Racconto erotico a luci rosa scritto da Marco Mieli nel mese di ottobre 1999.Liberamente tratto da un fatto realmente accaduto alla sua famiglia un secolo prima.Prologo.Ero da solo nel mio studio verde del piano terra. Stavo seduto nella poltrona davanti alla mia scrivania come se fossi il cliente anziché l’avvocato. Fumavo un sigaro guardando i libri della mia biblioteca, come per cercare anche in loro i consigli di cui avrei avuto bisogno tra pochi minuti. Fuori c’erano delle persone che mi stavano a cuore, con le quali avrei dovuto affrontare una brutta storia. Proprio brutta, al punto di farmi fumare un sigaro poco prima di cena. Anzi, ora mi sarei anche versato un whisky.Tutto era iniziato nel lontano 1875, ed ora che erano passati 28 anni, il mio passato mi stava presentando il conto.Nulla ti viene risparmiato a questo mondo.Capitolo primo.Il mio casato nobiliare, i conti Alvisi della Serenissima, aristocratici da prima della Serrata del Maggior Consiglio, aveva sempre avuto in ogni generazione un politico, un professionista, un artista, un debosciato. Poiché della mia generazione ero l’unico maschio, i miei genitori avevano deciso di lasciarmi fare un po’ quello che volevo, purché non diventassi un debosciato come mio cugino Marco, non facessi il pittore come lo zio Flavio che si era sposato la sua modella, non entrassi in politica rovinando tutto come aveva fatto il fratello di mio nonno Bernardo. Alla fine del libero arbitrio che mi era stato concesso, non mi era rimasto che scegliere tra fare il medico o il notaio. Io per vocazione naturale volevo fare il medico, ma i miei genitori furono così liberali da farmi iscrivere alla facoltà di giurisprudenza, sic et simpliciter. Prendere o lasciare. A dir la verità avrei voluto lasciare, ma non mi fu concesso neanche questo. E così giurai di dedicare la mia vita alla libertà, e invece che il notaro decisi di fare l’avvocato. In altre parole, il compendio tra il professionista, l’artista, il politico e il debosciato. Più i tempi cambiano, e più restano uguali.Ero nato ad Altivole (Treviso) nel 1845, e mi ero laureato a Padova nel 1866. Pochi mesi dopo, alla fine di quella che venne chiamata Terza Guerra d’Indipendenza, i Piemontesi (scusate, gli Italiani, ormai) riuscirono a conquistare il Veneto strappandolo all’impero Austro Ungarico dopo essere stati clamorosamente sconfitti a Custoza. L’aver vinto dopo una sconfitta era piuttosto inusuale anche per un regno giovane come quello d’Italia, tanto che gli osservatori più attenti avevano espresso due previsioni: o il fatto così clamoroso non si sarebbe verificato mai più, oppure avrebbe sempre accompagnato la storia dell’Italia. Sta di fatto che l’assurdo della situazione mi aveva colpito al punto che decisi di farmi raccomandare per essere inserito nel corpo diplomatico per la formazione della nuova burocrazia dello stato italiano che in Veneto andava a sostituire quello Asburgico. Venni distaccato prima a Vienna, poi a Firenze, quindi a Berlino ed infine a Parigi, poi tornai in Veneto per studiare gli eventi bellici della Terza Guerra d’Indipendenza in modo da consentire al governo di stendere una versione ufficiale dei fatti. Scoprii così che il generale Garibaldi era riuscito a portare la sua armata a Bezzecca e che il generale Medici aveva portato i suoi soldati fino a Primolano (il primo a Ovest e il secondo a Est del Trentino). Il Comando Supremo non si era neanche accorto del successo delle due Ali dell’esercito, probabilmente vincenti perché lasciate ad operare di propria iniziativa. Alla fine scrissi un libretto per portare alla luce l’interdipendenza degli errori e dei successi militari e diplomatici dei paesi coinvolti in quella che per noi fu una guerra d’indipendenza e per i nostri alleati germanici la Guerra Austro-Prussiana.E fu dunque così che conclusi rapidamente la mia carriera nel Corpo Diplomatico, al quale evidentemente non piaceva la verità. Infatti, nel 1971, dopo che la capitale d’Italia fu portata a Roma, fui chiamato dal Ministro degli Esteri Benedetto Cairoli, venni ringraziato per i preziosi servigi resi al Paese i quegli anni di intenso lavoro, e quindi mandato tranquillamente a cagare.Avevo compiuto i trent’anni. Ed ora, a parte mia sorella sposata a Padova e il cugino Marco a Casteggio, ero rimasto solo. Ma non era male la vita. Avevo un palazzo a Venezia (Ca’ Alvisi), un isolato a Padova vicino al Bò (l’Università Patavina), la più bella palazzina di Asolo sotto la torre della Regina Cornaro (storica Regina di Cipro), e la tenuta di Altivole, dove c’era la villa palladiana con un parco di centomila metri quadrati e duecento campi coltivati a grano separati da filari di vigne. Fu in quest’ultima che decisi di soggiornare la maggior parte del tempo, primavera, estate e autunno. Nel parco c’era un bosco nel quale cacciavo, un laghetto nel quale pescavo, un labirinto di siepi nel quale quand’ero giovanotto giocavo con amici e amiche, nobili naturalmente (a parte la figlia del medico e il figlio del notaro) per volontà dei miei genitori. Il laghetto aveva un’isola, alla quale ci si arrivava in barca, dove c’era una costruzione mimetizzata nella vegetazione per stare al fresco anche nei giorni della calura. Nella dépendance viveva il fattore Giacomo Vanzo con la sua famiglia, mentre le grandi famiglie di contadini vivevano nelle case situate nelle campagne di propria coltivazione a mezzadria.La famiglia Alvisi non aveva più i grandi patrimoni finanziari di un tempo, quando prestava quattrini ai signoroni della guerra e ai principi tedeschi, ma la campagna rendeva ancora molto bene grazie al fattore che, per quanto rubasse a piene mani, mi dava sempre più soldi di quanti non ne potessi spendere. Questo privilegio mi consentiva da una parte di dedicarmi alla professione di leguleio senza occuparmi troppo della riscossione delle parcelle e dall’altra mi evitava i lunghi ed estenuanti corteggiamenti alle donne, che gli spiantati devono invece fare. Potevo infatti permettermi di scegliere sia le donne che i clienti (che perlopiù erano donne). La mia governante Annamaria, che aveva quindici anni più di me, mi aveva visto nascere e, come diceva lei, mi avrebbe anche visto morire. Meglio così, dato che era lei a controllare le entrate e le uscite, sapeva preparare da mangiare come si deve, governava la casa con maestria e teneva a bada le donne che volevo far entrare nel mio letto. Avevo faticato non poco ad abituarla, ma dopo la scomparsa dei miei genitori divenne via via più tollerante."Mai tutta la notte, mai due volte con la stessa donna." – Le avevo spiegato una volta."E questo chi l’ha detto?" – Mi aveva risposto mettendosi le mani ai fianchi."Il sottoscritto conte Matteo Alvisi." – Affermai. – "Avvocato della Serenissima.""La Serenissima non c’è più da quasi cent’anni e tu sei avvocato da 5 anni, sempio. Sarà meglio che metti la testa a posto."Ma quando si rese conto che non mi sarei mai sposato nonostante le sue insistenze e i suoi suggerimenti, aveva deciso di adeguarsi alla situazione e addirittura di governare il mio flusso femminile. E così, le mie compagne avevano più paura di lei che di me. Poiché non facevo distinzione del rango di provenienza, le faceva visitare dal medico di casa, le lavava accuratamente e le istruiva per bene sul come evitare di farsi mettere incinte da me.Avevo una camera da letto matrimoniale che dava sul davanti della villa al piano superiore, da dove vedevo il rilassante estendersi del parco, con il bosco a sinistra, il laghetto a destra, i viali d’accesso centrali e il grande cancello di ferro del Canova all’orizzonte. La stanza aveva due passaggi riservati, grazie ai quali si poteva accedere da una parte a quello che io chiamavo sala da bagno e dall’altra alla camera della graziosa ospite, posta sul retro della villa. Ciò mi consentiva di entrare, accoppiarmi dopo essermi lavato e tornare in camera mia dopo essermi lavato nuovamente. Il buon play-boy si lava prima e poi, dicevo ad Annamaria, che non sopportava né l’inglese né i Casanova (versione veneta del playboy).Da quella camera vi era passata una quantità infinita di donne e fanciulle anche se, col passare del tempo, gli incontri galanti erano calati e, da giornalieri erano divenuti prima a giorni alterni, poi a due volte la settimana. Sapevo che con il compiere dei quarant’anni avrei deciso si godermi la femmina non più di una sera alla settimana. Insomma, prima o poi avrei dovuto privilegiare la qualità alla quantità o, in altre parole, far buon viso a cattivo gioco.Quado i miei genitori erano in vita, il mio membro virile (osèo, come si dice da noi) era particolarmente vitale. Me ne andavo nel granaio con la pollastrella di turno e me la ingallavo. Fu lì che me la spassai con Dina e Diana, le due gemelle del fedele Angelon della campagna Est, le prime due donne che mi spupazzolai insieme. Essendo uguali, sembrava che la stessa donna si fosse moltiplicata all’infinito