Una diecina d’anni fa, la mia famiglia ebbe un tracollo finanziario, perché mio padre, che era un ricco commerciante, perse la testa per una ragazza giovane e molto puttana e trascurò gli affari al punto di fallire. La ragazza, dopo avergli spillato un po’ di quattrini, lo piantò e lui chiese perdono alla famiglia. Mia madre lo riaccolse in casa, ma ormai eravamo rovinati. Io dovetti abbandonare la scuola dopo la terza media, e mio padre dovette lavorare come commesso in uno dei negozi che un tempo erano stati suoi. Dopo anni di sacrifici riuscimmo a risollevarci ed io, che avevo sempre desiderato studiare, ripresi la scuola. Purtroppo avevo perso parecchi anni e, nel tentativo di recuperare, andai in una scuola privata. Riuscii a recuperare in parte, ma poi, giacché gli esami da privatista erano sempre più difficili, decisi di iscrivermi alla scuola pubblica, sia pure rinunciando a due anni. Perciò mi trovai in una classe con studenti di un paio d’anni più giovani di me. Era una scuola per ragionieri, con insegnanti di livello piuttosto basso. Faceva eccezione la professoressa di geografia, che mi piaceva molto, perché era molto intelligente, aveva un aspetto dolce e materno e, devo confessare, mi piaceva anche fisicamente. Si chiamava Concetta, aveva quarantasette anni, ma ne dimostrava molti meno; aveva capelli castani, tagliati a caschetto, e gambe e sedere da ragazza, che io sbirciavo quando lei non mi guardava. Era una donna molto seria e metteva soggezione a tutti gli studenti, ma io, che ero molto più maturo dei miei compagni, vedevo in lei, oltre che l’insegnante, la donna. Forse lei se n’accorse ma, pur dimostrandomi simpatia, mantenne sempre un comportamento riservato e serio. Avevo anche notato che il preside, un uomo maturo ma ancora prestante, aveva per lei delle attenzioni, ma attribuivo ciò al fatto che lei era la migliore fra le professoresse. Io avrei avuto bisogno di ripetizioni, perché il mio ritardo negli studi era notevole, ed un giorno ne parlai con lei. Mi disse subito che, essendo una mia insegnante, non poteva darmi lezioni private e, del resto, le materie che m’interessavano non erano le sue; però aggiunse che suo marito avrebbe potuto aiutarmi. Promise che gliene avrebbe parlato. Il giorno dopo, quando l’incontrai, mi disse che avrei potuto andare da lei, per mettermi d’accordo con suo marito, quel pomeriggio stesso. Alle cinque suonai al campanello della sua porta, in una piccola casa con giardino, alla periferia della cittadina dove viviamo. Venne lei ad aprirmi; indossava un leggero abito di seta che aderiva al corpo, mettendo in risalto le forme procaci. Mi stupii un po’ al vederla così, perché di solito era sempre vestita in modo molto serio, e dovetti riconoscere che era molto più bella di quanto mi fosse apparsa fino a quel momento. M’introdusse in casa che, anche se senza pretese d’eleganza, era arredata con buon gusto, e mi presentò al marito. Il professor Elia, il marito, era un uomo di cinquantuno anni, dall’aspetto distinto, gentile e sorridente. Mi fece entrare nello studio, e presto ci accordammo per le lezioni; sarei andato due volte la settimana, di pomeriggio per due ore. Parlammo un po’ della materia che mi avrebbe dovuto insegnare, poi mi chiese di me: perché ero in ritardo con gli studi, cosa avevo fatto fino a quel momento, eccetera. Era un uomo gentile e ispirava confidenza. Dopo qualche minuto, la signora Concetta s’affacciò alla porta dello studio, e mi chiese se avrei gradito un tè; accettai