– Dimmi figliola… è trascorso molto tempo dall’ultima volta che ti sei confessata? – Una settimana, padre. – Quali peccati hai commesso durante questo periodo? – Beh… innanzi tutto ho mancato di rispetto a mia madre e a mio padre. – Poi? – Ho rubato diecimila lire dal portafoglio di mio padre. – Per farne che? – Mi servivano per fare il pieno di benzina al motorino. – Ah! E poi? – Ho commesso atti impuri. – Da sola o con altri? – Da sola, padre. – Ma dimmi… quanti anni hai? – Diciotto, padre. Appena compiuti! – Quante volte lo hai fatto? – Tre volte, padre… tre volte. – Come lo hai fatto? – Beh! Mi sono masturbata. – Con le dita? Oppure ti sei aiutata con qualcosa d’altro? – No. Solamente con le dita. – Dove lo hai fatto? – Una prima volta in bagno, mentre facevo la doccia. Le altre due volte a letto, poco prima d’addormentarmi. – In precedenza ti era capitato di farlo in altri luoghi? – Beh! Se devo essere sincera ovunque. Al cinema, guardando la tivù, in spiaggia… in ogni luogo in cui mi andava di farlo. – Sei consapevole che la masturbazione è un peccato grave ed è contro natura? – Sì, lo so, padre. Ma e’ più forte di me, non riesco a dominare i miei sensi. Il piacere che provo in quei momenti è un richiamo troppo forte. – Per questa volta ti assolvo dai tuoi peccati ma vedi di non farlo più. Per penitenza dirai dieci Pater, Ave e Gloria. Ora vai. . Dopo quelle parole mi allontanai dal confessionale. Uscendo dalla chiesa inforcai la bicicletta e presi la direzione del centro. Ogni domenica mattina ero solita fare visita a quattro o cinque chiese e in ognuna ripetevo la stessa confessione. La smania di confessare ad un sacerdote o ad un frate i miei presunti peccati, addentrandomi, quando me lo era richiesto, nella descrizione delle tecniche di masturbazione era un’ossessione. Durante tutta la settimana non aspettavo che il sopraggiungere della domenica per svelare a un estraneo le mie fantasie sessuali. Farlo con un sacerdote era divertente e stimolante. Mi eccitavo stando dietro la grata ad ascoltare le loro parole e i consigli che mi davano. Con pruriginosa curiosità cercavano di sapere cosa provavo mentre mi masturbavo. Più m’incalzavano nella richiesta di particolari, più ero portata ad inventare situazioni e circostanze singolari. Se per me la confessione era solo divertimento, non lo era affatto per chi stava dall’altra parte della grata ad ascoltare le mie segrete ammissioni. Specie se gli provocavo un certo turbamento. Alcuni, infatti, non mancavano di manifestarlo in qualche modo. Lo percepivo dal tono della loro voce. Più raccontavo dovizia di particolari, più il tono dei confessori assumeva sfumature e gradazioni confidenziali. Le loro domande si facevano incalzanti e a volte impertinenti. Le mie confessioni li eccitavano, ne ero più che certa. I preti più anziani erano i più ostinati nel fare domande scabrose, per questo li preferivo ai giovani. A volte mi era fin parso che dietro la grata qualcuno di quei prelati si masturbasse. Nel momento in cui avevo questa percezione, mi divertivo a infiorare le confessioni con particolari ancora più scabrosi, fino a rendere le storie inverosimili. Non avevo mai avuto modo di vedere il volto di qualche confessore, se ne stavano nascosti dietro le grate ma poco importava. Ciò che trovavo eccitante era metterli in imbarazzo. Per un anno intero continuai a frequentare i confessionali delle chiese. Poi, forse per noia o perché nel frattempo avevo scoperto il sesso ed iniziato a fare l’amore con qualche coetaneo, abbandonai quel passatempo. . Sono trascorsi molti anni da quelle prime acerbe esperienze. Ho trent’anni e provo uno strano piacere nel raccontare ai miei partner le tecniche che metto in atto mentre mi masturbo. Il loro atteggiamento è pari a quello di quei prelati, l’unica differenza è che mentre gli ecclesiastici stavano nascosti dietro la grata, loro li posso guardare negli occhi. Agli uomini piace farsi raccontare con minuzia di particolari le tecniche dell’autoerotismo, dei toccamenti e le sensazioni di piacere che provo quando tocco la passerina con le dita o con altri oggetti. . Stamani sono andata al lavoro in ospedale, da poco sono tornata a casa esausta e sfinita. Vado in bagno: una doccia rigenerante è giusto quello di cui ho bisogno. A tavola consumo un pasto frugale a base di tonno e insalata, poi