“Che cari ragazzi!” esclamò la mia amica Mirella non appena mio nipote Ernesto e il suo amico Ermanno, dopo averci educatamente salutato uscirono dal salotto in cui stavamo prendendo il tè. “Così puliti, così seri, di così buone maniere…. non come certi adolescenti d’oggi …. E anche così carini!” aggiunse Mirella soffocando un risolino malizioso e guardandomi complice. Non potei che annuire. “Sono proprio deliziosi. Ernesto è stato fortunato a fare amicizia con Ermanno. E’ un ragazzo adorabile. E molto carino, come dici tu. Avessi anche solo trentanni di meno….” conclusi e scoppiammo entrambe a ridere. Il mio nome è Elvira. Da quando sono rimasta vedova, qualche anno fa, anziché continuare a vivere da sola mi sono trasferita da mia figlia Germana. Siamo sempre stati benestanti e suo marito Aldo è un grosso commerciante. Hanno un appartamento assai grande in cui non mancava lo spazio anche per la nonna. Ernesto è l’unico figlio di Germana e quindi l’unico mio nipote. Ha circa ventanni e studia ingegneria all’Università. Ermanno, è suo amico e compagno di scuola fin dal liceo. I due ragazzi studiano insieme da anni, il più delle volte a casa nostra che è più grande e tranquilla, e quindi siamo tutti abituati alla presenza di Ermanno, che ormai è uno di casa. Mirella aveva ragione: Ernesto ed Ermanno sono due ragazzi davvero speciali: saranno i miei occhi di nonna ma li vedo diversi, migliori!, dai coetanei. Sono molto assennati, studiosi e senza grilli per la testa. Ermanno, poi, dei due è di gran lunga il più maturo e ha sempre avuto un’influenza molto positiva su Ernesto. Quest’ultimo infatti è un po’ più scavezzacollo e sfacciato, quanto il suo amico è un tipo riservatissimo e timido. Non a caso, Ernesto ha avuto diverse ragazze, mentre delle storie di Ermanno non si è mai saputo nulla. A me, la maniere un po’ d’altri tempi di quest’ultimo piacciono e mi fanno tenerezza, mentre pur volendogli bene, sia Germana che mio genero lo giudicano eccessivamente formale, troppo cerimonioso. E’ uno di quei ragazzi che ringrazia sempre, chiede sempre permesso prima di fare qualcosa, non alza mai la voce. E’ sempre vestito in modo classico, pulito, pettinato. Mi è sempre spiaciuto che non avesse la ragazza perché secondo me è molto carino! , con dei capelli castani riccioluti, un paio di bellissimi occhi azzurri e un fisico atletico. L’ho sempre trattato con simpatia e lui ricambia con molto rispetto. Spesso, mentre studiavano, ero io stessa a prendere dalle mani della cameriera il vassoio con il tè e a portarglielo, per poi fermarmi a prenderlo con loro e a scambiare qualche chiacchiera. Ermanno in questi casi è sempre stato molto gentile, mi aiutava a reggere il vassoio e poi a riempire le tazze, rispondeva con garbo alle mia curiosità. Quando non mi vedeva si informava con tatto se stessi bene e non mancava mai di venirmi a salutare se ero in casa, prima di andar via. “Ermanno deve avere una cotta per te, nonna” mi aveva detto Ernesto qualche tempo fa, ridacchiando. Ero stata al gioco e avevo chiesto cosa glielo facesse credere. “Eeeh, dice sempre quanta classe hai, quanto sei elegante. Una volta ha perfino detto che la sua donna ideale deve avere lo stile che hai tu.” Queste parole mi fecero sorridere e, in cuor mio, mi lusingarono. In effetti Ermanno dimostrava nei miei confronti un attaccamento che non aveva per nessun altro, eccetto Ernesto. Gli capitava spesso di fermarsi a chiacchierare con una scusa. O di offrirsi di farmi delle commissioni. A mia volta, di tanto in tanto gli facevo apprezzamenti per il suo modo di vestire: “Ma come stai bene oggi, Ermanno!” Invariabilmente, diventava rosso come un peperone, cosa che spingeva Ernesto a prenderlo in giro e me a stuzzicarlo. Lo stesso infatti accadeva se chiedevo ai due come andasse con le ragazze o se facevo battute sui loro appuntamenti galanti. Ernesto rispondeva a tono, mentre Ermanno distoglieva gli occhi e non replicava o cambiava discorso. Era talmente timido che quando si parlava a tu per tu, dopo pochi secondi non ti guardava più negli occhi e abbassava lo sguardo. Un giorno però questa sua abitudine fece sì che il suo sguardo finisse dentro la mia scollatura: non mi ero accorta di avere la camicetta slacciata più di quanto fosse stato opportuno e così quando vidi lo sguardo del ragazzo abbassarsi come al solito ma fermarsi improvvisamente all’altezza del mio petto non realizzai subito cosa stesse fissando; quando lo capii, imbarazzata, con le mani riaccostai precipitosamente i lembi della camicia; sentendosi scoperto, il povero Ermanno avvampò e fuggì