Racconto erotico a luci rosa scritto da Marco Mieli nel mese di ottobre 1999.Liberamente tratto da un fatto realmente accaduto alla sua famiglia un secolo prima.Capitolo quinto.Non conoscevo la villa né il parco, ma mi orientai facilmente. Mi avviai verso una quercia secolare, al di là della quale c’era una grande siepe. Mi incamminai sotto l’enormità della chioma che mi faceva sentire piccolo piccolo, ed osservai il muschio che cresceva sul lato Nord di un tronco largo almeno un metro e mezzo. Incuriosito da ciò che poteva nascondere, mi volli portare dietro la siepe e vidi che era stata messa a protezione ci una piscina la cui struttura mi fece pensare che fosse stata fabbricata almeno tre o quattro secoli prima. Solo le statue che ne ornavano gli angoli potevano essere per periodo neoclassico, quando Napoleone aveva vergognosamente ceduto la Repubblica Veneta all’Impero Austro Ungarico. I lati più stretti della grande vasca erano fatti a scalinate, costruite per facilitare l’accesso dei bagnanti all’acqua. L’acqua era stagna, e probabilmente da cent’anni nessuno vi faceva più il bagno. A metà del lato più lungo c’era un tavolino di ferro colorato di rosso e delle sedie con la struttura metallica ed il sedile di legno, anche rossi. Vi andai a sedermi. La brezza era leggera e rendeva piacevole il caldo mattutino d’agosto. Stavo ripensando alla piacevole scopata didattica ed alla situazione alla quale mi andavo velocemente adattando con piacere. Non riuscii a stare da solo più di qualche minuto, perché mi raggiunse Novella con i suoi passi corti e veloci, per via dello stretto vestito che teneva leggermente sollevato per non strofinarlo sull’erba."Siór conte," – ormai preferiva parlarmi in veneto, quando eravamo soli. – "Siór conte, mi son qua drìo. Se lu el comanda ad alta vóse, mì sènto."Le avevano detto di non lasciarmi mai, e lei cercava di farlo con tatto."Grazie Novella. Senti, me lo fai un piacere?""Comandi?""Dovresti portarmi un sigaro e chiedere alla signora Marchesa se ha voglia di venire a sedersi qui con me.""Comandi, siór conte."Tornò subito con un sigaro e degli zolfanelli. – "La signora Marchesa vi raggiunge subito."Intuii che parlava in italiano quando si riferiva alla signora che veneta non era. Una buona abitudine di chi è bilingue.Annusai il sigaro, lo schiacciai con le dita, poi lo leccai e me lo misi in bocca. Solo allora lei mi si avvicinò con il taglierino e me lo spuntò. Era stata addestrata bene, forse avrei dovuto pensare di portarmela a casa. Non che la mia governante fosse da meno, anzi, ma Annamaria era come una zia per me, ma forse le avrebbe fatto bene avere in casa una mano abile e fidata. Mi accese il sigaro. Poi, quando vide che stava arrivando Ortensia, si ritirò fuori portata della vista e dell’udito. Discreta."Buongiorno Ortensia.""Buongiorno Marco."Aveva un vestito rosa con nuances lilla, come si usava allora di mattina nei migliori salotti d’Europa. Il vestito, dietro era ripreso per mettere in risalto la femminilità del sedere senza volgarità. Portava un cappellino in tinta ma senza veletta. Le vedevo solo la punta delle scarpe perché erano coperte dall’abito, ma una leggera scollatura le dava un certoché di giovialità. Aveva uno sguardo aristocratico, anche se gli occhi erano particolarmente vivi. Li teneva socchiusi, probabilmente, per la forte luce del giorno cui non era ancora abituata, ma questo le accentuava un senso di erotismo malcelato che il giorno prima nessuno avrebbe mai sospettato."Il sesso vi fa bene." – Dissi ammirato."Non mi davate del tu?""Già, ma improvvisamente la tua bellezza mi ha intimorito…""Siete galante.""Sono sincero. E sei elegantissima. Ma forse tutto quello che indossi diventa…""Mi avevano informato che avevate un vestito di lino color panna, e non ho voluto essere da meno."La guardavo con attenzione, scoprendo momento per momento dei nuovi lati positivi. Anche se erano raccolti, vidi che i capelli erano scuri, con dei riflessi rossi. Ma dato che a letto glieli avevo visti sciolti, sapevo anche che erano lunghi, lucidi e ondulati. Anche il trucco accentuava la sua bellezza, e quando si inumidiva le labbra sfiorandole con la lingua, dimostrava di essere una donna di una bellezza unica.Decisi di distogliere i miei pensieri pericolosamente lusinghieri nei suoi confronti. – "Allora, come t’è sembrato stamattina?" – Chiesi con un certo orgoglio."Beh, innanzitutto ditemi perché fumate il sigaro, quando mi avevate detto che avremmo dovuto abolire il fumo.""Io… Io posso, è mattina e la prossima avverrà solo stasera… Oh, al diavolo." – Gettai il sigaro in acqua.Si sedette di fronte a me."Per secondo, volevo dirvi che le mammelle non vanno munte come se la donna fosse una giumenta. Vi siete aggrappato a loro come se fosse la prima volta che le palpate in tutta la vita."Sorrise per alleggerire la critica, ma io ne rimasi male lo stesso e reagii."Ortensia, Cristo, l’ho fatto perché mi piace. Non ti pare abbastanza?" – Ma sapevo che non era una buona scusa. Non avevo più l’orgogliosa sicurezza del giorno prima?"Ci sono donne che impazziscono se gliele strapazzi mentre le monti, ed altre che invece le hanno troppo sensibili." – Ed Io, pensai, forte della rendita di posizione, di lei non me ne ero preoccupato minimamente. – "Ortensia, scusatemi." – Dissi alla fine. Ed ero tornato a darle del voi."Suvvia, Marco. Vi prego, continuate a darmi del tu e a trattarmi come se fossi una cosa di vostra proprietà. Così sta andando benone." – Mi prese la mano appoggiata sul tavolo. Era un gesto di tenerezza. – "Marco, io… Io, stamattina, ho avuto un orgasmo per la prima volta in vita mia."Mi tornò lo stupido orgoglio maschile, ma lo frenai subito. – "Ma, e le tette? Vi ho fatto male? Scusa, ti ho fatto male?""Vi giuro che se ieri mi aveste detto che mi avreste palpato il seno in quella maniera, sarei svenuta dall’idea.""Te ne saresti andata?""No, dato che sono qui per farmi mettere incinta sono pronta a sopportare ben altro. Ma certamente non pensavo che le mammelle potessero essere fonte di tanto piacere. Anche per me, voglio dire.""Sei una bellissima donna." – Le dissi piano."Basta così, signor conte. Nulla al mondo potrà farci avvicinare di più di quello che offre il letto… e il destino. D’accordo?""D’accordo. Ma hai messo in conto che potrei innamorarmi di te?""Ci soffrireste per niente.""No, non per niente. Ci soffrirei e basta.""Non mi creereste problemi, vero?""Neanche tu, vero?"Attese un attimo, poi si raddrizzò sul petto. – "Neanche io. Qualsiasi cosa succeda.""E’ bello qua. Che ne dici se facciamo un pranzo freddo qui, oggi?""Perché no?"A mezzogiorno ci portarono del pane ancora caldo, del patè, del salmone affumicato norvegese con dei ricami di burro, del prosciutto cotto ed un melone. Quest’ultimo era così fresco che probabilmente l’avevano tenuto nel pozzo tutta la notte. Portarono del vino bianco molto freddo, che Ortensia si permise di lasciarmi bere. Lei bevve solo acqua, anche se mi disse che non avrebbe disdegnato per niente lo champagne. Ne avrebbe bevuto a volontà dopo il parto.Quando eravamo al caffè, Ortensia mi rivolse la parola piegandosi in avanti in tono confidenziale."Voi, vi siete ehm, avete… Insomma, siete stato con molte donne?""Via Ortensia, non imbarazzarti per parlare di queste cose. Sai perfettamente che sono stato scelto anche per questo. Sì, mi sono accoppiato con qualche donna. Perché me lo chiesi?""Volevo farvi delle domande.""Prego.""Sono per lo più timide?""Come te, vuoi dire? Dipende. Non siete uguali, anzi, ognuna è fatta a modo suo. Qualcuna è timida solo le prime volte, alcune non lo sono neanche la prima notte, altre lo rimangono per tutta la vita.""Le prendete sempre come avete fatto oggi con me?""E’ una delle mie dieci posizioni di base…""Dieci?" – Chiese tra l’incerto e il curioso. – "E quali sarebbero, ammesso che non si tratti di cose troppo sconce.""Te le farò provare tutte, Ortensia. Quindi vedi tu, se vuoi te ne parlo, ma se preferisci mi limito a fartele provare."Mi guardò con maturità. – "Parlamene." – Disse alla fine."Bene," – sospirai. – "Le prime due le abbiamo fatte ieri sera e stamattina, e continueremo a farle anche se poi ti prenderò negli altri modi, magari solo per un po’, per scaldarci. Dipende da come rispondi.""Parlatemene.""La prima, con me sopra e tu sotto vis-à-vis, l’abbiamo fatta ieri sera e si dice alla missionaria. Con me sopra e tu sotto pancia in giù, come abbiamo fatto stamattina; si dice alla eretica. Quest’ultima è una delle più belle perché l’uomo si trova in posizione totalmente dominante, tiene