e ci spostammo in soggiorno. Mi fecero accomodare su una poltrona, mentre il signor Elia si sedeva sul divano; fra noi c’era il tavolino, dove la signora appoggiò il vassoio con il tè. Mi voltava le spalle e non potei fare a meno di osservare il bellissimo sedere che, mentre lei era chinata per versare il tè nelle tazze, appariva in tutto il suo splendore; l’abito di seta metteva in evidenza i glutei carnosi, facendo risaltare il solco fra quei meravigliosi globi. Mi parve che il professore notasse il mio sguardo rivolto alle grazie della signora, ma non cambiò il suo atteggiamento gentile nei miei confronti, anzi, mi parve che trattenesse a stento un sorriso compiaciuto. Dopo aver versato il tè, la signora Concetta si sedette sul divano, a fianco del marito e prese la sua tazza. “Vi siete messi d’accordo?” Chiese, “Sì certamente; verrà due volte la settimana, il Martedì ed il Giovedì, alle quattro, per due ore” rispose il professore; “Benissimo; così, all’intervallo vi farò il tè”. Mentre sorbiva il suo tè, l’abito si era alzato leggermente, mostrando un po’ le cosce; ma lei non si scompose e lasciò che ammirassi le sue belle gambe. Il marito aveva certamente notato il mio sguardo ma, anche questa volta, non cambiò atteggiamento. Dopo una ventina di minuti di conversazione, mi accomiatai; la signora mi strinse la mano sorridendo, ed il professore mi accompagnò alla porta. Nell’andarmene mi parve che mi strizzasse l’occhio con un sorriso complice, ma certamente mi sbagliavo; forse si trattava solo di un tic. A casa non feci che pensare alla professoressa, al suo meraviglioso culo, e mi eccitai tanto che non potei fare a meno di masturbarmi. A scuola, il giorno dopo, quando la vidi, non mi parve più la stessa professoressa severa di prima; si comportava sempre allo stesso modo e vestiva in modo castigato, ma io non potevo fare a meno di rivedere, con gli occhi della mente, quelle stupende rotondità posteriori che mi avevano eccitato. Quando l’incontrai, nel corridoio delle aule, mi sorrise, ma nulla più di quanto non avesse sempre fatto. Finalmente arrivò il Martedì. Alle quattro in punto ero davanti alla porta della casa e suonavo il campanello. Venne ad aprirmi il professore, e mi fece passare nello studio. Nella sua gentilezza, mi parve di cogliere, come l’altra volta, qualche cosa che andava oltre la semplice cortesia. Dopo un’ora di lezione, la signora Concetta si affacciò alla porta ed annunciò gioiosa: “Intervallo per il tè”. Andammo in soggiorno e ci sedemmo nella stessa posizione della volta precedente. La signora portava lo stesso abito di seta, ed io non potei fare a meno di ammirare ancora quel sedere voluttuoso; anzi, questa volta lo osservai senza nascondere lo sguardo: volevo vedere se il professore reagiva in qualche modo. Reagì, eccome: mentre io guardavo lei, lui guardò me e mi sorrise ancora. Questa volta non ebbi dubbi: a lui non dispiaceva che io ammirassi sua moglie; anzi, n’era compiaciuto. Dopo aver servito il tè, lei si sedette a fianco del marito, ed ancora la gonna si alzò mostrando parte delle cosce. Non fece niente per abbassarla, ed io non riuscii ad evitare di guardarle le gambe. Conversammo per qualche minuto, poi il professore ed io tornammo nello studio. Al momento del commiato, lui mi accompagnò alla porta, mi strinse la mano, ed ancora mi sorrise. Andandomene pensai che forse mi sbagliavo: il professore era semplicemente gentile e di vedute larghe, e non faceva caso all’esibizione della moglie, che in fondo, non