curiosità e spalancai gli occhi. Padre Marcello era inginocchiato davanti a me. Con gli occhi chiusi e un’evidente espressione di felicità stava attaccato con la bocca al mio fallo, ciucciandolo avidamente. Con una mano, intanto, aveva saldamente impugnato il suo membro mostruoso e lo strofinava vigorosamente in su e in giù. Questa visione mi fece sprofondare in una piena di emozioni contrastanti: raccapriccio ed orrore per lo scandalo che si stava svolgendo sotto i miei occhi: l’Abate di un convento in un atteggiamento a dir poco animalesco, oltretutto beato nella sua porcaggine, del tutto incurante di provocare a un novizio come me un turbamento violento e che avrebbe lasciato certamente segni indelebili; ma anche, insieme, provavo un desiderio irrefrenabile che Padre Marcello continuasse, continuasse a violentarmi, e sentivo che ormai il turgore del mio fallo era arrivato a un punto di non ritorno, e la voglia era di andare fino in fondo, di non smettere, non smettere… “Dài, suca, suca più forte, porco bastardo!!!” La frase mi era uscita spontaneamente, una sorta di grido dal profondo delle mie viscere ribollenti, e mi spaventai io stesso per la brutalità e la rozzezza delle mie parole (che evidentemente avevo percepito, pronunciate o scritte sulle pareti di gabinetti pubblici, e mi si erano impresse nell’inconscio…). Mi sentivo preda di un fuoco demoniaco. Padre Marcello, per un attimo, colpito da tanta volgarità, staccò la bocca dalla mia cappella lucida della sua bava e mi guardò con stupore, ma a quel punto gli afferrai io la testa e la risospinsi in giù, giù a ciucciarmi. “Sei come un maiale nel truogolo” pensai. E come risentii la sua bocca avvolgente presi a guidare con forza la sua ciucciata per dare un ritmo più incalzante al piacere. Il piacere cresceva, cresceva, e sentivo che stavo arrivando al limite della sopportazione. Improvvisamente mi tornò fulminea la visione dell’angelo dalla bocca ardente. Mi guardava con occhi abbaglianti, ma questa volta il campo della mmia visione era più ampio, verso il basso, e vidi che era dotato di un fallo perfetto e luminoso, che eruttava liquido bianco come una fontana, senza smettere mai… un getto continuo e meraviglioso, e le sue parole, questa volta, furono molto esplicite. Disse: “Ecco, Boltraffio, adesso sai qual è la tua vocazione! Questo è il tuo compito!” e con una mano a coppa raccoglieva il liquido immacolato che contiunava a fluire dalla punta del fallo. “Questo è il prodotto della tua fede in me: sarai votato per sempre allo sperma, lo cercherai in ogni forma, in te e fuori di te, la notte e il giorno, e imparerai tutte le tecniche e tutti i nomi con cui viene chiamato. Sborrerai e vorrai la sborra altrui sopra ogni altra cosa, e io ti guiderò per sempre, ti indicherò la via per giungere a me e quando sari qui potrai attaccarti al mio cazzo supremo e ingoiarla fino a riempirtene completamente. Sborra, ora! Sborra subito, adesso!!!” Sentii un’impennata, un’ondata di piacere fortissimo e irresistibile che iniziò a farmi spingere e contrarre un muscolo alla radice dei testicoli e percepii chiaramente che stavo emettendo spruzzi di caldo liquido seminale nella gola affamata di Padre Marcello. Ero all’estasi, e mi abbandonai completamente a quelle sensazioni celestiali, pur sapendo ormai con certezza che la visione avuta era quella del Diavolo, non certo di Dio. Padre Marcello, ingozzato con la mia sborra, si alzò fulmineamente, mi spinse con violenza in ginocchio e mi disse: “Apri la bocca, Boltraffio, prendila tutta, svelto!”