le gambe ai lati esterni delle gambe della donna e la penetra profondamente sollecitando la parte più sensibile di lei, la parete anteriore della vagina. Evoca all’uomo la penetrazione anale e alla donna la sottomissione per cui è costretta a godere."Se io sto sotto e tu mi stai sopra, sono altre due classiche…""Sopra come?" – Chiese più con malizia che incredulità."Te le mostrerò, è più facile. Si chiamano smorzacandela se mi guardi in faccia e poltrona se mi giri la schiena. Poi, ti prenderò stando entrambi sdraiati sul fianco: se stai girata verso di me si fa quella che si definisce forbice, se mi offri la schiena ti prendo da dietro e si fa quella che si chiama cucchiaio. Se ci capiterà, lo faremo in braccio, in piedi o in ginocchio, stando di fronte: si dicono appunto in piedi o in ginocchio. La variante di una sveltina fatta per mancanza di tempo o di spazio, è la presa a squadra, o ad angolo retto. La donna sta eretta fino alla vita, ma col busto piegato in avanti ed appoggiandosi con le mani al tavolo o al pomolo del letto. Io a volte in ufficio…" – Non finii la frase."Ma la classica per definizione la si fa stando entrambi in ginocchio a quattro zampe; è la famosa scopata alla pecorina: la donna tiene le gambe larghe o le ginocchia in avanti per portarsi all’altezza del pene del compagno, il quale la penetra da dietro come se fosse un montone. Se invece in quella posizione tu stai appoggiata sui gomiti, si dice alla preghiera orientale, perché sembreresti una donna che sta invocando Allah. Ma ti prenderò anche standoti sopra con le tue gambe sulle mie spalle. Ti prenderò anche tenendoti di fianco facendoti raccogliere una gamba. E ancora stando seduto sul bordo del letto con te seduta a cavalcioni con il pene infilato… Ti eccita o ti disturba?""Volevo chiedervi…" – Disse, come se le posizioni non l’avessero interessata più di tanto. – "E’ vero che… che alcune donne prendono… in bocca il pene dell’uomo?"Dunque era questa la ragione ultima della domanda. – "Ma, scusa, mi sei stata ad ascoltare?""Ma certo. Anzi, ne avete descritte quattordici, non dieci. Se vi andrà lo faremo." -Tagliò corto. – "Ma ora non è questo che mi interessa.""Perché, le posizioni che ti ho descritto le hai provate tutte?" – Chiesi dubbioso."No, no! Che dite?" – Rispose con determinazione. Poi si ammorbidì. – "Ma, tanto, me le farete provare tutte, no? Quindi non preoccupatevi. Invece rispondete alla domanda, se ve la sentite.""Ebbene sì, Ortensia. Ci sono donne che prendono in bocca il pene.""Dio mio, che schifo! Ma come osano?""Beh, gli uomini le lasciano fare…""Non mi direte che ve lo fate fare anche voi… E che vi piace, magari eh?""Ortensia, piace sopratutto alle donne. Scusami, non è proprio così. Ma, sai, all’università noi goliardi sostenevamo che Eva avesse inventato il pompino per farsi perdonare del peccato originale…""Il… cosa?""Si dice pompino. Perché è come se la donna pompasse, quando lo succhia."Sembrava sconvolta da quello che le stavo dicendo."A voi piace?" – Rimase un attimo sorpresa lei stessa della domanda che mi aveva fatto, poi riprese a parlare. – "Non rispondetemi. Ho capito che vi piace.""Sono un maiale.""Venite?""Quando?""Voi venite quando ve lo prendono in…?""Sì, è una cosa proprio deliziosa, sai. Si sta sdraiati, in pace, in tutto relax, ed una donna ti adora al punto di succhiartelo dolcemente fino a farti venire senza che tu faccia il minimo sforzo…""E… l’avvisate?""Cosa? Ah, sì naturalmente. In modo che possa decidere da sola se prendermi lo sperma in bocca oppure no."Piccola pausa. – "E cosa fanno di solito?" – Chiese infine."Di solito mi lasciano venire in bocca, altrimenti non avrebbe senso. La metà lo ingoia pure. Un giorno l’ho voluto assaggiare anch’io e devo dirle che è accettabile. Se io fossi una donna, voglio dire. Il sapore è del liquido seminale, ritengo. Non credo che gli spermatozoi abbiano…""Basta. Che schifo!""Non preoccuparti. Tanto non verrò mai nella tua bocca, Ortensia. Se verso il seme lì, non resteresti incinta di certo."Si alzò di scatto e se ne andò come offesa. Le donne!La sera pareva avere dimenticato tutto e cenammo in armonia parlando di cultura. Giuseppe Verdi stava spopolando in tutto il mondo. Sarebbe piaciuto ad entrambi andare al teatro La Fenice di Venezia dove da oltre un mese andava in scena La Traviata, ma sapevamo che per noi sarebbe stato impossibile. Canticchiammo un po’ Libiamo nei lieti calici…Parlammo anche di Alessandro Manzoni, ed io lo criticai piuttosto sufperficialmente perché aveva lavato i panni in Arno, come diceva lui stesso, nel senso che aveva pulito lo stile linguistico del suo romanzo I promessi Sposi orientandosi alla lingua italiana parlata in Toscana. Secondo me, ironizzai, avrebbe dovuto lavarli nel Brenta che è veneto."Ma, detto tra noi, il Manzoni ti piace?" – Le chiesi."Trovo I Promesi Sposi piuttosto deprimente. Va tutto male dall’inizio alla fine.""No, anzi." – Risposi in fretta. – "Finisce addirittura che vissero tutti felici e contenti ed ebbero tanti figli…""C’è un pessimismo diffuso per tutto il racconto; un sopruso per motivi futili, un branco di incapaci, una protagonista che non esprime la propria femminilità per difendere la sua famiglia, una maledizione che viene lanciata dal un religioso e che puntualmente si consuma; un personaggio che l’autore chiama Innominato perché teme che pronunciarne il nome porti male…""Ma il protagonista principale è la Provvidenza!""Già, ne esce male persino la Provvidenza.""Non è vero!" – Dissi con forza. – "La finale è riscatta dalla Provvidenza…""No." – Disse sorridendomi amaramente. – "E’ viceversa. E’ la finale che riscatta la Provvidenza. Una conclusione del tutto contrastante con l’intero svolgersi della vicenda, ma che secondo me ha una sua logica molto prosaica.""Sentiamo." – Dissi. Era più preparata di me."L’ha voluta l’editore.""Che cosa?" – Chiese con una smorfia."Una finale così l’ha voluta l’editore. Temeva che con una fine tragica non avrebbe venduto abbastanza copie, e…""Sei dissacrante." – Sussurrai."E l’editore un cinico."Ci ritirammo dopo le 23, perché il pomeriggio avevamo riposato a lungo.Bussai alla sua porta ed entrai. Stava seduta in poltrona in vestaglia con le gambe accavallate, lasciando vezzosamente scoperto un polpaccio. Cissà che alla fine non riesca a sbloccarla un po’… Per chi? mi domandai, se poi suo marito…Mi sedetti anch’io. – "Tutto bene?"Annuì."Pronta?"Annuì ancora."Qualche desiderio speciale?" – Chiesi con finta magnanimità."Sì.""Sì?" – Chiesi sorpreso. – "E cosa, di grazia?""Vorrei vedervi mentre vi fanno… Mentre vi fanno un pompino.""Che cosa? Sei impazzita?""Sentite, ho consumato tutte le energie della mia volontà a chiedervi quello che vi ho appena chiesto. Se volete, fatelo; altrimenti, procediamo.""Ma cosa ti salta in testa?""Ci ho pensato. Sentite: con tutta probabilità, questa sarà l’unica mia occasione di fare sesso nel vero senso della parola. In tutti i modi e in tutto per tutto. Voglio fare tutto. Anche se dovesse non piacermi affatto. Devo. Mi capite?"Provai un innegabile senso di commozione nel rendermi conto dell’importanza che quei dieci giorni avrebbero assunto nella vita di Ortensia. Capii che da quel momento non sarebbe più stata solo un oggetto."Ortensia, io…" – Dissi piano. – "Sì. Sì, potrei fare qualcosa del genere. Ma ti rendi conto di quello che mi hai chiesto?""Sì. Ci ho pensato abbastanza e se ci penso ancora non lo faccio più.""Brava, hai ragione, non pensarci più.""Lo voglio. Se solo potete farlo, e so che lo potete…""Dannazione! Quella troia di Veneranda parla come una serva!""E’ una serva, no?"Pensai un po’ a cosa fare. Perché no, in fondo?"Senti, contenta tu… Posso fare così. Chiamo Novella come ieri sera. Tu tieni le luci spente in camera tua ed io terrò aperte le porticine. Senza farti notare potrai guardare attraverso le porte. Va bene così?""Sono pronta."La guardai. Sembrava il gatto che stava per magiarsi il topo. Alla faccia dello schifo che diceva di aver provato a mezzogiorno! La cosa la eccitava davvero. Mi accorsi che eccitava anche me perché sentivo il sangue pulsare nel pene."Comandi, siór conte.""Ciao Novella." – Dissi togliendomi la vestaglia e mettendo così in mostra l’uccello che ero riuscito portare in posizione di riposo. – "Ho bisogno del tuo solito aiuto. Te la senti?" – Mi sdraiai sul letto senza attendere la sua risposta.Aveva sorriso e si era messa comoda in attesa che fossi pronto. Feci attenzione affinché né io né Novella potessimo nascondere la vista dalle porticine, quindi mi rilassai come faccio