Mi sono svegliata e tu non sei al mio fianco. Un altro uomo giace nel mio letto. E’ nudo, la sua pelle di colore cioccolato è liscia come quella di un bambino. Ha il viso scostato e l’espressione è infantile. I capelli lunghi e neri gli scendono fino sulle spalle. La bocca, ben modellata, evidenzia sul labbro superiore una piega sbarazzina. Un timido raggio di sole fa capolino attraverso le persiane ed avvolge di luce il giovane corpo riscaldandolo. Sollevo la schiena e mi giro sul fianco. Mi soffermo a contemplare il corpo nudo. Carlos, questo è il suo nome, è un transessuale. L’ho conosciuto il mese scorso, quando è stato ricoverato, a seguito di percosse, nel reparto di chirurgia dove presto servizio come infermiera. Alcuni giovani, dopo aver pattuito una prestazione, l’avevano fatto salire su di un’autovettura e, dopo essersi intrattenuti con lui, consumando quanto pattuito, lo avevano riempito di botte e spedito in ospedale. Carlos ha ventidue anni. Si prostituisce nei viali della città da poco tempo. E’ originario di San Paolo del Brasile. Da alcuni mesi si è trasferito in Italia dopo avere soggiornato a Madrid. Alcuni compagni di lavoro l’avevano informato che in Italia c’erano maggiori possibilità di guadagno. Lui senza pensarci troppo aveva preso l’aereo ed era sbarcato nel nostro paese. Durante il periodo in cui era rimasto ricoverato eravamo diventati buoni amici. M’incuriosiva il suo strano mondo. Non facevo che subissarlo di domande. Mi aveva confidato che la sua famiglia era poverissima. Lui era il più giovane di sette fratelli. Già da bambino aveva provato una certa attrazione per gli abiti femminili. Solamente con gli anni della pubertà sentì emergere dentro di sé l’istinto femminile. Aveva iniziato ad indossare mutandine da donna e truccarsi il viso quasi per gioco. La povertà della famiglia non gli era stata d’impedimento nell’acquisto di abiti e lingerie femminile. Si era arrangiato facendo qualche servizietto agli uomini del quartiere, spompinandoli o facendogli qualche sega. A diciassette anni si era allontanato da casa ed aveva iniziato a battere i marciapiedi di Rio. Quello che in Italia lo aveva sorpreso era che a differenza di Rio e Madrid, qui gli uomini gli chiedevano di essere attivo, pretendendo di succhiargli l’uccello o di essere inculati da lui. Cosa che faceva mal volentieri preferendo la parte passiva. Per quanto da anni esercitasse quel mestiere, non era sieropositivo né soffriva di altre malattie infettive. Lo avevo costatato di persona sfogliando accuratamente la sua cartella clinica. Dopo avere trascorso alcuni giorni nel nostro reparto di chirurgia era stato dimesso. Stanotte mentre facevo ritorno a casa l’ho incontrato di nuovo. Stavo percorrendo il viale che conduce al casello dell’autostrada del Sole, quando sono stata costretta a fermare l’auto per non investire una figura femminile che mi veniva incontro facendo gesti strani delle braccia. L’ho riconosciuto subito: era Carlos. Indossava una pelliccia aperta sul davanti che lasciava intravedere un sottile perizoma. Era tutto ciò che aveva sotto l’abito. Si è avvicinato alla portiera implorandomi di farlo salire in macchina. – Ti prego portami via di qui, c’è la polizia che sta facendo una retata. Aiutami per favore. Ho aperto la portiera dell’Opel Tigra e gli ho fatto cenno di salire. Soltanto quando si è trovato all’interno dell’autovettura mi ha riconosciuta. – Dai Erika, parti… se quelli mi beccano mi rimandano in Brasile! Non me lo sono fatto ripetere due volte. Mi sono allontanata dalla zona proseguendo verso il centro della città. – Dove vuoi che ti lasci – dico quando siamo stati lontani. – Non lo so, ormai è tardi. Forse è meglio che me ne torni a casa. – Dimmi, dove vuoi che ti accompagni? – Senti ci ho ripensato, forse per questa sera è meglio che non torni a casa, potrebbe