Mi è capitata, in questi giorni, l’edizione francese di ‘Confessioni’, di Lev Tolstoi. Le ho lette. Dapprima con curiosità, poi con interesse. Mi sono domandato cosa significhi ‘confessare’? Ho cercato sul dizionario. Vuol dire ‘ammettere una colpa, un reato, una mancanza’. Non mi convince. Però può anche essere una ‘memoria autobiografica’, come le ‘Confessioni’ di Sant’Agostino, di Rousseau. Così è meglio, potrebbe andare. Può essere la rivelazione di qualcosa di riservato, un ‘confidare’. E’ accettabile. Per me, riconoscere una mancanza (‘loro’ dicono peccato) e andarla a raccontare a un uomo che asserisce essere delegato dal Creatore a ‘rimettere’, cioè cancellare le colpe, a condizione che io le riconosca tali e dichiari di propormi di non commetterne più in futuro, è qualcosa di irrazionale. Intanto, sono ‘loro’ a stabilire cosa debba essere considerato peccato, che può essere commissivo, omissivo, o solo di pensiero. In base a che? Rispondono in base alla legge del Creatore. Mi viene spontaneo di chiedere chi abbia creato il Creatore. Peccato, dovrebbe essere sinonimo di male. Male, in sostanza, è quello che tu speri non debba capitarti. Quindi, se non faccio ad altri ciò che non voglio che sia fatto a me, non faccio del male. Filosofia di bassa lega. Osserveranno alcuni. Per me non è filosofia ma solo riflessione elementare. Certo non voglio essere forzata a fare ciò che non desidero, che mi provochi danno fisico, o mi si porti via ciò che è mio. Per me è ‘male’ sottrarre ad altri ciò che loro non vogliono darti. Legge selvaggia, primitiva, della giungla? Credo che sia legge della natura, del buon senso, della logica, della razionalità. Da qui deriva il come comportarsi. In tutti i campi. Nessuno escluso. Anche nella sessualità Vivere secondo natura. In parole povere, se l’individuo, maschio o femmina che sia, non ci vuole ‘stare’, cioè non vuole accoppiarsi con te. Cerca altrove. Ma se contraccambia tutto è OK. Troppo facile? No. E’ solo naturale. Ho cercato di vivere proprio ‘secondo natura’. Secondo la natura umana, logicamente, che spinge primariamente al soddisfacimento dei bisogni fisiologici, e poi di quelli della mente. Natura che stimola sempre nuove conoscenze, di luoghi, di esseri viventi, che spinge alla ricerca del mai visto. Interesse, soprattutto, non semplice curiosità. Interessi pieni di perché. Natura essenzialmente razionale, logica, che suggerisce induzioni, deduzioni. Che porta, quindi, alla sperimentazione. Che rifiuta l’utopia, preferendo, il pragmatismo, la concretezza, la positività. Ho sonno? Dormo. Ho fame? Mangio. Ho sete? Bevo. Ho altri bisogni? Cerco di soddisfarli. E così come vado cercando il giaciglio più comodo e sicuro, il cibo più gradevole, la fonte più limpida e fresca, cerco di trovare quanto di più attraente esiste per l’appagamento delle altre impellenze dettate, anzi imposte, dalla natura. Ragionamento contorto? No, mi sembra lineare, limpido, rigoroso. E’ bellissimo piantare un albero per poi saziarsi dei frutti che recherà. E’, ad esempio, il compiacimento di gustare qualcosa del nostro orto, seminata da noi, curata nella crescita, sviluppo, maturità. Ho sempre avuto un po’ la fissazione di cosa sia ‘naturale’. Uno degli argomenti che mi aveva colpito, durante gli studi, era la suddivisione dei muscoli: volontari e involontari. Lisci e striati. Poiché, evidentemente, non avevo capito nulla o non mi era stato spiegato bene l’argomento, ero convinta che i muscoli vaginali fossero ‘involontari’. Ero alla vigilia della