in questi casi. Novella mi massaggiò con cura il ventre in modo circolare, quindi passò ad accarezzarmi le cosce e proseguì finché non le allargai per facilitarle il compito. Diedi una sbirciatina al buio delle porticine, quindi mi lasciai andare. Novella, sempre con un sorriso misto di compiacenza e di complicità, iniziò a toccarmi i coglioni e il pene iniziò ad animarsi velocemente. Continuò tenendo in mano lo scroto come per farsi desiderare, poi si avvicinò piano con la bocca al pene. Rimase lì vicina senza fare altro per un lungo periodo, finché non sentii che aveva aperto le labbra e si era portata sul glande. Abbassò il prepuzio e baciò la punta. Reagii involontariamente e le accarezzai la guancia. Novella appoggiò il glande sulla sua lingua e vi adagiò sopra il suo palato. Ero felicemente beato prima ancora che iniziasse a farselo scorrere in quel caldo e accogliente alloggiamento. Ma quando iniziò ad accogliermi sempre più in profondità in gola, non riuscivo quasi a controllare i miei gemiti di piacere, ed il pene si era portato alla sua massima estensione. Mi resi conto che lavorava con dedizione ma anche con soddisfazione, perché ogni tanto alzava gli occhi per guardarmi l’espressione del viso. Ad un certo punto lei riuscì ad ingoiare l’uccello fino alle palle e mi parve di toccare il cielo con un dito. Novella se ne accorse e, poiché sapeva che non doveva farmi venire, rallentò il ritmo. Le accarezzai la guancia e lei me ne fu grata. Guardandole il viso e riuscii ad intravvedere Ortensia che nell’ombra della porticina mi faceva chiari gesti con le mani per farmi interrompere la performance e mandar via la giovane. Mi misi a sedere."Grazie, Novella, basta così. Sono pronto."Lei me lo baciò un’ultima volta con malizia. – "Comàndi, siór Conte." – Mi strizzò l’occhiolino e se ne uscì dalla stanza velocemente ma senza fare il minimo rumore.Non fece tempo a chiudere la porta che Ortensia l’aveva già chiusa a chiave e, completamente nuda, si era portata sopra di me."Sono eccitatissima." – Disse priva del minimo pudore. E mi buttò giù di schiena montandomi sopra."Cosa fai?" – Le chiesi sorpreso."Zitto. Ora vi monto io. Si dice a… smorzacandela, vero?"Mi si sdraiò sopra allargando le gambe e appoggiandosi di peso con le tette sul mio petto. Mi eccitai anch’io per la piacevole sorpresa del suo entusiasmo e mi mossi per aiutarla mentre cercava di infilarselo in quella posizione. In un attimo ero dentro e lei dava colpi come se fosse un uomo, ma verso il basso. Ad un certo punto provò addirittura a mettermi una mano dietro il sedere ed io alzai il bacino per lasciarla andare dove voleva. Avevo capito che stava provando a raggiungermi il buco col dito."Non ce la fai così. L’uomo riesce e farlo facilmente perché ha il bacino molto più basso della donna. La donna di solito infila un dito quando fa un pompino…"Lasciò perdere e continuò a darmi botte sempre più forti. Le misi le mani sulle tette ma poi, ricordandomi cosa mi aveva detto, le ritrassi. Si fermò un attimo."Strizzatemele pure." – Disse ansimando. – "Avevo scherzato. Anzi, vi avevo proprio detto che mi fate impazzire se me le schiacciate." – E me le mostrò con ostentazione.Iniziai a stracciargliele, sicché iniziò nuovamente ad ansimare sempre di più, finché non sentii che era venuta. Pian piano si lasciò andare sul mio corpo soddisfatta.Dopo una breve pausa, e con il mio uccello sempre dentro di lei, l’accarezzai. – "Posso farti notare che sono io quello che deve venire?"Dopo una pausa anche da parte sua, mi rispose. – "Certo, ma chi vi ha detto che ogni tanto non sia io a dirigere il gioco? Volevo venire, e non ho mai avuto un orgasmo del genere."Riposammo un po’. Più tardi le diedi una sculacciata."Preferisci smetterla così stanotte?" – Le chiesi."No." – Rispose insonnolita. – "Fate il vostro dovere." – Poi, con finta indolenza, disse: – "Come volete prendermi?""Se fossi andata con calma, sarei venuto anche così. Adesso invece devi fare quello che ti dico."Fece per alzarsi."No. Ferma, lo facciamo ancora così. Però stavolta comando io."La feci flettere le gambe a lato dei miei fianchi e la lasciai sedere nuovamente sull’uccello."Questo è lo smorzacandela. La mossi in su e in giù finché capì quello che doveva fare. Era un po’ come prima, solo che con le gambe raccolte ai miei fianchi stava davvero seduta sul cazzo. Iniziò a muoversi col bacino riprendendo in mano lei il gioco. Stavolta io partecipai di più e le misi una mano dietro il sedere fino a raggiungerne il buco. Con le cosce così allargate ai miei fianchi, non poteva impedirmi proprio nulla ed io la penetrai anche lì.Non voleva impedirmi nulla quella sera, perché muoveva il culo proprio per godere di più sia davanti che dietro. Aspettò a capire se potevo venire, quindi si scatenò sul pene e sul dito fino a venire nuovamente.Io non ero ancora venuto e decisi di rimettermi sdraiato sul letto. Lei mi si sedette sopra ancora, ma stavolta girandomi la schiena. Dopo i primi tentativi un po’ goffi, riprese a muoversi con delizia, e stavolta mi fece venire in quella posizione.Si sfilò e, spossata, si sdraiò al mio fianco. Dopo una decina di minuti si alzò."Stanotte venite a dormire con me." – Ordinò. Non protestai.Mezzora dopo, lavato e in camicia da notte, entrai in camera sua. Faceva caldo e mi sfilai la camicia. Stava dormendo, mi infilai nel letto e in breve mi addormentai anch’io.Mi svegliai di notte, mentre mi stava succhiando l’uccello con applicazione. Un risveglio piacevole quanto imprevisto. Mi aveva preso le palle nella mano destra e con la sinistra mi teneva il prepuzio abbassato. Il mio glande stava godendosela tra la sua lingua e il suo palato. Il suo sedere stava sulle mie ginocchia. Sollevò la bocca dal pasto."Vi faccio venire se proseguo così?" – E riprese a succhiare scatenata."Sì." – Sussurrai. – "Va’ avanti così." – Poi non riuscii ad impedirmi di prenderle la testa per i capelli e sbatterla su e giù come per masturbarmi con la sua bocca. Accelerai il montare del mio piacere e mi preparai all’orgasmo."Sto per venire." – Dissi finalmente per avvisarla. Ma ormai sapevo che mi avrebbe ricevuto in bocca. – "Vengo!" – E mi lasciai andare con le braccia allargate sul letto, sobbalzando per gli spasmi dell’orgasmo. La prostata ora pompava e spruzzava il liquido seminale nel suo palato. Lei continuava a succhiare, facendomi impazzire di piacere. Si fermò un attimo come stordita, poi tossì ma non mollò e continuò a ricevermi fino all’ultima goccia. Poi si portò tra le mie braccia a dormire.Capitolo sesto.Quella notte eravamo diventati amanti e da allora anche lei mi diede del tu, anche se non di fronte ad altre persone. Inoltre, per quanto cercassimo di accoppiarci con rigore scientifico, cioè dando tempo ai miei genitali di ricaricare il numero minimale di spermatozoi nel liquido seminale, in realtà scopavamo ogni volta che lo desideravamo. Ma il rapporto che ci legò di più fu il semplice, antichissimo e dolcissimo bacio. Ci baciavamo sulle scale, nell’erba, in salotto, a tavola… Ogni occasione era quella buona.Iniziammo a divertirci, senza mai uscire dal parco come ci era stato giustamente raccomandato. La colazione ce la facevamo portare in camera mia o sua, pranzavamo preferibilmente in giardino (tempo permettendo), cenevamo a lume di candela anziché con il lampadario a gas. Ci cambiavamo d’abito vome voleva il nostro status di aristocratici, e parlammo sempre di cultura e di economiaEra una splendida amante della pittura contemporanea. Mi accennò ad una moda artistica di Milano, dove i salotti culturali ricercavano quei pittori che venivano definiti Macchiaioli, il cui nome, per me che non li conoscevo, era da solo tutto un programma (negativo ovviamente). Concordò con me che si stava attraversando un periodo di transizione per il mondo dell’arte, ma non condivise la mia avversità per le nuove forme espressive e me ne diede le ragioni.Diverso per la letteratura, perché proprio in quel periodo era uscita la prima Storia della letteratura Italiana, scritta dal De Sanctis, a sancire la consistenza culturale del Paese. Lei aveva letto Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, e cercò di descrivermi i contenuti perché io non lo conoscevo. Viceversa, le commentai il Carducci, il Foscolo e il Parini, sostenendo come quest’ultimo avesse descritto Il Giorno ispirandosi alla corte dei Savoia. Non gradì la battuta (che poi tanto battuta non era…), ma alla fine, riconobbe che i nobili veneziani…Parlammo anche di economia, e mi parve molto più preparata di quello che avrebbe potuto essere