Venti ore di speranze in due capitoliFinalmente l’estate. Il caldo era arrivato; improvviso. Non ancora a quei livelli che ti fondono anche l’anima, ma a quel giusto grado che ti consente di girare in casa senza praticamente niente indosso. Come piaceva a lei.Laura si sentiva felice, euforica. Abbandonò il tavolo su cui aveva fatto colazione, senza rimettere in ordine. Frammenti del cornetto le caddero dalla impalpabile vestaglia. Li vide depositarsi sulla moquette ma non se ne curò. Tanto, era da passare il battitappeto. Ora voleva solo godersi quei primi, magnifici momenti di quel fine settimana che avrebbe potuto significare la sua felicità per il resto della vita.Boris l’aveva invitata a trascorrere il week-end da lui. Impaziente di ritrovarsi finalmente in quella casa, si era presa il Venerdì di vacanza presentandosi fiduciosa, a tarda sera, con quasi un giorno d’anticipo. Al suo arrivo le era sembrato, o almeno così aveva voluto credere, che Boris fosse contento della sorpresa. Certo, lui l’indomani mattina doveva andare ancora al lavoro, ma aveva promesso di tornare a casa per pranzo, a costo di interrompere a metà il consiglio d’amministrazione della ditta di cui era titolare.Si avvicinò alla finestra del salone che dava sul breve prato d’ingresso. Il sole stava allora invadendo il giardino, superando i fitti alberi che circondavano la solitaria villa. Guardò il cielo terso, profondo, senza una nuvola: quasi irreale rispetto a quello sempre velato di smog che aveva fin’ allora visto dalle finestre del suo appartamento in città.Una lacrima di felicità le solcò il bellissimo volto. Aprendo la finestra, ed assaporando il profumo del caldo che la investì, si diede della stupida. Proprio una bimbetta stupida: piangere di felicità. Però poi, in fondo, si disse, era anche giusto così.La sua commozione era più che giustificata. Sembrava quasi che la natura volesse darle il suo “bentornata”; le sembrò che gli uccelli le cinguettassero la loro felicità nel rivederla di nuovo lì. Adorava quella casa, quel giardino, quegli alberi; quella pace.Uscì sulla veranda, incurante del suo scarsissimo abbigliamento, sedette sull’orlo del dondolo e pianse. Finalmente pianse. Che stupida era stata. Il suo caratteraccio, la sua mania di voler sempre essere il centro del mondo, il suo mai considerare gli altri, anche il più caro, l’avevano portata ad un passo dal perdere tutto questo e ben altro.Ora però, era tutto un brutto ricordo. Sperava. Si sforzò di cancellare anche quello. Voleva vivere solo il presente, il presente ed il dolce futuro che anelava trascorrere con il suo uomo. Con l’uomo che desiderava più di ogni altra cosa riconquistare.Scese in giardino, girò attorno alla casa e si fermò davanti ad un cespuglio di rose che aveva piantato quattro anni prima. Tolse qualche filo d’erba di quelli più vicini alla pianta. Volle credere che anche tutto il giardino avesse bisogno delle sue cure. Era stato per anni il suo regno. Ora, nonostante il lavoro del giardiniere, vedeva che non era stato curato con il suo amore.Trasse un brivido di piacere dal calore del sole che le avvolgeva le spalle. Si voltò verso di esso e si inebriò nella sua luce assorbendone i caldi raggi. Avvertì, fisicamente, l’evaporare dal suo intimo di tutta la tristezza che l’aveva pervasa negli ultimi mesi. Si dette nuovamente della stupida, e giurò a se stessa di tagliarsi una mano piuttosto che rischiare ancora di perdere il suo Boris. Se mai fosse riuscita a riconquistarlo.Quanto dolore, quanta tristezza ma anche quanta inflessibile durezza c’era stata nelle sue parole quando l’aveva invitata ad andarsene, anzi, più signorilmente, a sistemarsi di nuovo nell’appartamento che suo padre le aveva lasciato in eredità.Rientrando in casa, per l’ingresso principale, si soffermò ad osservare la porta a vetri piombati. Le sembrò che il disegno avesse un qualcosa di diverso, di strano. Poi ricordò. Quando, otto mesi prima, era uscita per l’ ultima volta, l’aveva sbattuta talmente forte che la vetrata era caduta in pezzi. Che strano; in tutto questo tempo non aveva mai ricordato quel particolare. Si, era proprio su tutte le furie quando sbatté quella porta. Normale che ora il disegno fosse leggermente diverso. Guardò l’orologio. Era ancora presto. Aveva tempo per rassettare tutto ed anche per preparare un bel pranzetto per il suo amore.Giuseppina, la governante che aveva visto crescere Boris, era andata in ferie da qualche giorno. Uno o due giorni dopo che Boris aveva ceduto alle sue insistenze, accettando l’ invito a cena, nel loro ristorante preferito, dopo essersi rincontrati per caso ad una prima teatrale. Dopo quel fortuito incontro, in cui Boris si comportò alquanto formalmente, si erano rivisti sempre più spesso, ma esclusivamente in pubblico. Sembrava quasi che lui temesse o volesse evitare di rivederla in privato. Poi la cena, quasi come ai vecchi tempi: ed un paio di giorni dopo Giuseppina va in ferie. Circa un mese prima del solito.Una coincidenza? Chissà. A lei piaceva pensare di no.No, non era una coincidenza. Ne era convinta.Boris aveva fatto in modo che lei, tornando, si ritrovasse a suo agio, senza terzi incomodi che potessero in qualche modo, anche involontariamente, ostacolare i primi difficilissimi momenti della loro nuova convivenza. Ora si sentiva nuovamente padrona del campo in quella casa in cui aveva trascorso cinque anni felici. Forse era meglio dire quattro anni felici: l’ultimo non lo si poteva certo definire tale. Ancora oggi non riusciva a spiegarsi cosa le fosse preso. Era diventata il simbolo, il portabandiera dell’antagonismo, delle contese, dell’insofferenza, della meschinità.Quante cose aveva da farsi perdonare sia da Boris che da quella povera, cara Giuseppina che, sul principio, stravedeva per lei.Nelle loro piccole, normali baruffe di innamorati, la governante prendeva sempre le sue parti. Non con invadenza, tutt’ altro. Sapeva stare al posto suo, ma la lunga convivenza con Boris, le consentiva di comportarsi, in casi particolari, più come una vecchia zia che come una dipendente. Era una cuoca perfetta ed una profonda conoscitrice del galateo più raffinato, quasi antico, che ormai veniva rispettato soltanto negli ambienti più in della società. Aveva appreso molto da lei: stile, signorilità, raffinatezza nei