. Spalancata la bocca e estratta la lingua in tutta la sua lughezza, vi appoggiai quell’arnese spaventoso e restati in attesa. I getti bollenti che iniziarono ad arrivarmi in gola mi deliziavano, e a quel punto presi a ciucciare come se stessi poppando, ingoiando tutto quel latte cremoso e dolciastro che Padre Marcello mi elargiva con generosità. Mi sentivo compeltamente sottomesso alla sua autorità e all’autorità del Demonio che mi aveva guidato in quel luogo di perdizione. “Bene, Boltraffio” disse Padre Marcello ricomponendosi “ora sai quale sarà la tua principale attività qui dentro. Questo convento è territorio dell’Anticristo, e da tempo noi abbiamo rinunciato ai tentativi di opporci ai suoi voleri. Qui dentro, come avrai modo di constatare tu stesso, è praticamente impossibile opporsi a Lui. Dio, che qui lotta con Lui strenuamente, cercherà di manifestarsi a te, ogni tanto, sotto forma di spaventosi sensi di colpa… Sono crisi periodiche a cui ti abituerai… ma quando le subirai chiedi aiuto a me e agli altri. Sapremo come darti sollievo. Del resto è inutile, per un uomo dotato naturalmente come te, cercare di resistere alla signoria del Maligno: come potresti allontanarti dal peccato recando in te il peso di un organo sessuale così prorompente? Come pensavi di poterti dare alla castità, se sarebbe bastata un’occhiata al tuo stesso membro mentre liberi la vescica per mettere in imbarazzo la tua vocazione? Come resistere se sono i panni stess! i che indossi a stimolare la tua carne, che non può da essi essere contenuta?” “Ma Padre, io pensavo che il saio lasciasse libera e tranquilla la mia ingombrante vergogna…” “Apri quell’armadio e indossa la veste monacale. Vedrai tu stesso. Se scegli di mettere la biancheria ti accorgerai che il membro nell’impaccio dei panni riceve stimolazione nell’immobilità; se scegli di non indossarla noterai che il membro riceve stimolazione nel movimento: credi che lasciando libero il tuo batacchio di dondolare in tutte le direzioni questo se ne starà buono come se fosse nel vuoto? Saranno le tue stesse cosce ispide di pelo e la tua veste di ruvida juta a tormentarlo e a farti tornare in direzione del Demonio.” “Ma allora, Padre, tutti i monaci di questo convento hanno membri di grosse proporzioni?” “No, caro Boltraffio, perché le vie del Maligno sono infinite: c’è chi ha il fallo molto piccolo, ma proprio per questo aspira ed è attratto dai molto dotati; c’è chi l’ha nella norma, ma possiede un orifizio anale particolarmente sensibile e dilatabile… e così via” “Ma… ma… non temete le sofferenze eterne che Dio vi infliggerà dopo la morte?” “Quello che Dio chiama “sofferenze eterne” sono “piaceri eterni” dal punto di vista del Demonio: l’unico problema è che saremo eternamente schiavi del nostro desiderio inesauribile, condannati alla ricerca continua ed affannosa del temporaneo sollievo dalla tensione sessuale, ma d’altra parte, come tu sai, la tensione sessuale, il desiderio, è già di per sé una forma di piacere, se riesci a liberarti dal senso di colpa…” Per un attimo fui come folgorato da un’intuizione: bene e male erano solo due nomi che Dio, dal suo punto di vista, aveva dato ai due princìpi che reggono il mondo: il Demonio li avrebbe chiamati in un altro modo: la fatica e il piacere. Rimasto solo nella mia cella, esausto, il mio pensiero andò subito alla sensazionale scoperta che avevo appena fatto riguardo al mio corpo. Dunque si poteva, proseguendo nelle carezze e nei palpeggiamenti, arrivare ad un piacere incontenibile, che culminava con la fuoriscita del liquido seminale! Il primo impulso fu quello di riprovare da solo a godere. Presi in mano il mio membro ancora umido della bocca dell’abate e cominciai a menarlo delicatamente fino a farlo indurire di nuovo… Per farla breve: quel giorno sborrai per altre quattro volte, quasi di seguito, rapito e gioioso delle dimensioni del mio attributo e dell’abbondanza con cui spruzzava sborra mentre godevo gemendo e ansimando. Poi caddi in un sonno profondo.
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