maturità ed ero andata a Kone, in Giappone, per uno scambio culturale. Non ricordo bene come la sera venimmo a parlare, appunto, di muscolatura e quando io dissi il mio convincimento, la tutor, che era una brava biologa, mi spiegò che i muscoli lisci, si trovano nelle pareti dei vasi sanguigni e in organi interni come i polmoni, lo stomaco e la vescica, si contraggono come risultato di una serie di reazioni chimiche. I ricercatori spiegano che un set di queste reazioni chimiche è integrato da un secondo processo chimico che subentra quando il primo risulta limitato. I muscoli vaginali -aggiunse- non possono considerarsi involontari, e la prova è evidente, basta ricordare l’uso di quelle che si chiamano ‘le palline delle geishe’. Non nascosi la mia ignoranza e chiesi di cosa si trattasse. Le compagne giapponesi nascosero un risolino, ma molte di noi erano desiderose di conoscere. La tutor, era molto seria, professionale. Io ho registrato la sua spiegazione. Le palline delle geishe sono due, si presentano come palline da golf, generalmente di plastica, legate in serie da un filo doppio di nylon che passa al loro interno ed esce formando un fiocco tipo quello degli assorbenti interni (ha infatti la stessa funzione: afferrandolo e tirandolo fa uscire dalla vagina le palline). Le palline sono cave e al loro interno ce ne sono altre 2, leggermente più piccole, di metallo più pesante. L’utilizzo principale è legato all’allenamento dei muscoli vaginali; si dice che le geishe le utilizzassero per rendere i loro muscoli così sensibili e tonici da far godere un uomo solamente con le contrazioni dei muscoli vaginali, rimanendo esteriormente perfettamente immobili. Un effetto collaterale dell’allenamento è il piacere che le palline in azione procurano; si può anche arrivare all’orgasmo perché l’azione combinata delle contrazioni dei muscoli e delle vibrazioni delle palline stimola il punto G. Le palline vanno inserite in vagina come un assorbente interno (il filo doppio verso l’esterno!), poi occorre contrarre e rilassare il muscolo vaginale ritmicamente (60 battute al minuto circa) cercando di tenere il ritmo per almeno tre-quattro minuti. Le contrazioni del muscolo vaginale fanno sì che le palline di metallo inizino a girare nelle palline cave e così facendo procurano vibrazioni all’interno della vagina sempre più intense. Le vibrazioni tendono ad intensificarsi se alla contrazione del muscolo vaginale si abbina un esercizio aerobico che faccia oscillare il bacino, tipo marcia, corsa leggera o step (la cyclette non va bene perché obbliga a stare seduti e blocca il bacino in posizione fissa). Se invece si desidera un piacere più pigro ma ugualmente intenso si possono stimolare leggermente entrando con le dita anche analmente, per le donne a cui questa penetrazione piace. Finito l’uso si rilassano i muscoli vaginali e si estraggono le palline tirando dolcemente il filo. E’ opportuno disinfettare le palline subito prima e subito dopo l’uso. Passeggiare con le palline “inserite”? Certo, non se ne accorge nessuno e intanto alleni il muscolo: è come quando ti dicono di contrarre i glutei per rassodarli almeno 300 volte al giorno… mentre aspetti l’autobus o sei in coda. Ma bisogna fare attenzione perché le geisha-balls da utilizzare camminando sono quelle con l’esterno in plastica morbido: con quelle di metallo infatti è praticamente impossibile perché fanno rumore e hai la sensazione che lo sentano tutti… ed effettivamente è proprio così!!! La difficoltà del funzionamento dipende