precipitosamente, lasciandomi lì, un po’ stranita ma anche piacevolmente divertita all’idea che mi avesse sbirciato il seno. Non che dessi peso a episodi del genere. Ho cinquantasei anni e non sono una di quelle donne che con la menopausa pensano solo al sesso. Ho un corpo ancora snello, solo un po’ arrotondato nelle curve e non mi dispiace ogni tanto intercettare qualche sguardo o ricevere un complimento per strada: piccole cose che ti fanno sentire che sei ancora una donna e di cui ridere poi con le amiche. D’altra parte non ho smesso di guardare gli uomini e di apprezzare quelli attraenti. Ed Ermanno, come ho detto, sarebbe rientrato fra questi, salvo il fatto che era poco più di un ragazzino. In quel periodo i ragazzi preparavano un esame e per questo Ermanno trascorreva quasi tutto il giorno a casa nostra. A volte si fermava anche a pranzo. In tal caso eravamo spesso solo noi tre, visto che tanto mia figlia che mio genero lavorano tutto il giorno. In questi momenti avevo sempre modo di apprezzare le squisite maniere di Ermanno: “Vedi com’è galante, dovresti prendere esempio da lui” dicevo a Ernesto facendogli notare il gesto dell’amico che scostava la mia sedia dal tavolo mentre prendevo posto. “Lei con me è troppo buona, signora” rispondeva lui perfino leggermente inchinandosi. Davvero un ragazzo d’oro, dicevo tra me, incantata. Anzi, le attenzioni di Ermanno mi deliziavano al punto che non di rado ero io a sollecitarle, per esempio fermandomi davanti a una porta in attesa che lui l’aprisse o lasciando che si chinasse a raccogliere da terra qualcosa che mi fosse caduto. Non me ne accorgevo, ma il rapporto con Ermanno stava cominciando a essere via via più esclusivo, e se Ernesto, cogliendo qualche smanceria, la sottolineava esclamando canzonandoci: “ecco il paggio di nonna!”, lo guardavo male, indignata che prendesse in giro quell’angelo di Ermanno. Mia figlia aveva organizzato un party. Com’era ovvio i due ragazzi furono lasciati liberi di partecipare o meno, visto che, naturalmente, non c’erano altri coetanei. Mio nipote storse la bocca, mentre Ermanno aderì con entusiasmo e convinse l’amico a partecipare. Avevano passato tutto il giorno a ripetere e la festa era in pieno svolgimento quando i due fecero la loro timida apparizione. Stavo chiacchierando con un’ospite sorseggiando del vino quando li vidi, vicini, un po’ impacciati, all’altro capo del salone. Come avevo previsto Ermanno aveva preso molto sul serio l’invito di mia figlia Germana a vestirsi eleganti: giacca, cravatta, pantaloni stretti a tubo e mocassini lucidissimi. D’altra parte tutti gli invitati erano in abito da sera. Li salutai a distanza alzando il bicchiere. Ernesto si era già allontanato per salutare alcuni amici dei genitori che conosceva. Ermanno rimase invece solo e un po’ spaesato, appoggiato alla parete. Decisi di toglierlo dall’imbarazzo e andai verso di lui attraversando il salone. Quando gli sguardi si incrociarono gli sorrisi. Lui, anziché ricambiare, mi puntò addosso uno sguardo così fisso che per un attimo esitai, chiedendomi cosa non andasse. Poi colsi nei suoi occhi un luccichio di ammirazione che mi sorprese piacevolmente. Ero anch’io molto elegante quella sera: fresca di parrucchiere, i capelli, che tingo di un biondo platino chiarissimo, corti alle spalle e divisi in mezzo con le ciocche che incorniciavano il volto, un corpetto di raso con una camicetta di voile trasparente, una gonna svasata che lasciava scoperte le gambe sotto il ginocchio; calze nere velate e scarpe con i tacchi completavano l’abbigliamento che tanto stava impressionando Ermanno. Quando gli fui vicina gli chiesi come fosse andato il pomeriggio e se avessero finito di studiare. Lui rispose di sì e, come d’abitudine, prese a roteare lo sguardo per la sala. Mi sembrava particolarmente intimidito. “Forse non conosci nessuno, qui. Ti dispiace se ti faccio un po’ di compagnia io?” “No, assolutamente, signora, non posso che essergliene grato.” Ebbi l’impressione che cercasse più deliberatamente di altre volte di evitare di guardarmi. Gli proposi di bere qualcosa e mi offrii di portargli un bicchiere. Lui invece mi precedette al tavolo dei liquori e versò lui per me dell’altro vino bianco. Mi resi conto che in realtà il ragazzo stava facendo sforzi per non fissarmi e che i suoi occhi, pur continuando a vagare, tornavano abbastanza spesso addosso a me. Mentre bevevo non potei trattenere un sorriso di soddisfazione: in fondo ero la donna probabilmente più anziana presente ed era carino da parte di Ermanno rivolgermi in modo così discreto il proprio apprezzamento. A questo