gusti, capacità di essere un’ottima Anfitrione. Eppure, ad un certo punto, invece di provare riconoscenza per quella donna, cominciò a non sopportarla più; ad averla quasi in antipatia. La sentiva opprimente, troppo protettiva, le impediva di sentirsi libera e padrona di se stessa. Quasi la stessa cosa le era accaduta nei confronti di Boris, della sua discrezione, che lei prendeva per disinteresse; della sua disponibilità, che lei interpretava come accondiscendenza, del suo tatto da lei costantemente inteso come indifferenza. Allora aveva inconsciamente ma brutalmente incominciato una sorda, subdola guerra con le due persone che di più amava al mondo. Se lei pensava bianco e gli altri dicevano bianco, lei s’infuriava e diceva nero. Lei pensava di indossare il vestito blu, Giovanna, conoscendo i suoi gusti, le preparava il vestito blu, e lei testardamente indossava l’abito rosso sicuramente non indicato.Quante volte si era coricata sul loro ampio letto, nuda, profumata, pronta e vogliosa di dare e ricevere amore; di realizzare tutti quei giochi erotici che tanto soddisfacevano la loro natura estremamente trasgressiva, eppure, alla prima carezza, al primo soffice bacio, lei lo respingeva, anche in malo modo per poi rannicchiarsi solitaria, dalla sua parte, a piangere e compatirsi per quanto gli altri erano insensibili e nient’affatto comprensivi nei suoi confronti.Si rendeva conto, in seguito, di queste sue incongruenze; ne soffriva e se ne pentiva, ripromettendosi che mai più si sarebbe comportata in quel modo, ma poi, era più forte di lei: alla prima occasione tornava daccapo.Verso la fine di quel periodo, si convinse di essere sulla strada della pazzia e di questo ne dette la colpa a Boris che si curava troppo poco, anzi, se ne infischiava, dei suoi problemi. Lui faceva finta di essere comprensivo, buono, accondiscendente, remissivo; in realtà non era altro che un maschilista attento solamente ai suoi bisogni, alla sua tranquillità, al suo lavoro. E fu la fine.Sul principio si sentì libera, nuovamente padrona di se stessa, signora del suo tempo, del suo guardaroba, dei suoi pensieri. Ma durò poco. Molto poco.Ben presto, la nostalgia di lui, dei suoi baci, delle sue carezze, dei loro giochi, presero il sopravvento. Per ore restava ferma accanto al telefono aspettando una sua chiamata che non venne mai. Giornate intere passate alla finestra sperando di vedere la sua macchina che mai giunse a prenderla per riportarla in paradiso. Non usciva più, non aveva più contatti con la larga schiera dei vecchi amici, neanche telefonici, temendo di perdere il suo arrivo, la sua telefonata. Venne allora il periodo in cui fu lei a tempestare la villa di chiamate: -Mi spiace ma il signore è assente; no, non ha lasciato detto quando sarebbe rientrato; il signore è fuori per alcuni giorni; questo fine settimana sarà assente -.Odiò Giovanna. Odiò quella donna che le impediva di parlargli, di dirgli quanto lo amava, di fargli capire che era nuovamente lei: quella che lui amava; di chiedergli perdono. Se solo avesse potuto vederlo, parlargli, anche per un solo minuto… .Fu in quel periodo che la sua ossessione si trasformò lentamente, quasi per miracolo, in un liberatorio esame di coscienza.Rivisse giorno per giorno, bisticcio per bisticcio, attimo per attimo l’ultimo periodo vissuto con lui e si rese conto, che lei, nei panni di Boris, avrebbe fatto durare quell’inferno, molto, molto meno tempo.Ora però era lì. Il destino aveva voluto offrirle una seconda possibilità e lei era irremovibilmente decisa a non lasciarsela sfuggire.Fu sorpresa di ritrovarsi con le posate in mano di fronte alla tavola apparecchiata.Il grosso orologio a pendolo, suonando i dodici rintocchi, l’aveva ridestata dai suoi sogni. Si rese conto in un attimo, di aver passato la mattinata rassettando e cucinando senza prestare la minima attenzione a quanto faceva. Chiusa in se stessa, in compagnia soltanto dei suoi sogni e delle sue speranze.Controllò che tutto fosse in ordine e corse di sopra per vestirsi. Indossava ancora soltanto la vestaglia messa al mattino, uscendo dal bagno.Passando davanti alla porta della stanza di Boris, quella che era stata anche la sua stanza, fu tentata di entrarvi. Voleva rivedere il loro nido, il nido che sperava tornasse ad essere anche suo, magari quella notte stessa, o meglio ancora, quello stesso pomeriggio. Girò la maniglia, ma la porta resistette: era chiusa a chiave. Qualche mese prima avrebbe odiato Boris per un fatto del genere. Avrebbe urlato e sbraitato prendendo a calci la porta.Ora no.Ora, capiva il messaggio: E’ ancora presto per riammetterti in quella veste nella mia vita; non è che non mi fidi di te: hai tutta la casa a disposizione, ma voglio essere certo di non commettere un errore che pagherei poi a caro prezzo se mi sbagliassi e ti consentissi di rientrare in questa stanza.Ora capiva, come aveva capito la sera precedente, quando lui l’aveva accompagnata nella stanza degli ospiti e, fermo sulla porta, le aveva sfiorato la guancia con un bacio. Lui l’indomani si doveva alzare presto, e non voleva disturbarla. Signore anche nei pretesti. Avrebbero avuto tempo per parlarne e… .Si era interrotto lì. Una promessa? Forse, chissà.Aprì la sua capace borsa da viaggio e restò indecisa su cosa indossare. Niente le sembrava completamente adatto alla circostanza.Pantaloncini e maglietta larga alla veneziana? Troppo picnic. Gonna e pullover? Troppo the danzante anni cinquanta, e poi, non creava quella giusta intimità che lei voleva invece, risorgesse subito tra loro. Non che la scelta fosse poi così ampia. Non aveva certo voluto dare l’impressione di un trasferimento portandosi dietro valige di roba. Rimpianse di non aver preso la corta scamiciata di lino grezzo, abbottonata sul davanti, che lui le aveva regalato l’estate scorsa. Aprì l’armadio per riporvi quello che intanto tirava fuori dalla borsa e rimase di stucco.I suoi abiti, tutto quello che non aveva portato via in autunno, erano lì, stirati ed in ordine in attesa di lei che li indossasse nuovamente. Non erano stati gettati via come lei stessa, in analoghe circostanze avrebbe fatto. Comprese anche quel messaggio: era la ben venuta. Quella era ancora la sua casa, bastava che lei lo volesse. E lei lo voleva; eccome se lo voleva.Scelse un gonnellino blu, tipo