dalla tonicità e mobilità dei muscoli vaginali: come in qualsiasi allenamento sportivo quanto più i muscoli sono rilassati tanto più difficile sarà farli contrarre all’inizio. E’ opportuno allenarsi a giorni alterni per almeno 3 o 4 minuti finché il gesto non diventa automatico; a quel punto si può incrementare il ritmo delle contrazioni a parità di tempo o la durata dell’allenamento a parità di ritmo, o entrambi a piacere. L’obiettivo è di riuscire a raggiungere l’orgasmo e farlo raggiungere al partner! E’ bello condividere queste sensazioni con il partner ma attenzione perché ci sono molti uomini che si bloccano (e che sono quasi gelosi) perché ritengono che l’autoerotismo nella donna faccia diminuire la sua libido. Ce ne sono altri che invece non solo approvano questo desiderio femminile ma vogliono parteciparvi attivamente. Si possono acquistare in qualunque sexy shop e costano circa 20-30 mila euro a seconda dei modelli. Esauriente e schematica, la spiegazione. Ma la curiosità di sperimentare il tutto era fortissima, e non solo mia. Akuti Apala, indiana, anche lei partecipante al corso, mi disse che da loro quella pratica era molto raffinata e consentiva cose ‘pregevoli’ tanto da far raggiungere il massimo del piacere ai loro uomini… e alle loro partners. Mi invitò nella sua cameretta per una… dimostrazione. Ci trovammo in cinque, nella camera di Akuti Apala (principessa bellissima, nella sua lingua). Si sdraiò, alzò il sari, dilatò le gambe. Prese una specie di rosario fatto di grossi grani rotondi, di una resina trasparente, in ognuno dei quali c’erano tre palline più piccole. Il rosario terminava con un fiocco di seta. I ‘grani’ erano una decina. Akuti ci avvertì che lei da oltre un anno eseguiva quell’esercizio ed era riuscita a… ma ci disse di osservare. Infilò il primo ‘grano’ nella vagina, si distese, si concentrò, e con lenti e lunghi movimenti del grembo cominciò a far entrare nel suo sesso, molto lentamente, non solo quel primo ‘grano’ ma anche diversi altri. Rimase ferma per un istante, quindi respirò, in un certo modo. ‘Ora’ -disse- ‘li sto facendo ruotare in me… le palline piccole fanno battere i grossi grani contro le pareti della vagina e quello che incontra il mio punto G mi provoca deliziose sensazioni… fino all’orgasmo. Ora, però, espellerò tutto.’ E fece così. Sempre con estrema lentezza. Quando restammo sole, Akuti ed io, le chiesi dove avrei potuto trovare quella specie di rosario, come un komboloi greco o turco. Mi disse che ne aveva uno in più, e me lo regalava. Non solo, ma si offrì di impartirmi i primi elementi di quella particolare ginnastica vaginale. Fui allieva così attenta e solerte, che prima del ritorno in patria già riuscivo a fare molto più di quanto avessi sperato. Riuscivo ad ‘aspirarlo’ molto lentamente, ad espellerlo un elemento alla volta, e soprattutto a farlo rotolare dentro. Era stata la cosa più difficile e che aveva richiesto maggiore applicazione. Deliziosa applicazione, perché se ne ricavava un piacere intenso e addirittura regolabile. Il ‘GR’, come lo chiamavo, il ‘Geisha Rosary’, è stato, in un certo senso, l’artefice e il principale se non assoluto disciplinatore della mia vita. Erano normali certi desideri, certe pulsioni, ed a me quel tipo di recita del rosario era appagante. Ma bisogna ricordare che ‘rosary’ vuol dire anche roseto, e ogni roseto ha le sue spine. Era prevedibile, ed anche evitabile, ma del senno del poi, si dice, ne son piene le fosse. E così, quando il luogo e le circostanze quasi lo imposero, e