punto Ernesto tornò a riprendersi l’amico e se lo portò via. Nel prosieguo della serata, come capita in queste occasioni in cui si passa fluidamente da un capannello di chiacchiere all’altro, ci incrociammo altre volte. Sempre ebbi l’impressione che Ermanno distogliesse lo sguardo da me all’ultimo momento e un paio di volte lo colsi invece con la coda dell’occhio che mi osservava attraverso il salone. A un certo punto mia figlia aumentò il volume della musica, fin lì in sottofondo, e invitò le coppie a mettersi a ballare. Erano dei ballabili facili, alcuni dei veri e propri lenti. Mentre alcune coppie accettando la proposta si posizionavano nel centro del salone, vidi ancora una volta Ermanno da solo in un angolo. Lo raggiunsi e chiesi se si annoiasse. Naturalmente era troppo educato per dire di sì e cercò di farmi credere che si stesse divertendo un mondo. “Non me la dai a bere – ribattei ridendo – mi rendo perfettamente conto che preferireste stare con vostri coetanei, tu ed Ernesto. Non ci sono ragazzi e, soprattutto, ragazze: non è il posto più adatto per ragazzi come voi, vero?” Arrossì e, in riposta, farfugliò qualcosa sul fatto che anche le feste dei ragazzi a volte erano noiose. “Allora anche qui ti annoi! – esclamai – ti sei tradito!” Lui borbottò scuse che non ascoltai, sorridendo nel vederlo costernato per quella che riteneva una gaffe. “Bè, potresti ballare per lo meno. Guarda Ernesto sta facendo ballare la signora L. Potresti invitare Germana” gli proposi. “E lei? Lei non balla?” fu la, per la verità sorprendente controrisposta. “Io? Sono la più anziana. Chi dovrebbe farmi ballare?” “Non scherzi, non è certo la signora con l’età maggiore, e se anche lo fosse nessuno se ne accorgerebbe.” “Grazie, ma non credo comunque di essere la prima donna che verrebbe invitata a ballare qui. Se no tu, per esempio, l’avresti già fatto, no?” “Ma io non potrei essere che lietissimo se lei mi facesse l’onore….” la voce gli si era spenta in un sussurro a queste ultime parole. “Mi faresti ballare? davvero?” “Ne sarei onorato…” ripetè ancora una volta a bassa voce. “Bene allora, onore concesso!” E, estremamente divertita da quel dialogo d’altri tempi, scivolai tra le sue braccia. La musica in quel momento era un lento assai languido. Ballavamo con un braccio discosto dal corpo, una mia mano sulla sua spalla, la sua che mi sfiorava il fianco. Eppure avvertii una tensione da parte sua che mi sorprese e mi intrigò. Gli passai anche l’altro braccio intorno alla spalla e finii con l’avvicinarlo a me. Il mio ventre sfiorò il suo e subito lo sentii irrigidirsi e scostarsi da me. Lo guardai con la coda dell’occhio e ne scorsi le guance imporporate. Quel ragazzo sembrava davvero enormemente imbarazzato! Il resto del ballo, Ermanno rimase rigido e impettito, concentratissimo ad evitare che i nostri corpi si toccassero. Quella sua reazione mi turbò: da parte mia non pensavo di avere messo nei miei movimenti alcuna sensualità e quindi non riuscivo a capire cosa lo mettesse tanto a disagio. Il giorno dopo la festa furono consegnati a casa due mazzi di fiori, uno per mia figlia l’altro per me. Li mandava Ermanno, con un biglietto in cui ringraziava per la serata. “Da manuale di galateo” commentò Germana stracciando il biglietto e aggiunse: “questo ragazzo dovrebbe imparare ad essere più naturale e meno convenzionale!” Io non era d’accordo e fui invece deliziata da un pensiero così galante anche se, ripensando al nostro ballo, dovetti darle ragione sul fatto che il giovanotto non era certo un esempio di spontaneità. La volta successiva che Ermanno venne a casa, lo fermai in corridoio per ringraziarlo. “I tuoi fiori erano bellissimi, Ermanno. Grazie di cuore.” “Non … non c’è di che, signora Elvira.” Gli presi le mani e le strinsi leggermente. “Hai sempre delle premure così … così … affettuose” aggiunsi, “però non ero io l’organizzatrice del party, ma un ospite come gli altri. I fiori a me sono un po’ usurpati.” “Lei era la regina della serata, signora Elvira. E concedermi di ballare con lei, è stato, ecco, il momento più straordinario della festa. Almeno per me…” concluse abbassando la voce. A quelle parole mi sentii francamente sciogliere qualcosa dentro. Lo guardai negli occhi, sorridendo, senza parlare, tenendogli ancora le mani. Lui ricambiò lo sguardo e nei suoi occhi colsi un calore che non avevo mai notato prima. Poi lo lasciai andare e lui scappò letteralmente via lungo il corridoio senza più volgermi lo sguardo, mentre il mio invece non lo lasciò finchè non sparì entrando nella ! stanza di Ernesto. “La regina della serata!” Mi ripetei