tennis, molto comodo e scandalosamente corto ed una camicetta giallo canarino, praticamente senza maniche, che annodò alta in vita allacciandone soltanto il bottone più in basso, vicino al nodo. Di biancheria intima, neanche a parlarne.Adorava presentarglisi così, stuzzicante, eccitante e totalmente disponibile. In questo modo era riuscita ad interessarlo a lei la prima volta. Sperò ardentemente che la magia si ripetesse.Calzò un paio di sandaletti in tinta, dal tacco medio alto che le imprimevano un’andatura velatamente ancheggiante.Si ammirò allo specchio.Compiaciuta per l’immagina riflessa, accennò un breve passo di danza. Il gonnellino le svolazzò morbido sulle cosce, lasciando intravvedere l’attaccatura delle natiche lisce e sode. Gambe perfette, ventre sodo e piatto, seni che premevano sulla pur ampia camicetta. Da quando aveva ricominciato a sperare di poter tornare con lui, si era sottoposta, nella palestra che frequentava abbastanza regolarmente, a qualche noiosa seduta abbronzante. Ora, giudicando criticamente l’immagine riflessa, si congratulò con se stessa. La sana coloritura ambrata che aveva assunta, ancora prematura per quella stagione, risaltava perfettamente sulle tinte lievemente sgargianti dell’abbigliamento.Sapeva bene, per esperienza diretta, che Boris non era poi così di ghiaccio come asseriva chi non lo conosceva profondamente. Almeno non sempre, e lei, da ora in poi, avrebbe emesso tanto calore da fondere un ghiacciaio.Un’ultima spazzolata ai capelli. Rimpianse di averli tagliati cinque mesi prima. Erano ricresciuti, ma non abbastanza. A lui piacevano più lunghi; adagiati sulle spalle. Ormai non poteva farci niente e quindi non se ne crucciò più di tanto. Appena un lievissimo accenno di trucco, e si sentì pronta.Tornò in cucina per un ultimo controllo. Tutto pronto. Antipasto di verdure, arrosto freddo con insalata, crostini già nel microonde pronti per essere scaldati, quadratini di burro a temperatura ambiente. Boris, come quasi tutti quelli che lavorano l’intero giorno, non gradiva un pasto abbondante a metà giornata, e questo a lei andava bene. Non voleva che tra il pranzo abbondante ed il primo caldo, gli venisse quella classica pesantezza che porta diritta al pisolino pomeridiano. Aveva ormai soltanto due giorni e mezzo per realizzare i suoi sogni e non voleva che se ne sprecasse neanche un attimo in cose non indispensabili.Tornò in salotto e si sdraiò comodamente sull’ampio divano in attesa dell’arrivo del padrone di casa. Guardando, attraverso le finestre aperte, le cime degli alberi appena smosse da una leggerissima brezza, cercò di concentrarsi sull’imminente futuro.Aveva timore di pensarci, di fare piani che non dipendeva soltanto da lei vedere realizzati, ma, si disse, la posta in gioco è troppo importante per affidarsi alla sola improvvisazione. Quale arte magica doveva impiegare per far si che Boris si convincesse che il suo periodo nero era morto e sepolto e che mai più sarebbe tornato? Cos’altro doveva fare? Si era spiegata, aveva fatto capire di desiderare il suo perdono. Gli aveva messo su di un piatto d’argento la sua voglia di tornare da lui, con lui. Esplicitamente, quella sera, a cena, gli aveva detto quanto le era mancato e quanto ancor di più le mancava. Eppure lui continuava a mostrarsi titubante, pur avendole fatto comprendere, senza dichiararlo apertamente, che i loro desideri coincidevano.Dov’è che soprattutto aveva sbagliato in quell’ultimo pessimo anno? Nella vita di tutti i giorni? Si, certo, ma non poi più di tanto. Lì, chi doveva avercela veramente con lei era quella povera Giuseppina, più che Boris. Allora? Nei tanti momenti di vita mondana? Anche in questo caso, secondo lei, non era stata abbastanza pestifera da giustificare il fatto di essere messa alla porta. In pubblico si era ben guardata, quasi sempre, dal fare scenate o dal comportarsi come una bambina idiota e viziata: già, quasi sempre. Ma allora quando? Quando lo aveva colpito così profondamente da farlo essere ancora tanto diffidente nei suoi confronti? La risposta, che si dava ormai da circa un mese, indipendentemente da quale parte affrontasse il problema, era sempre la stessa: i colpi, quasi mortali, li aveva inferti ai loro momenti più intimi e più belli! Ai loro magici momenti d’amore. Ai loro inusuali giochi proibiti che lei stessa prediligeva ed a cui lui partecipava con entusiasmo ricavandone analogo piacere. Lei, da sola, aveva pregiudicato quel percorso tanto dilettevole e pacificatore. Quante volte, proprio a letto, avevano appianato e dimenticato i loro dissapori. E lei, suo malgrado, era riuscita a rendere il più delle volte sgradevoli anche quei momenti. Questo, proprio questo doveva essere quello che lui non era ancora riuscito a perdonarle. Questo era ciò che lo rendeva ancora così diffidente della sua buona fede.Bene! Da lì, proprio da lì avrebbe ricominciato. Doveva far di tutto per ridargli la fiducia nella capacità di quei momenti, di farli rivivere nuovamente in un’unica ed invidiabile unione.Tutto le era stato ormai perdonato. Tutto tranne il suo inqualificabile ed inspiegabile comportamento sessuale. Ecco allora il sognato, ma imprevisto, invito per il fine settimana: un esame. La testimonianza, materiale, che tutto poteva tornare come prima, meglio di prima. Ecco allora la casa vuota, tutti i suoi abiti e… E il resto ? Non l’aveva visto, non c’era. Ed era logico. Non si mette a disposizione di una normale ospite, invitata per un fine settimana, quella roba. Ma senza la loro “borsa dei giochi”, come poteva dimostrargli che tutto, veramente tutto era tornato come prima? Lei, aveva voluto percorrere quella strada; lui l’aveva seguita ben volentieri, è vero, ma lei, per prima, aveva lanciato l’idea. Ed era solo lei, quando ne aveva voglia, a creare le occasioni per dare il via ai loro giochi particolari. Lui li apprezzava moltissimo, ma tanto era il rispetto che portava nei suoi confronti, che mai e poi mai si sarebbe sognato di imporglieli, anche magari con una semplice richiesta. Possibile che i suoi gusti fossero cambiati al punto da non volerlo più fare? No, non era possibile. D’altro canto, se le avesse fatto trovare la borsa bene in vista, sarebbe potuta sembrare una richiesta, e questo non era da lui.Non c’era tempo da perdere. Doveva verificare