per prosciugarmi l’anima senza soluzione di continuità. Sembrava di scopare con un centinaio di Dina, o di Diana non so… Suggerisco di provare almeno una volta nella vita un’esperienza con due gemelle, perché si ha la sensazione di metterlo contemporaneamente da più parti nella stessa femmina o di non metterlo affatto, di possedere una medesima donna con due passere, quattro natiche, due lingue, quattro mani, o di essere a letto con una che avesse dalla medesima parte labbri e labbra.Pure la marchesina Fiammetta di Buzzacarini mi si concesse nel granaio, anche se quella volta i miei genitori speravano che me la sarei sposata. L’ultima volta che rimasi con lei, era fine settembre e c’era una grande quantità di pannocchie ancora da sgranare. Mi autorizzò a mettegliene una nel sesso prima di ricevere me. Mentre giocavo così, mi chiese di sposarla e quando le dissi che non l’avrei fatto in nessun caso, mi diede uno sberlone, si sfilò la pannocchia e se ne andò per sempre dalla mia vita sessuale. Si sposò un anno dopo con uno dei figli del Conte di Cavarzere, e poiché la mia famiglia fu invitata alle nozze, le regalai una spilla d’oro a forma di due pannocchie. – "E’ per augurarvi opulenza e fecondità per tutta la vita," – avevo spiegato agli sposini.La contessina di Noale era come la regina del Catai: stanca sì, ma sazia mai. La passai a mio cugino, al fattore, al dottore, al marito di mia sorella e a mia sorella, non ricordo ancora a chi altro. Si sposò con un notabile di Cornuda…Paola Zancan, invece, era tecnicamente frigida. Facendomene una questione di principio, provai a sbloccarla in tutti i modi, fottendola nelle maniere più tradizionali e in quelle più strane, sollecitandola con la lingua e titillandola con le dita, raccontandole mille maialate o rivoltandola come un calzino, ma non ci fu nulla da fare. Finché un giorno mi disse "deciditi: o lo metti dentro o lo tieni fuori!". Optai per quest’ultima soluzione.Devo ammettere che mi sono divertito di più con le donne volgari, del popolo. Sane, robuste, ruspanti, sode, prive di fisime, di inibizioni, di remore religiose, di atteggiamenti pseudoculturali o paramorali. Si facevano montare da me per godersi un sano pene aristocratico come volevano loro, per le quali avevo coniato un motto: "non lungo che fori, non grosso che turi, ma duro che duri". Camminavano scalze, erano sporche di terra e di sudore, stanche di lavoro massacrante, ma attive e amanti della vita. La governante si trovò costretta a lavarmele prima di lasciarmele salire in granaio di nascosto dei miei. Era un peccato, perché mi piaceva quel sapore agreste che portavano con sè; mi sembrava di essere il gallo del cortile. Un giorno, una di loro mi disse "chiavi come un dio", e io le risposi "questo devi dirlo alla Rita Volpin", che allora mi sarei fatto volentieri. Lo fece con tutte eevidentemente, perché da allora quelle che la conoscevano accettarono più facilmente le mie lusinghe. In compenso sentivo il dovere democratico di scoparmele tutte, belle o brutte, grasse o magre, giovani o vecchie che fossero, perché mentre per le donne chiavare è un diritto, per noi uomini è invece un dovere. A ricordo tangibile di ciò, recitavo spesso un ritornello coniato sul campo per i Lissandrin: "Mi feci tutta la famiglia: nonna, mamma, zia e figlia. – Col sollazzo del mio pene, tre generazioni prese bene". Era vero, le Lissandrin avevano 54, 36, 32e 18 splendidi anni.Poiché scopando così tanto mi specializzai facilmente, ben presto mi chiamarono in segreto scherzosamente "el Conte dai Diése Osèi", per via delle dieci posizioni di base con cui mi accoppiavo di routine, prima di passare a pratiche più creative. Naturalmente ogni femmina esprimeva la propria soggettività chiedendomi di eccedere in una maniera o di limitarmi nell’altra, ed io le ricordavo proprio per la loro attitudine sessuale. Quando ero stanco o affaticato, gradivo il pompino. Quando ero incazzato o stressato, avevo bisogno di metterlo nel culo. Non so come facessero a capirlo, ma avvertivano al volo cosa volevo. Sic transit gloria mundi.La domenica, prima di andare a messa, mi confessavo dal prete del paese. Quando mi accorsi che mentre mi ascoltava quello si faceva una sega, non andai più in chiesa.Quando andai all’università, iniziai a scopare in un letto e da allora non ho più frequentato i granai. A pensarci bene, da allora cambiò un po’ tutto perché, come ho detto, mi impegolai presto nella disastrosa vita diplomatica dell’improvvisato Regno d’Italia.Quando tornai a casa, come ho già detto, licenziato dal Ministro degli Esteri Benedetto Cairoli da causa del mio libretto innocente sulle qualità professionali della struttura burocratica del Paese, mi trovai in fretta ad essere avvocato, orfano e amministratore delle mie sostanze. Solo le donne non avevano mai perso l’interesse per me. Anzi, mi scoprii subito molto portato alla difesa legale delle donne. Proprio per questo, dapprincipio gli stimati colleghi mi considerarono debosciato e molle, ritenendo che un buon avvocato non avrebbe dovuto perder tempo a difendere il sesso debole, in quanto i loro reati si riducevano a furti, borseggi, ricatti, taccheggi, prostituzione petulante, truffette da strada. Reati tipici della povera gente, che secondo i colleghi non conveniva difendere. Devo ammettere che dapprincipio ero attirato dal cambiomerce. Una donna che non poteva pagarmi proponeva solitamente di saldare il conto venendomi a letto. Ma poiché non avevo bisogno di questo per scopare, preferii lavorare per il semplice senso di giustizia, una sorta di contrapposizione morale alle innumerevoli scopate consumate senza troppi scrupoli.Fu nel giugno del 1972 che avvenne il fatto destinato a sconvolgere la mia vita, generato proprio dalla mia naturale predisposizione ed attaccamento al genere femminile.Capitolo secondoTutto iniziò per caso al compiere dei 30 anni, durante un ricevimento in villa di Altivole. La Nobiltà veneta faceva vita di società solo nelle lussuose ville palladiane frequentando le feste che vi organizzavano i miei amici e colleghi nobili di Caselle, Castelfranco, Mussolente, Montebelluna, Monfumo, Cittadella, San Vito, Noale, Cornuda, Castelcucco, Mirano, Onè di Fonte, Sacile, Caerano. Una volta per stagione davo anch’io il ricevimento in villa, dove amici e nemici facevano a cornate per essere invitati. Era il giorno di gloria della mia governante, perché in quell’occasione si poteva avvalere di una trentina tra cuochi, serve, giardinieri, cocchieri, guardiani e lavandaie che reclutava presso le famiglie dei miei contadini. Ma era anche il giorno in cui fiorivano le vendette, nascevano gli amori, si concludevano gli affari, si concordavano matrimoni, si consumavano i tradimenti più belli.Anche quella volta mi ero presentato agli ospiti a festa avanzata perché era usanza che il padrone di casa, il siór Conte, arrivasse quando tutti si erano già affiatati. Avevo iniziato guardandomi intorno ammirando i figli dei miei contadini vestiti di lusso nelle loro divise della servitù di casa. Erano felici anche loro perché per un giorno facevano in qualche modo parte della nobiltà. Notai con piacere che non c’era una sola donna di servizio che non mi fossi fatto. Di ognuna sapevo quale fosse il modo in cui facesse meglio l’amore. Maria, che stava portando baìcoli, bisognava prenderla alla pecorina per farla godere. La Beppina, che ora stava versando da bere al conte Ceschi, dovevi sbatterla da sopra tenendola su un fianco con una gamba flessa e divaricata, perché voleva sentire il pene che arrivava in fondo. La Mariotta, che ora stava ascoltando paziente la vecchia Contessa Barbini seduta in poltrona, dovevi prenderla da dietro con lei sotto distesa, perché gradiva sentire il pene che le scorreva tra le cosce.Guarda te! Ci sono mamma e figlia Battiston, e la figlia non me la sono ancora fatta perché troppo giovane. Ma se è in grado di servire le tartine, pensai … Andai da sua madre."Si sta facendo donna tua figlia eh, Livia?""Le ho già parlato di voi, siór Conte. Quando la vuole conoscere… Io non prometto niente, sa…""Sì, sì." – Chiusi il discorso. Sarà falso moralismo, ma non mi va che una mamma mi offra la figlia. Certo lo fa per il suo bene, dato che a tutte ho regalato la dote e a qualcuna anche il corredo, però mi piace trattare da solo. Non sarebbe stato male, pensai ironico, farsi i Lissandrin e i Battiston. Fanno un bel cognome, insieme…Stavo pensando a queste cazzate a ruota libera, quando mi venne incontro Clementi."Matteo!"Era Checco Clementi di Crespano, che io chiamavo Checca Clementi. Liberale com’ero, io non lo disprezzavo, anzi, ci comportavamo come due care amiche e lui rispettava la mia normalità sessuale."Sei sempre più affascinante!""Grazie, Checco. Sei l’unico che…""Ti ho portato questa cravatta." – Arrossì mentre mi porgeva il regalo.Lo aprii. – "Ma è bellissima! Io credo che solo tu possa regalarmi una cravatta che io poi metterò