Avevo sentito parlare di un massaggiatore. Se ne diceva un gran bene. Oggi mi sono alzata per un giorno di ferie da passare con Giorgio. Poco fa mi ha telefonato. La sua ditta lo ha richiamato al lavoro con una motivazione che non mi è parsa trasparente: un cliente, spero importante, improvvisamente arrivato…. Sarà. Almeno spero. Mi sento a disagio irritata e, forse, ma non vorrei ammetterlo, ingelosita. Faccio colazione di contraggenio, in casa. Mi sento tesa e potrei contare i miei muscoli uno per uno. Una doccia svogliata non mi rilassa. Accidenti a Giorgio. Mi ha piantata in asso con una giornata di una primavera incerta e ventosa davanti. Finisco di vestirmi. Un filo di trucco. Una pettinata veloce. Sono pronta per uscire e, tin…, mi si illumina l’idea di quel massaggiatore. Mi son segnata il numero di telefono perché, sotto stress, ho dei dolori alla schiena. Con Giorgio mi passano. Adesso non li ho. L’idea di telefonare mi intriga. Alle dieci, una signora sta meglio e non viene, mi dice. Accendo la TV per il telegiornale delle nove. Sono un po’ in ansia. Cosa mi spinge a questo appuntamento improvviso? La noia? La frustrazione? Sono a disagio con me stessa. A ventisette anni mi capita di non capirmi. Esco in anticipo. Il traffico è accettabile e guidare mi rilassa. Girovago un po’. Poi mi decido e punto verso l’indirizzo. Si trova in un vecchio quartiere semicentrale. Parcheggio facilmente davanti ad una palazzina a due piani e quattro appartamenti. Cerco il nome e suono con un accenno di batticuore. Il citofono risponde, dopo lo schiocco del cancello. Mi indica la via e mi dice che c’è da aspettare un poco. La porta è accostata. Una sala d’attesa anonima con qualche sedia e, su un tavolinetto, riviste spiegazzate di varia umanità. Mi siedo e lascio correre lo sguardo fuori dalla finestra. Alcuni alberi ed una palazzina simile a questa. Agito nervosamente una gamba, sfoglio distrattamente una rivista salutista di un paio di mesi fa. Non riesco a concentrarmi sulle virtù di un’acqua miracolosa. Sbatto giù la rivista e mi alzo verso la finestra. La porta si apre ed un cinquantenne sorridente ringrazia indicando la schiena. Più in la il fisioterapista, trentacinque quarant’anni, saluta e mi sorride con un paio di sottili baffetti. Un sentore fastidioso di unguenti e pomate. Si fa da parte e mi lascia entrare. La stanza è bianca, una scrivania ed una sedia davanti che mi viene indicata. L’occhio mi sfugge, con un po’ di apprensione, sul lettino candido. Di là un separè. Mi siedo e spiego l’antefatto: i conoscenti comuni e le mie tensioni muscolari diffuse. Lei è fortunata, mi dice, niente di serio. Un massaggio ben fatto e dovrei sentirmi come nuova. Mi indica il separè e mi invita a prepararmi. Mi nascondo, mi sfilo la maglietta ed abbasso la cerniera dei jeans. Arrotolo anche il collant, mi tolgo una scarpa con l’aiuto dell’altra. Con un passo laterale ne sono fuori. Mi accomodo lo slip e, imbarazzata, mi accingo ad uscire quando la sua voce:”quand’ ha finito, si accomodi sul lettino, pancia in giù.” Obbedisco nel suo totale disinteresse. Mi sento trasparente e delusa. La primavera quest’anno non vuol partire, dice. Sento le sue mani sulle spalle che saggiano la tonicità dei muscoli con fare professionale. Uh, ma neanche dopo un giorno di lavoro son così tesi. Come mai? Ci vorrà un po’ di tempo. Comincia con i polpastrelli, poi sento le dita che mi impastano e mi stirano. Alla fine,con tutta la mano, segue il mio disegno muscolare. Ripete e ripete ed io mi rilasso e mi pare di star scivolando verso un dolce dormiveglia. Le mani si abbassano corrono verso l’esterno pericolosamente vicine ai miei seni. Mi risveglio e sono pienamente consapevole di lui, delle sue mani. Si slacci, alludendo al reggiseno, il movimento non deve essere interrotto. Alzo la testa, inarco la schiena ed eseguo. Il massaggio prosegue fino al punto vita dall’alto verso il basso di nuovo ipnotico, di nuovo alla radice dei seni visto che non ho richiuso completamente le braccia. Abbandona un attimo la schiena e scivola lungo le braccia. Sento le unghie dei pollici sulla pelle sensibile che prelude alle mammelle. Oddio i capezzoli. Li sento inturgidirsi con piacere ed imbarazzo. Per fortuna il reggiseno è casto e, quando dovrò girarmi spero nasconderà il turgore che mi inquieta ma non diminuisce. Le mani tornano sulla schiena, scivolano verso il basso afferrano il bordo superiore delle mutandine e, ops, me le trovo abbassate al bordo superiore delle cosce. Sento l’aria lambire le mie natiche. La schiena va meglio, dice lui, devo continuare. Non sono più solo i capezzoli ad inturgidirsi. Le palme si muovono circolarmente e ritmicamente con una certa energia. Sento, o sogno, il mio solco aprirsi e chiudersi senza resistere. Miele che scorre dall’altro. Speriamo che non se ne accorga. Mi