aveva fatto niente di strano, se non mostrare le sue bellezze in modo del tutto naturale. Anche quella sera, tuttavia, mi masturbai pensando a lei. Immaginavo di affondare il viso in quel culo da sogno, e di leccarlo fino a farla godere. Intanto godetti io. Avevo già avuto esperienze di sesso, ma solo con prostitute, e con loro non avevo avuto il coraggio di fare ciò che desideravo da sempre: leccare la figa ed il culo. Alla professoressa avrei leccato tutto, mi sarei fatto pisciare in bocca, se lei lo avesse voluto. Cominciai a pensare a lei sempre più spesso, e mi masturbavo in continuazione. Ad un certo punto mi accorsi che quando la vedevo mi sentivo avvampare; lei se n’accorse certamente, perché cominciò a sorridermi in modo sempre più confidenziale. Evidentemente l’ammirazione di un giovane la lusingava. Non passò molto tempo, prima che il professor Elia ed io entrassimo in confidenza. Non ostante la differenza d’età, lui mi trattava da adulto ed a volte parlavamo anche di cose personali. Un giorno mi confessò d’amare molto la moglie, ma di non esserne geloso; “Anzi” aggiunse, “mi fa piacere vedere che tu l’ammiri”. Arrossii! “Oh, non devi preoccuparti; ho notato come la guardi, e il fatto che ti piaccia mi lusinga. Perché ti piace, vero?” Ero imbarazzatissimo e balbettai un timido “Si”. Lui si mise a ridere ed aggiunse: “Magari vorresti portartela a letto”. Ero sulle spine. Non ostante la confidenza che si era instaurata fra noi, io ero pur sempre uno studente, e loro due insegnanti. Non risposi e lui non insistette. Quando, quel pomeriggio, andammo in soggiorno per il tè, il professore disse alla moglie: “Lo sai, Concetta, che il nostro Filippo è innamorato di te?” La signora mi guardò sorridendo, e, incuriosita, mi chiese: “E’ vero?” Io ero imbarazzatissimo; cosa potevo dire? Balbettai una frase ridicola: “Lei mi piace molto, ma non farei nulla per offenderla”. Lei rise a squarciagola; “Una donna non si offende mai nel sentirsi ammirata e desiderata”. Quella frase mi rinfrancò e mi sentii meglio. Andandomene venne lei ad accompagnarmi e, prima di aprire la porta, mi diede un bacio sulla guancia; io ricambiai il bacio e, con un’audacia di cui non mi credevo capace, le sfiorai le labbra con le mie. Lei non si scansò, accettò il bacio sulle labbra, ed aprì leggermente la bocca permettendo alla mia lingua di penetrarla. Ero al colmo dell’eccitazione; sentivo il cazzo durissimo, che spingeva nei pantaloni. Ci abbracciammo stretti, ed io spinsi il bacino contro di lei, che sicuramente sentì la mia eerezione. Anche lei spinse il bacino, come ad incontrare il mio sesso. Perdetti ogni ritegno, e portai la mano sul sedere dei miei sogni; lei mi lasciò fare e spinse la sua lingua nella mia bocca. Quando si staccò da me, con la coda dell’occhio vidi il professore che sbirciava dalla porta dello studio, e che si ritrasse subito. Me n’andai correndo: mi pareva di volare. A casa andai subito nella mia camera a masturbarmi: sentivo un forte dolore ai testicoli, che passò solo dopo un! po’. La notte non feci che pensare a quella donna che mi faceva impazzire, e mi masturbai almeno cinque o sei volte. Ma il professore? Possibile che non fosse geloso al punto di rimanere indifferente di fronte allo spettacolo della moglie che baciava un ragazzo? Fortunatamente, il giorno dopo, a scuola, la professoressa non c’era, ed io ne fui contento perché non riuscivo ad immaginare come sarebbe stato l’incontro, e temevo di tradirmi. Quando tornai per la lezione, il