una donna nella media. Dovetti pensare che il marito fosse un personaggio importante nell’economia del Paese. Cercai di saperne di più con la scusa di ipotizzare con lei i settori che avrebbero potuto attirare i capitali in quell’ultimo quarto di secolo. Ma quando provai ad affrontare il concetto di lotta di classe che allora stava nascendo, mi disse che il problemna era da affrontare in parlamento, non nelle piazze, e tantomeno nei salotti. Le stava a cuore la sofferenza della donna in difficoltà finanziarie e l’infanzia dei bambini privi di un futuro accettabile. Io gradivo parlare con lei di queste cose perché era il mio settore, ma si fermava ogni volta che l’argomento poteva suggerire una qualche appartenenza istituzionale del marito nel Paese. Non volli chiedere di più, anche se forse, insistendo, qualcosa di più mi avrebbe detto."Ti amo." – Le avevo detto a cena prendendole la mano. Non la ritrasse."Anch’io credo di amarti.""Per me è la prima volta." – Ammisi."Così lo è anche per me.""La natura a volte è una figlia di puttana." – Ragionai ad alta voce. – "Ci amiamo, siamo consenzienti, vogliamo un figlio e ce l’avremo. L’amore farà il suo corso, ma noi non staremo insieme."Non disse niente."Dobbiamo evitare di pensare al momento del distacco, e il modo migliore sarà quello di scopare."Novella si era accorta subito del nostro cambiamento, assumendo il ruolo di cameriera mia e di complice nostro. Veneranda invece, che pure avvertiva l’intesa che si era creata tra noi, cercava di esalare più veleno del solito.Una sera la stavo montando da dietro alla pecorina, e lei si era messa in posizione di preghiera. Ero scatenato e lei gemeva tenendosi il pollice in bocca, sospinta dai colpi che le davo sollevandola sulle ginocchia. Rallentai mettendo le mani sull’esterno delle cosce, che per farsi prendere in quel modo doveva tenere divaricate, e buttai lì una proposta."Saresti gelosa se facessimo entrare in letto Novella?"Lei continuava a spingere ritmicamente contro di me."Cosa le faresti fare?" – Chiese dopo una apparente riflessione."Mah, niente; la terremmo qui, funzionale alle nostre necessità, che ne so?""Perché da Novella non ci facciamo praticare sesso orale mentre rimaniamo rilassati a letto, mano nella mano?"La sera precedente le avevo praticato il cunnilictus per la prima volta e pareva che non avesse aspettato altro nella vita. Avevamo anche provato a fare sesso orale l’un l’altro, quello che all’università chiamavamo volgarmente Sessantanove. Ma, si sa, il sessantanove è più spettacolare che proficuo; più una pietra miliare che un momento libidinoso. Il sesso orale non puoi darlo mentre lo subisci, perché il sesso subìto distrae troppo e di conseguenza quello che fai non vale niente."Perché no?" – Le risposi. – "Però la voglio nuda.""Poverina.""Perché poverina?""Non lo so, ma certamente preferirebbe prenderlo anche lei. Non credi?"Ne avevamo già parlato. Io mi ero ripromesso di non avere contatti carnali con la mia cameriera e con nessun’altra per tutta la durata dell’accoppiamento per non mettere a rischio la probabile gravidanza con una stupida e comune infezione di qualche genere. La mia buona Novella sarà stata sicuramente sanissima, ma non potevamo rischiare. Questione di buonsenso. Poi, si sa, ci sono malattie veneree che le donne portano inconsapevolmente, come la blenoraggia per esempio, che i militari chiamano "Scolo", veicolata dalla donna portatrice sana. D’altronde, a volte anche l’uomo è portatore sano della tricomonas vaginaris che colpisce solo le donne. La sifilide, da questo punto di vista è meno pericolosa perché colpisce democraticamente entrambi i sessi, e la si sa diagnosticare facilmente."Poiché tu lascierai la villa prima di me, giuro che la tromberò non appena te ne sarai andata." – Dissi provocatorio e volgare."Cos’è che le farai?" – Mi chiese eccitata dalla volgarità, sbattendosi il culo sul mio pene."Ci ho ripensato." – Dichiarai riferendomi alla posizione che avevamo. – "La sodomizzerò.""Questo l’avevi promesso a me come ultima performance!" – Aumentò il ritmo."Lo farò prima a te e poi a lei. A proposito, ti ho detto cosa intendo farti fare prima?""Prima di cosa?""Prima di mettertelo nel culo.""Marco! Ma che linguaggio usi?" – Alzò la testa con gli occhi chiusi nonostante la lamentela."Prima di sodomizzarti… Va bene se lo dico così? Ti faccio fare un clistere." – Non parlò preferendo ascoltarmi. – "Te lo farò fare da Veneranda."Ortensia si staccò da me, si girò come una gatta e, rimanendo a quattro zampe, mi urlò:"Non ti ci provare neanche, razza di stronzo!" – Poi, vedendomi il pene a portata di labbra, me lo baciò."Una cosa alla volta." – Risposi prendendola così. – "Incominciamo col farci Novella, domani sera."La sera dopo, poco prima di mezzanotte bussò Novella. L’avevo pregata di venire da me senza farsi notare, mentre tutti erano a letto. La feci entrare, ero in accappatoio. Chiusi la porta a chiave e bussai alla porticina di Ortensia. Entrai nella sua camera lasciando Novella in attesa nella mia. Dopo un minuto tornai da Novella e le dissi che avremmo fatto sesso a tre. La giovane non si scompose, e quando le dissi di spogliarsi lo fece lasciandosi aiutare da me. Aveva la bellezza formosa di una giovane ventenne che vive in campagna all’aria aperta. Le tette erano gonfie e ferme come il marmo, e probabilmente non si rendeva conto che in città pochissime donne son fatte così. Quand’era quasi nuda, scoprì il vitino stretto stretto che mi aspettavo. I suoi mutandoni finivano sotto le ginocchia e glieli sfilai come un paio di pantaloni. Piegandomi, sfiorai il culo col viso, sentendo profumo di sapone da bucato. La cara ragazza si era fatta un bagno o, più probabilmente, quell’arpia di Veneranda la sapeva più lunga di quanto volessi."Sei una figa." – Le dissi. Arrossì, più per la parola che per la nudità."Gràsie, siór conte…" – Sussurrò ugualmente. E abbassò gli occhi.Andai in bagno a prendere una vestaglia e gliela feci indossare. Le stava così larga che sembrava ancora più deliziosa. Ribussai alla porta di Ortensia ed antrammo."Signora Marchesa," – dissi con pomposità ma a voce non troppo alta, – "Vi presento la mia ancella – che, di Pieve di Soligo – è di certo la più bella. – E’ perché son il più figo – che mi han dato la Novella, – sol che io non prediligo – fare sesso con l’…""Ha ha!" – Scoppiò a ridere Ortensia, atteggiandosi a nobildonna di mondo dandomi volutamente del voi. – "Conte, vi prego! Non fate il poeta…"La povera Novella doveva sentirsi in imbarazzo, e non era questo che volevo. Andai a baciarla sul collo, poi andai a sedermi nella poltrona libera."Novella," – Dissi sull’amichevole. – "Ti ho chiesto di venire qui perché vogliamo fare sesso insieme. Ti vorresti spogliare, per favore? Sei la nostra principale fonte di eccitazione."Dopo un pur minima esitazione, iniziò a slacciarsi l’accappatoio e lo aprì. Quando lo lasciò cadere in terra lentamente, guardai Ortensia per studiarne le reazioni. Ne era visibilmente incantata, d’altronde il giovane corpo di Novella era davvero l’allegoria della slaute campestre e di sicuro lei non sospettava neanche di essere così bella."Ti giri a mostrarle il culo?" – Le chiesi con educazione e rispetto.Lei si girò e mi guardò mentre l’altra le guardava il sedere."Ti puoi piegare in avanti, ora?"Lo fece. Dopo un’eternità di secondi, le feci cenno di raddrizzarsi. Mi alzai."Allora, che ne pensi?""E’… è bellissima." – Non le riuscì di dire altro."Già." – Risposi. – "Però ha bisogno di qualche ritocco."Novella, che le girava sempre la schiena, girò gli occhi verso di me."Bisogna raderla. Se lo facciamo come si deve, diventa una figa di prima grandezza.""Avete ragione." – Disse Ortensia sintonizzandosi con me. – "Avete l’occorrente per farlo?""E’ quello che volevo suggerire. Novella, sei d’accordo?" – Ma mi guardò interrogativa senza proferire parola.Mi spiegai meglio. – "Puoi alzare le braccia?"Le alzò sopra la testa."Ecco. Vedi?" – Le indicai le ascelle. – "Qui, una donna giovane e bella come te non dovrebbe avere un solo pelo.Si guardò un’ascella, poi mi guardò ed annuì."E qui, il pelo non può andare oltre il triangolo di Venere. E niente pelo qui sulle cosce, anche se è poco come questo." – Misi una mano tra le cosce e lei divaricò leggermente le gambe docilmente. Le toccai il pelo indicato con l’esterno delle dita. Poi mi rivolsi ad Ortensia. – "Il pelo sul sesso com’è, visto da dietro?"Ortensia si avvicinò, io feci chinare nuovamente Novella e mi portai dietro a guardare."Qualche ritocco va fatto anche qui." – Dissi, col tono