Giovanni era il più sfigato dell’intero campo scout. Matricola a 18 anni. Sarebbe bastato questo a farne un bersaglio di scherzi crudeli. Ma c’era dell’altro. Giovanni sembrava nato per interpretare il ruolo dello zimbello. Lo era sempre stato, ovunque: dieci minuti e subito veniva riconosciuto come lo sfigato del gruppo.Non reagiva mai alle provocazioni e non era neppure così stupido come si potrebbe pensare. Ciononostante…A scuola compagni, bidelli, professori non gli risparmiavano battute. Durante gli intervalli era letteralmente braccato. Il minimo che gli poteva capitare camminando per il corridoio era qualche schiaffo sulla nuca o qualche manata ben assestata sulla schiena. Il peggio, beh, al peggio non c’è limite. Una volta gli pisciarono nello zaino, un’altra gli sborrarono nel portapenne. In un’occasione una ragazza si passò un dito fra le chiappe e glielo strofinò sotto al naso. “Allora, cazzetto moscio… ti ricorda qualcosa?”. Come sempre, anche in quell’occasione Giovanni non disse nulla. Ma inspirò profondamente. In quel modo dimostrò il suo apprezzamento per quella nuova tortura e tanto bastò perché il fidanzato della ragazza in questione gliela facesse pagare, sequestrandolo per un’ora intera nei bagni della scuola, usando la sua testa come scopettone per i cessi.La fama di Giovanni non tardò a raggiungerlo anche al campo scout. Non appena l’aneddoto del dito-sotto-al-naso fu di dominio pubblico non passò giorno senza che qualcuno si avvicinasse a Giovanni e lo costringesse ad annusargli le dita, opportunamente deodorate con qualunque porcheria trovata in giro. Un pomeriggio d’agosto questo gioco andò parecchio oltre. Eravamo in tre, io, Piero e Carlo, un gruppo di “veterani”; chiacchieravamo per i fatti nostri, poi decidemmo di infilarci nel bosco per fumare in santa pace. Ci allontanammo di almeno un paio di chilometri dal campo, in modo da essere al riparo dagli sguardi spioni dei “piccoli”, ma non facemmo in tempo neppure ad accendere la canna che già qualcuno ci stava raggiungendo in mezzo alla boscaglia. Immaginate la sorpresa divertita con cui accogliemmo il nostro disturbatore: Giovanni!”Giovanni, che cazzo vuoi, tornatene al campo!”Niente da fare, si dirigeva proprio verso di noi.”Giovanni, vattene o ti carichiamo di botte””Giovanni, vaffanculo, togliti dalle palle”.Ci raggiunse. Il primo ad accoglierlo fu Carlo, con uno schiaffo da svitargli la testa.”Allora, non capisci, coglione! Ti abbiamo detto di andartene”Per quel che mi riguarda, gli mollai una ginocchiata nelle palle. Roba da piegarlo in due. Così fu. Si accasciò a terra dolorante e cominciò a lamentarsi, cosa decisamente insolita per lui.”Ragazzi, che cosa vi costa, voglio fumare anch’io, dai…”.”Hai capito! Chiamalo scemo!!”. Ora, siccome è regola universalmente accettata che un tiro non si nega a nessuno, decidemmo di lasciarlo fumare.”Però se vuoi goderti la fumata, le tue vie respiratorie devono essere belle aperte!”. Piero disse questo e ci lanciò uno sguardo di intesa. Chiamò Giovanni a sé.”Vieni qui! Se vuoi fumare prima devi superare questo test.” Giovanni gli si avvicinò. “Chiudi gli occhi e inginocchiati”. Obbedì. “Dimmi che odore è questo…”. Fu allora che Piero stupì tutti noi. Credevamo che lo avrebbe sottoposto al solito gioco del dito fetido. Invece si calò i pantaloni e gli infilò sotto il naso un uccello quasi completamente duro, mezzo scappellato. Giovanni istintivamente aprì gli occhi e ritrasse la testa. Piero gli afferrò i capelli con una mano e con l’altra gli assestò uno schiaffo sulla guancia. “Ho detto occhi chiusi!”