dato che avevo lasciato a casa GR, Giorgio lo sostituì, e io trattai il suo ‘coso’ caldo e vibrante come sapevo fare, e poiché eravamo stati precipitosi e sconsideratamente incauti, nove mesi dopo lui era su una piattaforma nel mare del nord, vicino a Greta, sua moglie, ed io davo alla luce Marco. A soli diciannove anni. Una situazione abbastanza irta di ostacoli, non tanto economici perché mio nonno mi aveva intestato alcuni titoli con discreta resa, quanto per l’atteggiamento piuttosto critico dei miei, per i sorriseti delle amiche, e per i bellimbusti che si sentivano autorizzati a provarci, tanto io, per loro, ero certamente una che ci stava. Anzi, che cercava. Giorgio non credo abbia mai saputo delle conseguenze di quella unica volta, anche se, memore del ‘trattamento’, per un certo tempo mi aveva cercato, durante le sue permanenze in sede. Comunque, basta con l’università, logicamente; piccolo appartamentino (pure questo dono del nonno); fortunata e ben retribuita sistemazione presso una multinazionale, come corrispondente estero, grazie alla mia buona conoscenza di un paio di lingue straniere. Non passano rapidamente, gli anni, ma passano. Ne sono trascorsi quasi diciannove, e Marco è quello che a Venezia si dice ‘tocco di marcantonio’. Oltre uno e ottanta, armonioso ma non ‘palestrato’, simpatico, cordiale, amicone, e, quel non guasta, studioso, grazie anche alla sua viva intelligenza. Poiché, e non so spiegarmelo, ho deciso di aprirmi, devo dire che inizialmente, subito dopo la nascita di Marco, tutta presa dall’accudirlo, dal nuovo lavoro, e da tante cose, quasi avevo dimenticato GR, e ad un maschio non avevo proprio pensato. C’erano mille cose cui pensare. Per fortuna Gisella, la baby sitter, mi ha aiutato moltissimo, fin quando Marco ha iniziato le elementari. Poi ci siamo organizzati diversamente. Siamo andati sempre molto d’accordo, si è sempre confidato con me, ed io, entro certi termini, gli ho sempre parlato dei miei problemi. Lo faccio anche adesso che mi supera quasi d’un palmo. Io non sono appariscente, e faccio di tutto per non esserlo, ma, e non sia presunzione, non credo neppure d’essere da buttar via. Quando mi guardo il seno, abbastanza prospero, lo specchio mi dice che sta su e molto bene, altrettanto le natiche. La vita è snella, il ventre piatto. Il volto ovale, e i lunghi capelli lo incorniciano piacevolmente. Tutto questo, però, me lo dice lo specchio, perché a nessun uomo ho mai consentito di poterlo fare. La mia massima nudità è quella del costume da bagno, e il due pezzi è abbastanza castigato. Al resto ci ha pensato GR. Un momento. E’ necessario puntualizzare. C’è un uomo che mi ha detto, e mi dice, che sono bella; che ha certamente potuto vedere la mia nudità. C’è uno che, e mi sembra sempre di più, mi abbraccia, mi carezza, mi guarda con certi occhi. Ed è lui che mi ripete: ‘Sei bellissima, mamma!’ Mi stringe a sé, e lo sento che mi…palpa… e da qualche tempo si eccita… lo sento. Lui, non sa, però, come mi ecciti io a quel contatto, e come mi piaccia essere così esplorata con la mano… sentire la sua mascolinità esuberante. Poi… un sospiro e GR ci pensa. Poiché sono in vena di memorie, devo dire che questa attrazione per Marco non è esplosa improvvisamente. Io questa pianta, anzi questo ‘fusto’, questo giovane aitante, l’ho alimentato fin da quando era una pianticina debole, bisognosa di cure e di essere nutrita, difesa da tutto e da tutti. L’ho vista crescere, minuto per minuto, divenire sempre più bella, robusta, ed ora é in grado