Ero proprio nei casini. Mancava una settimana alla partenza per le vacanze estive della mia fedele segretaria: tipo noiosetto ma molto efficiente. Avevo assolutamente bisogno di un aiuto ma non sapevo cosa fare. Avevo messo un’inserzione sul giornale, ma non aveva risposto nessuno. Un bel casino, insomma. Sparsi la voce tra gli amici. Quello più caro (non fraintendetemi: l’asta tira nel senso giusto) risolse brillantemente il problema. Conosceva una che, secondo lui, avrebbe fatto al caso mio. Si chiamava Ivana e lui mi assicurò che era un tipo molto sveglio, in gamba. Mi fidavo di lui, ma volevo prima vedere personalmente. Le telefonai; era disponibile per i mesi estivi e le andava bene, visto che doveva rimanere in città, guadagnare un po’ di soldi. Fissammo un appuntamento. E la sorpresa non fu da poco. L’lvana di cui mi aveva parlato l’amico era una ficona che non finiva più. Aveva un vestito leggero che lasciava capire cosa c’era sotto. Non riuscivo a tenere gli occhi a! posto, finivano sempre per scendere verso il suo ventre. So che non è molto serio e infatti cercavo di convincermi ma con scarso successo. Sarà stato anche il caldo ma cominciavo a sentire qualcosa muoversi in mezzo alle gambe. Lei era molto disinvolta; probabilmente si stava accorgendo di tutto ma continuava a far finta di niente, continuava a sorridermi aprendo quelle labbra tinte di rosso e mostrandomi quei bei dentini. Potergliele mordere quelle labbra, poterci ficcare in mezzo la lingua tra quei dentini. Mentre continuavamo a parlare l’occhio mi cadde sui suoi seni e potei vedere che attraverso la stoffa facevano bella mostra di sé due capezzoli dall’aria bella tesa e dura. Era un segno di eccitazione anche da parte sua. Era un invito bello e buono? In questi casi credo valga sempre la pena di tentare; al limite ci scappa uno schiaffone ma avrei comunque saputo come difendermi. Le proposi di farle vedere le cartacce di cui si sarebbe dovuta occupare, mi seguì in quello che sarebbe diventato il suo ufficio. Eravamo soli; era sabato pomeriggio, e tutto il tempo che volevamo davanti a noi (o almeno io ci speravo). Quando fummo dentro la stanza lei mi disse qualcosa a proposito del caldo che faceva lì e “Maledetti questi vestiti! Tengono un calore terribile “. Dovevo aspettare ancora? Mentre era piegata a leggere dei fogli io le andai dietro e la presi per i fianchi. Lei non reagì male anzi si rialzò e mi si appoggiò con la schiena. Il suo culo contro la mia patta ebbe effetto immediato e definitivo. E lei lo aiutò. Si strusciava contro di me per sentire meglio la mia erezione; e io che mi ero fatto tanti problemi! La baciai sul collo continuando a stringerla contro di me e a strusciarmici contro. Le alzai i capelli, che teneva lunghi, per avere più spazio. Lei muoveva la testa da una parte all’altra per offrirsi come meglio poteva. Poi si voltò, avvicinò la sua bocca alla mia mostrandomi una lingua rossa tutta da succhiare: gliela presi in bocca in una limonata interminabile. Le nostre lingue si incontravano, si legavano l’una all’altra mischiando le salive e eccitandoci ancora di più! . Le sbottonai il vestito che le scese libero lungo i fianchi; poi, sempre succhiandole quella lingua meravigliosa, le abbassai anche le calze. Le mie mani ora potevano toccare direttamente le sue chiappe sode e tutte da leccare. Il tipo era più intraprendente di quanto pensassi: prese in mano il pacco massaggiandomi il cazzo. La stoffa dei pantaloni era leggera e mi sembrava che lo tenesse, già nudo, in mano e non ci volle molto perchè fosse vero. Mi abbassò la cerniera e, frugandomi nelle mutande, me lo tirò fuori. Le dimensioni del mio affare dovettero soddisfarla perché se ne uscì con un sorriso e: “Bello mio! Che affare ti ritrovi! Posso?”