Sei stata molto cattiva. Forse dovrei punirti per quello che hai detto ed ancor più per le risate che hanno fatto eco alle mie parole. Adesso che ti ho qui, ragazzetta fatta di carne, ossa minute ed un casco di lucidi capelli castani, posso mostrarti cosa significhi affrontare le conseguenze della propria spudoratezza. Esito un po’. Avevo deciso di essere dolce, oggi. Ma tu insisti a deridere i miei tentativi di fare il romantico. Mi guardi con quella smorfia buffa sul viso, piccola peste, ed mi chiedo se anche oggi sarò costretto a giocare. Assumo un’espressione minacciosa e aspetto di vederti scappare. Ma anche stavolta hai deciso di sorprendermi. Mi raggiungi sul letto, e benché di spazio libero ce ne sia tanto, ti siedi proprio sulle mie ginocchia, ed appoggi la testa sulla mia spalla, cingendomi il collo con le braccia. Giocare con me ti piace, vero? Ti piace più di quanto credevi possibile all’inizio. Con un sospiro rassegnato, poso le mani su di te. Sei delusa, lo so… speravi che tremassero. Fingi di essere una bambina indifesa, ma quello che desideri realmente è avermi in tuo potere, vedermi cedere alle tue malizie per poi tirarti indietro. Ecco che ti fai più ardita: mi sfiori il collo con un bacio, invitandomi ad agire. Dal ginocchio, salgo lentamente lungo la tua coscia. Non aspettavi altro. So quanto ti costa afferrarmi la mano, bloccarla, fingerti indecisa. Ti agiti nel mio abbraccio e cerchi affannosamente una scusa. Bambina, conosco a memoria il tuo rito per negarti, l’hai usato molte volte con me… persino credendoci a volte, spontanea come solo le vergini possono essere. Credevo che almeno stavolta saresti stata più originale. Invece mi rifili la solita menata: “Io non volevo, io non sapevo…”. So che fa solo parte del gioco, ma a volte vorrei che fossi più fantasiosa, che mi rifilassi un… non so, anche:”Scusa, sono scivolata…”! Puoi fare meglio di così. Va, beh, pazienza… ti stai agitando da matti sulle mie ginocchia ed ho paura che finirai per schiacciarmi qualcosa di indispensabile. Cerco di calmarti, accarezzandoti piano. Resti ferma per un po’, poi ti sbuffi stizzita e ti alzi. Non so se stai fingendo, ho quasi paura di chiedertelo. Il tuo chemi-coso, là… si è stropicciato, e qualche bottone s’è slacciato. Tanto lo so, che allarghi le asole apposta… e i bottoni si slacciano come per magia, senza che io li tocchi. Ma fa parte del gioco, no? E poi mi piace come riesci a dare quel tremore alle mani, facendo finta di non riuscire a riallacciare un bottone dispettoso, situato proprio nel punto dove il tuo seno tira maggiormente la stoffa. Vuoi rimarcare il fatto che ti sono cresciute le tette. Credi che non l’abbia notato? E’ tutta la sera che per non darti questa soddisfazione cerco di guardare altrove. Ma non vedo l’ora di misurartele con le mani, le tette. Mi offro umilmente di aiutarti con il bottone dispettoso, lasciandoti capire che so, che ho capito. Ti inginocchi davanti a me e cerchi i miei occhi, guardandomi dal basso. So che ora ti senti sciocca per aver tentato un trucco che conosco tanto bene. Ma non ci avresti mai rinunciato. Ti piace troppo. Premurosamente afferro asola e bottone, con goffaggine studiata, stando ben attento ad esitare abbastanza nell’operazione perché tu possa premere il seno contro la mia mano. Hai tanta fame, vero? Sì… ho fame anch’io. Ti infilo le mani nel vestito, e senza slacciarlo del tutto cerco di sfilartelo dalla testa. Il tuo visetto riemerge incorniciato da un caschetto disordinato, da bimba cattiva. Ti alzi in piedi stiracchiandoti come una gattina che ha voglia di farsi coccolare, per farmi ammirare la tua mise. La