.”Piero, che cazzo stai facendo!?” gli gridammo all’unisono io e Carlo.”E’ il nostro solito test, solo un po’ più…”. Non finì la frase.La scena che si stava svolgendo sotto i nostri occhi andava oltre ogni nostra fantasia perversa.Giovanni si era cacciato in bocca l’uccello di Piero e lo succhiava voracemente emettendo rumori e schiocchi osceni. Piero restava lì, impalato, con una mano sulla testa di Giovanni a seguirne il ritmo avanti e indietro. Il primo istinto fu quello di prendere a calci quel coglione e staccarlo al più presto dal nostro amico. Piero però non sarebbe stato d’accordo. Stava chiaramente godendo, totalmente incurante della sua reputazione eterosessuale. L’unica cosa che riuscì a dirci fu “E’ una spompinatrice meravigliosa, dovete provare”.Mai mi erano passati per la testa pensieri omosessuali. Ma la situazione era eccitante e il mio cazzo era incredibilmente duro. Mi dissi che nessuno ci avrebbe visto, nessuno lo avrebbe saputo. E poi, un pompino non è scopare… se avessi chiuso gli occhi avrei potuto pensare ad una donna e la cosa sarebbe stata sicuramente molto gratificante. Scuse. Stupide razionalizzazioni. Mi avvicinai impaziente a Giovanni, mi abbassai i pantaloni e portai il mio uccello a tiro della sua bocca. Ma non chiusi gli occhi come avevo progettato e non pensai ad una donna. Mi concentrai soltanto sull’immenso piacere che quel coglione mi stava dando con la sua bocca calda e umida. Piero restò al mio fianco, ammirando lo spettacolo e facendosi una sega. Fu la volta di Carlo. Durò pochissimo. Prese la testa di Giovanni e la schiacciò contro di sé, infilandogli il cazzo completamente in bocca. In questa posizione cominciò a sborrare, sparandogli fiotti di sperma dritti in fondo alla gola. Su quest’immagine io e Piero venimmo contemporaneamente spruzzando di sperma i capelli di Giovanni.Ci ricomponemmo. Avevamo goduto come mai prima. Eravamo stravolti, spossati e carichi di sensi di colpa. Cominciammo a parlarne, cercando di minimizzare l’accaduto, cercando di rassicurarci. “Questa cosa non deve assolutamente venirsi a sapere o saremo rovinati”. Eravamo ovviamente tutti e tre d’accordo. Giovanni rimase in silenzio, seduto fra noi, ad ascoltarci. Era visibilmente soddisfatto, il bastardo. Alla fine disse qualcosa: “D’ora in poi non mi picchierete più vero? Siamo amici!”.Non era una vera domanda. Suonava piuttosto come un ricatto. Ci aveva in pugno. Avremmo potuto pestarlo a sangue, comprando il suo silenzio a suon di calci. Inoltre, anche se avesse spifferato tutto, non era per nulla scontato che avrebbe trovato qualcuno disposto a credergli. Ma eravamo davvero pronti a correre un simile rischio? No, di certo.”Sì, non ti toccheremo più. Ma non ti difenderemo; sarebbe troppo difficile da giustificare. Se sei fortunato gli altri del campo seguirano il nostro esempio e ti lasceranno stare.””Va bene. E potrò fumare con voi?”Fumare, già fumare! Era per questo che ci eravamo allontanati dal campo. E chi se lo ricordava più!”D’accordo, potrai fumare, bastardo che non sei altro”.”Ancora una cosa…”. “Giovanni, non tirare la corda o ti squartiamo qui in mezzo al bosco!””Solo una cosa… Lo rifaremo ancora?”Silenzio. Nessuno di noi, fino a quel momento, aveva preso minimamente in considerazione la cosa. Poco fà, infoiati, avremmo fatto qualunque porcheria, pur di godere. Subito dopo, schiacciati dai sensi di colpa, ci saremmo