di avere dei frutti, a sua volta di generare altre piante. E come se ne é in grado! Io lo so bene, e non da adesso. E’ da tempo che GR cerca di riempire il mio vuoto mentre penso a Marco. E’ naturale, no? Io ho il solco, lui il vomere per ararlo, il seme per fecondarlo… No, non posso pensarci, mi viene da impazzire… Quante volte sono stata tentata, specie in questi ultimi tempi, di contraccambiare i suoi abbrancamenti e di …. abbrancare a mia volta… Non so se sia stato casuale o meno, ma l’altro giorno, mentre ero allo specchio, in sottoveste, e ancor prima di indossare reggiseno e slip, mi ha abbracciata stretta, ha afferrato il seno, lo ha carezzato, stretto i capezzoli che sembravano voler perforare la seta, mentre sentivo la sua patta gonfia premere il solco del mio didietro. E quello avrebbe voluto aprirsi, riceverlo… Poi le sue mani sono scese sul mio ventre… più giù… hanno indugiato… è stato istintivo, incontrollabile, improvviso, dischiudere appena le gambe… ed ho percepito le sue dita sul mio grembo. Là… sulle mie grandi labbra che s’erano gonfiate da scoppiare, mentre m’era impossibile restare ferma… Con un lungo sospiro sono riuscita a voltarmi, a sorridergli col viso rivolto a lui… e le sue labbra mi hanno baciato gli occhi…. La bocca. Quando, visibilmente eccitato e rosso in volto, si è avviato verso la porta, cercando di nascondere il suo stato di esaltazione, ho chiuso la porta, mi sono sdraiata sul letto. Con GR! Rimasi a lungo, dopo diverso tempo che GR mi aveva consolata, a riflettere che così non si poteva andare avanti. O mi decidevo a impedirgli di sbirciarmi seminuda (anche perché io lo favorivo, in ciò), di abbracciarmi in lunghi ed evidenti pomiciate, oppure…. Qui mi fermavo. Non desideravo allontanarlo da me, ma avevo paura di quell’oppure… Cosa significava? Se non rendevo impossibile quel delizioso contatto cos’altro c’era da fare? Io lo sapevo benissimo, e mi struggevo… ma…. Ma? Come mi avrebbe considerata? Nessuna remora psudo-morale o para-religiosa, né di altro tipo. Che avrebbe detto Marco? Dovevo parlarne con lui? Non me la sentivo. L’unica cosa era di fornirgli l’occasione per accertare cosa avesse in mente lui, fino a che punto sarebbe giunto. Cominciai a curare maggiormente il mio aspetto, specie al mattino, subito dopo la doccia, a circolare più discinta, a non chiudere la porta della doccia, della mia camera. Certamente lo aveva notato, perché mi disse che da qualche giorno ero ‘addirittura’ più bella, attraente, affascinante. Più sexy. Era la prima volta che mio figlio, parlando di me, aveva usato la parola ‘sexy’. Non so se reputava quel mio atteggiamento frivolo o provocante, ma anche lui cominciò a comportarsi, diciamo così, più liberamente: veniva a colazione in accappatoio, e quando si sedeva nulla celava la consistenza della sua virilità. Pensai che forse eravamo sulla via buona. Qualcosa di me, però, diveniva sempre più impaziente. Vi assicuro che non ero ridotta all’ accattonaggio di un maschio; da sempre ero tempestata di avances, e qualcuna anche allettante, e i miei reiterati e assoluti rifiuti avevano sollevato mormorii intorno alla mia supposta frigidità o al mio essere lesbica. Io non volevo un uomo, ma quell’uomo. Del resto, perché contentarsi di quello che offre il mercato mentre nel tuo giardino esiste il più bel frutto che si possa desiderare? Questa volta non era più verde l’erba del vicino, ma quella del mio orticello. Sì, ero proprio sulla ‘retta via’. Marco, quella mattina, quando andai a togliere dinanzi