professor Elia mi accolse con il solito sorriso complice. Io temevo l’incontro; ma ormai ero quasi certo che lui fosse un “voyeur” ed ero deciso ad accertarmene; se fosse stato così, per me si sarebbero spalancate le porte del paradiso. Da ragazzo avevo avuto dei contatti omosessuali con i miei amici, come quasi tutti del resto, e non mi sarebbe dispiaciuto avere un incontro a tre. La mia audacia mi spaventava ma, in fondo, loro mi avevano incoraggiato. La professoressa non era in casa e lui entrò subito in argomento: “Ho visto, l’altro ieri, che baciavi Concetta; ti è piaciuto?” “Si, molto!”; “Ti piacerebbe fare l’amore con lei?”; non speravo che la cosa fosse così facile perciò risposi subito con un “Si” deciso. “Guarda, però, che Concetta è molto esigente. Tu come sei… lì sotto?” Io non sapevo cosa rispondere, anche perché non capivo bene cosa intendesse. Vedendomi titubante, lui mi chiese: “Fammi vedere come ce l’hai”. Ero incerto, e lui prese l’iniziativa: mi abbassò la cerniera e mi estrasse il cazzo. “Però,” disse,”Hai proprio un bel pisellone; chissà com’è quando è duro; prova a farlo indurire” Io cercai di farmelo diventare duro, senza successo. Allora lui: “Lascia fare a me, vediamo se ci riesco”. Così dicendo me lo prese in mano, me lo menò un po’, poi si abbassò e me lo prese in bocca, succhiandolo in modo meraviglioso. In quella morbida bocca il cazzo mi si indurì subito; a quel punto ero veramente eccitato; quel professore così serio mi stava facendo un meraviglioso pompino. N! on ci volle molto perché gli sborrassi in bocca. Lui inghiottì tutto; si pulì le labbra e, compiaciuto mi disse: “sono certo che Concetta apprezzerà questo bel cazzone.” Quel giorno non vidi la professoressa ed il giorno successivo sembrava non passare mai. Finalmente arrivò il giovedì. Appena entrato, il professore mi disse:”Durante l’intervallo vi lascio soli per un po’; Concetta è già d’accordo, vai tranquillo, quando si scatena è una vera troia”. Ero un po’ stupito per quel linguaggio, così in contrasto con la serietà dell’ambiente; ma ormai cominciavo ad abituarmi. Quando Concetta arrivò per il solito tè, Elia disse che doveva uscire un momento. Lei mi fece sedere vicino, sul divano, e subito mi abbracciò; ci baciammo; dapprima dolcemente, poi con sempre maggior passione, finché lei si sdraiò e mi attirò su di sé. Sentivo il cazzo che premeva nei pantaloni: ero eccitato all’inverosimile. Non capivo più niente. Cominciai a brancicarla, mettendo le mani sotto la gonna, ad accarezzarle le cosce. Salii fino alle mutandine, che scostai leggermente e raggiunsi la figa calda e bagnata. Lei gemeva con il capo arrovesciato all’indietro; ciò m’incoraggiò. Quella donna che mi aveva sempre messo soggezione, ora era sotto di me che gemeva come una vera troia, una porcona affamata di sesso. Dopo un po’ lei, come risvegliatasi dall’estasi, mi sbottonò i calzoni, abbassò la cerniera e me li sfilò insieme agli slip. Mi aveva rovesciato sul divano, ed ora era lei sopra di me. Il mio cazzo svettava duro e voglioso. Lei s’inginocchiò sul pavimento, abbassò il capo e mi prese il cazzo, mettendoselo in bocca. Ero in paradiso: la mia professoressa mi stava facendo un pompino come la più incallita delle puttane. In quel momento il professor Elia entrò e si sedette sulla poltrona, guardandoci con occhi colmi di libidine. La presenza del professore mi mise in agitazione ed il cazzo mi si ammosciò. Lei mi guardò, poi si volse verso il marito e: “Cornutone, non vedi che lo metti