davvero!" – Ero sincero.Fummo interrotti da Annamaria perché c’era un problema."Sono venuti anche i signori Carraro." – Mi disse con un certo rimprovero."Hanno accettato?" – Risposi cordiale. – "Ne sono lieto. Sono di là?""Matèo." – Disse Annamaria. – "Ti sa benón quàe che sé ‘a questión.""Questión?" – Risposi facendo lo gnorri. – "Ci sono problemi?""No’ i vóe nissùn. I sé sióri ma no’ i sé nobili.""Annamaria, sai meglio di me cosa ne penso di queste mónate. Io sono conte e mi sta benone. Anzi ringrazio Dio che mi ha fatto nascere conte, ricco e maschio, anziché móna, povero e culattone. Ma le cose non cambiano.""Lo so ànca mì che davanti a Dio sémo tuti uguali…""Dio non c’entra Annamaria. Tàsi. Lo vuoi capire che semmai saranno gli altri ad invidiare noi? Cosa vien fuori adesso, che noi ci mettiamo a disprezzare le classi più basse? Basta ben che siano più sfigate di noi, non ti pare? Sarebbe finita davvero, se le cose in Veneto si fossero ridotte così… I nobili che hanno paura del popolo! Se sarìa proprio ‘rivài àla frùta!""Come che ti vòl, Matèo. ‘A casa a sé tua. Ma i Carraro non sono ben accetti.""Bravo Matteo!" – Mi disse Checco Clementi mentre andavo dai miei ospiti. – "Questa è tolleranza."Entrai nella sala delle feste e salutai i servi, gli amici, i parenti, le autorità; nell’ordine, naturalmente. Vidi i Carraro nell’angolo in fondo, da soli. Mi incamminai verso di loro, mentre un quartetto di archi e un cembalo suonavano una qualche porcheria barocca di un secolo fa.Dove si andrà a finire se non si trova una musica moderna da ballo? Riuscii a domandarmi scrollando la testa e sorridendo comunque ai musicisti. La signora Carraro era seduta su un divano, suo marito e sua figlia stavano in piedi accanto a lei. Elegantissimi. Sorrisi loro."Grazie di esser venuti!" – Dissi a tutti tre. Presi la mano di Angela e gliela baciai. Poi strinsi la mano di Alvio e baciai sulle guance la gioviale Olga."Zio Matteo!" – Disse questa stringendomi. Aveva vent’anni e sentii che le sue tette erano cresciute a dovere. Ma la consideravo come se fosse mia nipote."Matteo." – Mi si rivolse serio Alvio. – "Credo di averti rovinato la festa. Guarda che agitazione abbiamo creato. Nessuno balla e si tengono ben lontani da noi. Sémo borghési e i to’ colèghi no’ i ne càga gnànca."Sorrisi. – "Ecco, tu parla in questo modo e vedrai che ti accoglieranno solo nel Regno dei Cieli. Anzi, ti ci manderanno.""Scusa Matèo, mì…""Sono invidiosi perché tu sei ricco più di tutti loro messi insieme, e tu non fai certo niente per migliorare la tua classe. Vieni, balla con tua moglie, che io ballo con Olga. Apriamo le danze."Feci cenno al quartetto, e gli strumentisti parlottarono tra loro per mettersi d’accordo. Stranamente si misero a suonare un valzer. Cristo che quartetto progressista!"Amici," – dissi rivolgendomi ad alta voce alla platea, – "si dia il via ufficiale alle danze. In questa casa sono tutti benvenuti, persino i medici, gli avvocati e gli assicuratori."Avrei pensato che se sarebbero andati via la metà, e la cosa non mi preoccupava perché io sarei sempre stato ugualmente invitato a casa loro per ovvi motivi di convenienza. E invece, in pochi minuti la sala da ballo si riempì di coppie al passo di danza."Zio sei grande!" – Disse Olga lasciandosi portare."Sono grande un corno." – Le dissi con un finto sorriso tutto dedicato al pubblico. – "Se rimangono è perché un giorno potrebbero bisogno di me.""Lo credo, sei il miglior avvocato del Veneto…""No. Questi bastardi sanno che prima o poi avranno bisogno di tuo padre. E per arrivarci dovranno passare da me."Una mezzoretta dopo, mentre mi stavo mangiando con le mani un astice delizioso con la Mietta Raselli che desideravo restasse a casa mia per la notte, mi si avvicinò Annamaria per informarmi che il barone Antonio di Rovero y Bariga desiderava parlare con me in privato."Di Rovero?""Y Bariga.""Di Rovero y Bariga." – Ripetei perplesso. – "E chi è? Non mi pare di conoscerlo. Chi l’ha invitato?""Nessuno. Non è qui per la festa. E’ di origini spagnole ma ha l’accento baùscia-piemontès" disse, come li chiamavamo dai tempi della guerra l’Indipendenza. – "E’ venuto qui, dice, per motivi altamente riservati.""Ha scelto il momento giusto per la riservatezza, ha ha! Questi parlano più del Gazzettino." – Risi, indicando gli ospiti. – "Non lo noterà nessuno!"Rise anche Annamaria. – "Cosa gli dico?""Fallo accomodare nel salotto verde. Offrigli quello che desidera e digli che lo raggiungo tra un minuto." – Annamaria se ne andò e Mietta si dimostrò comprensiva."Va’ Matteo. Prima il dovere e poi il piacere…""Vuoi dire che per questa notte ho qualche speranza?" – Chiesi per non perdere il colpo."Lo sai cosa voglio." – Rispose mostrando l’anulare privo di anello nunziale."Già." – Risposi con educata e finta complicità. – "Lo sai come la penso io di queste cose: prima il piacere e poi il dovere." – Mi recai verso l’ala più privata della casa e giunsi al salotto verde, al cui ingresso Annamaria aveva sistemato un cameriere per garantire la riservatezza all’ospite sconosciuto. Quando entrai si alzò in piedi. Era vestito in tight come si usa nella diplomazia, mentre io indossavo il frak grigio da mezza sera."Signor Conte," – disse chinando la testa con eleganza. – "Vi ringrazio per avermi ricevuto nonostante la mancanza di preavviso. Comprendo di essere stato intempestivo, ma non sapevamo che ci fosse un ricevimento…""Non preoccupatevi. Sedetevi, prego."Mi sedetti anch’io e seguirono alcune parole di circostanza."Sono il barone Antonio di Rovero, hidalgo de Comaymas, señor de Bariga, Aiutante di Battaglia di prima Classe. Per gli amici, semplicemente Antonio di Rovero y Bariga."Per quel poco che avevo vissuto nella capitale, sapevo che i Romani di fronte a tanti titoli avrebbero detto "Me’ cojoni!". Ma mi limitai ad annuire cortesemente."La mia famiglia lavora da anni per una grande famiglia…" – Non finì la frase. – "Sono stato inviato da un illustre e importante personaggio del Paese per farvi una proposta… diciamo da gentiluomo a gentiluomo.""Chi sarebbe il personaggio?" – Chiesi curioso."Non posso dirlo. Vi prego…"Avevo intuito che si trattava di una situazione estremamente riservata, e se davvero apparteneva al mondo della diplomazia dal quale io mi ero così involontariamente congedato… Poteva essere un affare di stato. Probabilmente avevano bisogno di un esperto di diritto internazionale Asburgico, e rientrare nel giro non mi sarebbe dispiaciuto affatto."Ditemi quello che potete, allora.""Sentite," – riprese, gonfiandosi il petto come per prendere forza. – "Non è facile ciò che sto per dirvi, e devo chiedervi la massima riservatezza qualunque sia la vostra risposta. Mi date la parola?""Vi do la mia parola.""Bene. Uno studio legale di Roma mi ha mandato qui da voi perché siete stato… sareste stato scelto voglio dire, scusatemi, per una missione particolare. Il cliente, un marchese italiano che io mi onoro di servire…""Di Torino?""Come?" – Sorrise. – "Non vi dico chi è. Questo marchese aveva incaricato lo studio legale romano di trovare, in accordo con un collegio di medici specialiastici, la persona più adatta all’uopo. Cercavamo un uomo di mondo, di estrazione aristocratica, di buona cultura, piacente e…, scusatemi l’impertinenza, amante delle belle donne e particolarmente dotato negli attributi che, ehm, diciamo, alle donne piacciono di più."Seguì un attino di silenzio. Io non ero imbarazzato, perché mi sarebbe piaciuto ricevere l’incarico di svolgere una missione galante per ottenere chissà quali informazioni, quali consensi, quali privilegi al servizio del Paese. E’ un metodo abbastanza generalizzato presso le diplomazie europee di questa fine Ottocento avvalersi di donne compiacenti o di gentiluomini capaci di ottenere favori femminili. Lui però era imbarazzato a proseguire e cercai di aiutarlo."Vi prego, barone Di Rovero. Siamo uomini di mondo, prima ancora che di cultura. Non fatevi problemi. Io sono un uomo che ha il senso del dovere.""Vi ringrazio." – Rispose rinfrancandosi un po’. – "Ma la missione è estremamente riservata e delicata.""Sono preparato." – Risposi affabile."Dovreste recarvi a Villa Sordenigo, vicino a Pieve di Soligo, e sedurre una donna, una gentildonna. – Disse come se si fosse tolto un peso dallo stomaco.Era esattamente ciò che avevo desiderato sentire."Si tratta di una missione difficile." – Dissi, mostrandomi serio e pensieroso."Ma non impossibile." – Si affrettò a precisare Di Rovero."Ma non impossibile." – Ammisi anch’io."Dunque accettate?" – Mi chiese."Voi mi comprenderete che non si possono dare garanzie in tal senso." – Risposi con sincera modestia. – "Una donna è sempre una donna. Imprevedibile.""Questo è vero." – Convenne. – "Ma a quanto mi dicono, voi sapete prevederle abbastanza.""Maldicenze." – Dissi. – "E chi sarebbe questa nobildonna?""La moglie del Marchese.""Moglie del marchese per cui lei lavora! Ma cosa diavolo sta dicendo?""Esatto. Proprio