Mi sentivo in una condizione un po’ speciale che non sapevo neanche definire, era come se dovessi andare a sostenere un esame universitario, sapendo che avrei incontrato professori severissimi e preparatissimi. Quel lunedì avrei conosciuto le più alte cariche nazionali dell’azienda per cui lavoro, varcando per la prima volta l’ingresso della Sede Nazionale. Avevo avuto tutta la notte per ripensare quel che mi era costato accaparrarmi il grado di responsabile dell’agenzia cittadina, ma, finalmente, i miei sforzi avevano dato i loro frutti ed ero pronta ad affrontare quei volponi che, sicuramente, mi stavano aspettando al varco. Tutto era iniziato due mesi prima. Si era sparsa la voce che il responsabile di zona sarebbe andato via accettando di passare alla concorrenza per un portafoglio ben più elevato. A quel punto era iniziata una vera e propria caccia alla poltrona. “Lascia perdere, perché affliggerti. Accontentati del tuo stipendio, sei l’unica donna e quelli non ti permetteranno mai di scavalcarli”. Mio marito la faceva facile; per lui era solo un problema di arrotondare le entrate di casa e nulla più. Non gli era passata per la testa l’idea che io potessi avere delle ambizioni professionali e che volevo giocarmi tutte le chances perché il posto fosse mio. Del resto, ero la più meritevole per i risultati sin lì raggiunti. L’unica avversità -ed in questo aveva ragione lui – era quella di essere donna, ma ero riuscita a capovolgere la situazione a mio vantaggio. Sin dal primo giorno si era capito che il parere del responsabile uscente, il Dott. Morini, sarebbe stato comunque determinante per le decisioni che avrebbero preso dalla sede centrale, ed i miei avversari avevano iniziato a fargli mille ossequi, mettendomi continuamente in imbarazzo con le loro allusioni ad alta voce. “Ha visto la Frantoni, dottore. Crede che mostrandole le gambe la farà scemo!”. Solo che non avevano fatto i conti con il Morini e con le mie capacità di approfittare dell’occasione. Per la verità, non lo avrei pensato nemmeno io. “Davvero si fa bella per me? Ne sarei onorato e lusingato se fosse vero”. Incrociandomi, un giorno, per il corridoio, il dott. Morini mi aveva affrontato in quel modo, facendomi arrossire sino alle punte dei piedi. Così era cominciato un estenuante corteggiamento sfociato con un suo invito a cena. Ero stata combattuta, da un lato non volevo andare (e se mi avesse preso veramente per una poco di buono, che figura avrei fatto?) dall’altro, rifiutando, avevo paura di compromettere le scarse possibilità che ritenevo di avere perché il posto fosse mio. Così, avevo accettato. “Stasera resto a fuori a cena per lavoro.” Era già successo e mio marito non aveva avuto nulla da ridire. Del resto, non aveva mai avuto motivo di essere geloso, fedele per come gli ero sempre stata. E nemmeno io, in quel momento, immaginavo cosa sarebbe esploso in me nel giro di poche ore. Era stata una serata molto piacevole, con lui galante e attento che non ci fosse nulla che non andasse. Alla fine eravamo usciti dal ristorante soddisfatti del cibo e delle nostre conversazioni, tutte al di fuori del lavoro. “Vuole tornare a casa, o facciamo un ultimo giro?” Avevo optato per il giro, mi piaceva stare con quell’uomo, godere ancora un po’ delle sue attenzioni. Venti minuti dopo eravamo fermi, in auto, a due passi dal mare, con la radio in sottofondo, a guardare le stelle. Improvvisamente mi aveva preso le mani fra le sue, si era chinato col viso sul mio e, prima che potessi fiatare, aveva poggiato le sue labbra sulle mie. Ero rimasta sorpresa dalla sua azione, l’idea che si fosse appartato con me non mi aveva sfiorato minimamente e non ero stata pronta nel reagire. Contemporaneamente, la sua lingua aveva forzato le mie labbra e le sue mani avevano poggiato le mie in mezzo alle sue gambe, tenendole pigiate proprio lì. Avvertivo sotto le dita il gonfiore del suo membro, mentre quella lingua mi mulinava dentro. Dovevo essere rosso fuoco per come mi sentivo scottare e lui mi non mi dava tregua. Una mano si era allontanata dalle mie per poggiarsi su una coscia, poco dopo l’orlo del vestito, risalendo velocemente sino ad incontrare le mie mutandine. Ma cosa stava facendo? Era impazzito? Che fosse pazzo era vero. Avrei potuto denunziarlo per quello che era successo subito dopo ma le sue parole a fatto compiuto, quando ci stavamo rivestendo, erano state un sedativo per la mia rabbia. “Non creda che il posto sarà suo per questo. Lo era di già. Io … io non potevo resistere alla sua bellezza.” In sostanza, mi aveva adescato, aveva piazzato il suo cazzo in mezzo alle mie cosce scopandomi egoisticamente (facendomi tradire mio marito senza che lo volessi) e, alla fine, fingendo di scusarsi, mi aveva pure promesso l’impensabile. “Solo che dovremo tenere a bada i suoi colleghi…” Ero tornata a casa turbata, mortificata, ma l’indomani ero di già una donna diversa. “Dottore, grazie ancora per ieri sera. Però mi spiace che non abbia avuto la possibilità di apprezzare tutte le prelibatezze che erano lì, sul piatto