quella frase per tutta la giornata. Ragazzi, mai mi sarei aspettata un simile complimento. Un complimento appassionato, ma che gli era sgorgato dal cuore e, infatti, se ne era subito pentito. Quella sera, distesa sul letto nella mia camera, ripensai ancora a quelle parole, compiacendomi del loro suono e del loro significato. Ripensavo anche ad Ermanno e a come arrossiva nel pronunciarle. E al modo in cui mi aveva guardata quella sera e a come aveva però evitato di accostarsi troppo a me… Dovevo assolutamente capire se quella di Ermanno era ammirazione platonica o qualcosa di più. L’occasione mi si presentò appena pochi giorni dopo, quando la mia amica Mirella mi comunicò che non sarebbe venuta al concerto del giovedì, alla serie dei quali eravamo abbonate insieme. “Chi vorrebbe venire al concerto di musica classica?”, chiesi ai due ragazzi, entrando nella loro stanza e interrompendone lo studio. “Musica classica? nonna!” esclamò Ernesto quasi indignato che potessi pensare che gli interessasse. “Cafone! anche se non ti piace potresti almeno sacrificarti per fare compagnia a tua nonna.” gli ribattei. Ermanno diede un leggero colpo di tosse per farsi coraggio, poi a voce bassissima: “A me la musica classica non dispiace….” “Oh! vedi la differenza di cultura tra uno zoticone e una persona fine!”. Ernesto, destinatario dello zoticone, sghignazzò: “Ma sì, andate voi. Accompagnala tu Ermanno, voglio vedere se poi non t’addormenti.” “Ma… veramente … forse la signora ha qualche altra amica interessata…” cominciò a farfugliare Ermanno, come al solito pronto a indietreggiare subito dopo aver osato. “No, no,” mi affrettai quindi a precisare: “Avevo già chiesto ad altri, voi due eravate la mia ultima speranza di trovare chi mi facesse compagnia.” ! Mi rivolsi direttamente al ragazzo e prima che potesse tirarsi indietro buttai lì: “Allora, come restiamo. Il concerto è domani alle sei del pomeriggio. Mi vieni a prendere tu? Ce l’hai la macchina?” “S-sì però…” “Ce l’ha. E’ la macchina di sua madre, che lei non usa mai.” si intromise Ernesto. “Ma è piccola, è solo una Cinquecento, forse non è adatta…” “Andrà benissimo!”, tagliai corto, “deve portarci a un concerto, mica dobbiamo farci un viaggio. Ti aspetto domani, allora, Ermanno.” Il giorno dopo, mentre mi preparavo, mi sentivo su di giri all’idea di avere un appuntamento con un uomo. Indossai un vestito che avevo messo assai raramente perché lo ritenevo osè, ma avevo deciso appunto di essere un po’ audace: era un abito di seta, sorretto da spalline che mi lasciavano nude le braccia e le spalle, e che lasciava la scollatura profonda, tanto da costringermi a indossare un reggiseno molto ridotto e decidere di drappeggiarvi di sopra un foulard per non scandalizzare i vecchi signori che in genere frequentavano i concerti. L’abito aveva anche uno spacco laterale, non vertiginoso ma sufficiente a far intravedere la gamba. Dopo averci pensato un po’ su, decisi di indossare, sotto, calze nere e un reggicalze. Le scarpe di vernice con i tacchi alti e il cinghietto alla caviglia come imponeva la moda mi slanciavano, facendomi più alta e più snella. Peccato per le rughe, mi dissi, posando davanti lo specchio mentre davo gli ultimi tocchi al trucco. Quando Ermanno, puntualissimo, suonò al citofono il cuore mi saltò in gola neanche fossi stata un’adolescente al primo appuntamento. Lui mi aspettava per strada, vestito inappuntabilmente in giacca e cravatta, in piedi accanto alla sua macchinetta, il cui sportello aprì con galanteria per farmi accomodare. Entrando a teatro, gli presi il braccio, proprio come fossimo una coppia. Con gesti attenti lui mi aiutò a togliere la pelliccia per lasciarla in guardaroba. In sala, cercai con lo sguardo qualche conoscente: volevo vedere, riflesso sul volto, l’impressione che provocava questa mia improvvisa apparizione con al fianco un cavaliere tanto più giovane di me. Prendemmo posto, lui alla sinistra, appena pochi istanti prima che cominciasse il concerto. All’inizio Ermanno mi parve assorto nel seguire la musica, ma dopo un po’ cominciai a rendermi conto che i suoi occhi erano più puntati su di me che sui concertisti. Per quasi tutto il tempo mi sentii osservata dal ragazzo che, evidentemente, era convinto di esser protetto dall’oscurità e dalla musica. A un certo punto, il suo sguardo cominciò insistentemente a fissarsi in basso verso le gambe. Repressi l’istinto di coprirle, anzi a un certo punto le accavallai facendo in modo che lo spacco si aprisse leggermente offrendo alle sue sbirciatine qualche porzione di coscia in più. Da quanto tempo nessuno mi