a lui la tazza della colazione, mi prese per una mano, e mi tirò a sedere sulle sue gambe nude, tra le quali svettava un obelisco che al confronto quelli di Luxor fanno ridere. Fui attenta, nel sedermi, di… posizionarlo, sia pure col fastidio della stoffa della mia leggera vestaglia, in modo che non si piegasse dolorosamente. Avevo dischiuso le cosce e tra esse c’era questo rotolo che ritenni opportuno stringere subito. “Ma’, ti sei accorta che… non ne posso più?” “Più… cosa… tesoro?” Chiesi con un’aria ipocritamente innocente. Mi strinse quasi con violenza. “Non scherzare… ti prego… così non posso seguitare a impazzire…” “Ma, piccolo mio, è naturale che un giovane come te si…scaldi un po’, vedendo un po’ dell’altro sesso, anche se si tratta di una ‘appassitella’” “Ma’, non scherzare… non dire sciocchezze… ma che ‘appassitella’… per dio!” E infilò la mano nella vestaglia e afferrò una tetta, stringendola. “Marco, piano, per favore… così mi fai male…” “E così?” Mi baciò sulla bocca, con passione, introducendo la lingua tra le mie labbra che, per la verità, non opposero alcuna resistenza, anzi ricambiarono con maggior voluttà. Finalmente! Era bellissimo. Ora la sua mano mi carezzava, titillava il capezzolo… deliziosamente… Dovevo rientrare ne mio ruolo, mal volentieri. Mi staccai alquanto da lui. “Marco, tesoro mio…. Sono la tua mamma….” “Sei il mio tormento, supplizio, come quello di Tantalo. Averti qui, sempre presente, splendida, affascinante, provocante… sì, provocante… e non poter…” “Non poter cosa, bambino mio…” Sentivo il mio grembo sconvolgersi. Io che ero orgogliosa di come potevo e sapevo dominare i muscoli della mia vagina, a stavo perdendo ogni controllo… e sentivo che andavo sempre più…bagnandomi… Ma non era quello che desideravo? Perché, allora, questa schermaglia falsa ed anche pericolosa. Pericolosa perché, passato il momento, c’era pericolo che tutto, poi, finisse lì, e si concludesse con qualche scusa banale…sai… scusa mamma…ho perduto la testa. E io avrei perduto l’occasione così a lungo sognata, bramata, concupita. Lo carezzai: testa, capelli, lo baciai sugli occhi. “Ti voglio bene, piccolo mio, e… non solo perché sono la tua mamma…..” Non mi lasciò finire. “Allora?” “Allora… dobbiamo riflettere. Ora prepariamoci per uscire.!” Quindi, eravamo al ‘dunque’, al bivio. La scelta non era facile, però, electa una via ad altera non recurrere. Scelta una strada non tornare sull’altra. Del resto, non sarebbe stato possibile. Mi vestivo lentamente, frastornata. Marco era stata chiaro, evidente. ‘E non poter…’ Questo m’inorgogliva, mi affascinava. Mi sentivo presa in un vortice che mi dava le vertigini… mi sembrava di essere tra le braccia di Marco, di sentirlo mio, solo mio, in me… Mi accorsi che stavo scuotendo la testa… No, non potevo rinunciare a lui. Era una vita che lo attendevo! Un lungo sospiro e finii di prepararmi. Saremmo usciti, andati a spasso, avrei guardato le vetrine, con lui che certamente sbuffava, lo avrei invitato a prendere un aperitivo, lo avrei invitato a pranzo… saremmo tornati a casa… Avevo preso la mia decisione. Il dado è tratto… alea iacta est. Mi avviai verso il salotto. Passando dinanzi alla sua camera gli dissi che ero pronta. Mi rispose che scendeva subito. Mi raggiunse dopo qualche secondo; bello, elegante nella sua semplicità: pantaloni ingualcibili, camiciola che lo accompagnava perfettamente. Era un po’ pallido, col volto tirato. “Prendo l’auto, ma’? La potemmo lasciare al parcheggio…” “Meglio il taxi, Marco. Saremo più