quella faccenda assolutamente prima del suo rientro. Dopo, sarebbe stato catastroficamente troppo tardi.Arrivò nella stanza che le era stata assegnata, con il fiato corto. Aveva saltato i gradini a due a due. Spalancò gli sportelli dell’armadio frugando in mezzo ai vestiti. Niente. Aprì tutti i cassetti del comò: completamente vuoti. La ricerca nei comodini, nel bagno, sotto il letto ottenne lo stesso deludente risultato.Non poteva essersi sbagliata fino a quel punto. Lo conosceva troppo bene. Anche lui adorava i loro giochi. Quante volte l’aveva lodata per aver introdotto nella loro vita quell’ultimo tassello che aveva resa completa la fusione dei loro spiriti. La mancanza di quel completamento poteva significare soltanto che lui non intendeva affatto verificare il suo comportamento prima di riprenderla eventualmente con se. Non era possibile che la volesse punire in quel modo, facendole riassaporare quello che aveva perso, per poi ributtarla via. Per sempre. No! Non poteva essere.Si impose la calma. Doveva ragionare. La loro camera da letto era chiusa a chiave, quindi, se il suo convincimento era esatto, doveva restare esclusa dalle ricerche. D’altro canto, quel che cercava non poteva neanche stare in un posto in cui lei avrebbe potuto trovarla casualmente. Doveva trovarla soltanto perché l’aveva cercata di proposito, e neanche con troppa facilità. Solo così avrebbe potuto dimostrargli che i loro pensieri erano di nuovo completamente all’unisono. Doveva essere lì, in quella camera in cui lui le aveva fatto trovare le altre sue cose. Ma dove? Si guardò intorno cercando un minimo indizio, un posto in cui non avesse già visto ed abbastanza grande da contenere una capace ventiquattr’ore: la testiera del letto a cassettone! Si, soltanto lì poteva essere: nell’unico posto in cui le era rimasto da guardare. Febbrilmente spostò le reti, quindi il mobile, cavo verso la parete, che fungeva da ripiano portaoggetti dietro i cuscini. La valigetta era là. Dopo aver rimesso in ordine, sedé felice sul letto con il premio delle sue ricerche sulle ginocchia. Con non poca nostalgia fece scattare le due serrature laterali. C’era tutto. Tutto quello che in anni di viaggi, di giochi e di amplessi trasgressivi avevano collezionato per rendere sempre più vario ed appagante il loro rapporto; per soddisfare sempre di più e meglio le loro insaziabili voglie di nuove esperienze. In questo, poteva ben dire che insieme si integravano alla perfezione; come un puzzle ben risolto.Adesso era veramente felice. Finalmente era certa al cento per cento di poterlo riconquistare, e subito. Non che ne dubitasse molto anche prima, ma sentiva che le sarebbe occorso molto più tempo e lei non poteva più aspettare. Aveva fretta. Laura era perfettamente consapevole che il suo copro perfetto, sempre totalmente offerto, era stato un perenne motivo di stimolo e di eccitazione per Boris, ma questa era solo una parte di quello che adorava in lei. Questo, però, avrebbe potuto trovarlo in molte altre donne. L’aspetto di lei, che li aveva resi così uniti, così integrati perfettamente l’una all’altro, era stata la sua allegra fantasia nell’inventare ed il suo desiderio di attuare sempre nuovi giochi e situazioni erotiche; proibite.Ora, quindi, non le bastava più tornare semplicemente a far l’amore con lui. Voleva che tutto si svolgesse come se il loro distacco non fosse mai esistito, e neanche gran parte dell’ultimo anno trascorso insieme. Sapeva che se fosse riuscita a dargli la percezione che gli ultimi due anni erano stati soltanto un brutto sogno, tutto si sarebbe risolto per il meglio senza altri periodi di prova o rodaggio. La sua paura risiedeva nella consapevolezza che quel primo invito sarebbe stato anche l’ultimo se non avesse saputo creare uno stretto legame, un’attaccatura, con l’ultima volta che avevano felicemente fatto l’amore insieme continuando per lunghe ore ad inebriarsi dei loro giochi proibiti. La sua notevole tendenza masochista si integrava molto bene con la lieve componente sadica che Boris non si era mai curato di nascondere. Ora, con gli strumenti del loro maggiore, anche se occasionale piacere, che lui aveva voluto che cercasse e ritrovasse si sentiva certa di poter realizzare il suo sogno.Non usò le chiavi per rientrare in casa sua: suonò il campanello.La discrezione di Boris: a volte anche irritante nei suoi eccessi. Neanche involontariamente l’aveva mai colta di sorpresa. Bussava sempre a qualsiasi porta dietro la quale pensava ci fosse lei. Nonostante la loro immensa unione, aveva sempre fatto di tutto per rispettare la sua intimità. Quante volte gli aveva detto che per lei, quei suoi eccessivi riguardi erano come un voler mantenere le distanze? Non c’era mai stato niente da fare. Questa volta fu contenta di quel riguardo. Ebbe il tempo di completare i preparativi che avrebbero dovuto aiutarla nella realizzazione dei suoi sogni.Non poteva sapere se Boris aveva già dei programmi; immaginava di no. Se quell’invito era veramente una verifica, spettava a lei fare tutte le mosse. Doveva quindi prevedere tutto, prepararsi a qualsiasi circostanza. Era certa che prima o poi avrebbero fatto all’amore. Si era accorta, negli ultimi incontri, del desiderio che nuovamente risvegliava in lui, ma, dove? In precedenza avevano usato ogni angolo della casa per farlo; ed anche del giardino, ma per farlo ovunque nel modo completo ed a sorpresa, come intendeva lei, le sarebbero occorse almeno quattro “ borse dei giochi”. Una per ogni piano e l’altra nascosta in giardino. Purtroppo ce n’era una sola.Non dovevano uscire. Tutto sarebbe dovuto accadere in casa. Con una certa difficoltà riuscì a dividere il contenuto della borsa in tre gruppi che le avrebbero consentito realizzare ognuno più tipi di giochi senza, peraltro, sentire troppo la mancanza del resto. Il primo gruppo lo chiuse semplicemente nel cassetto del comodino che stava dalla parte da lei abitualmente occupata. Scese in fretta al piano terreno, e nascose buona parte di quanto le era rimasto, dietro gli sportelli, praticamente mai aperti, dello scrittoio Chippendale, che faceva bella mostra di se, a destra dell’arcata di accesso all’ampio salone in cui si svolgeva la maggior parte della vita in casa. Per ultimo, si precipitò nel seminterrato, ampio quasi quanto l’intera villa, ed arredato ad angolo palestra, angolo biliardo, angolo hobby eccetera. Lì, lasciò, nell’armadietto degli attrezzi ginnici, quella piccola parte di attrezzatura, più raramente usata e destinata ai giochi più duri, che abbisognavano di maggiore spazio e di determinate “comodità”. Stava appunto richiudendo l’armadietto quando squillò il campanello della porta d’ingresso. • Spero di non essere troppo in ritardo – disse posandole un casto bacio sulla guancia – Non riuscivo a liberarmi, e sono uscito più tardi del previsto; per di più, poi, sono incappato in un momento di traffico infernale -.