Abito in un quartiere popolare all’estrema periferia della città, edifici di sei, sette piani, innalzati a pochi metri uno dall’altro. Alloggio al quinto piano di un condominio ad edilizia popolare in un appartamento di ottanta metri quadrati, tre stanze, cucina e bagno. La gente che sta nel quartiere ha mantenuto intatte le abitudini di un tempo. Nelle sere d’estate gli anziani si ritrovano sulle panchine a chiacchierare e rinvangano i tempi passati. I bambini giocano liberi sui prati e gli adolescenti fanno capannello attorno i motorini scambiandosi chissà quali segreti. Vivo sola nel mio appartamento, prima stavo in affitto un altro stabile insieme a due ragazze, infermiere come me, con cui condividevo l’alloggio. I turni di lavoro e le diatribe sorte nella gestione della casa avevano reso la convivenza impossibile, così ho preferito trovarmi un’altra abitazione. A dire il vero sola non la sono mai. Da un po’ di tempo ho preso l’abitudine di guardare, attraverso le lenti di un binocolo, all’interno degli appartamenti che stanno di fronte alle finestre del mio appartamento. Mi piace osservare i comportamenti dei vicini spiandoli nella loro intimità. Questa passione è iniziata non molto tempo fa, la volta in cui Giancarlo ha portato a casa mia il suo potentissimo telescopio. Appassionato di astronomia mi ha insegnato a riconoscere attraverso lo strumento il sistema solare. A occhio nudo le stelle visibili sono migliaia, ma con l’ausilio di quell’apparecchio il numero aumenta a dismisura, soprattutto quando lo si punta in direzione della Via Lattea. Affascinata da quella scoperta Giancarlo mi ha fatto cosa gradita lasciandomi in prestito il telescopio per alcuni giorni. L’osservazione del cielo e dei suoi pianeti ha occupato molto del mio tempo libero nelle sere successive, perlomeno fintanto che il cielo è rimasto sereno. Una sera in cui la volta celeste è rimasta oscurata dalle nubi ho orientato, casualmente, lo strumento in direzione delle case di fronte al mio balcone e per la prima volta mi sono travata a scrutare nell’intimità di uomini e donne che abitano in quegli appartamenti. Da quella sera il mio passatempo preferito consiste nell’andare a curiosare nelle case altrui, spiando i comportamenti delle persone che le abitano. Dopo che Giancarlo ha ripreso indietro il telescopio ho acquistato un binocolo. Il sistema ottico ha una focale meno potente rispetto al telescopio, ma in compenso è più maneggevole e non ha bisogno di cavalletti di sostegno. Sono scene di ordinaria vita quotidiana o forse di normale follia quelle di cui sono stata spettatrice in questo breve periodo di tempo. Forse lo sono anche quelle che mi appresto a vivere stasera. . Sono le sette di una calda sera d’estate. E’ venerdì, fra poco tornerà a casa l’inquilino che occupa l’appartamento al quinto piano del condominio situato di fronte al mio balcone. E’ da un mese che l’osservo. Ogni venerdì sera assisto al ripetersi della stessa scena. Eccolo, ha aperto la porta di casa e attraversa il lungo corridoio, raggiunge la cucina e posa la borsa della spesa sulla tavola. Lo vedo uscire dalla stanza e fare ritorno dopo pochi istanti. E’ un tipo solitario, non è sposato, ha una quarantina d’anni o poco più. Di mestiere fa l’operaio, l’ho intuito dagli abiti da lavoro che vedo spesso appesi sullo stenditoio del balcone dove abita. Si prepara la cena da solo, come ogni sera, anche se a volte lo vedo tornare a casa con dei cibi preconfezionati che immagino abbia acquistato al supermercato. Questa è una serata particolare: è venerdì. Fra poco inizierà a preparare il suo piatto preferito. Toglie dalla borsa di plastica un grosso melone e lo appoggia sul tavolo, ne valuta la consistenza con le mani ed estrae da un cassetto un coltello da cucina. Lo affonda nella buccia ruvida, circoscrivendo con dovizia e precisione un orifizio del diametro di alcuni centimetri. Il frutto deve apparirgli succoso e profumato, infatti, lo avvicina al naso e lo annusa. Terminata questa operazione si avvicina al forno microonde, apre lo sportello e vi depone dentro il melone. Trascorrono pochi istanti ed estrae il frutto dal contenitore. Il melone deve avere raggiunto