la moglie del Marchese in questione.""Ma che senso ha?" – Domandai sconcertato.Non rispose e compresi che si trattava di affari riservati."E va bene." – Ammisi. – "E ammesso che riesca a sedurre la nobildonna, qual’è la missione da compiere?""Come?" – Domandò con una certa meraviglia. – "Non avete ancora capito! Questa è la missione. Sedurre la nobildonna!""Cristo, ma ci sarà pure un motivo per cui devo sedurla, non vi pare?""Certo che c’è, dovete metterla incinta!"Più tardi, quando guardavo la carrozza del barone dirigersi al cancello della villa, mi domandavo se mi fosse caduta addosso una montagna. Alla sua risposta mi ero alzato in piedi allibito, e lui si era alzato con me. Ci eravamo guardati vis-à-vis per un lunghissimo minuto, poi aveva deciso di spiegarsi."Non offendetevi, conte, vi prego. Si tratta di una situazione molto seria e nessuno ha mai pensato di mancarvi di rispetto.""Cioè, volete dire che non hanno considerato la mia dignità?""No, vi prego. Se la prendete in questo tono io…""Mi dica come la prendereste voi.""Io? Io non ho la vostra fama di…""Di maschio da monta, volete dire barone?""Ossignore! Scusatemi, conte io, il marchese…""Sì?" – Dissi provocante."Inutile dire che vi offende ancora di più se vi comunico, come devo, che vi è offerta la considerevole cifra di 25.000 fiorini d’oro in cambio dei, diciamo, servigi…" – Si aspettava una mia reazione incontrollata, pur contando sulla mia estrazione aristocratica. E infatti mi apprestai a cacciarlo di casa a calci in culo. Ma lui, come ogni diplomatico professionista, volle concludere comunque la sua missione."Il marito, il marchese di cui continuo a non rivelare il nome, è sterile. Cionondimeno ha deciso di avere un figlio da sua moglie." – Lo ascoltavo domandandomi davvero se l’ambasciator non porta pena. Non porta pene, precisai con ilarità tra me e me. – "E’ una bellissima donna sui 30 anni. E’ stato accertato che può avere figli."E’ proprio un diplomatico di professione, pensai, non molla proprio."Uno stuolo di esperti di genetica ha delineato il profilo della persona ottimale che dovrebbe darle un figlio, e un consesso di medici, dopo aver studiato le pratiche di una ventina di candidati proposti da uno studio legale romano, ha optato per voi.""Dovrei esserne lusingato, vero?""Non so, non dico questo…"Fu proprio in quel momento che entrò nello studio la mia giovane amica Olga che era riuscita a passare nonostante la presenza del cameriere messo di guardia fuori dallo studio. Entrambi la salutammo inchinandoci."Zio!" – Aveva detto. – "Vieni, ché tutti si domandano dove sei finito!" – Poi, gioviale come sempre, tornò fuori.Tornammo a guardarci in silenzio."Possiamo trovare insieme una scusa che possa giustificare il vostro diniego senza suscitare la sensibilità del marchese?" – Chiese con deferenza Di Rovero."Ditegli che accetto." – Dissi. Poi, prima che l’altro si riprendesse dallo stupore, indicai la direzione presa da Olga per fare una richiesta. – "Voglio che la famiglia della mia giovane amica venga insignita di un titolo nobiliare.""Beh, penso che propio non ci siano problemi in tal senso." – Disse sospirando di sollievo, pensando al successo che stava per raggiungere inaspettatamente."Va da sè che i 25.000 fiorini d’oro andranno versati agli orfani di Asolo.""Sono una montagna di danaro… Ehm, siete sicuro che sapranno amministrarli bene?""Li amministrerà il mio studio.""Naturalmente." – Sussurrò. – "Scusatemi."Il mio desiderio di rientrare nel Corpo Diplomatico mi aveva fatto accettare una missione che per il momento mi lasciava solo entrare nel corpo.Due settimane dopo una carrozza mi portava a Pieve di Soligo. Villa Sordenigo era stata affittata per un mese da uno studio legale romano.Capitolo terzo.Confesso che, nonostante la mia concreta esperienza in campo di donne, mi sentivo in forte imbarazzo. Il mio cocchiere se ne era andato con la carrozza, come aveva disposto la governante che mi aveva ricevuto ed ero stato fatto accomodare in un salotto a lato del salone d’ingresso. Attesi per quasi un’ora e, se non fosse stato per via della carrozza che non c’era più, giuro che avrei girato i tacchi e lasciato la villa. Quando entrò, la governante mi fece cenno di seguirla."La signora accetta di ricevervi." – Mi disse con una certa sufficienza. Accetta di incontrarmi dopo che mi ha fatto venire qui? Ripetei incredulo tra me e me. La seguii.Mi accompagnò in un altro salotto dall’altra parte della villa e mi lasciò nuovamente solo. Una parete era coperta da una grande biblioteca di noce che faceva spazio solo ad un caminetto che nell’insieme dava un aspetto davvero piacevole; nella mia villa non c’erano caminetti perché non era previsto che d’inverno qualcuno vi abitasse. Un pianoforte a mezza coda stava in un angolo ed andai a guardarlo da vicino; notai che non era impolverato. Ero intento a leggere i titoli dei libri, quando entrò una persona silenziosamente. Mi girai a guardarla. Era una donna alta, apparentemente formosa nonostante portasse un vestito morigerato e coprente, in contrasto con la temperatura estiva. Qualcuno chiuse la porta e lei si diresse a me con un incedere decisamente elegante. Una veletta sul viso mi impediva di capire se fosse bella o meno, anche se Di Rovero mi aveva rassicurato in tal senso. Io, ad ogni modo, mi ero ripromesso di fare il mio dovere come mi ero impegnato, qualunque fosse stata la figura esteriore della donnna."Buongiorno." – Disse con una voce graziosamente femminile. – "Vi prego, accomodatevi."Mi indicò una delle poltrone che erano rivolte al caminetto spento."Buongiorno Madame." – Risposi accomodandomi. Come raccomandato dal conte Di Rovero, non le chiesi il nome e non mi presentai."Desidero venire subito al punto." – Disse con dolcezza ma anche con determinazione. – "Io non vi conosco, ma voi siete stato scelto per le vostre caratteristiche genetiche e somatiche, per la vostra avvenenza, la posizione, il carattere, la vostra…" – aggiunse con una certa punta di disapprovazione – "capacità amatoria. E, e non ultima, la vostra salute che il medico mi ha assicurato avervi riscontrato nonostante la reiterata promisquità sessuale."Non risposi ed accavallai le gambe per mantenere il contegno e la deferenza nonostante le sue parole."Anzitutto," – disse assumento un tono piuttosto dispotico, – "è bene chiarire subito una cosa. Io lo faccio esclusivamente per mio marito, per il quale ho accettato questo sacrificio."Non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio, pensai, ricordando quel che diceva la povera zia Marta per educare le figlie a vivere in purezza."Da domani" – proseguì, – "entro nel dodicesimo giorno del ciclo e sarò presumibilmente feconda. Voi mi coprirete due volte al giorno, tutte le mattine e tutte le sere per dieci giorni, ma sia ben chiaro che per voi non si tratterà di una delle vostre squallide avventure. Come ho già spiegato al mio confessore, a mio marito ed al mio medico, lo farò nella maniera più staccata possibile. Lo farete attraverso i vestiti e praticamente con ci sarà contatto epidermico tra noi."Non dissi nulla."Dal punto di vista legale, non potrete riconoscere in alcun modo il nascituro come figlio vostro e riceverete il compenso pattuito a fine lavori e qualsiasi sia il risultato." – Aveva assunto il tono di chi tratta con il pizzicagnolo del paese. – "Avete qualcosa da obiettare? Ah, dimenticavo, durante la giornata io resterò a letto per facilitare l’avvento e comunque vorrei non incontrarvi se dovessi aggirarmi per la casa. Se siete d’accordo, annuite: preferisco non sentire la vostra voce.""E’ stato un piacere conoscervi, Madame. Ma temo mi abbiate confuso per un altra persona, e confesso di non aver compreso molto ciò che avete detto. Io sono un veterinario e sono stato chiamato qui per esaminare…"Scattò in piedi. – "Veneranda! Veneranda!" – Urlò, ed uscì a passi corti e veloci scomposta dalla vergogna.Io rimasi un attimo in sala, poi mi alzai ed uscii in tempo per vedere la signora svenire tra le braccia della sua governante.L’aiutai a sorreggere la signora e la riportai nel salotto. Distesa sul divano, le misi un cuscino sotto la testa, le sollevai la veletta e le passai sotto il naso i sali che Veneranda mi aveva messo in mano."Lasciateci soli." – Dissi alla governante. Veneranda ci pensò un attimo, poi ritenne opportuno uscire chiudendosi la porta alle spalle."Scusatemi." – Dissi appena la marchesa socchiuse gli occhi. – "Vi chiamerò Ortensia come i fiori rosa che ho bisto qui fuori, mentre voi mi chiamerete Marco come il santo protettore di Venezia. Vi chiedo scusa per la battuta di prima, ma temo proprio che io non vada bene per quello che mi avete fatto chiamare. Appena sarò tranquillo per la vostra salute, toglierò il disturbo. Direte a vostro marito che non mi sono neanche fatto vivo."Lei rimase per un po’ sul vacuo, ed io potei accorgermi che il viso era di una bellezza dolce, delicato e femminile. Mi spiaceva di