• Non preoccuparti. Lo immaginavo e quindi me la sono presa comoda. Serviti un aperitivo mentre io porto in tavola -.• Aspetta, ti aiuto -.• Non c’è bisogno – gli gridò mentre varcava la soglia della cucina -. Ho preparato pochissima roba. Me lo ricordo, sai, che non gradisci mangiare molto a pranzo.-• Lo preparo anche per te? -• Cosa? -• L’aperitivo -.• No. meglio di no – rispose finendo di disporre le pietanze in tavola -. Vieni, è pronto. Mentre finisci l’aperitivo io finisco di imburrare i crostini, caldi caldi -.Mangiarono tranquillamente, parlando del più e del meno, di conoscenze comuni ed evitando inconsciamente, come per tacito accordo, l’argomento che comunque ronzava nelle teste di entrambi.Cedendo alle sue insistenze, gli consentì di aiutarla a rigovernare. I loro sguardi si incrociarono sovente, ma nessuno dei due osò, per primo, trasformarli in parole.Sembrava che ci fosse tra loro quasi un certo imbarazzo, quando si sedettero comodamente sull’enorme divano di fronte al televisore a schermo gigante.• Bello questo televisore, quando l’hai comperato?-• Me lo sono regalato per Natale. Sai, appena rimasto solo, passavo quasi tutto il tempo libero a guardare la TV, ad allora… . Vuoi che l’accendo?-• Per carità, anch’io ne ho fatta una scorpacciata. Ahhh! – sospirò appoggiandosi allo schienale del divano mentre incrociava le mani dietro la nuca- Adoro questa pace, questo silenzio. -Lui la guardava mentre con gli occhi chiusi sembrava stesse voluttuosamente immergendosi in quella tranquilla atmosfera di campagna. La camicetta, allargata dalla posizione delle braccia, lasciava comodamente vedere un seno duro ed orgoglioso. A fatica distolse lo sguardo da quella incantevole visione. Anche lui, aveva un suo programma, e voleva seguirlo fino in fondo. L’aveva invitata appositamente per verificare se corrispondevano a verità i messaggi più o meno velati che lei gli andava lanciando da quando avevano nuovamente cominciato a frequentarsi, anche se irregolarmente. Ognuno all’insaputa dell’altro, aveva un proprio progetto da seguire, senza sospettare che erano talmente convergenti che soltanto se lo avessero fatto di proposito, e con molta fatica, i loro sogni non si sarebbero realizzati.• Ho notato che hai mangiato poco e niente. Non ti sarai mica messa a dieta. Ti garantisco che non ne hai affatto bisogno. Anzi… ! -• Grazie, sei sempre il solito adulatore .-• Ti giuro che è la verità. Sei splendida.-Accettò il sincero complimento. – No, non sto facendo alcuna dieta, è che, lo sai, quando cambio aria, stento sempre a riportare alla normalità le mie funzioni. Una volta l’avevo una cura, ma poi… -Boris non raccolse l’aperta provocazione. Sapeva bene di che cura stesse parlando, ma non era ancora sufficiente. Era cosciente, per tutto quello che gli aveva fatto passare l’anno precedente, di poter pretendere segnali di concreta volontà di ritorno al magnifico passato, ben più significativi di questo.Laura si accorse, comunque, dalla sua espressione lievissimamente divertita, che la freccia era giunta a segno e si convinse sempre di più di essere sulla buona strada.• Ti vedo stanco o mi sbaglio? -chiese mettendosi in ginocchio, sul cuscino centrale che fin’allora li aveva divisi, seduta sui talloni. Gli slacciò il primo bottone della camicia dopo aver allentato la cravatta. Non si concesse di andare oltre. Aveva optato per la politica dei piccoli passi, ed a questa si attenne. La lasciò fare. Gli erano sempre piaciute queste attenzioni.• Si, in effetti è un po’ che in fabbrica stiamo sotto pressione. Sono riuscito ad assicurarmi un paio di nuovi appalti, ma, i tempi di consegna sono alquanto ristretti. Ed i sindacati ne hanno subito approfittato per cercare di strappare qualche altra concessione. Ecco perché son dovuto tornare laggiù oggi.-Accennò a sollevarsi dalla posizione sdraiata che aveva mantenuto fin’allora, girandosi sulla destra per arrivare al carrellino bar aderente al bracciolo.• Lascia, faccio io – lo prevenne.- Il solito cognac?-• Si grazie.-Non scese dal divano, si allungò semplicemente sopra di lui e, stendendo le braccia, riuscì a fare due cose: una volontaria, versare abbastanza comodamente la giusta dose di alcolico nel napoleone, l’altra, quasi certamente involontaria, di sollevare il gonnellino al punto da lasciare le magnifiche natiche abbondantemente scoperte.Inevitabilmente Boris subì il fascino di quella visione e, mosso da un vecchio riflesso condizionato, sollevò la mano aperta pronta a percuotere con il consueto sculaccione affettuoso.Si rese conto appena in tempo di quello che stava facendo e riuscì a fermare la mano ad in pelo dall’impatto. Avvertì sul palmo aperto il calore emanato da quelle amate rotondità. Quante volte aveva compiuto quel gesto. Era diventato, tra loro, quasi un copione abituale. Improvvisamente gli esplose nel cervello il miraggio delle false, immancabili proteste: – Come ti permetti? Sei un Bruto -. – Ah, io sarei un bruto? Ma se ti ho appena sfiorata -. – Come mi hai appena sfiorata, Mi resterà il segno delle tue manacce da boscaiolo per almeno due giorni. Guarda….- Da lì, con un’infinità di varianti partiva il gioco.Una mano poggiata sull’inguine lo ricatapultò nella realtà. • Oh, scusa, faticavo a rialzarmi, mi sono appoggiata e la mano è finita lì.-• Per caso…-• Certo, per caso. – Sorrisero entrambi. La vecchia intimità stava lentamente riaffiorando.Contrariamente alle sue abitudini di fine intenditore, vuotò d’un fiato il bicchiere e rimase a fissarne pensieroso il fondo quasi asciutto. Laura aveva chiaramente avvertito, sotto la mano, la potente erezione in arrivo e proprio per questo non riusciva a spiegarsi quel lieve cambiamento d’umore.