in imbarazzo? Spogliati, fagli vedere che piccolo cazzetto che hai, così si rinfrancherà”. Quel linguaggio, spiegabile solo con lo stato d’estrema eccitazione che si e! ra creato, m’imbarazzò ancor di più. Elia si spogliò e vidi un cazzo che, se pur piccolo, era durissimo. “Guardalo”, mi disse lei, “quel cornuto, che cazzetto che ha; in confronto al tuo mi fa ridere”; detto ciò, riprese il pompino. Io ero esterrefatto: la mia professoressa si era trasformata in una volgare puttana. Il mio cazzo rimaneva moscio; allora lei mi chiese: “Che ne dici se quel frocio d’Elia ti spompina un po’ lui; magari è più bravo di me.” Io balbettavo parole senza senso. Elia si avvicinò; s’inginocchiò al posto della moglie e mi prese il cazzo in bocca. La situazione mi sconvolgeva. Mentre lui mi succhiava, lei mi baciò lascivamente sulla bocca, poi mi mise un capezzolo fra le labbra ed io lo succhiai con avidità. Ora ero di nuovo eccitato ed il mio cazzo aveva ripreso vita. Lei, allora, scostò il marito, mi venne sopra e s’impalò su di me. Prese subito a godere, gemendo ed arrovesciando il capo. Il professore accostò la poltrona, si sedette e mi prese la mano portandosela sul cazzo, che io strinsi, incominciando a masturbarlo. Lui godette quasi subito, emettendo tre o quattro getti di sperma che mi bagnarono la mano. Poco dopo godetti anch’io seguito da lei, che non aveva smesso di gemere, ma che ora urlava oscenità: “Siiiii, riempimi tutta, lo voglio nel culo questo cazzone; voglio godere davanti a quel frocio cornuto di mio marito; ahhhh…….”. Ormai non avevamo più freni e l’orgia continuò per un’ora. Lei godeva in continuazione, urlando oscenità, insultando il marito che, ad un certo punto, mi era venuto dietro e mi accarezzava il culo, infilandomi poi un dito dentro, aumentando il mio piacere. Da quel giorno, ogni volta che andavo a lezione, dopo il tè facevamo la nostra orgia, raggiungendo una perfetta intesa. Glielo mettevo davanti e dietro, dove notai che entrava facilmente, dopo che lei si era fatta leccare da Elia. Un giorno, Concetta, al colmo della libidine, urlò che voleva due cazzi: uno davanti ed uno dietro. “Però non voglio il cazzetto di mio marito, ne voglio un altro come il tuo”. Io non seppi che cosa rispondere, ma il professore intervenne: “La prossima volta facciamo venire anche Giuseppe”. “Chi è Giuseppe?” Chiesi allarmato. “Non ti preoccupare, è un amico ed è già d’accordo, se tu ci stai”. La cosa mi eccitava ed accettai. “Però vorrei sapere chi è; non vorrei che fosse una persona che conosco”; “Si, lo conosci, ma va tutto bene, stai tranquillo; è innamorato di Concetta, e fa tutto quello che lei vuole, senza protestare, e poi finalmente potrò essere soddisfatto anch’io: è il preside”. Rimasi di sasso, ma il desiderio di partecipare ad un’orgia in quattro era tanto forte che accettai. Venne il grande giorno. Arrivai un po’ in ritardo e, quando Elia venne ad aprire, subito mi disse: “E’ già arrivato, vieni”. Mi accompagnò in soggiorno, dove la professoressa sedeva sul divano, vicino al preside. “Vieni, siediti vicino a noi, non aver timore; Giuseppe è un amico e non vede l’ora di fare l’amore con noi.” Ormai ero abituato a quei cambiamenti repentini: la professoressa che si trasformava in una puttana, il professore che diventava un porco depravato, ed ora il preside che chissà cosa avrebbe fatto; perciò mi sedetti vicino a loro, mentre Elia si sedeva sulla poltrona di fronte a noi. Concetta mi mise subito una mano sull’inguine e sentì la mia