averla trattata male, ma era davvero stato più forte di me."Si sente meglio, ora?"Socchiuse gli occhi, poi annuì."Allora posso andarmene?"Attese un po’, poi fece cenno di no con la testa, ed una lacrima le scese sulla guancia. Ne soffrii."Perdonatemi ancora. Di solito sono un gentiluomo.""Ma… Ma non questa volta, vero?" – Sussurrò, cercando di mettersi a sedere. – "Come temevo, mi state trattando come una…" – L’aiutai a sistemarsi e mi proposi di riabbassarle il velo, ma lei fece il cenno di lasciarle il viso scoperto."Anch’io sono una nobildonna, ma oggi, in queste circostanze… Voi mi capirete certamente."Abbassò il capo. Le misi dolcemente un dito sotto il mento e le sollevai il viso. Lentamente alzò gli occhi e mi guardò in faccia."Va meglio ora?" – Chiesi con uno dei miei più rassicuranti sorrisi.Lo gradì. – "Sì, grazie. Che ospite sono stata… Non vi ho offerto nulla. Desiderate un brandy, un armagnac, un whisky?" – Si guardò intorno per cercare il richiamo della servitù."No, signora. Niente alcol se devo mettervi incinta." – Avevo cercato di essere chiaro pur mettendola a suo agio.Per un attimo si sentì vergognare, poi si diede coraggio. – "Volete dire che non ve ne andate?""No. E scusatemi per prima. Sapete, non ho mai fatto l’amore con una donna per motivi pragmatici o di convenienza, ma solo perché mi piaceva. Non sono un professionista.""Usate un linguaggio poco consono a…""Sentite, mi spiace essere brutale, ma devo dirvi come stanno le cose. Lo volete davvero un figlio da me?"Prima di annuire attese un attimo, sostenendo tuttavia il mio sguardo con sicurezza."Ditemi di sì in modo forte e chiaro, per favore.""Sì, lo voglio." – Disse con un piccolo ritardo. – "Non me la sentirei di affrontare un altro…""E allora statemi a sentire, perché ve lo dirò una volta sola.""Vi sto a sentire.""Bene. In vita mia non sono mai stato con una donna a pagamento e tanto meno sono stato pagato per starci. Ho accettato di farlo solo perché mi sento in debito nei confronti del mondo femminile. Voglio darvi il figlio che desiderate. E per quanto riguarda la paternità della creatura, sono un avvocato e so benone che non si può riconoscere un figlio che non venga disconosciuto dal padre naturale, quindi sarà vostro e basta. Se mai dovessi venire a sapere che lo tratterete male, tuttavia, verrò comunque a riprendermelo. Sono un nobile di campagna, ma ho le idee chiare. Sono chiare anche per lei fin qua?"Annuì. – "Chiarissime." – Con questa premessa si mise comoda ad ascoltare tutto ciò che avevo da dirle."A questo punto, sappiate che sono stato scelto perché, oltre ad avere la cultura, l’avvenenza, la salute, eccetera eccetera, ho un pene di notevoli dimensioni che so usare piuttosto bene e che produce ejaculazioni di una certa portata." – La osservai, ma riuscì a non tradire nessuna emozione. – "Ma è uno strumento che uso solo se va in erezione, e va in erezione solo se mi eccito. Quindi, la prima cosa che dovete accettare è che sono io che devo desiderarvi. Perdonatemi la franchezza, madame, ma che voi vi eccitiate o meno è del tutto irrilevante, mentre ai fini del risultato che mi ecciti io è di assoluta e determinante importanza. Ergo," – dissi con una certa forza in modo che mi capisse bene, – "le condizioni sul modus operandi le detto io. In altre parole, voi dovrete fare tutto ciò che mi andrà di chiedervi di fare. Voi siete padrona di non accettare, nel qual caso me ne andrò di qui con assoluta discrezione. Ma se accettate, dovete dirmelo ora e sottoporvi alle mie condizioni."Si alzò e fece dei passi, poi si girò verso di me. – "Cosa volete, esattamente?""Tutto ciò che mi passerà per la testa. Tutto ciò che più mi favorirà l’erezione. Non voglio limitazioni di alcun genere. Sono un gentiluomo e non lascerò traccia alcuna, ma se mi andasse di frustarvi, lo farei. In tutti i casi non mi farò impietosire, sarò fermo e determinato. Vi prenderò in tutte le maniere e vi riempirò di sperma in modo copioso e abbondante due volte al giorno." – Era rimasta allibita."Spero che almeno non vorrete… guardarmi… nuda!" – Disse infine coprendosi la bocca con un certo imbarazzo."Io mi accoppio solo con la donna ignuda. Ma dato ciò che intendo farvi, l’essere esposta al mio sguardo sarà l’ultimo problema che avrete."Forse avevo esagerato.Lei guardò fuori dalla finestra per un paio di minuti. Poi si girò verso di me."E’ così che si riesce a fare un figlio?"Compresi il messaggio. Sapevo che suo marito aveva almeno trent’anni più di lei. Qualche volta l’aveva scopata nel più tradizionale dei modi, quindi nella sua domanda voleva trovare la giusta forza per mettersi sotto di me senza rimorsi. Quindi non risposi e le diedi un consiglio."Se accettate un consiglio, cercate di divertirvi e lasciatevi prendere dalla passione. Sarà tutto più facile. Altrimenti, sarà davvero un sacrificio, una sorta di dolorosa cura necessaria per la vostra vita."Altre condizioni?" – Chiese allora per evitare ancora una risposta."Sì. Né io né voi berremo alcolici in questi dieci giorni, né fumeremo pipa o sigari. Mi scusi, voi non fumerete di certo. E poco caffè. Mio… vostro figlio dovrà nascere bene. E poi pranzerete e cenerete con me. Dovrete anzi socializzare, in modo che la nostra unione venga vissuta in maniera piena e consapevole. Se mi andrà di farlo vi darò del tu, mentre voi mi darete del voi finché non vi autorizzerò diversamente. Per dieci giorni sarete la mia schiava a letto e mia moglie fuori."Non rispose."Accettate?"Attese un attimo, poi annuì. Capì che non mi bastava e allora inspirò profondamente prima di rispondere di sì ad alta voce."Accetto.""Accetto anch’io, se mi sorriderete almeno una volta."Sorrise, finalmente. – "Accetto." – Ripeté. – "Da dove cominciamo?""Venite qua." – Risposi stando seduto. – "E rilassatevi. Eccitatevi se riuscite." – Lei si alzò e si portò alla mia portata. Le palpai le natiche per sentire se c’era polpa, quindi salii al seno e le presi in mano prima una tetta e poi l’altra. Era soda dappertutto. Lei per un attimo trasalì, poi riuscì imporsi di lasciarmi fare."Sì, infatti." – Disse rivelando un certo orgoglio femminile. – "Sono pronta per avere un figlio.""Già." – Dissi allora con un principio di erezione. – "Credo proprio che riuscirò a mettervi incinta." – Mi alzai e le portai la mano al membro che ormai prometteva bene. Le baciai una guancia per incoraggiarla."E’ per questo che per dieci giorni potrete fare di me quello che vorrete." – Rispose riempiendosi la mano con il pene. – "Ricordatevelo."La governante Veneranda mi presentò alla servitù, formata da cinque donne vestite tutte uguali di nero, con un grembialino bianco."Io mi occupo personalmente della signora, la sua cameriera personale sarà Novella." – Novella fece una leggera flessione sulle ginocchia per presentarsi. – "Venga che l’accompagno in camera. Tu, Novella, porta su i bagagli del signor conte."Capii che non c’erano maschi tra la servitù per evidenti motivi di circostanza. Novella era molto carina e mi domandai se fosse stata scelta così per caso o per calcolo. Salimmo al piano superiore prendendo una delle due scale ad arco che fiancheggiavano le pareti del salone d’ingresso. La mia camera e quella della signora erano attigue e comunicanti con due porticine ben mimetizzate, apribili solo da ciascuna delle due parti. Entrambe avevano anche uno spogliatoio che doveva consentire ai signori di prepararsi per il sonno cambiandosi là, ed entrambe erano collegate anche ad una sala da bagno.Novella aprì le valige senza chiedermi il permesso, cosa che a me non andava affatto ma che era in uso presso tutti i signori del Veneto. Appese i vestiti e sistemò la biancheria nei cassetti. Poi andò a prendere un accappatoio ed una vestaglia, gli asciugamani e le lenzuola. Quando si piegava per sistemare le cose, metteva in mostra un sederino davvero invitante, tanto che mi dispiacque di avere quella missione particolare da seguire."Sei molto graziosa, Novella." – Dissi in un momento in cui era particolarmente provocante."Grazie, signor conte." – Rispose girandosi verso di me e facendomi un inchino."Sei sposata?""No signor conte.""Ce l’hai un ragazzo?""Sì, signor conte.""Gli sei fedele?""Ehm… Sì, signor conte."Fine della conversazione. In altre parole, avevo capito che ci sarebbe stata, all’occorrenza."Ho finito signor conte. Se ha bisogno di me, qualsiasi cosa, questa corda è il campanello." – Mi indicò un cordale di seta che scendeva dal soffitto.Quando scesi al piano terra, incontrai Veneranda e la chiamai."Scusatemi, signora, ma vorrei chiedervi una cosa su Novella.""Dite. Non vi piace?""No, anzi. Ma volevo chiedervi se…""E’ stata pagata profumatamente. Potete farle quello che credete.""Come avete detto, prego?""E’ stato deciso che se voi aveste bisogno di sfogare i vostri istinti in maniera poco consona al rango e alla purezza della signora," – disse con una freddezza davvero singolare, – "sarebbe stato meglio mettervi a disposizione