aveva ammirato così scopertamente le gambe! Lasciai anche cadere il programma a terra perché lui lo raccogliesse, fantasticando che chinandosi potesse notare che portavo le calze e che questo potesse eccitarlo. Lui trascorse praticamente tutto il tempo a osservarmi e io, perso ogni interesse per la musica, a mia volta a spiare le sue reazioni ai miei movimenti. Il concerto terminò verso le otto e trenta. All’uscita decisi che la serata meritava di continuare. “Devi tornare a casa presto? C’è un’ora a cui devi rincasare?” chiesi, mentre di nuovo a braccetto andavamo verso il parcheggio. “No.” “Bene, allora, hai fame? potrei invitarti a cena, così approfitto del fatto di avere un così bravo cavaliere.” Ermanno bofonchiò alcuni convenevoli poco convinto, ma tagliai corto e gli dissi che saremmo andati a cena insieme e mi sarei fatta riaccompagnare a casa entro mezzanotte. Al ristorante, scelto un tavolo discretamente appartato, ci sedemmo l’una davanti all’altro. Con nonchalance feci scivolare dalle spalle lo scialle di seta scoprendo le spalle praticamente nude. Ermanno spalancò gli occhi e, dopo aver fatto un po’ vagare lo sguardo, lo fermò sulla sommità del seno. Ero deliziata da quella ammirazione, tanto scoperta quanto ero sicura che lui fosse convinto che non me ne accorgessi. Così com’ero certa che non pensasse che fosse intenzionale il mio chinarsi verso il tavolo a bella posta per offrirgli migliore visuale. Chiacchierammo del più e del meno, i suoi occhi che solo quando non ne poteva fare a meno incontravano i miei per poi essere nuovamente calamitati dal solco tra i miei seni. “Spero proprio che non ti dispiaccia.” – esclamai in una pausa di silenzio. “Cosa?” “Sopportarmi. Mi sono fatta accompagnare al concerto, poi anche al ristorante. Mi auguro che tu non stia pensando ‘che pizza!’” “No. Cosa dice? Mi fa molto piacere farle compagnia.” “Invece secondo me pensi di aver sprecato la serata e che avresti potuto essere con una ragazza della tua età. “Ma no. Mi creda. Stare con lei è molto piacevole.” “Davvero non ti imbarazza farti vedere in giro con una donna così vecchia?” replicai fissandolo direttamente negli occhi per accertarmi che rispondesse la verità. “No, assolutamente. E lei non è vecchia. E’… è …. – un principio di rossore si diffuse sulle sue guance – lei è …. una donna molto bella.” Sollevai il bicchiere davanti le labbra per nascondere il sorriso che quelle parole ! mi avevano suscitato. “Molto bella! Addirittura! Grazie, ma il tempo è ormai passato, Ermanno. Io ho l’età di tua nonna, come lo sono di Ernesto.” “Non so quanti anni abbia, signora, ma le giuro che non li dimostra.” Il suo candore era quasi commovente. “Ho un bel po’ più di cinquantanni, Ermanno. – Lo dissi chianandomi ancor più verso di lui e spingendo in su il seno. Sentii che i capezzoli mi si indurivano. – Sul serio pensi che anche alla mia età una donna possa essere attraente?” “Certo”, rispose lui stavolta chinando il capo sul piatto. “Non ti credo – dissi allora raddrizzandomi e tornando a appoggiarmi allo schienale della sedia – Tu mi trovi ancora piacente?” Ermanno mi rivolse uno sguardo, più che di ammirazione, di devozione e a bassa voce rispose: “Sì signora. Lei è davvero una donna bellissima.” Smisi di stuzzicarlo e la cena proseguì tra conversazioni meno maliziose. A un certo punto non mi sfuggì però che Ermanno si chinasse a raccogliere il tovagliolo che gli era caduto. Pensai subito che l’avesse fatto apposta per guardarmi le gambe sotto il tavolo e istintivamente le allargai un poco per consentirgli di guardare meglio. Quando lui si rialzò non potei però avere conferma del mio sospetto e mi rimproverai per il mio atteggiamento così sfacciato. Mai prima d’ora avevo fatto cose del genere e, soprattutto, avuto certi pensieri su un uomo! In macchina, nel tragitto di ritorno, non parlammo quasi per niente, ma io non resistetti alla tentazione di tirare un po’ su la gonna nel sedermi, per scoprire le ginocchia e, un po’, le cosce. La mia manovra ebbe stavolta successo ed Ermanno, poverino!, prese a contorcere gli occhi per sbirciarmi le gambe senza uscire di strada. Quando lui riportava gli occhi sulla strada io accavallavo le gambe facendo in modo che le calze frusciassero così da riavere l’attenzione del ragazzo. Una volta arrivati, nel salutarlo, gli poggiai le mani sulle spalle. Ero più alta di lui e provai la tentazione di chinarmi e baciarlo. Gli dissi solo invece: “Grazie. E’ stata una splendida serata per me. E se è vero che non mi consideri una tardona, spero che ce ne siano altre.” Gli depositai un bacio il più vicino