liberi e… più vicini… Lo chiamo.” Chiamai il taxi e ci avviammo giù, al portone, per attenderlo. Ci facemmo portare a Piazza di Spagna. Non eravamo molto loquaci, ma quando scendemmo dall’auto mi prese sottobraccio ed era bello sentire la sua mano vicina al mio seno. Lo guardai con un sorriso che, almeno nelle mie intenzioni, voleva fargli comprendere la mia decisione. Non so se ci riuscii, ma lui mi strinse il braccio. Percorremmo Via Condotti, curiosavo nelle vetrine. Ad un certo momento vidi una vaporosa e trasparentissima camicia da notte. L’avrei voluta acquistare, ma con lui… Inventai che avevo una certa necessità e che sapevo che in quel negozio c’era una ottima toilette… lui avrebbe potuto attendermi… forse era meglio che andava al Caffé Greco, dove avremmo preso l’aperitivo, del resto era quasi di fronte. Marco alzò le spalle, e mi disse ‘OK’. Entrai nel negozio, mi feci mostrare la camicia, l’acquistai, ne feci fare un minuscolo pacchetto che misi nella mia borsa, abbastanza grande. Dopo pochi minuti lo raggiunsi al Caffè, nell’ultima sala. Si alzò nel vedermi entrare, mi chiese se andava bene quel tavolino. Sedetti. Ordinammo gli aperitivi, quelli della casa. Cercavo di portare la conversazione su argomenti futili, su quelli seri, mi rispondeva quasi a monosillabi. “Marco, sei un po’ musone, oggi… e pensare che ti volevo invitare a mangiare il filetto speciale al Roof Restaurant dell’Hotel Hassler…” “L’ultima cena del condannato a morte?” “Io sapevo che un filetto del genere mette sangue e forza…” Mi guardò in un certo modo. “OK, ma’, va benissimo il filetto…. E dopo? Andiamo al cine a vedere i cartoni animati o mi porti al Luna Park?” Era evidente il suo sarcasmo. “Dopo… andremo a casa…” Ed eravamo a casa. Il taxi ci aveva depositato al portone, avevamo preso l’ascensore. Eravamo a casa. Nella mia borsa c’era il pacchetto con la vaporosa camicia da notte. Perché l’avevo comprata? Piccola vanità femminile. Desiderio di apparire desiderabile, di mostrare e celare per far indovinare. Ma era quello che voleva Marco? Mi stavo comportando come una seduttrice da strapazzo o una giovincella al suo primo…. In effetti era come se fosse la mia prima volta. La mente spaziava… forse potevo gettare GR…. No, lo dovevo conservare, ‘li’ dovevo conservare, per un senso di gratitudine. Ma non è che mi stavo perdendo nella fantasia? Eravamo nell’ingresso. Marco non mi aveva chiesto il perché di quel ritorno che poteva sembrare perfino frettoloso. “Cosa facciamo ma’? O cosa fai tu? Così, tanto per sapermi regolare.” Gli detti una carezza sul volto, lo baciai, sulla guancia, sulle labbra. Di sfuggita. “Io vado a mettermi un po’ in libertà, perché non lo fai anche tu. Devo parlarti, dirti qualcosa… Fra un po’ ti chiamerò…” Avevo cambiato programma. Niente approccio patetico-sentimentale; niente indumenti sexy. Andai nella mia camera, mi spogliai, completamente, gettai borsa e pacchetto nell’armadio, mi struccai, mi profumai appena, dove dovevo, indossai un negligè, mi guardai nello specchio. Io ero così. Non avevo bisogno di belletto né di messa in scena! Mi avvicinai al letto, lasciai sulla poltrona l’unico indumento che indossavo e mi infilai nel letto. Chiamai Marco. Bussò alla porta, al mio ‘avanti’ entrò. Pantaloncini e camiciola aperta. “Mi hai chiamato, mamma?” “Si, siedi qui, sul letto, accanto a me…” Sedette. Lo guardai negli occhi, seriamente, senza una particolare espressione del volto. Presi l’angolo della leggera coperta sotto la quale ero sdraiata e la scostai di