• Posso farti una domanda indiscreta? -• Le hai sempre fatte, ed io ti ho sempre risposto tranquillamente. -• Ma erano altri tempi, purtroppo. -• Si, purtroppo erano altri tempi. -Un nuovo imbarazzante silenzio scese tra loro. Intuivano chiaramente il reciproco desiderio di smetterla con quella pantomima, ma le incertezze che li avevano portati a trascorrere insieme, in “semplice amicizia”, quel fine settimana, erano troppo presenti in ognuno di loro per poterle trascurare al primo richiamo sessuale.• Allora? Questa domanda indiscreta arriva? -• Ecco, lo so che non sono fatti miei, almeno, non lo sono più. No, scusa, non avrei dovuto dirlo – il suo gesto di stizza era stato molto significativo -. Ricomincio daccapo. Non sono fatti miei, ma… hai avuto altre donne?• Hai ragione nel dire che non sono fatti tuoi, – le rispose con un vago sorriso sulle labbra, – ma ad una vera amica come te posso anche confessarlo: si, mi vedo con un’altra. -Laura si sentì gelare il sangue. Con estrema fatica impedì alle lacrime di sgorgare rigogliose. Lui avvertì l’improvviso irrigidimento del corpo che appena lo sfiorava, e capì la gaffe gratuita e cattiva, nella quale era incorso.• Ma è praticamente finita. Da un pezzo mi sono accorto che non si può sostituire una puledra di razza con una cavalla da tiro. – Ed affettuosamente le spostò una ciocca di capelli che le era scivolata sugli occhi.Sentì il sangue riaffluirle lentamente nelle vene. • E chi sarebbe la puledra di razza?-• Ma tu, naturalmente, e chi altra sennò?-• Beh, -scherzò rincuorata,- dovrei sentirmi offesa ad essere paragonata ad una cavalla, anche se di razza, ma capisco il senso e ti ringrazio. Un complimento, anche se strano, fa sempre piacere.-• E tu, hai qualcuno?-• Niente di particolare. Un paio di avventure, qualche mese fà. Ma ho lasciato perdere – proseguì rifacendogli il verso, – quando mi sono accorta che è difficilissimo sostituire un cavallo di razza con un somaro. -• Okay. Uno pari. Me lo sono meritato. – Risero entrambi, ma più per convenienza che per intima allegria.La conversazione languiva, incanalata su argomenti frivoli e di nessun interesse immediato. Laura avvertiva, sempre più interiormente nervosa, l’infruttuoso trascorrere del tempo. Sentiva la loro intimità risorgere, ma troppo, troppo lentamente. Lei aveva sperato in ben altro. Aveva sognato di avere i due giorni seguenti, a disposizione per consolidare la vittoria raggiunta nel pomeriggio. Non voleva arrivarci all’ultimo momento. Non voleva rischiare di sentirsi dire: Si, è stato bellissimo, ma… dammi ancora un pò di tempo. Voglio essere certo di non sbagliare nuovamente. I due giorni dovevano servire ad evitare proprio quel tipo di commiato. Lei, entro Domenica sera voleva essere invitata a restare per sempre.• Sai, durante l’inverno ho fatto sistemare la recinzione in fondo al parco. Dietro il boschetto in cui spesso ci capitava di…. Bah! Lasciamo perdere. Hai capito dove. Ho sostituito la rete, che era tutta malandata, piena di buchi, con un muretto e una solida inferriata, poi ho fatto piantare una bella siepe di cipressi nani. E’ venuto proprio un bel lavoro; vuoi vederlo? -• Si, ma non adesso. Fa ancora troppo caldo. – Accidenti a lei. Perché aveva scartato il giardino? Proprio lui, adesso, aveva accennato a quante ne avevano combinate proprio lì, nel boschetto.• Come vuoi. Ti ci accompagnerò domattina con il fresco. Vedrai: adesso è tutta un’altra cosa. Allora, cosa facciamo? Non vorrei che ti annoiassi. A quest’ora, ormai, è troppo tardi per andare a fare un giro da qualche parte, ed è troppo presto per andare a cena fuori. Vogliamo farci una partitina a scala quaranta? -• Giocare a carte? – Un’idea cominciò a ronzarle nella vulcanica testolina -Perché no? Ma non a scala quaranta, in due è noioso. Che ne dici di un pokerino?-• In due? E non è peggio della scala quaranta? -• Normalmente si, ma non se ci mettiamo un bel po’ di pepe.- Decise di forzare la mano, e guardandolo maliziosamente negli occhi, aggiunse – Giochiamo la variante dello Strip-poker. -La guardò ben bene da capo a fondo. Fu felice di rivedere quello sguardo e quel sorriso tanto malizioso che adorava.• Sarebbe una buona idea se non fosse per il fatto che io parto troppo avvantaggiato. Perderesti troppo presto. – Fissava con evidente compiacimento, le belle gambe, spingendo lo sguardo, senza troppa fatica, ben oltre il bordo della cortissima gonna. – Anche contando una scarpa per volta, se non vinci subito, tra puntata e rilancio, possiamo fare al massimo un paio di mani. Non è che indossi molta roba.-• Ah, te ne sei accorto. – Finalmente le cose si stavano indirizzando per il verso giusto. Se si fosse lasciato guidare, come sembrava stesse facendo, non avrebbe dovuto faticare molto a realizzare i suoi piani.• Ti ho mai dato l’impressione di essere cieco? Sono ore che mi sventoli sotto il naso tutta quella grazia di Dio. -• Poverino, e hai sofferto così a lungo e in silenzio; senza dire niente. – Lo canzonò.• Che vuoi farci ? Quelle sofferenze mi piacciono da morire e non volevo che tu me le alleviassi andando a reintegrare il tuo abbigliamento. Se la memoria non mi inganna, ultimamente, il tuo sport preferito, era proprio il fare le cose che meno desideravo. -Non aveva alcuna intenzione di rinfacciarle alcunché: espose semplicemente uno stato di fatto. Per Laura fu, invece, un brutto colpo. Avrebbe preferito, mille volte, essere presa a schiaffi, che sentirsi ricordare le sue malefatte anche se in modo così palesemente bonario e scherzoso. In quel periodo nefasto, lo aveva ferito molto profondamente, aveva quasi del tutto distrutto la totale fiducia che provava per lei; ed ora voleva impegnarsi veramente a fondo per riconquistare il terreno perduto.• Si, hai ragione, ma quello è uno sport che per fortuna, ormai, non mi piace più. E se debbo dirti la verità, non mi piaceva neanche allora. Dovevo proprio essere uscita di senno per comportarmi in quel modo.- Boris alzò leggermente una spalla, mentre con le labbra accennava un vago sorriso. Non gliene importava più niente? Aveva messo una pietra sul passato? O commiserava i suoi inutili tentativi di riconquistarne la fiducia?Il suo silenzio non le fu di aiuto. Non sapeva come interpretarlo. • Ti ho detto la verità, sai. Ho capito la lezione e, accada quel che accada, stronzate simili non ne farò mai più in vita mia. – Il discorso stava scivolando troppo sul serioso. La gioia e l’allegria erano stati il loro pane quotidiano, non i musi lunghi.