dell’esperto. – "Raddrizzati pure Novella. Venite entrambe in camera mia."Andai in bagno e presi degli asciugamani. Li portai ad Ortensia. – "Per favore, mettili sul mio letto e facci sdraiare sopra Novella. Io preparo il sapone e il rasoio."Presi la tazzina di alluminio del sapone da barba e vi versai un po’ d’acqua. Presi il pennello ed iniziai a mescolare fino a sollevare una densa schiuma bianca. Poi presi il mio rasoio e lo passai ripetutamente sulla striscia di cuoio per fargli il filo. Quindi lo immersi nel disinfettante e lo lasciai là. Tornai in camera con il sapone e il pennello. Ortensia aveva fatto sdraiare Novella pancia in su con la testa su un cuscino e le gambe divaricate e raccolte in modo da esporre bene il sesso."Prima facciamo le ascelle." – Dissi. – "Novella, mettiti su un fianco, per favore." – Lo fece. – "Ortensia, me la insaponi tu, mentre vado a prendere il rasoio?""Certo." – Ed iniziò ad insaponarle l’ascella destra con piacere.Novella, superato un primo impatto dovuto al freddo della schiuma, iniziò a rilassarsi sotto le piacevoli penellate di Ortensia, la quale ci provava davvero gusto. Tornai col rasoio in mano, ma dovetti attendere qualche minuto prima che Ortensia smettesse di spenellare.Mi avvicinai e presi il braccio di Novella per tenerla ferma. Poi tolsi la schiuma con rovescio del rasoio, quindi iniziai a radere. Con pochi colpi fatti con esperienza e leggerezza, la rasai completamente. Passai con lasciugamano e quindi andai a prendere il disinfettante a pompetta. La spruzzai un paio di volte e lei sobbalzò. Soffiai per rinfrescarla, quindi la pregai di girarsi. Ortensia non si fece pregare per spenellare l’altra ascella. Stavolta, invece che tenermi per il braccio, mi tenni alla tetta con la mano sinistra. Era talmente soda e piacevole che l’uccello mi si mosse molto volentieri. Finii in fretta, pulendo per bene tutto l’incavo dell’ascella. Spruzzai anche qui con il dopobarba e lei gemette finché non soffiai per alleggerire il bruciore.Eravamo giunti al dunque. Senza attendere disposizioni da me, Ortensia iniziò a spenellarle il pelo inguinale in lungo e in largo. Ogni tanto intingeva il pennello nella scodella del sapone, poi riprendeva. Pian piano Novella sembrò prenderne gusto, e quando mi avvicinai era eccitata e ansiosa. Pulii la parte da radere con il rovescio del rasoio, quindi misi la mano sinistra sull’interno della coscia sollevata ed iniziai con delicatezza a radere passando il rasoio dall’alto in basso fino alla piega inguinale. In poche passate la pelle era liscia e pulita. Ripetei lo stesso lavoro dall’altra, solo che stavolta Ortensia volle metterci mano e mi tenne lei la delicata pelle della coscia. Passai piano anche quella parte, sicché mi rimase da decidere cosa fare del pelo posto a protezione del sesso."Radetela tutta." – Disse Ortensia, sorprendendomi."Tutta? Anche i labbri della vulva?""Tutta. Se ci riuscite.""No, tutto non si fa. Può farle male.""Date qui a me.""L’hai mai fatto?""No.""Allora non ti lascio.""Su, date qua."Titubante glielo passai, e lei iniziò a radere piano il pelo circostante la vulva. Quando rimase la criniera sulla fessura, andò a prenderre una forbice in camera sua e tagliò quanto rimasto."Basta così?" – Chiesi. Novella non diceva niente, era solo docilmente disponibile a tutto."Mettiti carponi, Novella." – Ordinò. Ma la ragazza non capiva cosa volesse dire carponi."Mettiti a quattro gambe, alla pecorina." – Precisai. Allora capì e si mise come un cagnolino."Abbassa la testa alle ginocchia." – Continuò Ortensia. E lei obbedì ancora.Ortensia riprese il pennello ed iniziò a insaponarle la parte più bassa della fessura del culo, il tratto delicato e sensibile posto tra i due orifizi. Quando finì di chiese di andare avanti.Presi il rasoio, tolsi il sapone e con la massima delicatezza che potevo trovare, iniziai a raderle quel pochettino di peli esistenti in quel punto."Va bene così, signor conte?" – Mi chiese alla fine Ortensia, ricordandosi che l’avevo fatta radere anch’io così."Beh, io la vulva l’avrei lasciata coperta…""Io, come vedete, no.""Bene, Novella. Ora sei a posto. Contenta?"Novella si rimise a sedere e si guardò. – "Sì, grazie, signor conte. Posso pregarvi di una cosa?""Dimmi.""Potete non spruzzarmi il disinfettante qui in mezzo?""Come? Ah, no. Mi spiace, ma devo farlo. E’ una questione igienica.""No, vi prego." – Mi si strinse supplichevole."Soffieremo in due, ma dobbiamo farlo. E’ una questione sanitaria. Rimettiti giù, fai la brava dai. Forza!"Malvolentieri si girò sul fianco e rimase così, come se in quella posizione avesse sofferto di meno. Presi il nebulizzatore e spruzzai una sola volta con forza sulla vulva. Provò a cacciare un urlo, ma le impedimmo di urlare mettendole una mano sulla bocca. Poi soffiammo entrambi. Il bruciore passò subito, anche se la parte era oggettivamente arrossata. Si placò e si lasciò alzare."Stammi a sentiire." – Le disse Ortensia. – "Ora tornerai di là in camera mia, dove cercheremo di fare sesso in tre. Tu, però, non puoi essere montata dal signor conte perché gliel’ho proibito…" – Aveva fatto bene a non spiegare le ragioni della non voluta promisquità. Non le avrebbe capite, e comunque non la avrebbero interessato. – "Seguimi."Si alzò e seguì Ortensia. Io avevo già messo via gli attrezzi da barba e le raggiunsi presto."Tuttavia," – sentii proseguire Ortensia – "il signor conte ti monterà l’ultimo giorno, quando io me ne sarò andata. Sta bene?""Sì, signora marchesa.""Perfetto. Adesso, io e il signor conte ci sdraiamo nel letto e tu ci baci i due sessi. D’accordo? Devi eccitarci il più possibile. Quando poi ci vedrai accoppiare, ti alzerai e, in silenzio, te ne andrai."Contrariamente a me, Ortensia non chiedeva ma ordinava. D’altronde, Novella aveva capito benissimo e non aveva offerto obiezioni. Mi tolsi la vestaglia e mi sdraiai nudo sul letto vicino ad Ortensia. Novella, dopo di noi salì anche lei, mettendo un ginocchio tra le gambe mie ed uno tra quelle della mia compagna. Poi iniziò a fare il suo dovere. Era l’una di notte. Socchiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dalla sua lingua.Prima mise in sollecitazione il mio pene, poi passò ad Ortensia, che certamente non aveva mai subito una tale attenzione neanche da una donna. Infatti, sentii subito le sue parole incontrollate, con le quali rifiutava, voleva, fermava, sollecitava, mugugnava e infine urlava di piacere. Io mi misi a guardare la scena, palpando la natica compressa di Novella rannicchiata e girata verso Ortensia. Quando questa venne senza pudori, Novella tornò a me. Me lo fece rizzare nuovamente, poi prese la mano della mia compagana e gliela guidò come per suggerirle il modo di proseguire. Ortensia si mosse e l’altra scivolò fuori dal letto. Ci guardò mentre l’altra saliva su di me e mi prendeva a smorzacandela. Poi uscì lasciandoci soli. Ortensia saltò finché non venne di nuovo, quindi si rimise di lato, pancia sotto. Allora le andai sopra io e la montai da dietro. La sbattei tenendomi alle tette e, mentre gliele strizzavo a dovere, venni per la durata di qualche minuto.Quando finì l’ejaculazione, sgattaiolai fuori dal letto, la coprii con un lenzuolo e me ne andai a dormire in camera mia dopo aver chiuso tutte le porte.L’ultimo giorno, Ortensia mi confidò che aveva buoni motivi di credere di essere rimasta incinta, perché ne aveva i sintomi che il medico le aveva descritto. Capezzoli induriti, tette più sode, indolenzimento delle ovaie ed altre cose che infondono alla donna la certezza dell’avvenimento. Decidemmo di non scopare più e studiammo il modo migliore per lasciarci senza troppo coinvolgimento emotivo. Era la mattina del decimo giorno. Discutendone, mi chiese di spogliarmi e mi fece un pompino."Non è per ringraziarti." – Precisò iniziando. – "Voglio che ti ricordi di me così. Quando mi hai conosciuto non avevo la minima esperienza. Grazie a te, ho imparato a godere e ti dovrebbe essere grato per questo questo anche mio marito."Compresi cosa intendesse dire e sorrisi provando un certo senso di amarezza per un amore che stava finendo prima ancora di essere nato, e di un figlio che inaspettatamente mi sarebbe mancato prima ancora di averlo perso.Quella sera mi chiese di sodomizzarla, com’era nei patti."Non sei obbligata a farlo." – Le dissi con dolcezza."Sei stato tu ad obbligarti. E’ l’ultima cosa che mi manca. Io, da sola, proprio non saprei neanche come…""Mettiti pancia sotto, come sai."Una volta messa in posizione, io le misi un dito nella vagina per stimolarla e lubrificarla. Poi l’avevo penetrata