possibile alla sua bocca e poi scappai dentro il palazzo come una collegiale impaurita per essersi spinta troppo oltre. Non avevo più dubbi che Ermanno si fosse preso una cotta per me. Ero piena di incertezze, invece, circa i miei sentimenti. Sapevo quanto ciò fosse folle, ma il desiderio di quel ragazzo aveva risvegliato i miei sensi e io mi sentivo terribilmente attratta da un giovane che aveva l’età di mio nipote. Di notte, il pensiero degli sguardi e delle frasi di Ermanno mi teneva sveglia finchè non mi assopivo e, allora, quell’idea fissa tornava e si trasformava in sogni in cui facevo l’amore con lui con sfrenata passione. Alla fine mi arresi: lo volevo, e al diavolo tutto il resto! Difficile si rivelò a questo punto restare sola con lui. Finchè, un pomeriggio, riuscii a far allontanare da casa Ernesto con la scusa di una commissione urgente. “Ma, nonna, fra un po’ arriverà Ermanno!” “Ma sì, gli dirò io che sei dovuto uscire. Non si arrabbierà mica, no?”. A parte la cameriera, così sarei rimasta sola con lui quando fosse arrivato. Ero decisa ed eccitata: indossai la gonna più corta che possedevo e un paio di calze velate fumé tenute su dal reggicalze. Mi truccai, raccolsi i capelli in uno chignon e indossai una camicetta attillata della quale slacciai i primi bottoni. Quando il campanello suonò mi precipitai ad aprire io stessa. “Ernesto non c’è, Ermanno, è dovuto uscire.” Lui rimase un po’ incerto sullo zerbino senza sapere che fare. “Entra pure ad aspettarlo. Ti offro una tazza di tè?” Lo feci accomodare in salotto e andai a prepararlo. Quando tornai, sedetti in una poltrona proprio di fronte a lui. Versai il tè, poi con un gesto languido, e badando a scoprirle quanto più possibile, incrociai le gambe, ben in alto. Volevo che lui guardasse quello che gli mostravo e si eccitasse. Volevo che non avesse dubbi sulle mie intenzioni e si sentisse incoraggiato. A differenza che al ristorante Ermanno prese a lanciare occhiate fugaci e poi a distogliere lo sguardo fingendo di essere tutto intento a sorseggiare il suo tè, mentre rispondeva a monosillabi alle mie domande. Incrociai le gambe più volte sicura che non poteva sfuggirgli la vista del bordo delle calze oltre l’orlo della gonna. Mi chinai verso di lui un paio di volte per mettere in evidenza la scollatura e esporgli l’incavo dei seni. Lui guardava, sudava innervosito, ma non faceva nulla. Cominciai a spazientirmi io, che invece ero sempre più eccitata e ormai pronta a mettergli le mani addosso. Lasciai cade! re un cucchiaino per terra, vicino al mio piede. Con la voce più sensuale di cui fossi capace lo pregai di raccoglierlo. Lui si alzò, consentendomi di notare con grande emozione che la stoffa dei pantaloni gli tirava sul davanti, e si chinò fin quasi a inginocchiarsi davanti a me. Raccolse il cucchiaino, poi, con il dorso della mano mi sfiorò appena la caviglia. Quella mossa impacciata scatenò la mia lussuria. “Cosa fai, Ermanno, mi tocchi le gambe?” gli chiesi a bruciapelo. Lui si alzò di scatto, come tarantolato. Cominciò a bofonchiare: “Scusi, scusi, non volevo, non volevo” e fece alcuni passi all’indietro finchè non urtò il divano finendoci a sedere sopra. A questo punto io mi alzai e andai a sedermi accanto a lui, molto accanto, praticamente addosso. Accavallai ancora una volta le gambe e lo fissai senza dire nulla. “M-m-mi scusi,” balbettò. “Scusarti di cosa?” “P-per averle mancato di rispetto.” Gli passai una mano tra i capelli e gli accarezzai la nuca per tranquillizzarlo senza cessare di eccitarlo. “Benedetto ragazzo! – esclamai – Guarda che ci sono due modi per mancare di rispetto a una donna. Il primo è allungare le mani quando non si dovrebbe.” A queste parole diventò paonazzo. “Il secondo – proseguii prendendogli la mano e guidandogliela sulla mia coscia lungo la quale cominciai a fargliela scivolare – è non toccare quello che una donna ti sta offrendo.” Ermanno chiuse gli occhi. La sua mano aveva risalito tutta la coscia fino al ga! ncio del reggicalze. Lì la lasciai e gli presi il viso tra le mie mani. “Oh signora Elvira, io sono innamorato di lei!” Lo baciai: gli infilai la lingua fra i denti e presi a stuzzicare la sua. Contemporaneamente mi sdraiai quasi su di lui, sentii la sua mano che stringeva sulla mia gamba e protesi la mia per cercare il suo arnese duro attraverso i pantaloni. In quel momento un rumore nell’altra stanza mi fece ricordare che non eravamo completamente soli in quella casa. “Fermiamoci, dissi, Ernesto può tornare.” Riabbottonai la camicetta e tirai giù la gonna. Ermanno mi guardava stravolto ma adorante. “Ti dirò io