vado in camera e mi corico sul letto a riposare. Vengo svegliata dal persistente trillare del campanello della porta d’ingresso. Mi rigiro su letto e cambio di posizione incurante del suono del campanello. Mi rannicchio sotto le coperte con l’intenzione di riprendere sonno. L’insistenza dello squillo mi convince ad alzarmi. Infilo le ciabatte da camera. Dopo avere indossato l’accappatoio attraverso il corridoio e vado ad aprire la porta. Prima però mi premuro d’inserire la catena di sicurezza, in modo d’aprire solo parzialmente l’uscio. L’uomo che mi si presenta dinanzi è di mezza età. Ha i capelli leggermente brizzolati sulle tempie, il modo di vestire gli conferisce un’aria elegante e raffinata. E’ alto circa un metro ottanta e indossa un abito scuro. La camicia, di colore grigio scuro, è sovrastata, all’altezza del collo, da una strana striscia bianca che rassomiglia a un clergyman. – Buongiorno signorina sono Padre Evaristo, il suo parroco. Come ogni anno, nel periodo pasquale sono solito fare visita ai miei parrocchiani per benedire le case. Spero che abbia ricevuto la lettera che annunciava la mia visita per oggi. – Beh… in verità è da alcuni giorni che non ritiro la posta dalla buca delle lettere. E’ comunque il benvenuto. Le apro l’uscio così potrà accomodarsi. Tolgo la catena di sicurezza. Dopo averlo fatto entrare lo accompagno in salotto. – Prego si accomodi – dico, indicando il divano. – Grazie è molto gentile. Sono ben conscia che per un sacerdote, specie di questi tempi, non deve essere facile fare visita alle famiglie della sua parrocchia ed essere accolto come amico. Decido di metterlo a suo agio. Il salotto della mia abitazione è assai modesto. E’ arredato con un solo divano e due poltrone. Nel mezzo ci sta un piccolo tavolino. Una parete è occupata da un mobile libreria. In un angolo della stanza, poco lontano dalla finestra, si trova un mobiletto con sopra la tivù. Mi metto a sedere accanto a lui, sul divano. – Deve scusarmi padre se la casa è in disordine e l’accolgo in vestaglia. Stavo riposando in camera da letto e non aspettavo nessuna visita. Posso offrirle un caffè, una bibita, oppure preferisce del tè? – La ringrazio signorina, ma non vorrei procurarle troppo disturbo. In ogni modo un caffè lo prendo volentieri. Mi alzo e vado in cucina a preparare il caffè con la Moka. Poco dopo ritorno nella stanza. Nell’attesa che la Moka termini la sua opera, conversiamo amabilmente per alcuni minuti. L’aroma di caffè che sgorga dalla macchina del caffè viene ad interrompere il nostro colloquio. Mi alzo e vado in cucina. Dopo pochi istanti faccio ritorno con un vassoio dove ho riposto due tazzine di caffè e la zuccheriera. Ancora una volta vado a sedermi sul divano accanto a lui. – Se posso permettermi signorina, e forse questo le sembrerà strano, ho avuto già modo di conoscerla. E’ trascorso molto tempo da allora, forse una quindicina d’anni. – In che modo? A me non sembra di conoscerla! Me ne ricorderei altrimenti. – Il fatto è che in quelle occasioni ero solo io a vederla, perché stavo dietro una grata. – Mi scusi ma non riesco a comprendere. – Vede, una quindicina d’anni fa prestavo la mia opera presso la parrocchia del Buon Samaritano e lei quasi tutte le domeniche veniva a confessarsi. Io ero quel giovane sacerdote che stava dietro la grata. Resto sorpresa da quella rivelazione, tanto sorpresa che quasi non m’accorgo che l’uomo, con noncuranza, ha appoggiato la mano sopra un mio ginocchio. – Non ho mai compreso se ciò che lei confessava fosse vero o frutto della sua fantasia. Quel che è certo è che ogni volta che l’ascoltavo lei mi procurava un certo turbamento, la stessa inquietudine che provo ora, davanti a lei. Ha pronunciato le ultime parole con voce alterata, mettendomi in imbarazzo. S’inginocchia ai miei piedi, appoggia il capo sulle mie cosce e con rapidità infila le mani sotto la vestaglia arrivandomi fino alle natiche. Sorpresa da quella manovra resto impietrita ed in balia della sua esaltazione. Avvedutosi che non oppongo alcuna resistenza slaccia la cintura della vestaglia e l’apre. Il mio corpo nudo, privo d’un qualsiasi indumento, deve apparirgli invitante. L’uomo, turbato ha la fronte che gli gronda di sudore. Afferra ancora una volta i mie glutei e li avvicina verso di sé posando le labbra sulla passerina. Semisdraiata sul divano lascio