più volte col dito bagnato, per prepararla gradualmente. La penetrai brevemente anche di pene per lubrificare anche il menbro, quindi mi ero portato sull’ano e le avevo chiesto di aiutarmi. Col suo aiuto la penetrai prima col solo glande e poi, vedendo nel suo sorriso l’autorizzazione a procedere, lo spinsi piano ma fino in fondo."Non occorre che accavalli le caviglie." – Sussurrai. – "Anzi, tieni i talloni dei piedi divaricati, ché stai più comoda.""Inculami." – Si limitò a rispondere.La sbattei così finché non venne. Venni anch’io, sempre tenendomi alle tette come piaceva a dutt’e due.La mattina dopo bussò alla mia porta Novella."Mi manda la signora Ortensia." – Disse la cameriera. – "Mi ha ordinato di infilarmi nel vostro letto."Si spogliò ed io, assonnato, le feci posto. Rimasi lì in dormiveglia a godermi il calore che Novella mi trasmetteva con il suo corpo nudo vicino al mio. D’un tratto mi ricordai che Ortensia sarebbe partita di lì a poco, e balzai fuori dal letto. Mi misi la vestaglia e corsi in camera sua. Era vuota ed il letto era già stato rifatto. Corsi al piano di sotto, ma c’era solo una cameriera che mi attendeva per dirmi che le signore erano partite. Nessun altro messaggio per me. Aveva voluto evitare l’addio.A mezzogiorno era venuto a prendermi il mio cocchiere, e la sera ero già tornato ad Altivole. Provavo una certa intima depressione dentro di me, e compresi che l’avventura mi avrebbe segnato la vita. Ero tornato a casa con la volontà di sposarmi. Al più presto.E non ci volle molto per scegliere. Sposai la mia giovane amica ventenne Olga, figlia dei Carraro. A quel punto, pensai ironicamente, che le venisse dato il titolo nobiliare o meno, non aveva importanza. Lei sarebbe divenuta la contessa Olga Alvisi.Capitolo settimo.Erano passati anni dall’avventura particolare con Ortensia, e quindi anche dal mio matrimonio. Io amavo mia moglie Olga, ma avevo atteso cinque anni prima di avere figli, perché dall’epoca dell’incontro con Ortensia avevo avuto molti incarichi che mi avevano portato in giro per l’Europa, forse perché conoscevo molte lingue europee, o forse perché qualcuno a Roma mi amava, chissà… Mia moglie era quasi sempre venuta con me, del resto avevamo convenuto che solo quando fosse rimasta incinta si sarebbe fermata.La mia vita era cambiata completamente ed il sesso aveva assunto un aspetto secondario. Ovviamente, avevo letto le Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo perché mi ricordava Ortensia, scoprendo che gli editori in un primo momento lo avevano intitolato Le confessioni di un Ottuagenario, per paura che ne venisse attribuito un significato politico… Anche questo ruolo degli editori nella letteratura lo avevo scoperto grazie a lei.Ma avevo letto anche I Miserabili di Victon Hugo, solo perché sentivo che Ortensia li aveva letti di sicuro per via della lotta sociale che l’autore aveva affrontato, sia pur in modo decadente anziché realista.E se il salone principale della villa da tre secoli ospitava il Tintoretto di famiglia, nel salotto verde aveva trovato posto un quadro di Giovanni Boldini, maestro dei Maccchiaioli.Ma anche nel Paese erano successe un sacco di cose da allora.Quello stesso 1872 era morto Mazzini. Nel 1878 era morto Vittorio Emanuele II e nello stesso anno era morto anche Pio IX. Ma in quell’anno c’era stato un fatto deleterio, il Congresso di Berlino che affidava all’Impero Austro Ungarico la Serbia; non che la cosa mi riguardasse da vicino, ma le risoluzioni unilaterali puzzano sempre di guai. L’anno dopo venne inventata la lampadina, destinata a cambiare la vita notturna dei cittadini, ma fu anche abolita l’infame tassa sul macinato che colpiva indistintamente nobili e contadini. Nel 1882 si allargò l’elettorato ma, si badi bene, le donne ne rimasero fuori. Sempre nel 1882 Muore Garibaldi. Gli Italiani non lo sapevano, ma il generale era in esilio all’isola di Caprera dal 1970, quando era sceso in armi a favore della Francia schiacciata dalla Prussia (per la cronaca, era stato ancora una volta l’unico a vincere una battaglia dalla parte dei Francesi) lo Stato Italiano non aveva gradito l’iniziativa in un momento in cui approfittava della debolezza francese per entrare a Roma. Nel 1887 a Parigi si tenne il primo (e probabilmente ultimo) Salone dell’Automobile e l’anno dopo, cosa ben più interessante, inaugurarono il Moulin Rouge. Vi ero andato anch’io: fantastico!Pensate che nel 1995 i Lumière presentarono la prima ripresa cinematografica; io non l’ho vista mai perché, francamente, non ho capito in cosa si differenzi dalla fotografia. Nel ’99 Marconi inventava il telegrafo senza fili e, dulcis in fundo, avevo appena saputo che in America qualcuno aveva addirittura "volato" con un mezzo più pesante dell’aria.Insomma, era il 1903 ed era ormai evidente che la povertà sarebbe scomparsa del tutto e che di guerre non se ne sarebbe parlato più. L’unica incognita provenita dagli scienziati: che cosa avrebbero fatto, ora che era stato scoperto ed inventato tutto?Un periodo epico per l’Europa che entrava in quella fase che i nostalgici fin d’ora chiamano Belle Époque per via della gaia spensieratezza con cui finalmente convivono nobili e borghesi.Per la verità, non mi era sfuggito che il periodo di ottimismo positivista coincideva con la scomparsa dei protagonisti del Risorgimento italiano.Tra le altre cose, i miei ricchissimi suoceri, Baroni Carraro, avevano riconvertito la loro produzione industriale (prima fabbricavano locomitive e ferrovie) al settore navale e bellico. Con la pace che si stava consolidando, avevo pensato lì per lì, hanno imboccato la strada sbagliata.Io avevo seguito gli eventi recandomi per lunghi periodi a Berlino, a Vienna, a Trieste, a Parigi e a Roma. Certamente mi ero dimenticato di Ortensia e di tutta la fase della mia vita che l’aveva preceduta e, anche se a Berlino la notte mi attardavo con le attrici del cabaret e a Parigi gradivo passare le serate con le ballerine, non ero più il Dongiovanni di una volta. Amavo la famiglia, tanto che nel 1880 avevamo avuto una bellissima bambina, che battezzammo Ortensia.Solo un fatto aveva turbato la mia tranquillità interiore. Nel 1883 lo scandalo della Banca Romana aveva fatto tremare l’economia del Paese. Credo che l’Italia sia stata l’unico Stato al mondo in cui furono stampate banconote false a corso legale, ma tant’è, il nostro è uno strano Paese. Sta di fatto che la Banca Romana, uno dei tre Istituti di emissione italiani (gli altri due erano il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia) aveva stampato cartamoneta senza l’autorizzazione del Governo. Il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti venne licenziato dal re Umberto Primo, che mise al suo posto Francesco Crispi. Una scelta sciagurata, perché l’uomo era il più brutto rettaggio del Risorgimento e si comportò letteralmente alla garibaldina. Ma non era l’aspetto politico che mi aveva sconvolto, quanto le ripercussioni giudiziarie. Giolitti aveva dovuto riparare in Germania per evitare l’arresto, ma un Senatore del Regno era stato arrestato benché si dichiarasse innocente. Lo lessi su "Il Gazzettino".Era il Marchese di Moncalieri, 73 anni, Senatore praticamente da sempre, amico personale del defunto re Vittorio Emanuele Secondo. Era stato presidente di molte commissioni parlamentari, la più importante delle quali era stata quella per il Controllo del Tesoro e delle Finanze. Era a causa di quest’ultima poltrona che si era trovato nei guai, in quanto non era riuscito ad intuire ciò che gli stavano facendo sotto il naso. L’accusarono subito di complicità.Era chiaro per tutti che con la salita al trono di Umberto Primo, gli ex collaboratori fidati del defunto re sarebbero stati allontanati in fretta. Lui non aveva accettato di ritirarsi e così, alla prima occasione, il re si era disfato di lui. A me era simpatico Garibaldi ed antipatico Umberto Primo. Ma mi rendevo conto che per il bene del Paese (e, per quanto paradossale, anche per l’unità effettiva d’Italia) era meglio dare un taglio al passato risorgimentale e costruire la nazione in pace.Stavo ragionando su queste cose, quando in quinta pagina del Gazzettino vidi la foto del Senatore Ferruccio Marchese di Moncalieri ritratto con la moglie ad una cerimonia ufficiale. Aveva una fronte alta con i capelli tra il grigio e il nero, pettinati all’indietro un po’ al vento, uno sguardo reso fiero dagli importanti lunghi baffi ed un piccolo pizzetto sopra il mento. Portava un austero vestito attillato nero a doppio petto, la camicia bianca a colletto alto, chiuso