la giusta temperatura ed è pronto all’uso. L’uomo slaccia la cintura dei pantaloni lasciando cadere a terra pantaloni e mutande. Raccoglie i vestiti e li depone su una seggiola. Agguanta il frutto con entrambe le mani e infila l’uccello turgido nella cavità del frutto. Il piacere deve inondargli le membra. Lo intuisco dalle contrazioni del volto che appare teso. Ha gli occhi socchiusi, continua a fare scorrere avanti e indietro il melone che tiene ben stretto fra le mani. Procede con quel movimento, senza un attimo di tregua, le pareti morbide e succose del frutto facilitano lo scorrere dell’uccello, non c’è bisogno di nessun altro unguento. Il foro che ha realizzato pare essere della misura giusta. Ogni volta che mi capita di assistere a questo perversione mi eccito anch’io, fino a bagnarmi. E’ talmente innaturale ciò che sto vedendo da sembrare inverosimile. Assisto alla scena nascosta dietro la porta a vetri che immette sul balcone. Tengo accostato il binocolo sul vetro in modo d’avere un punto d’appoggio e non tremare con le mani. Mi domando a cosa stia pensando mentre fa scorrere l’uccello in quel buco, probabilmente immaginerà di tenere fra le mani le natiche di una donna e di stare con il cazzo infilato dentro una fica o nel culo di qualcuna. Trascorrono alcuni minuti: inizia a tremare. Le mani interrompono il movimento. E’ venuto. L’uomo lascia che la sborra scivoli nella cavità del melone senza ritrarsi. Trascorrono alcuni istanti. Sfila l’uccello e si siede a tavola, afferra il coltello, smembra il melone in tante piccole fette ed inizia a sfamarsi col prezioso frutto condito di sperma. Come antipasto alla cena che andrò a consumare fra poco, non c’è davvero male, penso, mentre mi allontano dalla finestra e vado in cucina. Preparo una bistecca ai ferri e condisco l’insalata che sta dentro il tegame. Mentre consumo la cena il telegiornale m’informa della caduta dell’Euro e del rialzo del prezzo della benzina. Sono le nove. Da poco ho terminato di rigovernare la cucina e lavare i piatti. Esco sul balcone ed inizio ad innaffiare i gerani. La mia attenzione si sposta verso il parcheggio delle autovetture. Puntuale come ogni sera, da una settimana a questa parte, arriva Lei. E’ a bordo di una Fiat Ritmo grigia, sudicia, imbrattata di polvere. Ferma l’auto nell’ampio parcheggio del Palasport, spegne il motore e rimane in attesa seduta nel posto del guidatore. Dopo cinque minuti arriva Lui. La sua è una Fiat 127 blu cobalto. Parcheggia l’auto a fianco di quella di Lei. Apre la portiera, si gira sul sedile e dopo aver appoggiato i piedi a terra abbassa pantaloni e mutande. L’uomo è un tipo sulla quarantina d’anni, completamente calvo. E’ obeso. Pare essere non molto alto. La donna, magrolina sulla trentina d’anni, scende dall’auto e si dirige verso di lui. Quando gli è davanti s’inginocchia ai suoi piedi. Senza proferire parola o un cenno di saluto afferra l’uccello nella mano e lo infila in bocca, poi inizia a succhiarlo. I movimenti delle labbra sono rapidi. Per farlo venire velocemente si aiuta con le mani, masturbandolo. I due appaiono scatenati. L’uomo le afferra il capo e lo attira verso di se farcendole ingurgitare quasi per intero l’uccello. La scena si ripete uguale da alcune sere. Dal balcone li osservo col binocolo, Sono affascinata da quello che sembra essere un’incontro furtivo. Non è amore mercenario, probabilmente deve trattarsi di un appuntamento clandestino fra amanti. Accidentalmente mi sono sporta fin troppo sul balcone rendendomi visibile ai loro occhi. Lui si accorge che li sto guardando e grida: – Stronza! Guardona! Scoperta non posso fare a meno di rispondergli a modo mio con tutta la voce che ho in corpo. – Testa di cazzo! Stronzo! Pompinara! La donna eccitata da quella nuova situazione accelera i movimenti delle labbra mordendogli l’uccello. Finalmente Lui le viene in bocca. Lei si rialza, deglutisce in tutta fretta le gocce di sperma e si avvia verso la Fiat Ritmo. Ripartono entrambi, ognuno a bordo della loro auto in direzioni diverse. E’ notte. Gli appartamenti delle case vicine si colorano dell’azzurro catodico delle tivù accese. La serata è calda, afosa. Lascio tende e finestre