una giovane fanciulla che vi consentisse di scaricare la vostra irruenza maschile.""Volete dire che è una professionista?""Dio ce ne scampi!" – Rispose sull’offeso. – "E’ una brava ragazza di qua, che diamine!""Ed ha accettato?""Ci mancherebbe! E’ una popolana…"Quale avvocato delle donne riuscii a stento a frenare l’irritazione. – "Non mi servirà. La signora saprà soddisfarmi come si deve." – Dissi stupidamente."Tanto meglio. Ma se volete un consiglio, signor conte, usate Novella per eccitarvi prima dell’amplesso, per rilassarvi dopo, per farvi un massaggio ristoratore. E’ brava e robusta e qualsiasi cosa le facciate o le facciate fare, non subirà traumi.""Ma che cosa credete che io sia?" – Dissi seccato."Io so cosa siete voi. E dato che siete stato chiamato qui solo per ingravidare la signora marchesa, desidero ricordarvi ancora una volta che se volete sfogarvi oralmente o analmente, con l’uso della frusta o in qualsiasi altro modo non utile alla riproduzione, dovrete farlo con Novella. La signora non si tocca."Non replicai, ma provai un senso di rancore nei confronti della governante che evidentemente era a conoscenza anche della mia chiacchierata con Ortensia. Ma provai inaspettatamente anche un senso di tenerezza nei confronti di Novella.Per cena mi misi un tight da mezza sera ed entrai in sala da pranzo. Avevano preparato due posti alle due estremità. Osservai la sala, che era stata arricchita di fiori freschi. Mentre notavo la presenza di ortensie nei vasi, Ortensia entrò."Buona sera." – Era abbastanza gioviale, per quanto in tensione."Buona sera Ortensia." – Risposi. Rimase sorpresa del nome che le avevo dato e che non si ricordava più. Mi avvicinai a lei per parlarle sottovoce. – "I fiori sono stati scelti così, a caso?""Ortensia è un bel nome. E voi, vi chiamate sempre Marco?""Marco." – Confermai. – "Sentite, possiamo avvicinare i posti a sedere?""Beh sì, perché no! Veneranda?"Arrivò la governante e questa dispose affinché i posti a tavola venissero avvicinati."I signori desiderano bere qualcosa?""Buona idea." – Disse Ortensia rivolgendosi a me. – "Dello champagne?""No. Non sappiamo come andrà a finire la serata."Lei si irrigidì impercettibilmente, ma evitò gli alcolici prima, durante e dopo la cena. Ci servirono pateticamente crostacei ed altre pietanze conosciute come afrodisiache.Dopo cena andammo nel salotto, e quando una giovane si mise al pianoforte, io e la mia nobile compagna riuscimmo a rilassarci. Ci sedemmo in poltrona davanti al caminetto spento per gustarci il sottofondo musicale. Parlammo del più e del meno. Provai anche a parlare di politica, spiegando perché secondo me le donne del Regno d’Italia avrebbero dovuto avere il diritto di voto. Ma evidentemente non voleva palesare argomenti di discussione che mi facessero intuire la posizione del marito. Riuscii a capire solo che era contenta che il Regno d’Italia avesse vinto la Terza Guerra d’Indipendenza. Ammirava la Prussia che, dopo aver battuto la Francia, aveva riunito tutti gli stati tedeschi fondando il Reich di Germania. Approvava l’intervento militare italiano che, approfittando ancora una volta di una vittoria della Prussia (stavolta appunto sulla Francia), aveva fatto conquistare Roma. Il Paese aveva finalmente Roma per Capitale. Suo marito era vicino al Re? Al Capo del Governo?Alle 21 decidemmo di andare a dormire, sicché salimmo al piano di sopra, accompagnati rispettivamente da Veneranda e da Novella. Ci salutammo sull’uscio ed entrammo nelle nostre camere accompagnati dalle nostre servitrici."Vi ho preparato un bagno caldo." – Disse Novella. – "Se volete, vi aiuto ad insaponarvi, a risciacquarvi e ad asciugarvi.""Perché no?" – Risposi, rimettendomi così un po’ a mio agio. E mi spogliai. Non accennai di coprirmi ed entrai nella vasca da bagno. Lei iniziò ad insaponarmi ed a sfregarmi dolcemente."Siete molto bello." – Disse ad un certo punto. La mia abbronzatura conquistata ai bordi del mio laghetto faceva sempre un certo effetto."Anche tu lo sei."Arrossì. – "Grazie signor conte".Restammo in silenzio finché non giunse il momento di alzarmi e lei mi coprì con un grande asciugamano. Mi sdraiai sul letto rilassandomi nelle sue mani."Va bene così, signor conte?""Sì, va benone. Senti," – dissi per sondare le affermazioni di Veneranda. – "Te la sentiresti di prendermelo in bocca fino a farmelo rizzare?"Lei finì di asciugarmi, quindi si avvicinò al pene, me lo baciò, lo alzò con una mano e mi baciò i testicoli. Lui dimostrò vitalità e lei mi abbassò il prepuzio. Me lo baciò sulla punta, per poi accoglierlo tutto in bocca. A quel punto il pene raggiunse rapidamente l’intera estensione. Mi guardò, lo sfilò e, continuando a tenerlo in vita con le carezze, mi disse – "Va bene così? E’ pronto.""Già." – Sapeva che non era per lei. Mi alzai. Lei prese l’accappatoio e mi aiutò ad infilarlo. Me lo allacciai e la feci uscire di camera dandole un buffetto sul sedere, che apprezzò. Quindi bussai alla porta di Ortensia. Mi aprì l’uscio Veneranda.Capitolo quarto."Se ne vada!" – Le ordinai. Lei provò ad opporre un atteggiamento di resistenza. – "Fuori di qui!" – Ripetei.Guardò Ortensia, che era seduta in poltrona avvolta in una vestaglia stile Bella Otero; capì cosa doveva fare ed uscì malvolentieri. Ma intanto il pene era tornato in posizione di riposo. Stronza!Misi le mani in tasca dell’accappatoio e mi avvicinai a lei. Non era imbarazzata, ma certamente non si trovava nella situazione emotiva migliore. Mi fermai davanti a lei ostentando una certa autorevolezza virile. Alzò gli occhi, confermando la bellezza che le avevo già notato. Il resto era coperto e non tradiva alcuna caratteristica. Le accarezzai una guancia e chiuse gli occhi."Sei molto bella.""Grazie." – Disse dopo una breve pausa. – "Lo pensate davvero?""Il viso è bellissimo. Posso vedere il resto?"Lentamente si alzò stringendo la vestaglia."Spogliati," – suggerii, slacciandogliela. "Lasciala cadere."Attese un bel po’, ma alla fine si lasciò slacciare la complicata vestaglia. Quando cadde, vidi che aveva addosso la camicia da notte. Allora mi allontanai per vederla meglio. Aveva una piccola apertura verticale all’altezza del sesso."Cos’è quella roba?" – Dissi senza riuscire a trattenere una bella risata. – "Fatti vedere un po’… Girati…" – Si girò. – "E perché non c’è un’apertura anche dietro? Chi la fatta, come pensava che riuscissi a prenderti da dietro, ha ha!"Si rimise di colpo la vestaglia, ma corsi a fermarla."Scusami, Ortensia. Non volevo offenderti, vieni qui." – L’abbracciai e le tolsi nuovamente la vestaglia. – "Ora però vorrei che facessi la brava. Promesso?"Annuì."Ecco, brava. Ora io vado a sedermi e tu rimani in piedi qui girandomi la schiena. Quando te lo chiedo, ti sollevi piano la camicia da notte, fino a scoprire il sedere. Va bene?"Stavolta aspettò un po’ di più, poi annuì nuovamente. L’assenso mi riscaldò il pene. La baciai sulla fronte ed andai a sedermi."Solleva, per favore."Lei attese un attimo, poi iniziò a sollevare piano la camicia da notte. Scoprì prima una gamba, poi l’altra. Quindi le sfuggì la camicia, ma la risollevò nuovamente. Scoprì una piccola parte di sedere, poi un po’ di più, ed infine me lo lasciò completamente scoperto.Era proprio di un erotismo immediato. Sarei rimasto ore a guardarla così. Le due natiche perfettamente ovali, ambrate e liscie, le due fossette superiori, le sue mani che trattenevano la camicia da notte per farmele vedere allo scopo di eccitarmi, costruivano una situazione davvero arrapante. Mi avvicinai palesando il mio approccio. Era tesa come la corda di una lira. Toccai prima una poi l’altra natica con l’esterno delle dita, e lei non si mosse. Prima l’accarezzai così, poi le diedi una palpata vera e propria. Si mosse, ma non lasciò cadere il camicione. La palpai con esperienza, quindi le presi la camicia e gliela sfilai del tutto dall’altro.La girai e mi allontanai. Lei si lasciò guardare, proteggendosi però il sesso e il seno con le mani. Le chiesi di abbassare la guardia, e lei prima scoprì timidamente i seni, poi tolse anche la mano dal sesso."Sei bellissima. Hai un seno che è un delitto non mostrare alla gente. Dovresti farti ritrarre da un pittore o modellare da uno scultore. La tua vita è così sottile che è un invito alla penetrazione."Mi tolsi la vestaglia e la gettai sulla poltrona. Lei ovviamente non riiuscì impedirsi di guardarmi il pene. – "Ti piace?" – Chiesi.Non rispose."Senti." – Dissi allora. – "Ti spiego cosa voglio fare stasera. Ti metterai sul letto pancia in su e io mi metterò sopra. Ti voglio penetrare così, nella maniera più tradizionale, per sentire le tue reazioni, la tua umidità. Voglio vedere cosa dice il mio corpo mentre mi insinuo nel tuo ventre. Da questo primo contatto, saprò cosa fare meglio nei prossimi giorni. Va bene?"Ovviamente non rispose.La accompagnai al letto, dove si sedette e si sdraiò, coprendosi le tette. Mi misi al suo fianco, ed iniziai a giocare proprio con le