colpo. Tutta. “E’ così che mi vuoi?” Balzò in piedi di colpo, rosso in viso, con gli occhi sgranati, un’espressione sul volto, tra sbalordita e incredula, allungò timidamente una mano… tremava…e mi sfiorò il seno…. “Oh… ma’… mi vuoi far morire…” Misi la mia mano sulla sua. “No, sciocco… voglio farti vivere…. Vivere io… vuoi? Spogliati… vieni vicino a me…” Seguitava a guardarmi, annuii sorridendogli… Si staccò un momento da me, si spogliò. Aveva una erezione prepotente. Si avvicinò al letto titubante, come se temesse di esserne scacciato, si sdraiò accanto a me, di fianco. Pose il capo sul mio seno… Qui, lo so, si attende la minuziosa descrizione del ‘poi’, come se non si sapesse le cose come si svolgono in situazioni del genere, nei momenti così particolari, specie tra chi, per certi innaturali tabù, non dovrebbe trovarvisi. Il bacio di Marco al mio seno, divenne presto un succhiare lungo e goloso, mentre la sua mano non si stancava di carezzarmi, di cercarmi. Si avvicinava, quasi timida, al mio grembo, sfiorava i miei riccioli, ogni volta più insistentemente. Dischiusi un po’ le gambe… le sue dita si intrufolarono, sentirono l’umido che avevo distillato. Erano impacciate. Io, intanto gli carezzavo delicatamente il fallo, lo sentivo fremere, sempre di più, e sapevo che la sua eccitazione non avrebbe resistito a lungo… il suo seme dilagò violentemente, mentre seguitava a baciarmi, a suggermi, ad afferrarsi ai miei riccioli… “Scusa, ma’…. Scusa… non volevo…. non volevo…” “Tesoro mio, lo volevo io… buono… buono… sta vicino a mamma tua…. Così…” Lo asciugai, e mi asciugai, alla meglio, col lenzuolo, e ripresi a carezzarlo… era più eccitato di prima. Con dolcezza, lo feci sdraiare, supino. Sorreggendomi sulle ginocchia, fui su di lui, con le gambe divaricate, la vagina fremente e impazzita. Presi dolcemente il glande e vi avvicinai il mio sesso… Marco mi guardava con occhi fiammeggianti… “Non ti immaginavo così, ma’…. Sei splendida… meravigliosa….” Stavo per impalarmi sul suo splendido obelisco di carne palpitante. Ecco, era in me quanto ne potevo ricevere… una voluttuosa invasione. Le mie natiche erano sulle sue cosce. Il mio corpo era quasi immobile. Solo il grembo ondeggiava, e la vagina lo avvolgeva, lo stringeva, lo carezzava, come se stesse ingurgitando gli ovoli ambrati di GR, ma con una ebbrezza indescrivibile. Il mio sesso lo succhiava, avidamente, golosamente. Il suo respiro diveniva sempre più affannoso, come il mio, le sue mani erano aggrappate alle mie natiche, ogni tanto si spostavano a stringermi il seno. Scuoteva lentamente la testa, con una espressione estatica, rapita. Sentivo che stava per raggiungere il piacere e lui percepiva l’avvicinarsi galoppante di un orgasmo senza precedenti. “E’ un sogno, ma’….. è un sogno…. Una cosa sbalorditiva, fantastica, meravigliosa… è un prodigio… una magia… una stregoneria, un incantesimo…. Stavamo entrambi all’acme del godimento, incredibilmente insieme…. Non riuscivo a trattenere i gemiti, sempre più forti che si impadronivano di me, né a controllarmi, ora anche io ero squassata dall’orgasmo che ci travolse, nello stesso istante, e il mungere quel nettare fu quanto di più voluttuoso io abbia mai provato… Ecco, ora ho anche rivelato queste sfumature, mi sono svelata, ho messo a nudo i miei sentimenti più intimi, di cui sono gelosa. Ho parlato di me, della mia vita. Mi sono, direbbe qualcuno, confessata. Per amore della sincerità, devo dire che quello fu solo l’inizio!
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