quando e dove,” gli sussurrai all’orecchio e uscii dalla stanza. Quella notte dovetti placare i miei sensi carezzandomi da sola. L’idea stessa di averlo provocato mi faceva bagnare. Ormai non ci pensavo più a tornare indietro. Dovevo trovare assolutamente il modo di scoparmi Ermanno. Mi venne per fortuna in mente un monolocale sfitto di proprietà di mia figlia. Rubai di nascosto le chiavi e andai a vederlo. Era polveroso e puzzava di chiuso ma c’era un divano letto e un angolo-cucina. Sarebbe andato benissimo. Lo ripulii e lasciai nel bagno alcune cose che mi sarebbero potute servire. Ero su di giri al pensiero che mi ero fatta la garçonniere. Peccato non poterlo confidare a nessuno. A Ermanno feci scivolare un biglietto in tasca, indicando il luogo e dandogli un appuntamento a un certo orario. Il ragazzo aveva avuto fino a quel momento un’aria assai confusa perché lo evitavo per timore che si tradisse. La notte prima dell’appuntamento non dormii. Pensavo al fatto che dopo tanti anni avrei avuto di nuovo un uomo. Pensavo a Ermanno e me lo immaginavo ugualmente sveglio e magari combattuto tra paura e desiderio. L’idea che magari lui si masturbasse pensando a me mi faceva impazzire. Il giorno dopo raggiunsi l’appartamento prima dell’orario. Avevo portato una bottiglia di champagne che misi in fresco nel minifrigo. Mi controllai allo specchio. Mi sentivo al massimo: avevo una gonna di pelle al ginocchio ma stretta, con una zip che tirai su abbondantemente, una camicetta praticamente trasparente e, sotto, una guepiere viola con le calze nere con la riga. Ai piedi, naturalmente, tacchi a spillo. Quando aprii la porta a Ermanno fui felice che il suo sguardo rivelasse che mi trovava sexy. Aveva portato un enorme mazzo di fiori, il tenero! Glielo presi dalle mani e lui mi abbracciò goffamente mormorando parole d’amore. “Quanta fretta! sta’ calmo.” Mi divertivo a stuzzicarlo. Gli dissi di andare a cercare un vaso. Mentre sistemavo i fiori sentivo il suo sguardo percorrermi il corpo. Tra le gambe sentivo già un piacevolissimo calore umido. “Cosa fai lì impalato come un baccalà?” lo apostrofai andando verso di lui che stava ritto in piedi in mezzo alla stanza chiaramente non sapendo cosa fare. “Si-signora, io … è la prima volta,” mi confessò con aria mogia. Lo sapevo che era vergine ma il modo mortificato in cui lo disse mi piacque. Dall’alto dei tacchi lo sovrastavo di una testa. Mi strusciai su di lui cingendogli le spalle con il braccio mentre con la mano libera gli tastai la patta. Sentii qualcosa di duro e grosso che mi soddisfece. “Non preoccuparti,” gli soffiai nell’orecchio, “mi eccita l’idea di insegnarti.” Gli mordicchiai l’orecchio, poi con la bocca scesi a cercare la sua. Ricambiò goffamente il mio bacio cercando di seguire le acrobazie della mia lingua. “C’è una bottiglia di champagne in frigo. Vai a prenderla per brindare.” Lui si staccò da me e mi voltò la schiena verso il frigo. Io mi accomodai sul divano letto facendo in modo che la gonna lasciasse scoperta le cosce. Quando si girò e mi vide sussultò. “Allora, come nonnetta sono sexy?” “Lei è bellissima”. “Sei tu che mi fai sentire sexy, Ermanno. Su siediti qui e stappa questa bottiglia.” Ermanno obbedì e prese ad armeggiare con il tappo. Io allungai le mani verso la sua patta e cominciai a tirargli giù la lampo. Lui si fermò ma gli feci cenno di continuare. Gli tirai fuori l’uccello. Era lungo e rigido, presi ad accarezzarglielo mentre lui con gli occhi chiusi cercava inutilmente di togliere il tappo di sughero. “Il cazzo è come una bottiglia di champagne – presi a sussurrargli all’orecchio – bisogna fare dei piccoli movimenti sul tappo per farlo venir via.” Così dicendo gli avevo scappellato il glande e presi a stuzzicarglielo facendo ruotare il pollice. “E come lo champagne se lo si agita troppo finisce con schizzare tutto fuori.” Gli maneggiavo l’asta con la mano stretta intorno su e giù, masturbandolo, e continuando a strofinargli il glande. Ermanno aveva lasciato perdere la bottiglia. I suoi piccoli gemiti e l’aria estatica mi fecero capire che era sul punto di venire. Abbassai la testa e glielo presi in bocca, mordicchiandolo e continuando con la punta della lingua il massaggio al glande che avevo fatto con il pollice. Gli strizzai i testicoli e sentii che il flusso di sperma arrivava. Lo sentii in bocca e lo bevvi avidamente continuando a succhiarglielo tra i singulti di Ermanno e i movimenti sussultori del suo cazzo. Buffamente, il primo pensiero che lì per lì mi venne fu quello di calcolare esattamente quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che