erezione che, a quel punto, era ormai più che consistente. “Senti come ce l’ha duro” disse rivolta a Giuseppe; questi allungò la mano e tastò il mio cazzo da sopra i pantaloni. “Però” esclamò “Forse è meglio se ci mettiamo comodi”. Subito la proposta fu accettata e ci spostammo in camera. Concetta si spogliò in un attimo, ed aiutò me a togliermi gli indumenti. Il preside ed il professore furono nudi in un momento. Eravamo tutti al massimo dell’eccitazione e col cazzo duro; il preside aveva un arnese enorme, grosso come il mio polso; mi pareva impossibile che potesse entrare nella figa di Concetta. Quest’ultima evidentemente era innamorata di quelle dimensioni, perché spinse il preside supino sul letto, gli si sdraiò sopra e, mentre lo baciava lascivamente sulla bocca, si infilò il grosso bastone nella figa. Si dimenò un po’ guaendo come una cagna, e godette subito. Il professore guardava e si menava il piccolo cazzetto. Naturalmente quella ninfomane considerava la prima scopata solo un antipasto, e subito volle che il marito le leccasse il culo, poi si rivolse a me dicendo: mettimelo nel culo, mentre Giuseppe mi chiava davanti. Il preside conosceva la donna molto bene, e sapeva quanto fosse affamata di sesso, perciò si era trattenuto ed ora era di nuovo pronto per un’altra cavalcata. Concetta si mise su un fianco, porgendomi quelle meravigliose chiappe, che io penetrai con facilità; quindi invitò il preside a penetrarla davanti. Fu una cosa sconvolgente: lei urlava come un’ossessa ed io sentivo il cazzo del preside, separato dal mio da una sottile membrana. Non ci misi molto a venire; mentre Concetta godeva in continuazione, le sborrai nelle viscere. Alla fine mi rovesciai esausto. Il preside si era trattenuto ancora una volta, mentre Elia ci guardava con la bocca aperta, quasi incredulo nel vedere la sua adorata mogliettina sbattuta da due maschi contemporaneamente. La mia giovane età mi permise di riprendermi molto presto, anche perché Elia mi prese il cazzo in bocca succhiandomelo con esperta maestria. “Guarda quel frocio come è bravo a succhiare il cazzo” esclamò Giuseppe, “Si merita un premio” così dicendo, si portò dietro Elia e gli puntò il cazzo sul culo. “Senti, senti, questo porco si è messo la crema sul buco; evidentemente sapeva di ricevere il premio”; così dicendo cominciò a spingere. Temevo che lo sfondasse, ma Elia, evidentemente, era abituato ad essere inculato da quella enorme nerchia, perché emise solo un gemito, poi riprese il suo pompino. “Non farlo venire” disse Concetta, “Voglio godermelo io questo virgulto”. L’orgia continuò per un bel po’; ad un tratto, il preside estrasse il cazzo dal culo di Elia e si avvicinò a me, mentre stavo leccando Concetta. Io, terrorizzato, strinsi le chiappe e rifiutai la penetrazione. “Allora mettimelo tu” disse Giuseppe. Non potevo rifiutargli il favore; ancora una volta Elia fu chiamato a fungere da lubrificante con la lingua, poi io presi il posto della lingua con il mio cazzo e spinsi: il preside emise un urlo e mi allontanò. “Ahi, che male, questo non è come il cazzetto di Elia; fai più piano”. Concetta gli mise un po’ di crema ed io tornai alla carica. Questa volta Giuseppe non protestò. Mi dimenai un po’ dentro di lui e, mentre lo inculavo, si menò l’enorme cazzo ed eiaculò: finalmente anche lui aveva goduto. Ora eravamo tutti esausti, e soddisfatti. Ci rivestimmo, Concetta ci fece un caffè, poi ci lasciammo promettendo di rivederci.
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