. E chiedendomelo si piegò con la bocca all’altezza del cazzo e lo prese in bocca. Era una vera artista, riuscì a farmelo rizzare ancora di più; mentre con la mano andava su e giù, con la lingua passava nella parte inferiore scendendo fino alle palle prendendole in bocca e succhiando come un diavolo. Era ora di passare ad altro (perché! ci fu ben altro!). Si rialzò da quella posizione e si strusciò contro di me: l’effetto, rispetto a prima, era potenziato visto che ormai le nostre intimità sfregavano l’una contro l’altra senza più stoffa di mezzo. Il mio cazzo passava sulla sua figa senza avere il tempo di fermarsi; potevo solo intuire il fuoco che veniva da lì e immaginare meraviglie di quel buchetto. Ma non dovetti andare troppo di testa perché da lì a un momento lei si voltò offrendomi la vista di due chiappette da favola. Cosa potevo fare d’altro se non lavorargliele a dovere, cercando di intrufolarmi in zona calda, prima di presentarle ufficialmente la belva che cominciava ad urlare? Lei lasciava fare tenendo bene aperte le gambe perché io potessi smaneggiare quanto mi pareva. Venne finalmente il momento fatale: glielo misi dentro neanche fosse burro; con una facilità incredibile. La posizione non era delle più comode ma in questo modo potevamo continuare a frugarci in bocca: quella donna sapeva proprio come usare la lingua, smascellandosi per ficcarmela tutta in bocca. Mi muovevo dentro di lei, stretta e calda che era una meraviglia; Ivana passava la mano in mezzo ai nostri genitali in contatto diretto; quella porca mi stringeva tra le dita il cazzo appena era mezzo fuori, si ficcava due dita nella fica carezzandomi l’uccello ben sistemato dentro il suo buchetto. Poi mi fece sdraiare sotto di lei, mi venne sopra e dopo averlo impugnato se lo ficcò di nuovo dentro. Sembrava una vera ginnasta; alzando i fianchi, riabbassandoli mi faceva diventare bollente l’uccello. Quel contatto mi dava alla testa, sentivo i coglioni riempirsi al limite ma volevo aspetta! re ancora il più possibile. Si voltò mettendomi davanti al naso quelle tette statua, la mia bocca le succhiò, passò nel canaletto; l’odore di fica, di intimità, era stupendo. Dovevo prendere io il comando della “galoppata”. Glielo avevo lasciato per troppo tempo. Ora toccava a me. Mi rialzai, lei si stese sotto di me a gambe larghe, con la fica ben aperta. Glielo rinfilai dentro; ormai potevo dare dei colpi, mi scompariva tutto dentro, lo lasciavo fermo, poi riprendevo il ritmo prima piano poi sempre più velocemente e con tutta la forza di cui ero capace. Lei era felice; passava le gambe attorno ai miei fianchi me li stringeva spingendomi contro di lei. Sembrava non finire più; stavamo scopando da non so quanto tempo. Solo a ripensarci mi diventa duro di nuovo. Che scopata! Ma non doveva finire così. Con un colpo di reni lei si staccò da me lasciando il pisellone all’aria ancora sull’attenti. Quella gran bocchinara aveva intenzioni ben precise su come farmi venire: con la lingua ricominciò a passarmi la cappella bagnata dei suoi umori, con le mani si intrufolava tra le mie cosce carezzando la zona dietro le palle. Era una sensazione strana a meta fra il solletico e il piacere più assoluto. Lo prendeva tutto in bocca, lo mordeva leggermente passandoci subito dopo le labbra morbide. Mi sentì salire la sborrata su per l’asta e lei non si tirò indietro: se la bevve neanche fosse miele. Era perfetta, l’ho assunta subito.
Aggiungi ai Preferiti