tua pelle bianca è inguainata in un alto corsetto nero con reggicalze, minuscole mutandine di velo sono indossate al di sopra dei ganci. Tacchi alti evidenziano la linea dei polpacci, costringendoti a tenere la schiena leggermente inarcata, il sedere esposto. Hai capito la gattina… Giri su te stessa lentamente un paio di volte. “Per farti guardare meglio”, penso io. E per poco non mi sfugge un ululato. «Ti piace… zio?» No, “Zio” no, cazzo! Lo sa che detesto quando mi chiama così! Maledizione, ho solo cinque anni più di lei, com’è che non se lo ficca in quella testolina! Va bene, non ho molti capelli… ma parecchi miei coetanei sono in una situazione ben peggiore! Il mio viso si contrae in una smorfia. Ecco, adesso mi aumenteranno le rughe. Per colpa sua mi metto pure a pensare alle rughe… «Sono carina, zio?» See, “nonno”… insiste la carognetta! Aspetta che si avvicini e poi vede, la delinquente, cosa le combina lo “zio” … Sì, vieni, vieni… io sto fermo qua, ti aspetto. Sì, brava, siediti in braccio a me, fammi le carezzine… tanto non mi commuovi. Sei talmente orgogliosa di avermi fatto incazzare con la storia dello “zio”, che abbassi la guardia. Ne approfitto fulmineo, senza darti il tempo di reagire. Ti rovescio sul letto e provvedo subito a sfilarti le scarpe. Quei tacchi a stiletto hanno un’aria pericolosa, quasi quanto te stasera. Hai emesso un unico, stridulo urletto, atterrando di faccia sul materasso, ma ora, con la faccia schiacciata contro il lenzuolo, ti è troppo difficile parlare. Chiamami “zio” adesso, se ci riesci, canaglia! Trattenendoti inchiodata al letto con il mio peso, afferro la sciarpa di seta che avevi poggiato sul comodino e ti lego i polsi. Non stringo molto il nodo, non voglio lasciare segni sui tuoi fragili polsi. Poi, dopo essermi sistemato un cuscino sulle gambe, ti afferro per le braccia legate e ti sollevo il busto, posandolo poi sul guanciale. Devi essere comoda, perché adesso viene il meglio. Artiglio con un dito il bordo dei tuoi minuscoli slip, talmente inconsistenti da farmi temere di strapparli al minimo movimento, e mi fermo, lasciandoti sospesa tra la tentazione di insistere nella finzione di una ritrosia a cui non credo e la voglia di istigarmi a prenderti subito, senza farti aspettare un minuto di più. Vince il desiderio: istintivamente protendi i glutei verso l’alto e divarichi leggermente le gambe, perché io possa vedere il tuo sesso aprirsi, mentre le mutandine umide scendono lungo le cosce. Non puoi vedermi scuotere la testa, compiaciuto dalla tua eccitazione. So cosa ti aspetti da me, e comincio a sussurrarti sconcezze con voce profonda, per farti sciogliere: sei una troietta, sì, una cagnetta in fregola, una puttanella che ama provocare per poi tirarsi indietro e adesso ti punirò per questo. Ti farò capire chi comanda, ti farò toccare con mano quanto sei puttana. Lo vuoi? Sì che lo vuoi. Non aspetti altro. Il primo schiaffo risuona schietto sulle tue natiche scoperte. Ti ribelli e cerci di schernirmi, non ti ho fatto male abbastanza. Era solo il primo, bambina: la seconda sberla ti si abbatte sul sedere ben più decisa, e la risata ti muore in gola. Rapidamente, lascio cadere un terzo schiaffo sulla tua pelle già arrossata, togliendoti il respiro. Non ridi più adesso, eh? Sotto i miei colpi incessanti, ora forti, ora lievi, la tua pelle bianco latte diviene istantaneamente purpurea, sino a sfiorire nel rosso. Nella stanza i colpi echeggiano con il loro schioccare secco, preciso, e tu ti mordi le labbra per non darmi la soddisfazione di sentire i tuoi gemiti, i singhiozzi. Quanti te ne ho dati, finora? Ho perso il conto. L’impatto