Mi è successo di dover dirigere un call centre. Da un giorno all’altro. Verso l’ora di pranzo capitano certi compari. Si mettono a sedere e mi guardano lavorare, come se fosse uno spettacolo da vaudeville. Ho avuto tanto da fare che non sono riuscito nemmeno ad andare al gabinetto. Tutti gli operatori, tutti i dirigenti, soffrono di emorroidi, così mi dice Isotta Morikson. È addetta alla contabilità e sta sempre seduta. Lei fa i massaggi elettrici, da due anni e non serve. Ora di pranzo e siamo sei a tavola. Qualcuno dovrà pagarmi il conto. S’ingolla il pranzo e poi via di corsa. Altre chiamate. Altre candidate da intervistare. Il vice presidente fa un baccano d’inferno perché non riusciamo a trovare il personale occorrente. Ogni giornale della regione e per altre cinquanta chilometri attorno reca lunghe inserzioni che chiedono personale. Abbiamo setacciato tutte le scuole in cerca di telefoniste. Abbiamo supplicato tutte le istituzioni di carità e tutte le società di soccorso. Vanno via come le mosche. Alcune non durano un’ora. È un mulino di farina umana. E il più triste è che questo è assolutamente inutile. Prima si scocciano, poi decidono che gli piace molto e alla fine, solo alla fine, si accorgono che il sesso telefonico non fa per loro. Loro il sesso lo vogliono dal vero ed io non ne posso più. Ma non mi riguarda. Io debbo fare o crepare. Avanti, una vittima dopo l’altra, il telefono che squilla impazzito, la stanza sempre più calda e sempre più maleodorante. Ciascuno è un essere umano che chiede un tozzo di pane; di lui ho statura, peso, colore, religione, titolo di studio, carriera. Tutti i dati li passo a Giusy che li mette in un registro informatico, ad archiviarsi cronologicamente. Nomi e dati. La voce, il timbro della voce soprattutto, pure, se ne avessimo tempo anche le impronte digitali. Soprattutto devo scoprire le sue tendenze sessuali. Lo devo sapere, memorizzare e non mettere da alcuna parte. Perché poi? Perché il nostro popolo possa godere nella più rapida forma che la tecnica consente. Poi alle nove, quando è ora di andare a casa, c’è una chiamata di Monica, vuole che salti in macchina e corra a casa sua, è urgentissimo. Ci vuole quasi un’ora ed io sono stanco morto, ma lei ha detto che è urgente, così eccomi per strada. Quando arrivo ci trovo sua cugina, una giovane piuttosto attraente che, stando a sentire lei, aveva appena avuto un’avventura con un uomo strano perché lei si era stancata di essere vergine. Ma perché tanto trambusto? Per via che lei nella furia s’era scordata di prendere le solite precauzioni che s’usano. Forse era rimasta incinta, e allora? Volevano sapere cosa, secondo me, si dovesse fare. – Niente. – Dissi. Allora Monica mi trasse da parte per chiedermi se avevo voglia di scozzonarmi sua cugina perché certe storie non s’avessero più a ripetersi. Era una cosa così scombinata che cominciammo a ridere istericamente e a bere. In casa non c’era altro che Kummel. Di solito quando in casa si è bevuto tutto, non resta altro che Kummel e ci volle poco ad andare su di giri. Poi crebbe il dissesto perché le due donne cominciarono a maneggiarmi e ognuna non voleva lasciar fare nulla all’altra. Di conseguenza le spogliai tutte e due e le misi a letto abbracciate tra di loro. Me ne tornai a casa. Quando arrivai che erano già le cinque, mia moglie era sveglia e infuriata perché ero rimasto fuori troppo tempo. Ci fu una discussione accalorata e alla fine persi la pazienza e cominciai ad urlare minacciando di darle un casino di botte. Lei per tutta risposta cominciò a frantumare i piatti ancora da lavare nel lavandino, urlando che non era la mia serva. Michela, che abitava, al piano di sopra, scese di corsa a vedere cosa succedeva, aveva addosso il kimono e capelli sparsi sulle spalle. Michela lavorava in un negozio di moda maschile. Con belle manine provava le camicie ai clienti. Con quelle manine riusciva a venderne a dozzine. Nella confusione mi venne vicino e tutto accadde senza che se ne avesse l’intenzione. Mia moglie era a letto singhiozzante. Michela, china su di lei, le teneva il capo e la accarezzava la fronte. Io le stavo dietro e alzandole il kimono entrai e rimasi lì senza che lei dicesse nulla, mentre io dicevo un sacco di sciocchezze. Alla fine andai a letto con mia moglie che, con mio estremo stupore, cominciò a coccolarmi e senza dire una sola parola c’incastrammo e si rimase così fino all’alba. Ma mi mancava Michela e forse anche a lei. Il giorno dopo l’amica di Monica, Morena, venne in azienda. La feci assumere e cominciò a lavorare subito. – Siii, pronto? …. sono Morena, si sono moretta con capelli corti, …. cosa ti farei? … indovina? – Ahhh, …ohhhh….. ssss … adagio ti prego … – Per prima cosa ti accarezzerei, …dove? … ecco sì, proprio lì, … è già grosso? …. – Siiiii, …. ancora…, ti prego, dai…., continua, …. ohhhhh… – …. Siii, amore, ….. sulle mie belle tettine bianche…… – … tuuuu…tuuu… – Era proprio brava e sembrava che quel lavoro lo facesse da una vita. – Ohhhh, Brando, ….. sei un diavolo! Ancora……..Ohhhhh, ….. – Suvvia, Morena, più veloce che non abbiamo tempo…… Drin, drin,…. – Pronto sono, sono Morena, …..ohhh. …. ho, …. – Ma che succede lì? ….. Tuuuuu….. tuuuuu, …..tuuuuuu Talvolta le inserzioni non servono proprio. Brando Baccarat
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