avevo fatto un bocchino a un uomo. Mi rialzai e guardai Ermanno. Era ridicolo, con i pantaloni slacciati, il pisello pendente tutto impiastricciato, lo sguardo velato. “Su, non ti spogli?” Si alzò faticosamente e si tolse lentamente i vestiti. Aveva un bel corpo giovane ed arrapante, che presto sarebbe stato mio. Il pensiero mi provocò una scossa di eccitazione che mi costrinse a stringere le cosce. “Adesso spogliami tu, Ermanno”, gli dissi quando fu nudo. Con mani tremanti mi sbottonò la camicetta e poi mi tolse la gonna. Quando rimasi con la guepiere e le calze vidi con piacere che il cazzo gli tornava eretto. “Mi trovi eccitante sul serio. Il tuo cazzo non mente. Dimmi che mi vuoi.” Borbottando parole incoerenti Ermanno mi si buttò addosso cercando di toccarmi le tette, le cosce, il culo. Ridendo frenai la sua impazienza. “D’accordo. Ho capito. Vuoi fare l’amore. Ma guarda che mi devi togliere anche le mutandine prima.” Lui si inginocchiò tra le mie gambe e cominciò a sfilarmele. Io allargavo le cosce per permettergli di guardarmi le labbra rosse e pulsanti della fica. Non mi ero mai comportata così da troia, non avevo mai fatto certe cose con mio marito, ma il desiderio da parte di un ragazzo così giovane aveva scatenato i mei sensi. Ermanno si fermò all’improvviso, guardando fisso tra le gambe. “Signora, posso chiederle una cosa?” Lo guardai perplessa. Che diavolo gli passava per la testa proprio adesso? “Posso baciarla lì, in mezzo alle sue gambe? E’ una cosa che ho sempre desiderato fare….” Sospirai: “Ermanno, tesoro, sei l’unico uomo che chiede il permesso di fare la cosa ch! e alle donne piace di più. Vieni, caro, ma lecca bene, sai?, non voglio che mi deludi.” Gli presi la testa fra le mani e la spinsi contro il pube. Quando poggiò le labbra sulla porta della mia fica sentii un brivido elettrico risalirmi la schiena. Ermanno prese a baciarmela, facendomi gemere di piacere. Gli urlai di leccarmela e di succhiarmi la clitoride e lui eseguì subito mentre gli tenevo la testa e stringevo le cosce e urlavo dal piacere. Sentii che venivo mentre la sua lingua mi frugava la fica come fosse un piccolo cazzo. “Non avevo mai goduto tanto!” sospirai dopo averlo lasciato. Anche lui aveva il respiro affannoso e la faccia bagnata dai miei liquidi. “Vieni qua,” gli dissi con voce roca aiutandolo a rialzarsi e poi mettendolo a sedere. Gli salii in grembo, feci sgusciare i seni dalle coppe della guepiere e mi impalai sul bel randello diritto, mentre gli ficcavo un capezzolo in bocca per farmelo succhiare. Cominciai a strofinarmi su e giù sul suo cazzo, sentendomelo arrivare fino al ventre. “Godo, godo!” gridai mentre acceleravo il ritmo. “Signora, sto per venire” sentii dire ad Ermanno che lasciò per un attimo il mio seno. “E vieni!” fu la mia risposta, dopodicchè una fontana di sperma caldo mi inondò mentre anch’io godevo e lo baciavo in bocca spingendogli dentro la lingua con la stessa foga con cui lui mi stava penetrando la fica. Passammo tutto il pomeriggio nel monolocale, e facemmo l’amore altre volte. Quando alla fine ci rivestimmo per andar via, Ermanno mi chiese timidamente se ci saremmo rivisti. Gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. “Tu mi piaci tantissimo. Mi hai fatto fare cose di cui non mi sarei mai immaginata capace. Ero una donna molto seria: tu mi hai fatta sentire giovane, e sexy.” Gli scarmigliai capelli. “Ho cinquantasei anni Ermanno. Per svezzarti forse vado bene ma tu sei un bel ragazzo e puoi avere tutte le ragazze che vuoi.” “Ma io sono pazzo di lei,” protestò lui debolmente. Lo abbracciai e lo baciai. Non capivo bene cosa trovasse nella nonna del suo migliore amico, ma finchè stava bene a lui non avrei certo rinunciato a fami riempire da quel bel pezzo di carne che già sentivo cominciare a riprendere vita dentro i suoi pantaloni. Da allora sono trascorsi sei mesi e questa follia continua. Io ed Ermanno siamo amanti e ci vediamo nel monolocale più o meno due volte la settimana. Lui a letto è diventato delizioso: è tenero ed appassionato, e mi colma di premure. Io non mi sono mai sentita tanto desiderata in vita mia e non credevo di scoprire, così tardi, il piacere che provo tra le braccia di questo giovane maschio. Mi sento più giovane e più bella, me lo dice anche Mirella. L’unico problema è che Ermanno continua a ripetere che mi ama e che non può fare a meno di me. Spero che non esageri e non si faccia venire idee strane come quella di vivere insieme. Potrei accettare. Perché due scopate a settimana già non mi bastano più.
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