sento eccitabile come un maschietto adolescente. E dire che con Giorgio talvolta il mio corpo è sordo. Oggi è teso allo spasimo. Mi rialza lo slip e scende verso le cosce. Il movimento e lungo rettilineo e ripetuto. Le sue mani oscillano dalla sporgenza delle natiche fino ai piedi. Il mio respiro si fa affannoso. Sto rischiando una brutta figura. Mi prende i piedi in mano, prima l’uno, poi l’altro, e massaggia la pianta come alla ricerca di un punto misterioso. Va a finire che io il punto G l’ho sotto i piedi. Mi prende una sorta di dolce stordimento. Si giri, mi dice. Sono fritta, penso io. Che faccio? Mi aggrappo al reggiseno slacciato, e vorrei tanto cadesse, e ruoto su me stessa stringendo le cosce nella speranza di nascondere il mio stato. Mi adagio, con il colore dell’eccitazione in viso. Lui sembra concentrato sul mio pancino. Comincia un movimento concentrico attorno al mio ombelico che via via si allarga e prolunga su fino al bordo del reggiseno che qualche volta le punte delle sue dita superano a sfiorare il seno. Vorrei tanto che mi palpasse le tette a tutta mano. Come sarà la sua lingua sui capezzoli? Ruvida come quella di un gatto? Puntuta come un serpente? Si allontana e con movimento circolare mi abbassa un po’ lo slip. Dio, fagliela toccare. Debbo frenare il movimento del bacino che vorrebbe portargli il pube in mano. Ma strappamele, scemo. Mi pare che il mio odore riempia la stanza. Si sposta un passetto più giù e ricomincia con le gambe. Stesso movimento che si ripete fino ai piedi. Risale e ridiscende. Si sposta verso l’interno e comincio ad avere dei movimenti involontari. Se mi tocca, muoio. Apra un poco, dice dandomi un colpetto sulla coscia. Debbo fare l’interno della gamba ed ho finito. Io sono finita, sei cieco? Ho perso la mia battaglia. L’idea più scema viene a me. Farò la finta ingenua. Apro le gambe, quel tanto per lasciare scorrere le mani. Cominciano dai polpacci e risalgono. Oddio, non mi sono depilata. I baffi non mi piacciono, neanche i suoi. Le sue mani oscillano, ossessive, avanti indietro sull’interno delle cosce. Il movimento si fa sempre più ampio. Anche quello del mio bacino. Se mi sfiora vengo. Ed infatti la sua mano risale fino all’inguine e, come incerta, si ferma lì, un istante di troppo, sull’orlo delle mie mutandine fradice. E son gemiti soffocati e scosse contenute. Il respiro mi si blocca e lei sussulta, contro il mio volere. La padrona. Se potessi, mi sentirebbero dalla strada. Uno scatto più ampio e comincio a rilasciarmi. Debbo dire qualcosa. Non può non aver capito. Ho provato una sensazione strana, non mi era mai successo. Che dio mi perdoni, penso! Ma, lei è veramente bravo, avevano ragione a parlare bene di lei. Mi sento tutta rilassata! Abbiamo finito, vero? Mi rialzo, mi rivesto in fretta osservando, vergognosa, la chiazza sul lettino. Pago e penso. Se riesco ad uscire non torno più…. Forse. Ma a Giorgio, gli stà proprio bene. Visto da lui. Una mattinata noiosa. Appuntamenti uno via l’altro. Per fortuna ho una pausa per il caffè. La cicciona stà meglio. Non mi capacito perché con quei chili in più, chi arriva alla radice del dolore? Il telefono squilla e addio caffè. Quando apro la porta per salutare il cliente, vedo il mio tipo accanto alla finestra. Ha un sedere birichino, e, quando si gira, due tette puntute. La faccio entrare. Nervosa, mi racconta i sintomi. L’immagino svestita. La rassicuro. Mentre si prepara, mi lavo le mani. Si stende, obbediente, sul lettino. Il lavoro è lavoro, qualche volta è dura, però. Penso ad altro. Comincio dalle spalle che effettivamente sono rigide, nodose. Piano, piano si rilassa e l’invito a sganciare il reggiseno. Non mi piace la sua schiena attraversata da quel lembo di stoffa. La voglio intera. Non interrompete una emozione. Continuo il lavoro e voglio vederle il culo. Le abbasso di colpo le mutandine e le natiche mi esplodono in faccia. Duro come un bacchetto. Per fortuna la divisa lo nasconde. C’è qualcosa che non va. Mi pare fin troppo sensibile alle mie mani. Questa volta, mi radiano dall’albo. La faccio girare. E’ fradicia ed odorosa. Che si sia drogata? Continuo il massaggio e lei lo prende per carezze. Mi asseconda, affannata. Lui mi fa male. Il lavoro è lavoro. Mi prende un impulso. Un pizzico di mano morta non sarà la fine per nessuno. La faccio allargare, e dopo un po’ faccio una sosta vicino a dove non dovrei. Ma guarda ‘sta troiona. Mi viene in mano senza neanche che la tocchi. Mi sento imbarazzato ed onnipotente. Finalmente si calma e senti cosa dice! Ma ci fa o ci è? Mi paga e mi saluta. Se mi capita fra le mani un’ altra volta, la porcona, la sistemo io. E per le feste. Ma cosa faccio? 027451….. Tre squilli. Cara, mi servirebbe urgentemente la pomata dell’armadietto. Portamela, ma di corsa!
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