aperte in modo che l’aria circoli liberamente per casa dandomi un po’ di refrigerio. Mi sono liberata di jeans e maglietta e giro per casa con indosso solo gli slip. Dal congelatore prendo dei cubetti di ghiaccio e li ripongo in un cestello metallico. Apro il portello del frigorifero. In uno dei ripiani ci sta un piatto con dei salsicciotti di carne di suino. Li ho fatti preparare oggi pomeriggio dal macellaio sotto casa, raccomandandomi di farli bei grossi e saporiti. Ne afferro uno: il più grosso. Lo pongo sopra un vassoio insieme al contenitore del ghiaccio e una bottiglia di Coca Cola, poi vado in salotto. La lampada da tavolo illumina il locale. Mi siedo sulla poltrona dinanzi l’apertura che da sul balcone. L’aria fresca della notte porta un po’ di refrigerio. Accendo il televisore e il decoder satellitare. Pigio sui pulsanti del telecomando andando alla ricerca di un canale erotico. Lo trovo subito. E’ uno di quelli che pubblicizzano attraverso immagini hard indirizzi telefonici di ragazze. A quest’ora di notte è quello che mi ci vuole per rilassarmi prima d’andare a dormire. Avrei preferito vedere un film porno, ma questo pomeriggio presa come ero in altre faccende ho dimenticato di fermarmi al negozio di videonoleggio. In mancanza del filmato mi accontento di queste immagini soft per eccitarmi un poco. Sullo schermo si susseguono figure di ragazze più o meno procaci e maschi che se le sbattono in tutte le posizioni. Ho la passerina umida. Sono turbata dalle immagini che scorrono sul tubo catodico. Sfilo gli slip e rimango nuda, semisdraiata sulla soffice poltrona. Da questa posizione osservo il soprassalto del mio pube e guardo le immagini in tivù. I peli della fica, neri e arruffati, formano un triangolo perfetto, come piacciono alla maggior parte degli uomini che amano immergervi le dita per pettinarli. Mi soffermo a guardare i seni. Sembrano abbondanti e sodi come mi succede in questo particolare periodo del mese. Prendo dal contenitore del ghiaccio alcuni cubetti e li passo sui seni strofinandoli. I capezzoli s’inturgidiscono immediatamente. Il respiro mi si è fatto affannoso e il calore del corpo ha sciolto il ghiaccio. Ancora più eccitata continuo ad accarezzarmi i seni. Un piacere innaturale riempie le mie membra e non posso fare a meno di rimirarmi mentre compio i toccamenti. Lascio cadere una mano sul pube fino a sfiorare la fessura della passerina. E’ tutta bagnata. Inumidisco le dita col secreto e sfioro delicatamente il clitoride che sento turgido come il bocciolo di un fiore. Eseguo degli strofinamenti in maniera delicata, ho la sensazione di avere un capogiro. Sono eccitata, terribilmente eccitata. Sullo schermo si susseguono scene di sesso. Turbata dai toccamenti non faccio caso alle immagini che scorrono sullo schermo, prendo dal vassoio il salsicciotto che poc’anzi ho preso dal frigorifero: ormai deve avere raggiunto la giusta temperatura dell’ambiente. Divarico le gambe e lo avvicino alla fessura della fica. Non fatico a farlo entrare. Il salsicciotto risale nella cavità adattandosi alle pareti. Inizio a muovere il rotolo di carne avanti e indietro, delicatamente. Le mucose della passerina reagiscono contraendosi ad ogni passaggio. Lo spingo in profondità, fino a toccare il fondo. Godo come una troia. Più risale e più mi fa godere. Il piacere che sa trasmettermi è simile a quello di un cazzo. Da parecchi giorni ho voglia di essere penetrata da uno vero. Questa sera mi accontento di un surrogato. L’orgasmo arriva come un’esplosione. Prendo a tremare in tutto il corpo inarcandomi con la schiena sulla poltrona. Soddisfatta sfilo il salsicciotto dalla fica e lo infilo fra le labbra. E’ saporito al punto giusto. Sono ghiotta di questo tipo di carne, mi ci vorranno pochi minuti per inghiottirlo tutto. Afferro la bottiglia di Coca Cola e bevo alcune sorsate della bevanda. . E’ ora di andare a letto, questa sera non avrò difficoltà ad addormentarmi. Mi avvicino alla finestra del balcone e prima di chiudere le tende mando un saluto all’inquilino del settimo piano che sta nella casa di fronte. Come ogni sera sarà lì, col binocolo, a spiarmi.
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