esserci la polizia ad attendermi. Perché non mi ospiti a casa tua? Sorpresa dall’inaspettata richiesta sono rimasta senza parole. Non sapevo cosa rispondergli. – Non voglio esserti di disturbo, ma non so dove andare a rifugiarmi. Ti prego, aiutami. – Va bene, dai, ma dovrai accontentarti di dormire nel mio letto, non ho stanze per gli ospiti, il mio è un appartamento piccolo. – Ti ringrazio, ma dormo anche sopra un divano. – Non ce n’è bisogno. . Appena in casa ha voluto che gli indicassi il bagno. Intanto sono andata nella stanza da letto e mi sono tolta l’abito da sera riponendolo nell’armadio. Quando sono tornata in salotto Carlos aveva ancora indosso la pelliccia, ma il viso non era più marcatamente truccato come quando l’avevo incontrato nel viale. – Potrei offrirti un mio pigiama, ma non credo che la misura sia adatta al tuo corpo – dico – Non ti preoccupare sono abituata a dormire nuda e se a te non dispiace lo farò anche a casa tua. Ci siamo accomodati in camera da letto. Lui si è liberato della pelliccia e pure del perizoma. L’avevo già visto nudo durante il suo ricovero in ospedale, ma ieri sera le ambigue forme del suo corpo, illuminato dalla luce delle abat-jour, mi erano parse di una straordinaria bellezza. I seni tondi e perfettamente regolari da fare invidia ad una modella gli conferivano un aspetto femminile. Se non fosse stato per il cazzo fin troppo sviluppato che teneva fra le gambe, l’avrei scambiato anch’io per una donna, o meglio ancora per una gran figa. – Io di solito dormo dalla parte destra del letto, ti sta bene? – preciso indicandogli le coperte del letto. – Non ti preoccupare, mi adatto a dormire dappertutto. Così dicendo aveva sollevato le lenzuola e preso posto sotto di esse. Dopo essere andata in bagno e lavata avevo infilato il pigiama ed ero ritornata in camera. Carlos era sveglio e guardava nella mia direzione. – Non so come ringraziarti per la gentilezza che hai avuto nell’ospitarmi questa sera. Poche altre persone lo avrebbero fatto, te ne sarò sempre grata. – Non preoccuparti. Se non ci aiutiamo fra noi femmine… Sotto le coperte aveva avvicinato il viso al mio dandomi un bacio sulle labbra. – Buonanotte! – dissi spegnendo la luce dell’abat-jour. . . E’ mattina. Sono sdraiata sul letto. Vicino a me c’è il corpo nudo di Carlos. Non è più coperto dalle lenzuola. Lui se ne sta supino ed è addormentato. Da alcuni minuti lo contemplo. Osservo i suoi seni che in quella postura sembrano indeformabili e puntano dritto verso l’alto. Su quello di destra, appena sopra il capezzolo, c’è tatuato un piccolo fiore. Il cazzo è dritto, tozzo, provocante. Di una bellezza fuori del comune. Un irrefrenabile desiderio di sfiorare quell’arnese mi gira per la testa. Più l’osservo e più aumenta la voglia di possederlo. Sono eccitata, terribilmente eccitata. Mi rimetto supina e giro lo sguardo verso il soffitto, voglio rimuovere l’insano desiderio che mi rode come un tarlo. Dopo pochi istanti ruoto il capo e mi ritrovo ad osservare quel “coso”. Ho la fica bagnata. Non voglio svegliare Carlos, non voglio che mi veda mentre affondo le dita fra le labbra della passera per masturbarmi. Intingo le dita nella bocca e le faccio scivolare sul clitoride già turgido. Mi piace masturbarmi, lo trovo rilassante. Lo faccio lentamente, per meglio gustare il piacere che sa trasmettermi. La parete della fica si contrae. Sollevo il bacino dal letto, mentre il respiro mi si è fatto affannoso. Vado avanti a toccarmi per una decina di minuti, fino a quando decido di accelerare il movimento delle dita. – Godo… cazzo… se godo. Ho la fica bagnata fradicia che gronda umore da ogni parte in gran quantità. Vengo. L’orgasmo si accompagna con un lieve fremito delle gambe e con una vampata di calore che mi sale al cervello lasciandomi per alcuni istanti la vista annebbiata, incapace