dati alla castità perpetua pur di ritornare ad essere gli integerrimi eterosessuali che eravamo. Ora, ad appena un quarto d’ora dal fattaccio, i nostri giovani uccelli erano di nuovo pronti a godere e tanto bastava per far crollare tutti i nostri buoni propositi. Fu così che in coro rispondemmo “No, non succederà mai più”, ma i nostri pantaloncini corti non riuscivano a nascondere le tre gigantesche erezioni che aveva provocato quella proposta.”Dai ragazzi, almeno una volta ancora… voglio godere anch’io, come avete fatto voi”.Detto questo si calò pantaloni e mutande e si sdraiò a terra, prono, sollevando il culo in aria. Un invito inequivocabile. Lo ammetto, fui il primo a cedere alla tentazione. Mi sdraiai su di lui e cominciai a strofinare il mio uccello fra le sue natiche. Mi staccai dopo poco. Non volevo godere subito. Lasciai il posto ai miei due amici, che dal canto loro non si fecero pregare e ripeterono i miei gesti. Quando fu nuovamente il mio turno decisi di spingermi oltre. Feci girare Giovanni in posizione supina e mi sdraiai su di lui. Volevo sentire il suo uccello contro la mia pancia. Volevo che i nostri due uccelli si strofinassero, calore contro calore. Quella mattina mi ero svegliato etero e ora godevo del contatto con un cazzo non mio. Chissenefrega. Feci ben altro. Scivolai con la testa fra le sue gambe e mi infilai in bocca quell’uccello. Stavo infrangendo nuovi limiti. Chissà come mi stavano giudicando in quel momento i miei amici, alle mie spalle? La risposta arrivò rapidissima. Mentre mi dedicavo a spompinare Giovanni, Piero gli si sedette in faccia lasciandosi leccare le palle. Carlo mi accarezzava i capelli e mi guardava come ipnotizzato. Gli porsi l’uccello di Giovanni e non lo rifiutò. Il caso volle che Giovanni gli rendesse il favore di poco prima: gli venne in gola, gemendo rumorosamente. Carlo non reagì. Si limitò a sputare la sborra tornò a dedicare le sue attenzioni a quell’uccello, ormai molle e viscido. Decisi di ritornare protagonista del gioco. C’era un’intesa perfetta fra noi e bastò un cenno perché Piero e Carlo mi facessero posto. Feci rigirare Giovanni in posizione prona, col culo in aria, proprio come quando ci aveva provocato. Infilai la faccia fra le sue natiche glabre e con la lingua gli lubrificai il buchino. Gusto di sudore e di culo. Avrei vomitato in un’altra occasione; in quel momento non avrei chiesto di meglio. Tornai poi a sdraiarmi su di lui e cominciai a penetrarlo dolcemente, vincendo con gradualità la resistenza del suo buchino. Sentire la cappella sprofondare in quell’antro fu una sensazione indescrivibile. Aumentai il ritmo. Godevo. Godevo. Godevo. Carlo mi montò sopra e strofinò il suo cazzo fra le mie chiappe. Percepii chiaramente il momento in cui si scaricò. Il suo sperma, caldissimo, colava lungo il mio solco. Piero si spinse oltre e mi venne in piena faccia. Poi resto lì, quasi titubante, forse temendo una mia reazione negativa. Invece lo stupii ancora cacciandomi il suo uccello molle in bocca, aspirandolo e succhiandolo come una sapiente spompinatrice. Finii di ripulirglielo, poi fu il mio turno e sborrai nel buco di Giovanni, uno, due, tre, quattro fiotti carcichi e densi. Infine mi accasciai sulla sua schiena. Con le mani cercai il suo cazzo. Aveva sborrato ancora, a pancia in giù, per terra. Mi portai le mani impiastricciate di sperma a naso e inspirai profondamente. L’ultima sensazione estrema della giornata.
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