- Allora, non vuoi giocare a Strip-poker?- Gli chiese con un’allegria appena appena forzata.• Certo che ci voglio giocare, stavo solo dicendo, prima che ti inginocchiassi al confessionale, che tra me e te c’è troppo divario di… capitale iniziale. E non mi sembrava giusto. -Bene, la piccola nube che aveva offuscato la loro allegria si era rapidamente dissolta, e Laura aveva ritrovato tutto il suo brio. La situazione era perfetta. Anche studiandoci un anno non avrebbe potuto far di meglio.• Non ti preoccupare, tu pensa a contare quanti pezzi hai per fare le puntate, ed io farò in modo da averne altrettanti.- Fece un rapido calcolo mentale e si accorse che il totale della posta che intendeva mettere sul piatto neanche si avvicinava ai suoi limiti. Limiti vecchi, è vero, ai quali da tempo non era più allenata, ma era certa che quello che l’aspettava non le avrebbe creato problemi; almeno non grossi. La vera posta in gioco era troppo importante per starsi a preoccupare di simili quisquilie.• Ah, vai a vestirti, allora. -• Ti ho detto di no; ma farò in modo che all’inizio avrò un capitale pari al tuo. Allora, ti decidi a contare? Io, l’hai detto tu, ne ho quattro. -• Ancora non riesco a capire cosa ti frulla per la testa. Staremo a vedere. Dunque… mutande, calzini e scarpe, fanno cinque, camicia….-• Ehi, ehi. Calma. Non cominciare subito a barare. Calzini e scarpe vanno al paio, quindi con gli slip fanno tre e non cinque.-• D’accordo, ma allora anche tu hai tre pezzi e non quattro.-• Ma io ho poca roba. – Il falso tentativo di intenerirlo con la voce piagnucolosa andò, come si aspettava, a vuoto.• Le regole sono regole. Chi è che già comincia a barare? -Avevano istintivamente ripreso a comportarsi come ai vecchi tempi, quando felici ed innamorati, passavano ore a stuzzicarsi allegramente con quelle schermaglie verbali nelle quali potevano dirsi di tutto senza suscitare il minimo risentimento. Anzi, il più delle volte, erano il punto di partenza per i loro particolari giochi d’amore. • Io non baro, e lo vedrai. Sei tu che ti comporti da dittatore maschilista approfittandoti di una povera bambina seminuda ed indifesa. -Boris saltò su di scatto guardandosi intorno con aria preoccupata.• E ora che ti prende? Sei impazzito?-• No! Sto solo cercando la “povera bambina indifesa”, ma non riesco neanche a vederla.-• Buffone, – lo apostrofò sommergendolo con una gragnuola di pugni affettuosi, – mettiti seduto e continua a contare. Eri arrivato a sei con la camicia.-• Si, colonnello Von “bambina indifesa”, agli ordini.- disse accomodandosi nuovamente sul divano, ma un po’ più vicino a lei di quanto non lo fosse già prima.- Allora: camicia sei, pantaloni sette, giacca e cravatta nove. Nove pezzi.-• Anche la cravatta! -• Certo, perché, non la indosso? -• Va bene, va bene. Poi non è vero che te ne approfitti. -• A proposito, voglio proprio vedere come farai ad aumentare il capitale senza andare a metterti altri capi indosso. Stai sotto di cinque. -• Sarà una sorpresa che apprezzerai moltissimo, ne sono certa. Giochiamo al tavolo o restiamo qui sul divano?-• Se non cerchi di sbirciarmi le carte, possiamo anche restarcene comodamente qui. Il cuscino centrale farà da tavolo. Prendo le carte.-• No, – lo fermò Laura alzandosi prima di lui.- Vado io, tanto debbo prendere anche il necessario per integrare il capitale.-Boris la lasciò fare. Sapeva per esperienza che era inutile cercare di sondare cosa avesse in mente. Se ne era follemente innamorato anche per questo. Ed ora sentiva quel sentimento, che aveva creduto profondamente sopito, rinascere dentro di se alla velocità di un missile. Sperò ardentemente che tutto andasse bene e che quel missile non gli scoppiasse tra le mani. Le premesse erano buone, ma gli ultimi tempi passati insieme lo avevano lasciato alquanto timoroso di cosa poteva escogitare quella testa divenuta tanto balzana.Tornò in fretta con il mazzo di carte, una penna ed alcuni foglietti.• A che ti serve carta e penna? Guarda che non si accettano assegni a questo gioco. -• Non sono assegni, -disse scrivendo qualcosa su ognuno di essi. – Sono i cinque buoni che mi servono a pareggiare i tuoi cinque pezzi e che, se vinci, riscuoterai appena finita la partita.-• Bah. Sono proprio curioso di vedere cosa ti giochi.-Aspettava quella domanda. Trionfante, estrasse dalla camicia una piccola peretta di gomma, poco più di un quarto di litro, ma sormontata da una cannula di dimensioni superiori al consueto. Lui la riconobbe all’istante. Era quella che prediligevano. Che donna meravigliosa: un cervello di prim’ordine in un corpo fantastico. Si chiese quanto tempo avesse impiegato a trovare la borsa. La guardò felice. Tutti i suoi dubbi erano stati fugati in un istante. Tutto era tornato come prima.• Ecco cosa mi gioco, -disse facendogli leggere i foglietti, tutti uguali, su cui aveva scritto : “vale 1 clistere “.- La tua cravatta per una peretta. Non è ben pagata? -• Si, – acconsentì con esagerata sufficienza, – ci posso anche stare, anche se la mia cravatta… -• La tua cravatta cosa? -, lo interruppe fissandolo con occhi torvi e con i pugni chiusi sui fianchi.• Niente, niente – la prese in giro ritirandosi all’angolo del divano -. E’ di gran marca, ma ci posso benissimo stare. -• E vorrei anche vedere che non ti andasse bene. E non azzardarti più a chiamarmi colonnello Von… quello che ti pare. I colonnelli mica debbono subire quello che subirò io… “se perdo”-• Se gli piacesse farselo fare come piace a te, lo subirebbero di corsa e con gioia. Con una posta del genere da vincere, mi impegnerò al massimo e non ti farò neanche una lira, meglio, una goccia di sconto.-• Non cantare vittoria tanto presto. Potresti fare la fine dei pifferi di montagna.- • Aspetta e sentirai che pifferi! Forza, alza e vediamo chi dà le carte.-• Chiariamo bene le regole prima. Ti vedo tanto interessato alla mia posta che non vorrei cominciassi ad imbrogliarmi come tuo solito. E non ribattere; perché è così! -• Se lo dici tu… . Comunque, chi apre fa la puntata, cambiamo le carte e poi dichiariamo il punto.