da una cravatta con nodo simmetrico e spilla. Al suo fianco c’era la moglie Elena Valda marchesa di Moncalieri. Molto più giovane del senatore, uno sguardo volutamente infantile, i capelli raccolti dietro ed un ricciolino che le rallegrava la fronte. Il vestito, ricco di ricami, aveva un colletto alto con una catenella ed una croce d’oro. Subito non m’accorsi, ma d’un tratto venni assalito dal batticuore. Sua moglie era la mia dolce, cara e amata Ortensia.Lessi a fondo l’articolo che lo riguardava ed ebbi la conferma che aveva un figlio maschio di 8 anni. Si chiamava Marco ed era ovviamente all’oscuro di tutto perché, fortunatamente, era in un collegio a Londra.L’indomani, giunto in ufficio, mandai telegrammi a destra e a sinistra per avere qualsiasi notizia in merito al Senatore. Ma il risultato fu solo che una settimana dopo si era presentato da me un funzionario dei servizi di sicurezza del Ministero del Tesoro. Si era presentato senza essere chiaro nel nome, ed io non insistei per saperne di più. Mi chiese senza preamboli la ragione del mio interesse per il Senatore."Sono un sostenitore di Giovanni Giolitti." – Mentii. Era la cosa che mi era venuta in mente lì per lì, ma non era poi lontana dalla verità."Lo immaginavo." – Mi rispose, mentendo anche lui. – "Io sono stato mandato da voi, signor conte, per invitarvi a disinteressarvi del Senatore Ferruccio marchese di Moncalieri.""E’ una richiesta ufficiale?" – Chiesi alzandomi in piedi."No, signor conte. La richiesta viene dal marchese in persona."Si era alzato in piedi anche lui, ma il sorriso che aveva era del tutto disarmante, come il messaggio che aveva pronunciato."Il Senatore vi ringrazia, ma vi chiede cortesemente di non interessarsi più di lui. Per quanto possa sembrarvi singolare, signore, voi siete l’unico al di fuori della cerchia familiare che non ha preso le distanze dal Senatore, eppure mi chiede di consegnarvi questo messaggio orale: "Va tutto bene, conte Alvisi. La mia famiglia non ha problemi né finanziari né di status. La giustizia renderà onore alla mia persona."""Ed è vero?" – Chiesi al mio interlocutore, anche se il messaggio l’avevo recepito."La famiglia non ha davvero problemi né finanziari né di status.""Non intendevo questo.""Ma questo è quanto sono stato autorizzato a rispondervi. La vostra domanda era stata prevista, conte Alvisi. Posso rassicurare in merito il Senatore?"Andai alla finestra e pensai velocemente al mio passato. Poi mi girai verso di lui, ma non c’era più.Non me ne interessai più ufficialmente, ma lessi i giornali tutti i giorni, finché non si parlò più del Senatore di Moncalieri.Io però non mi ero fermato. Agendo con l’aiuto di alcuni funzionari che mi ero fatto in amicizia in diplomazia, ero riuscito a scoprire che in realtà avevano posto sotto sequestro tutti i beni del senatore di Moncalieri. Difficilmente suo figlio, l’anno successivo, sarebbe potuto tornare nel collegio di Londra. Presi una decisione.Andai dai miei suoceri Baroni Carraro e dissi loro che il marchese di Moncalieri era in difficoltà. Il marchese, spiegai, era il Senatore che si era adoperato per far loro il titolo di baroni. Era giunto il momento di sdebitarsi."Quanto?" – Aveva chiesto pragmaticamente Alvio."Niente soldi. Dovresti solo sostituire le garanzie reali provenienti dal sequestro dei beni di famiglia dei Moncalieri con altre di natura finanziaria.""Con una fidejussione, insomma.""Esatto.""Rischi?""Ce ne sono sempre, quando si appone una firma, ma ho validi motivi di ritenere che verrà scagionato e riabilitato.""Quanto?" – Ripeté."I beni ammontano a 170 milioni di Lire. E’ troppo?""Prepara le carte.""Alvio, io…""Sono certo di non perdere una Lira e comunque mi rifarò con lo Stato, non preoccuparti. E’ il mio cliente migliore."Il marchese venne scarcerato poco dopo per motivi di età e di salute. Tuttavia, solo nel 1892, quando Crispi venne sostituito per due anni dal rivale Giolitti, il marchese di Moncalieri venne riabilitato, ma non reintegrato in Senato. Crispi ritornò nel 1893, e la famiglia venne nuovamente congelata al di fuori delle istituzioni. Solo nel 1996, quando Crispi venne spazzato via in seguito alla disfatta di Adua, in Ertitrea, le cose cambiarono, ma ormai il Senatore era morto da due anni. La famiglia, che orgogliosamente aveva tenuto testa agli attacchi della monarchia, venne riabilitata dal Presidente Antonio Di Rudinì, che aveva sostituito Crispi, per i meriti che aveva avuto proprio nella vicenda dello scandalo della Banca Romana.Era dunque saggia la tradizione della mia famiglia, che voleva il totale disinteresse per la politica…I Carraro riebbero la loro fudejussione senza danni e vennero insigniti del titolo di Conti, stavolta per mio interessamento personale.Dimenticai nuovamente Ortensia… Elena, voglio dire.Epilogo.Ero da solo nel mio studio verde del piano terra. Stavo seduto nella poltrona davanti alla mia scrivania come se fossi il cliente anziché l’avvocato. Fumavo un sigaro guardando i libri della mia biblioteca, come per cercare anche in loro i consigli di cui avrei avuto bisogno tra pochi minuti. Fuori c’erano delle persone che mi stavano a cuore, con le quali avrei dovuto affrontare una brutta storia. Proprio brutta, al punto di farmi fumare un sigaro poco prima di cena. Anzi, ora mi sarei anche versato un whisky.Bussò mia moglie alla porta. Entrò."Ciao, caro." – Posso far servire la cena?""Aspetta un momento. Entra, chiudi e mettiti a sedere."La colsi un po’ di sorpresa. In altre circostanze sarebbe venuta a sedersi sulle mie ginocchia, ma stavolta andò a mettersi sulla mia poltrona. Ora era lei l’avvocato ed io il cliente. Tra un po’, anzi, lei sarebbe divenuta il giudice ed io il condannato. Fuori c’erano delle persone alle quali avrei creato un dolore enorme, cosa che non avrei mai voluto fare in vita mia. Eppure dovevo. Lo scaricabarile era finito lì.Io avevo ormai 58 anni, lei 48 ed era ancora una bellissima donna, pazza come sempre di me. Povera, per prima dovevo informare proprio lei.Mia figlia Ortensia aveva frequentato l’università a Padova, come me. Ora aveva 23 anni ed era al quinto anno di medicina, dove l’avevamo iscritta a sua richiesta sfidando gli scandali del mondo accademico maschile. Aveva conosciuto un ragazzo di 28 anni per caso, proprio a Padova a casa dei nonni Carraro, nel corso di un ricevimento. L’aveva conosciuto e se ne era innamorata subito. E lui, a sentire Ortensia, aveva perso la testa per lei. Insomma si volevano sposare. Cosa di meglio per due genitori che come noi avevano avuto l’amore come portante della propria vita?E così Ortensia era venuta a casa nostra quella sera con il suo innamorato per avere la benedizione mia e di sua madre sul loro fidanzamento.Fu quando me lo presentò che barcollai, come se avessi preso una tegola in testa."Piacere." – Mi aveva detto. – "Sono Marco di Moncalieri."L’umiltà e l’eleganza con cui aveva evitato di pronunciare il suo titolo nobiliare non fece che aggravare la mia vacillante situazione mentale. Avevo chiesto scusa accusando un giramento di testa e mi ero ritirato nello studio verde.Ora, davanti a me c’era mia moglie. Le avevo appena raccontato tutto."E così, mia cara Olga," – conclusi il mio raconto, – "i sogni prima o poi muoiono. Tutto è avvenuto prima del nostro matrimonio, ma ora so che dovevo dirtelo subito." – Mi alzai ed iniziai a camminare col sigaro in bocca. – "E il peggio è ancora da arrivare. Ora devo dirlo a quei due ragazzi là fuori, che non hanno nessuna colpa. Dio voglia solo che non abbiano già fatto l’amore!""E il peggio sta davvero per venire." – Disse sottovoce Olga. – "Ma non sei tu quello che deve parlare. Perché sarai tu che dovrai perdonare me, Matteo.""Cosa vuoi dire, cara?" – Chiesi pietosamente. – "Tu non c’entri.""C’entro, c’entro, Matteo. Perché vedi, io invece, ero sposata."Non riuscii a capire cosa volesse dire. Quando era sposata? Cosa diavolo? Mi sentii pian piano gonfiare il petto dall’emozione, certo che avrei fatto un infarto letale, perché stava montanto dentro di me quello che un po’ alla volta andava a delinearsi come una verità imponente e devastante come un macigno che sta rotolandoti addosso."Vuoi dire…" – Dissi additandola con l’indice.