tette. Piene e sode, le avrei frustate volentieri per sentire il rumore della pelle e per vedere il suo godimento alla sferza. Appoggiai il pene alla coscia e lei ebbe una impercettibile reazione. Mi avvicinai alle sue labbra e provai a baciarla, ma si negò. Inserii una mano tra le cosce e salii fino a sentire il pelo a protezione del sesso. Era umido. Allora mi portai sopra di lei, mentre allargava le gambe. Sollevò un po’ le ginocchia mentre mi sistemavo in mezzo. Le presi la mano e la portai al pene."Guidalo tu. Voglio che sia tu a farmi strada."Lo prese pudicamente con due dita e lo avvicinò al sesso. Me lo appoggiò alla vulva ed io diedi una prima spinta a vedere se era nel giusto alloggiamento. Il prepuzio rimase all’imboccatura e il glande scivolò dentro di qualche centimetro. Perfetto. Spinsi ancora con soddisfazione e lei si ritrasse tendendo a chiudere le cosce. Allora le presi una mano e gliela portai sulla mia natica."Tienti qui," – sussurrai. – "Guidami tu."Capì al volo. Spingeva o tirava verso di sè guidando così la mia penetrazione secondo la sua sensibilità. Ero abbastanza abile da seguire i suoi movimenti, e mi accorsi che in breve era leri a dirigere il gioco. Forse era la prima volta che aveva in mano l’amplesso. Si rilassò, si dischiuse lentamente, si bagnò e mi accolse del tutto. Diedi un mordone prima ad una tetta e poi all’altra, quindi portai la mia mano al suo sedere. Mi insinuai sotto e lei ruotò il bacino per consentire alla mia mano di giungere a destinazione. Quando le dita si portarono al buco del culo, anziché ritrarsi, allargò di più le cosce, raccolse le gambe e le portò sui miei fianchi. Si tenne alla mia schiena, comunicandomi la sua passione con la diversa pressione delle unghie.Il mio pene era un po’ più grosso della sua vagina. A me ovviamente faceva piacere, ma doveva essere indubbiamente stimolante anche per lei, tanto che iniziò a gemere. Mi mossi schiacciandole i seni con il torace e sfregando l’esterno delle mie cosce sull’interlo liscio delle sue. Tenendola poi con un dito per l’orificio anale, ebbi la sensazione di possederla interamente. Decisi allora di mollare i freni ritardanti e mi concessi di venire così liberamente, in fretta e senza troppe complicazioni. In qualsiasi altro caso avrei tenuto l’amplesso molto più a lungo, ma per quella prima serata era meglio finire così. Il pene ebbe presto delle forti pulsazioni ed iniziò ad emettere il liquido seminale."Vengo." – L’avvertii per abitudine, e lei si lasciò andare in gemiti più forti e liberatòri. Ejaculai a lungo scorrendole avanti e indietro con piacere. Quando l’emissione del liquido seminale sembrava volersi smorzare, Ortensia scese con la mano ai nostri sessi, raggiunse i testicoli e provò a strizzarli, come per far uscire da loro tutto lo sperma contenuto. Le presi la mano, la fermai e la riportai dietro il mio collo.Era la prima volta che scopavo per godermela solo io, e in più senza le preoccupazioni di non mettere incinta la donna. Il tutto era durato non più di tre o quattro minuti. Un record. Un record negativo per la donna, alla quale sicuramente non era bastato neanche per rendersi conto di ciò che accadeva, ma il mio piacere fu un’esperienza inaspettatamente indimenticabile. Tenni il pene a gocciolare dentro di lei, e per tutto il tempo riposai il viso sulle tette.Alla fine, spinto un po’ dal freddo del post-coitum, decisi di staccarmi da lei. Le diedi ancora un mordone alla tetta destra, le baciai il capezzolo dell’altra, quindi mi sfilai e mi alzai. Lei piegò una gamba sull’altra per pudore, ed io la coprii con la sua vestaglia. Poi indossai l’accappatoio, la biaciai sulla guancia e tornai nella mia camera.Chiamai Novella.Misi i piedi nella vasca da bagno e mi sedetti sul bordo. Le chiesi di lavarmi la zona inguinale con acqua calda, dopodiché mi asciugò e mi accompagnò sul letto. Mi feci fare un massaggio rilassante. Fu molto piacevole, anche se non era molto esperta al punto che dovetti io dirle cosa fare. Alla fine le chiesi di chiamarmi Veneranda.Dopo qualche minuto la governante si presentò a me. Rimase ad ascoltarmi."E’ andato tutto bene. Le farete un’irrigazione non prima di domattina, però nel frattempo desidero che venga depilata."Veneranda si irrigidì in attimo, come se queste fossero cose fuori discussione."Le raderete le ascelle. Dopodiché desidero che il pelo puberale venga raso in modo da vedere bene il sesso; via ovviamente anche quello che sborda all’interno delle cosce e quello sul tratto che va dalla vulva all’orifizio anale. Poi massaggiatela ed avvisatela che domattina busserò alla porta prima di colazione."Non rispose e se ne uscì.La mattina dopo mi ero svegliato con la mia solita erezione, ma stavolta non era il riflesso condizionato di sempre. Nella camera a fianco c’era una donna che dovevo montare. Provai un piacevole senso di voglia malvagia e decisi di agire. Guardai l’ora: non ancora le sette. Avevo bisogno di pisciare, ma poiché l’orina avrebbe potuto rendere il canale seminale inospitale per gli spermatozoi, decisi di rinviare la funzione. Aprii la mia porticina e bussai alla sua. Provai ad aprirla ed era aperta. Ortensia, almeno all’apparenza, stava dormendo. Cercai di fare piano, lasciai cadere la mia vestaglia e mi infilai nudo nel suo letto. Lei si girò dalla mia e mi accorsi che anche lei era nuda."Ciao." – Sussurrai.Si stiracchiò. – "Buongiorno. Tutto bene?""Sono pronto.""Bene." – Disse, e mi si fece vicino allentando un certo pudore.La feci mettere pancia sotto e l’accarezzai piano fino ad arrivare ai suoi glutei. In quella posizione erano rilassati e lei rimase immobile fingendosi del tutto passiva, a mia disposizione. Palpai piano ma con piacere la sua natica destra, quella dalla mia parte, e scesi verso la parte inferiore della fessura del sedere per ascoltarne le reazioni. Il mio pene era sempre in posizione giusta e avevo voglia. Giunsi all’orifizio anale, vi esercitai una piccola pressione e notai con piacere che non opponeva resistenza. Poi scesi ancora fino ad arrivare alla vulva da dietro. Mi accorsi subito."Ti hanno già rasata?" – Chiesi con una certa meraviglia."Ieri sera…""Però! Rapida la vecchia Veneranda!""E’ efficiente, se è questo che volete dire. E’ molto zelante nel suo lavoro, però, sappiate che è lesbica."L’osservazione, giunta da lei, mi meravigliò. – "E ti ha rasata lei?""Sì, infatti.""Ti ha… toccato in modo…""Sì, no, non so. Voglio dire, non so se una lesbica toccherebbe così. So che lo è perché mio marito me l’aveva detto…""Girati."Si girò verso di me e l’abbracciai corpo a corpo, prima di metterle le mani sotto le ascelle e all’inguine. Sì, era stata rasata come si deve."Vado bene cosi?" – Chiese, come un’alunna in classe."Perfetta. Ascolta." – Le dissi appoggiando il mio pene a lei perché ne sentisse le dimensioni, e lei dimostrò di apprezzarne la presenza. – "Prima di montarti, devo dirti una cosa. Ieri, quando sono venuto, tu hai provato a strizzarmi le palle, i testicoli." – Le presi la mano e me la portai sotto l’uccello come per spiegarle meglio di cosa stessi parlando. Lei iniziò ad accarezzarli, e la cosa mi piaceva. – "Ti prego di non farlo più."Ritrasse subito la mano, come se avesse preso una sberla."No, fermati. Scusami, ma devo spiegarti come stanno le cose. Rimetti la mano lì, che mi spiego meglio." – Con titubanza mi riprese in mano i coglioni e rimase ferma così, in attesa che andassi avanti col mio discorso. – "Devi renderti conto che i testicoli non sono un serbatoio di sperma. Non puoi strizzarli, altrimenti, oltre a far male, inibisci il buon esito."Continuava ad ascoltare tenendosi stretta a me ma del tutto immobile. Mi misi pancia in su e me la disposi in modo che un suo ginocchio si mettesse tra me mie gambe e la sua guancia sul mio petto. Le rimisi la mano al mio uccello e ripresi a parlare."Devi sapere che essendo un avvocato specializzato a difendere le donne, conosco perfettamente il fuonzionamento degli apparati genitali sia dell’uomo che della donna. A Padova avevo anche sostenuto un paio di esami a Medicina. Il funzionamento dell’apparato genitale maschile è più o meno questo: Le gonadi" – le portai la mano nella parte del mio ventre a metà tra il sesso e l’ombelico – "sono qua. Producono gli spermatozoi. Questi hanno un cilco di vita molto più breve di quello femminile, e vengono assorbiti dal corpo man mano che vengono prodotti senza un uso immediato. Quando l’uomo si eccita, la produzione accresce, e quando l’uomo ha l’ejaculazione vengono veicolati ai testicoli che li elaborano rendendoli attivi, cioè in grado di fecondare l’ovulo. La loro attività non dura molto e da quel momento inizia un conto alla rovescia per la loro missione; passato un certo tempo, non servono più a nulla. Chi li pompa fuori dal pene è la prostata che, oltre a regolare la fuoruscita dell’orina dalla vescita (dove alloggia), produce il liquido seminale che si prende gli spermatozoi e li convoglia