crudele della mia mano sulla carne tenera del tuo sederino è così piacevole che non smetterei mai di colpirti. E mentre ti sculaccio, bambina, continuo a chiamarti “puttana”, “cagna in calore”,”troia”. E la mia voce si indurisce. Il gioco ha preso anche me, ormai. Il profumo dei tuoi umori mi arriva prepotente alle narici. Inspirando, abbasso lo sguardo e noto che la fodera del cuscino sulle mie gambe ne è fradicia. Sei esausta e anch’io sono stanco di picchiarti, mi fa male il braccio e il palmo della mia mano fa pendant con il rossore dei tuoi glutei. Ma insisto ancora un po’ con i colpi, esasperando la tua eccitazione. Finalmente mi decido a interrompere questa dolce tortura e ti sollevo da me, lasciandoti ricadere sul letto. Sfilo da sotto il tuo ventre il cuscino umido e ti costringo a posarvi il viso. «Hai imparato?» «Sì… zio» Sbaglio o l’hai fatto di nuovo? Hai risposto in un soffio, ma mi è sembrato che mi chiamassi di nuovo “Zio”. «Ripeti a voce alta» «Sì, ho imparato» Ah, ecco. Mi era sembrato. Ma a quanto pare l’hai capita, la lezione. «Brava» Che bello il tuo sedere martoriato… lo accarezzo lentamente, strappandoti un lungo gemito di piacere. Non resisto: scendo con la mano fra i tuoi glutei e mi immergo nei tuoi umori. Poi mi porto le dita al naso, “per annusarti meglio”. E, di nuovo, trattengo un ululato. Sono eccitatissimo anch’io, bambina. Non vedo l’ora di essere dentro di te. Arrochisco la voce per l’ultima volta, non ho più tanta voglia di giocare. «Sei stata brava, adesso avrai il tuo premio» Mi slaccio la cintura facendola tintinnare e mi calo i pantaloni, non resisto più. Come al solito rimango incastrato, ho il brutto vizio di togliermi i pantaloni prima delle scarpe. Meno male che non puoi vedermi adesso. Finalmente libero, mi sistemo dietro di te e premo con le cosce per farti divaricare le gambe. Mi assecondi, sapendo che ti sto guardando. Ti piace essere umiliata, gattina. Così aperta ed eccitata, i polsi legati, indifesa… potrei farti qualsiasi cosa e non potresti fermarmi. Ti sciolgo i polsi dai nodi, ma subito li stringo fra le mani, facendoti allungare le braccia in avanti sul letto. Sono sopra di te, e mi trattengo per non schiacciarti con il mio peso, ma ugualmente ti sento respirare con difficoltà. E’ colpa tua: martedì cucina indiana, mercoledì cucina cinese… sei curiosa e vuoi provare tutto, ma tu non sei di costituzione robusta, puoi ingurgitare quel che ti pare e non ingrasserai mai di un etto. Per aiutarmi con la penetrazione devo liberarti un braccio, in questa posizione è un casino. Ferma lì, non ti muovere sai? Una carezza veloce, una spinta guidata e il mio cazzo ti toglie il respiro, aprendosi la strada di prepotenza. Eccomi dentro di te, duro e rovente. Lo senti, bambina? Lo senti quanto mi è piaciuto sculacciarti? Inizio a muovermi nella tua carne con lentezza esasperante, e tu mi assecondi, senza nascondere il piacere che provi. Sono stanco di fare il cattivo, basta giocare. Lascio emergere la parte più dolce del mio carattere e comincio ad accarezzarti amorevolmente i seni, allentando la stretta sul tuo braccio. Sento che ti rilassi tra le mie braccia, godiamo l’uno dell’altra senza sfide, senza dispetti. Facendo l’amore, facciamo la pace. Mi dici in un sospiro: «Mi piaci, mi piace giocare con te» «Ti piace farmi impazzire» affermo io, e tu non puoi negarlo. «Lo sai, sono una bimba cattiva» Lo so, amore… ma non chiamarmi più “Zio”, ti prego. Vorrei dirtelo, davvero, ma tu mi baci con passione, a bocca aperta “per mangiarmi meglio”, e non posso più ululare, né parlare.
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