-• Senza rilanciare? Ma allora giochiamo semplicemente a chi alza la carta più alta, sarebbe meglio. No. giochiamo normale e rilanciamo dopo il cambio. -• Come vuoi, – acconsentì Boris che intanto, avendo alzato la carta più alta, stava distribuendo le carte. – Ah, quanto mi piacerà riscuotere le il tuo capitale.-• Se vinci.. .-Come spesso succede, quando non vuoi che accada una cosa, quello è il momento che avviene. Laura voleva perdere, ed invece la fortuna si accanì contro di lei. Suo malgrado, vinceva tre mani su quattro. Più giocava male e più le entravano punti incredibili. Arrivò a scartare un tris servito e le entrò un altro tris che si combinò con una sua carta facendole realizzare un poker. Di barare sulla dichiarazione del punto non se ne parlava neanche: avevano l’abitudine di mostrarsi le carte alla fine di ogni mano. Laura era ancora completamente vestita, ed in possesso di tutti i suoi “buoni”, mentre a Boris restavano soltanto slip, pantaloni e calzini: le cose si stavano mettendo veramente male. Poteva sembrare un paradosso, ma quella maledetta fortuna stava mandando all’aria tutti i suoi piani. Era la prima volta che vinceva a carte contro Boris e non aveva mai giocato così male, contro ogni logica del gioco. Tentò allora di dare una scossa alla fortuna cominciando a giocare secondo le regole: “Visto che giocando male, la fortuna mi perseguita, si disse, vediamo se riesco a scacciarla giocando bene.” Fu esaudita. In poche mani restituì a Boris tutti i suoi indumenti, che lui, inscenando un’allegra pantomima, indossò ostentatamente di nuovo, rivestendosi completamente.Ora, indipendentemente da come giocava, i valori in campo erano tornati alla normalità. Boris era stato sempre più bravo di lei in quel gioco e, come finalmente stava di nuovo accadendo, vinceva una media di due mani su tre. Quando finalmente le vinse la camicetta, si appoggiò allo schienale del divano accarezzandole i magnifici seni con lo sguardo. Meritava veramente di essere guardata. Come se fosse la prima volta che si spogliava per lui, arrossì di piacere a quello sguardo di evidente apprezzamento, e, con un lievissimo imbarazzo, si coprì incrociando le mani sul petto.• Lo sapevo, lo sapevo che avresti cominciato a barare. – Le disse con un accento di finta indignazione.• Ma se ho perso anche la camicia.- ribattè lei non rendendosi neanche conto del gesto che aveva compiuto.• Si, ma mi stai ugualmente privando della vincita. Quando perderai anche la gonna, che farai? Continuerai a giocare nascondendoti dietro al divano? -Finalmente lei realizzò che stava coprendosi i seni con gli avambracci. • Oh, scusa, è stato un gesto tanto involontario che non me ne ero accorta. Ecco, per farmi perdonare, ti permetto di accarezzarli. -• Ma quanto è magnanima lei. Quasi quasi te li faccio ricoprire così, forse, mi darai anche il permesso di baciarli – Scherzò, mentre con un tocco di velluto le solleticò i capezzoli che in un attimo svettarono duri ed alteri come due obelischi.• Quello potrai farlo soltanto quando mi offrirai una sontuosa cena nel miglior ristorante della città -, gli rispose sottraendosi alle carezze sempre più insistenti che le stavano facendo perdere quel poco di autocontrollo che le restava.• Considerati già invitata. Posso avere un piccolo anticipo?-• Non si fa credito e non si concedono anticipi. L’unica cosa che adesso puoi avere sono le carte per continuare a giocare. – E gli mise in mano le cinque carte che intanto aveva distribuito. Nelle due mani successive perse la gonna e quattro dei cinque buoni che aveva preparato. Le era rimasto soltanto di che fare la puntata iniziale per il gioco successivo.Boris guardò le sue carte. • Hai perso – le annunciò -, anche se ti fossi servita una scala reale di cuori, non hai più niente da puntare.-• Ah, si? Pensi di poter vincere così facilmente? Allora sai che faccio? Io mi gioco un’altra puntata a sorpresa che vale almeno i quattro buoni che già hai vinto. Ci stai? -• Dipende dal tipo di sorpresa, di che si tratta? -• No! Devi rischiare e fidarti. Ti garantisco che vale abbondantemente i quattro buoni.-A Boris sembrava di rinascere. La sua vita stava ricominciando esattamente a due anni prima, quando la loro intesa era così perfetta che sembrava niente potesse scalfirla. Aveva di nuovo davanti a se quella donna, ma soprattutto quell’intelligenza così fantasiosa, allegra e gentile che per lui rappresentava il massimo della felicità.• A questo punto, dovrei risponderti come ha fatto una persona di nostra conoscenza… “niente crediti… “, ma io, l’ho sempre detto, ho il cuore troppo tenero. Va bene, accetto la puntata a sorpresa.-• E hai fatto male,- lo canzonò trionfante, – perché io ho un bel tris di donne.-• Accidenti, veramente un bel punto.-• Forza, rendimi i miei buoni. Ah, la fortuna è nuovamente girata. Adesso vedrai quanto ci metto a lasciare anche te senza uno straccio addosso.-• Calma. Non senti il suono dei pifferi di montagna?. Io ho detto soltanto “bel punto”, ma, non basta. Full di dieci. Mi dispiace, ma hai perso definitivamente. -• Non dire balle. Ti dispiace un accidente. E’ da un quarto d’ora che mi sento i tuoi occhi infilati dappertutto. Sei proprio un porcellone. Negalo, negalo se ne hai il coraggio, che non vedi l’ora di riscuotere il premio?-• Me ne guardo bene! Volevo solo mostrarmi magnanimo, senza infierire sui vinti. A proposito, cosa ho vinto con l’ultima puntata? E non barare, sai. Ti ricordo che deve valere almeno quattro perette consecutive. L’hai detto tu. -• Sei curioso eh? Dunque – disse andando a prendere velocemente in cucina una bacinella colma d’acqua tiepida -, pensi che le varrebbe le tue quattro perette, se ti dicessi che ti permetterò di godere dentro di me, mentre ancora sono piena d’acqua, e magari nella stessa parte in cui hai fatto i clisteri?-• Direi – le rispose abbracciandola e baciandola a lungo sulla bocca – che non vedo l’ora di cominciare. -• E allora cosa aspetti? Hai tutto. Peretta, acqua e me già in posizione – lo invitò mettendosi in ginocchio sul cuscino con i gomiti poggiati sul bracciolo ed un sorriso assassino negli occhi. Mentre godeva del lento scorrere dell’acqua nel suo intestino, pregustando impaziente il momento in cui l’avrebbe avuto finalmente di nuovo dentro di se, si chiese: Chi ha vinto?L’autore (DOCTORBAS): basmasch@tin.it
Aggiungi ai Preferiti