all’esterno con tutta la forza che trova. Quella forza viene comunemente detta orgasmo. Mi segui?""Sì…""Brava. Se la donna per restare incinta deve avere l’ovulo perfettamente maturo, lo sperma dell’uomo deve essere presente nel liquido seminale al di sopra di una certa quantità per centimetro cubo, il cui numero ottimale lo ignoro. Per questo è bene aspettare dodici ore tra una montata e l’altra. Io sarei in grado di farne anche quattro o cinque in un giorno, ma temo che sarebbero inutili per mancanza del numero legale."Il termine avvocatesco mi fece sorridere e, accortasene anche lei, ci abbracciammo ridendo."Hai capito perchè non mi devi più strizzare lo scroto?""E cos’è lo scroto?" – Chiese nuovamente seria, perché temeva di essere stata disattenta."La sacca delle palle. Questa." – Le rimisi la mano lì. – "Per completare la lezione, il pene è la parte dell’organo che va in erezione per avvicinare la fuoruscita dello sperma all’utero, che sta in fondo alla vagina. Il prepuzio è la parte di pelle che copre il glande, che è la punta del pene," – le misi la mano sul prepuzio, – "la quale scorre fino a scoprire il glande che così diventa più sensibile. Scorrendo dentro la vagina, il prepuzio riduce lo sfregamento in sensazione di piacevole sollecitazione. Da parte sua, la donna quando si eccita è più predisposta alla fecondazione ed in tutti i casi la sua vagina si inumidisce di liquido lubrificante. Quindi quando ieri ho detto che sono io che devo eccitarmi, avevo ragione perché senza l’erezione non si ha l’ejaculazione e tantomeno la penetrazione; ma devo ammettere che se la donna si eccita, dal punto di vista dei risultati è meglio."Prima di proseguire, le misi una mano sulla vulva."La donna ha tre tipi di orgasmi. Il più comune è quello clitorideo. Mi senti?" – Con l’indice glielo strofinai e lei per reazione automatica mi fermò la mano. – "C’è quello vaginale, provocato dalla penetrazione del pene o di altro oggetto di gomma, in osso, di bachelite, di ghisa, di legno o altro ancora…" – Sorrise, impedendomi così di penetrarla col dito. – "E infine c’è l’orgasmo anale, provocato dall’allargamento delo sfintere e dalla penetrazione nel retto." – Le poggiai un dito sull’ano, come si aspettava. – "Quest’ultimo, ce l’ha anche l’uomo…""Conoscete omosessuali?" – Mi chiese curiosa, ma distorcendo il concetto."Sì, per lavoro, e li rispetto. Ma volevo dirti che l’orgasmo anale non è di per sè omosessuale. Anche per gli uomini eterosessuali è più facile avere un orgasmo con qualcosa nel sedere."Restammo un po’ in silenzio per farle digerire la lezione. Il mio pene, per quanto nelle sue mani, era spento."Sai come ti monto oggi?"Scosse la testa sul mio petto e mi strinse così in attesa della risposta."Ti monto da dietro.""Mi volete sodomizzare?" – Chiese alzando la testa con una certa trepidazione."No," . sorrisi. – "Io devo metterti incinta, quindi non lo farò. Oggi perlomeno. – "Ma prima di lasciarti, giuro che ti sodomizzerò. Prometto."Non era quello che avrebbe voluto sentirsi dire, ma non replicò."Ora ti massaggio, mettiti sdraiata pancia in giù." – Uscii dal letto e la scoprii, guardandola alla luce del mattino che filtrava dalle persiane chiuse. Era bellissima, ma le natiche di una donna sono di per sè molto femminili sia per la morbidezza che per la rotondità ovale, sia perché rilassandosi si allargano scoprendo fessura e sesso.Iniziai a massaggiarla partendo dai piedi e risalendo lentamente verso le natiche. Prima all’interno dei polpacci, poi delle cosce, sicché quando arrivai dalle parti del sesso, vidi che era bagnata e del tutto pronta ad accogliermi. Quando le feci pressione con i pollici all’interno delle natiche, fino a sentire le ossa del bacino, sapevo ciò che le stavo facendo provare."Se ora ti chiedessi di sodomizzarti, mi lasceresti fare." – Le sussurrai piano per non distrarla dal sopore erotico in cui l’avevo messa. – "Anzi, devi chiedermelo tu. Chiedimelo, forza. Chiedimi di sodomizzarti." – Le ordinai.Dopo un po’, sussurrò qualcosa anche lei. – "Sodo… Sodomizzatemi, vi prego…"Ma mi limitai ad inserirle un dito nel sedere. Prima lo bagnai con gli umori vaginai già presenti sulla vulva e la penetrai con abilità, in modo da non farle ritrarre lo sfintere. Dimostratole che avevo ragione, mi portai sopra e le sussurrai all’orecchio – "Non ti sodomizzerò con il pene. Voglio metterti incinta, quindi rimando il momento all’ultimo giorno."Mi misi sopra e lei allargò le gambe.Gliele feci stringere. – "Non è come ieri sera. Se ti prendo da dietro, devi stringere le gambe. Riesce meglio, vedrai."Le avvicinò e le misi le mie gambe a destra e a sinistra delle sue, così il pene si appoggiò nella fessura. Mi portai sopra anche col petto e le cercai le tette. Il contatto con i suoi glutei e la pienezza delle tette alle quali mi tenevo, mi fecero andare l’erezione al massimo. – "Aiutami." – Le dissi appoggiando il glande alla vulva. – "Fatti penetrare così guidandomi con la mano."Passò con la mano sotto il suo sesso e mi aiutò ad infilarglielo. Scivolai dentro in due scatti morbidi, e lei riportò velocemente le mani soto il cuscino per godersi in tutta sottomissione la mia penetrazione da dietro.Iniziai a montarla spingendole e sfilandole il pene nella vulva, fino a giungere ogni volta sempre più in fondo alla vagina. Lei iniziò a seguirmi ritmicamente con il culo alzandolo ed abbassandolo come per favorirmi la penetrazione ed io apprezzai la collaborazione. Mi piaceva proprio schiacciarle il sedere con il bassoventre e sentirne la fessura che allargava e stringeva quando spingevo e mi ritraevo. Finalmente i suoi movimenti presero un ritmo diverso dal mio e capii che stava godendo grazie alla pressione che le esercitavo sulla parte anteriore della vagina, quella zona che i medici chiamano "Punto G". Decisi di farla venire e le sussurrai l’ordine di accavallare le caviglie. Ma non capì."Accavalla le caviglie!" – Ripetei dandole un ordine.Per un attimo si trovò incerta sul da farsi, poi finalmente capì e le accavallò. In questa maniera lei stringeva bene le cosce attorno al mio pene facendo godere antrambi di più. Anche se il mio pene era bello grosso, con le caviglie accavallate la sensazione era tutta un’altra cosa per entrambi.Capii che così sarebbe venuta presto e allora iniziai a palpare le tette come per schiacciarle al ritmo delle spinte. Accelerai le botte, fino a farla gemere di piacere e sentire che aveva contrazioni che le facevano sbattere il bacino con motto involontario: stava venendo. Bene, pensai. E mi lasciai venire anch’io con dei fiotti copiosi e rapidi che lei dimostrò di sentire ed accogliere volentieri.Il suo corpo aveva rallentato quando aveva esaurito l’orgasmo, ma il suo cuore batteva ancora all’impazzata. Come il mio del resto, ma avevo l’impressione che a lei non fosse capitato tanto spesso, se non addirittura mai. Le lasciai a lungo il peso del mio corpo sul suo e l’accarezzai finché non si rilassò lasciandosi andare del tutto. Quando mi accorsi che il pene, dopo aver lasciato il suo carico, era pian piano uscito dal suo alloggiamento, mi scostai e la lasciai. Le accarezzai il gluteo sinistro e mi tolsi. La baciai sul collo, scorgendole un sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi e soddisfatti.Entrai nella mia camera e trovai Novella con la colazione e la vasca del bagno piena d’acqua. Una cara ragazza."Buongiorno." – Dissi radioso."Il signor conte ha dormito bene?""Sì, grazie. Il caffè è caldo?""Sì signor conte." – Disse chinando un po’ la testa."Versami una bella tazza e portamela in bagno, per favore."Entrai in bagno e mi lasciai un po’ andare. Provavo un naturale senso di soddisfazione."Il signor conte desidera qualcosa?" – Chiese Novella."Grazie." – Risposi consegnandole la tazza. – "Hai voglia di insaponarmi?""Certo signor conte."Si diede da fare con premura e abilità. Quando arrivò al pene vi si dedicò con delicatezza, e inevitabilmente lui si mosse con un po’ di indolenza."Che bejo che ‘l sé." – Disse in veneto."Te piàse el me’ oseo, eh? Ti piace il mio uccello, vero?" – Domandai da stronzo.Arrossì. – "El me piàse lù, siór conte. El me perdóna, sò che mi doverìa star sìta…" – In veneto si dava del lei, mentre in italiano si dava del voi. Per questo avevo capito male."Ma certo che puoi parlare, perdiana. E còssa te piàse de mi?""El sé così bón con mi…""Senti senti… Ma se non mi conosci neanche! E se uno dei prossimi giorni volessi frustarti?""Beh, se lu che el sé un cónte, quando el me dà un ordine el me domanda per piasér… El pól far de mi quel che el vól.""Ti ringrazio," – le risposi. "Sei una brava ragazza." – Ma faceva parte dell’educazione aristocratica veneta. Perché non essere educati nel chiedere le cose se, tanto, ti davano tutto lo stesso? Le diedi un buffetto sul culo e mi alzai in piedi. Mi asciugò, poi mi aiutò a vestirmi. Decisi di uscire a godermi il sole estivo nel parco.
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