- "Vuoi dire che tu, che nostra figlia, che tua figlia non è… Vuoi dire che io non sono il padre?"Non rispose, schiacciata dalla mia irruenza emotiva."Parla! Dimmi la verità donna!" – Urlai a pieni polmoni.Lei capì che l’avrei uccisa e si mise in ginocchio.Io, inferocito, mi misi sopra di lei e sempre con il dito puntato urlai ancora. – "Dimmelo, donna! Parla! Ammetti che mi hai tradita e che Ortensia non è mia figlia, Signore Iddio onnipotente!"Si mise il viso fra le mani e scoppiò in lacrime."Non ho sentito la risposta!" – Urlai ancora.Lei, tra le lacrime sussurrò: – "Sì, è così… Non è tua figlia, perdonami!"Dopo un attimo di paralisi, mi chinai e la feci alzare. Le alzai il viso e volli che mi guardasse in faccia. – "Grazie, Olga. Quanto è vero Iddio, Grazie davvero!"Spensi il sigaro nel whisky e l’abbracciai stringendola fino a farle male. Non aveva capito un cazzo, ma non ebbe il tempo di ripulirsi le lacrime prima che la trascinassi fuori."Annamaria!" – Gridai all’ultrasettantenne governante. – "Di’ a Novella di servire in tavola e tu va’ a prendere il vino migliore che c’è. Oggi è grande festa per tutti!"Quella sera concessi il fidanzamento ai due giovani, i quali mi abbracciarono dalla gioia. Poi chiamai in disparte il futuro sposo per scambiare due parole da uomo a uomo. Andammo nello studio verde e ci sedemmo. Gli offrii un sigaro, ma lui rifiutò cortesemente."Bene, Marco." – Esordii. – "Hai già fatto l’amore con mia figlia?"Scattò in piedi. – "Ma signor conte, io…""Chiamami Matteo.""E’ una formalità… Mi hanno insegnato…""Beh, fa’ finta che io sia tuo padre e dammi del tu.""Ma, signor conte, io a mio padre davo del voi!""Ragione di più per dare del tu a me. Tuo padre non c’è più?" – Fingevo di non saperlo."E’ morto a 85 anni. Era un gentiluomo." – Si limitò a dire. – "Amava la mamma e me come nessuno al mondo."Mi sentii stringere il cuore. – "E’ stato fortunato ad avere una moglie come tua madre." – Era ovvio che non sapeva nulla di cosa fosse successo tra me sua madre e suo padre. Tanto meglio. – "Ne hai parlato a tua madre di questo fidanzamento?""No. Volevo prima sapere che cosa ne pensavate voi.""Ripeto, dammi del tu.""Dicevo te e la tua signora." – Dialettico, come suo padre."Bene. Glielo scriverai?""No. Se mi autorizzi, la porterò a Roma con me e gliela presenterò. Le farò una sorpresa.""Bravo." – Avevo tutto il tempo di inviare ad Ortensia un telegramma, seguìto da una lettera, per impedirle di svenire alla notizia."Ripeto: dormiste insieme?""Ma, conte Matteo, perché continuate a dubitare di me?""Perché ti conosco. E dammi del tu."Va da sè che io non affrontai mai con Olga la vera paternità di nostra figlia Ortensia. Mi limitai a fare dentro di me le dovute considerazioni sull’idea presuntuosa che mi ero fatto di una moglie pazza di me. Il mio etico disinteressamento avrebbe potuto ferirla, ma ritenni che ogni approfondimento ci avrebbe solo allontanato di più, mentre ora – per quanto apparentemente assurdo – io finalmente l’amavo. La colpa era mia; per me lei era sempre rimasta la mia nipotina, mentre lei mi aveva amato dal primo giorno che mi aveva conosciuto. Se non l’avevo amata come avrei dovuto, ora anche lei aveva capito il perché.La Natura è una vera figlia di puttana. Fa e disfà, dà e toglie, prende e regala nel modo e nel momento che meno ti puoi aspettare.Alla vigilia del matrimonio, che sarebbe avvenuto nella nostra villa di Altivole, io dovetti dare una mano a mia figlia ad organizzarsi perché sua madre era troppo emozionata e riusciva solo ad alimentare la confusione. Ero in camera di mia figlia, e lei stava davanti a me in biancheria intima. La guardavo con occhio critico. Era iniziato il ‘900, ormai si usavano le calze di seta e quindi i mutandoni erano scomparsi. Con corpetto e reggicalze sembrava una ballerina del Moulin Rouge. – "Sei bellissima." – Ammisi. – "C’è qualcosa che vuoi sapere sul rapporto tra marito e moglie?"Sorrise. – "E tu ti sentiresti in grado di insegnarmi qualcosa?""Beh, credo di avere più esperienza di te, non ti pare?""Volevo dire: te la senti davvero di parlarmi di queste cose la vigilia del mio matrimonio, quando per 23 anni non mi hai detto niente?""Prima del matrimonio queste cose non dovevano interessarti per niente!" – Mentii, dato che in realtà io ero stato molto liberale in proposito. E se davvero non aveva mai fatto l’amore finora, era solo perché non le era andato di farlo. – "In ogni modo, qualcosa, come padre, devo dirtelo. Tu hai idea di come si faccia l’amore, più o meno?""Più o meno, lo so.""Bene." – Dissi mettendomi le mani dietro la schiena, come se stessi per inziare una lezione. – "Devi sapere che l’amore si fa in dieci modi diversi. Se l’uomo non li conosce, devi prendere l’iziativa tu. Per gradi, così il suo interesse per te rimane vivo.""Papà, io ne conosco almeno tredici…""Tredici? E chi te li avrebbe insegnati, figlia degenere?""Marco, papà. No… fermati un attimo, papà ti prego! Non l’abbiamo mai fatto, lo sai, ma ne abbiamo parlato. Domani ci sposiamo… E, credimi, le posizioni di base sono quattordini. Le abbiamo contate. Ti basta?"Cambiai discorso. – "Puoi alzare le braccia?"Le alzò, scoprendo un attimo le ascelle mostrando così un ciuffetto di pelo che non si addiceva proprio all’occasione."Spogliati, per favore. Ora ti rado."Lo dissi in modo così convincente che si tolse in fretta busto e reggiseno. Io avevo preso velocemente dal mio bagno la tazza del sapone. La spennellai a dovere e in pochi minuti la depilai come ci si aspetta da una sposa il giorno delle nozze. Lei si guardò allo specchio e mi ringraziò per la tempestività che avevo avuto."Ora togliti le mutandine." – Dissi, cercando di prevenire col tono eventuali imbarazzi."Non ce n’è bisogno." – Rispose. – "Già fatto.""Già fatto cosa?""Mi sono rasata.""Hai fatto cosa?""Mi sono rasata." – Rispose. Stava per farsi vedere, ma la mia reazione l’arrestò. – "Perché me lo chiedi in questo modo, papà?""Ma come diavolo ti può venire in mente? Ti ricordi del pelo puberale, ma non delle ascelle?""Me l’aveva suggerito sua madre.""Ortensia?""No, Elena.""Già, scusa. Elena.""Una sera mi aveva detto a tu per tu che una vera signora si rade il sesso, il giorno delle nozze.""E tu?""Ed io ho pensato che l’avesse detto per fare una cosa gradita a suo figlio.""Com’è Ortensia?" – Le chiesi cercando di mascherare un sospetto interesse."Si chiama Elena, papà. Ortensia sono io. E’ una bellissima donna. Mi ha accolto come se fossi sua figlia. La vedrai domani. Mi ha già detto che ho due genitori fantastici, anche se non vi conosce neanche…""Già." – Dissi. – "Non ci conosce neanche…""… Ma mi auguro che la troviate fantastica anche voi."L’indomani mattina, i ragazzi e le ragazze delle famiglie dei miei contadini erano vestiti da cocchieri, camerieri, cuochi, sottocuochi, baristi, guardie… Era il giorno del matrimonio della figlia del loro Signore e sapevano che il regalo migliore era quello di far funzionare il ricevimento alla perfezione. Io avevo fatto un giro di controllo con la vecchia e fidata Annamaria, la quale ora diceva che mi aveva visto nascere e che Novella mi avrebbe visto morire. Nel frattempo, quindi, dovevo imparare a controllare Novella e mi portò a verificare se aveva fatto lavare le mani ai camerieri, se aveva fatto mettere il vino in fresca, se le cucine avevano ricevuto le giuste disposizioni rigrardo ai tempi. Novella si era sposata il nostro cocchiere, il quale si era dichiarato disposto ad imparare a condurre un’automobile se mai ne avessi acquistata una.Non guardavo più le donne che giravano per casa con l’interesse di una volta. Il mio desiderio si era placato da tempo. Mi ero accorto con vergognosa soddisfazione che a loro questo era dispiaciuto, ma avevo anche notato che l’avvento di un nuovo maschio giovane in villa le aveva incuriosite un po’. Chissà se mio figlio sarebbe stato abbastanza generoso con loro o se avrebbe voluto riservare il suo aristocratico pene solo per mia figlia… Il paradosso retorico mi fece rendere conto di pensare idiozie.Tuttavia, il culo della giovane Bruseghin che stava raccogliendo un vassoio era di tutto rispetto e mi ripromisi di applicarmi di più non appena dimenticati i fasti del matrimonio. Era ora che il Conte Matteo Alvisi si dedicasse nuovamente alla moglie ed alla vita di società, ora che sarebbe potuto diventare nonno.Checco Chimenti stava guardandomi tenendosi appartato con il suo amichetto di turno. I vestiti di mia figlia, quello di mia moglie e delle damigelle di nozze, li aveva scelti lui.L’orchestrina che avevo fatto venire stava accordando gli strumenti. Stavolta, dopo la marcia nunziale, avrebbero suonato musica moderna. Mi ero personalmente adoperato affinché nel loro repertorio venisse inserito il Can Can. L’avevo visto ballare al Moulin Rouge di Parigi e mi sembrava giusto per gli invitati, gioviale, pieno di vita.
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