che affondi la lingua sulle grandi labbra. Con oculatezza lambisce le pareti rosee della fica riempiendomi di fremiti di piacere. Mi fa divaricare le cosce, forse per meglio godersi la vista della passerina. – Masturbati come facevi da ragazzina, fammi vedere come lo sai fare. Sono così eccitata che accondiscendo alla richiesta, nella maniera più naturale possibile. Da sempre mi porto dentro la voglia di masturbarmi davanti ad un ecclesiastico. Poco prima, quando l’avevo visto apparire sulla porta, mi era tornato in mente quella strana fantasia: finalmente si sarebbe avverata. Con le dita vado a sfiorare le labbra della fica. Le inumidisco col succo d’umore che cola dalla fenditura. Per un attimo mi soffermo a rimirare i riflessi di luce che si rifrangono sulla superficie bagnata delle dita. Allungo le dita e l’intingo di nuovo nel vischioso fluido e le poso sulle sue labbra. La sua lingua si sporge e inizia a succhiarmi le dita. Ripeto l’operazione numerose volte. Intingendo le dita nella fica per poi nutrirlo con il mio dolce umore. Per tutto il tempo l’uomo è rimasto ad osservarmi incantato, meravigliato dal mio atteggiamento. Inginocchiato ai miei piedi, fa scendere i pantaloni e le mutande sul pavimento liberando l’uccello. Resto indecisa sul da farsi. Il membro, di dimensioni pressoché normali, si caratterizza per la cappella d’un colore rosato molto chiaro, abbastanza fuori del comune. Con la mano inizia ad accarezzarsi l’uccello, quasi a volere attirare la mia attenzione su quella prelibatezza. Desidero ardentemente appropriarmi di quell’oggetto di piacere. Porto le dita nella mia bocca e le inumidisco di saliva. Entrambi abbiamo gli occhi posati sui genitali dell’altro, incuriositi dalle manipolazioni delle nostre dita. Ho il clitoride turgido e disteso. Inizio a toccarlo sfregandolo con le dita. La sensazione che provo è di ubriacante piacere. Il mio respiro si fa ancor più affannoso e il cuore sembra uscirmi dal petto. Stimolata dalla sua mano che scorre impudica sulla pelle dell’uccello lo provoco. – Ti piace eh! Sporcaccione, ti piace vedermi mentre mi masturbo. Chissà quante altre volte ti sei masturbato dietro la grata mentre io o qualche altra ragazza ti abbiamo confessato i nostri peccati, è vero? Dillo che è vero e che ti piaceva farlo. – Si è vero, lo facevo si! E’ vero lo facevo – Continua a ripetere più volte mentre continua a masturbarsi, ed io con lui. Sono così eccitata che tremo in tutto il corpo ad ogni toccamento. Anche lui lo è. Non si spiegherebbe altrimenti la sua confessione. Vengo gemendo dal piacere. Urlo parole oscene ed offensive all’abito che porta. Lui per qualche istante smette di masturbarsi. Probabilmente non vuole perdersi la scena del mio orgasmo. Esausta smetto di masturbarmi. Si rialza e mi fa inginocchiare davanti a se. – Succhialo!… Succhialo!… Succhia l’uccello. Lo ingoio e accondiscendo alla sua supplica. Spinto dal movimento delle sue natiche l’uccello scivola in profondità fino a toccarmi la gola. Ha un odore forte e penetrante e la sua vicinanza m’inebria nell’ annusarlo. Con una mano lo tengo ben stretto evitando che mi soffochi. Ogni volta che la cappella fuoriesce dalle mie labbra luccica di riflessi multicolore. La lecco circoscrivendo attorno ad essa dei semicerchi per poi ingoiarla nuovamente, facendo attenzione a non spingerla fino contro la parete posteriore del palato. L’orgasmo dell’uomo sopraggiunge d’improvviso quasi inaspettato. Viene sborrandomi il seme nella bocca, tremando sulle ginocchia. Spinge l’uccello in profondità fino alle fauci soffocandomi. A stento riesco a non tossire ed espettorare il seme, che in gran quantità trattenevo dentro. Lascio trascorrere alcuni istanti. L’uomo, forse impacciato, mi chiede di andare in bagno per riassestarsi. Quando ritorna in salotto anch’io mi sono ricomposta e sto vicino alla porta d’uscita. – Beh! Allora – sussurra lui – non rimane che salutarci. – Credo proprio di sì – gli rispondo. – A proposito zio, la prossima volta non presentarti con il clergyman. Ti prego! Indossa l’abito talare, quello che usavi anni fa, con tutti quei bottoncini. Lo sai che mi eccito terribilmente nello sganciarli. Mi raccomando! Apro la porta, do un ultimo bacio sulla guancia e lo saluto. Richiudo l’uscio alle sue spalle e torno a letto. Subito dopo mi addormento.
Aggiungi ai Preferiti