di cogliere ciò che mi circonda. Dopo essermi piacevolmente masturbata mi ritrovo ad essere ancor più eccitata. Mi giro sul fianco ed appoggio un gomito sul letto. Resto ad osservare il viso di Carlos. Dorme saporitamente. L’attrazione che provo per il suo uccello è qualcosa d’indicibile. Non riesco a dominarmi. Con la mano prendo a sfiorargli l’incavo di una coscia, vicino alla radice del cazzo. Una contrazione della gamba è la prima reazione che ha al contatto della mia mano. Lo scroto scuro, all’apparenza flessuoso, è solcato da piccole arricciature della pelle. Intorno alla radice la quantità di peli è abbastanza esigua, segno che Carlos ama depilarsi per contenere al meglio il suo aggeggio dentro il perizoma, o più semplicemente per piacere ai clienti. Con la mano sfioro il cazzo ed inizio ad accarezzarlo. I movimenti delle dita, lievi e delicati, accrescono il mio stato d’eccitazione. Lo intuisco dalla quantità di saliva che mi riempie la bocca e che sono costretta a deglutire. Il cazzo è ben scappellato. Inumidisco il glande con un po’ di saliva. Assopito com’è Carlos non si è accorto di nulla. Faccio scorrere le dita sul cazzo con maggior decisione e lui si sveglia. – Ehi! Dico, posso sapere cosa stai combinando? – E’ l’unico modo che hai per sdebitarti con me dopo che hai pernottato nel mio letto. Ti prego lasciami fare! Ora che è sveglio posso muovermi più liberamente. Inizio a menarglielo, con maggior foga. Il senso di possessione che provo nello stringere un cazzo fra le dita è qualcosa d’indefinibile che solo a noi donne è dato di provare. Ho le tette gonfie e godo del piacere di questi attimi. Mentre glielo meno, accarezzo i miei capezzoli che sono turgidi ed eretti come il clitoride. Ho completamente perso il lume della ragione. Ansimo come una forsennata. Di tanto in tanto inumidisco il cazzo con la saliva. Lui assiste passivamente alla mia performance. Sono così fuori di testa che non mi accorgo che sta per venire. Lo intuisco tardi, dalla sborra che fuoriesce di getto dall’uretra che per poco non mi colpisce in viso. Lascio che sia lui a ripulirsi. Mi alzo e vado in bagno a riassestarmi. In fin dei conti si tratta pur sempre di un Viados ed ogni precauzione è necessaria. Dopo essermi ben lavata le mani con un sapone antisettico, mi siedo sul bidè e lascio che l’acqua tiepida scorra sulle labbra della fica. Il calore riaccende il desiderio non completamente sopito di venire anch’io. Con l’aiuto del sapone inizio a sfregare le dita sul clitoride. Eseguo la frizione lentamente, cullandomi in quel dolce piacere. Dopo avere tenuto fra le mani il cazzo di Carlos desidero essere penetrata. Smetto di carezzarmi la figa e c’infilo dentro due dita. Ancora non riescono ad appagare i miei sensi. Ho bisogno di qualcosa di più voluminoso e massiccio. Mi alzo. Apro l’armadietto dei profumi e guardo dentro. L’unica cosa che sembra adattarsi al mio scopo è il tubetto del dentifricio. Lo afferro. Mi chino sul bidè e insapono la parte tonda del coperchio, poi infilo il tubetto nella figa. L’oggetto sembra adattarsi bene alla parete interna. Dopo pochi movimenti ho la sensazione di un gradevole piacere. Chiudo gli occhi e sincronizzo i toccamenti al clitoride con quelli dell’oggetto di piacere. Quello che dopo pochi minuti mi coglie è una sensazione strana, un orgasmo primitivo. Devo essere pazza per comportarmi così, ma più sto a pensare queste cose, più le mie mani accelerano i movimenti. Ho un altro orgasmo ancor più profondo del precedente e mi accascio con la fronte contro la parete del bidè. Quando ritorno in stanza Carlos è riverso sul letto ed ha ripreso a dormire. Fuori della finestra il Sole ha fatto spazio alle nuvole. Gocce di pioggia iniziano ad infrangersi sui vetri, amaro preludio dell’imminente temporale.
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