d’argento, a sua disposizione. Si è accontentato di poco.” Avevo riflettuto su quello che era successo e sul da farsi e mi ero intestardita che, a quel punto, valeva giocare sporco; bastava che non lo venisse a sapere mio marito. Morini era rimasto di sasso alle mie parole. Era uscito dall’ufficio e poco dopo mi aveva chiamato al telefono da fuori. Quella sera stessa, per la prima volta, forzando i miei gusti, gli donavo il mio posteriore come se fossi una battona vissuta. Erano seguiti altri appuntamenti dove avevo avuto la possibilità di fargli conoscere le mie capacità orali e di donna che sa cosa significhi scopare, poi mi aveva informato che sarebbe sceso un grande capo dalla sede e che sarebbe stato determinante essere simpatica con lui. Non potevo mica tirarmi indietro a quel punto: avevo iniziato a ballare e dovevo continuare. Che giornata, a ripensarci!! Li avevo stupiti e, per la verità, ero rimasta io stessa stupita dalle mie capacità. Senza perdere mai la mia femminilità, la mia signorilità, me li ero spupazzati tutti e due. A quel punto, il posto era mio ed eccomi a Milano! L’incontro con i massimi dirigenti della mia azienda era andato benissimo. Varcata la soglia dell’ingresso principale mi ero ritrovata in un’immensa hall dove era ad attendermi il dott. Berlini (colui che aveva deciso di darmi la direzione dell’agenzia della mia città dopo avere conosciuto le mie disponibilità ad accettare i suoi modi di “punire” o “premiare” i suoi collaboratori). “Cara signora, che piacere vederla qui con noi. Venga, ci attendono in sala riunioni.” In quel momento avevo provato un tremito per l’emozione ma sentivo che da lì a poco tutti avrebbero apprezzato le mie capacità professionali. Ero fortemente decisa a imporre la mia personalità e, spinta da questa sensazione, avevo deciso di vestirmi adeguatamente indossando un tailleur grigio, composto da gonna corta e giacca rigorosamente aperta, più una camicia bianca, da uomo, sbottonata quel tanto che bastava per far intravedere l’incavo del mio seno e parte di un reggiseno di pizzo nero (completato da mutandine dello stesso genere. Un completino comprato per l’occasione che mi era costato un patrimonio). Le gambe erano velate da calze autoreggenti dello stesso colore. Una donna manager sì, ma con un pizzico di femminilità e malizia addosso! Nella sala erano già seduti intorno ad un tavolo ovale, sconfinato per le sue dimensioni, una trentina di persone. Al nostro ingresso si erano alzate, venendoci incontro in modo ordinato e Berlini me le aveva presentate una per una: donne e uomini che costituivano, insieme a lui, lo staff dirigenziale della Sede. Poco dopo, sedutici tutti, avevano iniziato a bombardarmi con domande tecniche riguardo lo stato di salute della mia agenzia e spiegandomi cosa si attendevano da me. Uno di loro mi aveva informato di essere latore del presidente della società, il quale si scusava per non potere partecipare all’incontro ma che, in ogni caso, avrebbe fatto di tutto per incontrarmi nel corso della giornata. “C’è qualcosa che la turba?” Berlini aveva colto il mio disappunto alla notizia. “Credevo di potere prendere il volo delle 16.oo., Dovrò telefonare a mio marito per informarlo del ritardo.” Mi aveva scioccato col suo tono perentorio, affatto gentile. “Dica a suo marito che tornerà in città domani.” Benché mi stesse sorridendo mentre parlava, lo avevo inteso quasi come un ordine, non un consiglio. Al termine della riunione, ero rimasta sola col Berlini, soddisfatta per come me l’ero cavata. Gli altri avevano abbandonato la sala dopo essersi complimentati per le mie spiegazioni dettagliate. “Immagino che vorrà rinfrescarsi prima di pranzare. Mi segua, l’accompagno in albergo”. Ancora presa dall’eccitazione dell’evento ero disposta a qualunque cosa in quel momento, ma l’idea non era per niente male: una doccia mi avrebbe fatto bene. Così, lo avevo seguito in ascensore, per i corridoi e, infine, fuori dal palazzo. Dinanzi l’ingresso era ad attenderci una macchina di rappresentanza, blu scura, con l’autista, rigorosamente in divisa, già pronto con lo sportello posteriore destro aperto. Ero salita, imbarazzata per tutta quella pomposità e la scena si era ripetuta dall’altro lato dell’auto, per fare salire il mio grande capo. Giusto il tempo di chiedermi se ero stanca che mi aveva stupito pigiando un bottone posto sul pannello interno dello sportello. Immediatamente, una tendina scura si era frapposta tra noi e i posti anteriori e la sua mano era andata a cercare la mia, poggiandosela in mezzo alle gambe. Lo avevo guardata sconcertata. “Ma, dottore??” “Signora Frantoni, non abbiamo molto tempo…. Non si preoccupi di lui..” con un dito mi aveva indicato in avanti, riferendosi chiaramente all’autista, “..è abituato.” Cosa?? Mi stava trattando come una squillo da quattro soldi, avrei voluto schiaffeggiarlo su due piedi ma mi ero trattenuta dal farlo. Invece, avevo cominciato lentamente a modellare e a toccare il pene attraverso i pantaloni, mentre portavo l’altra mano su tutta la lunghezza dell’asta. “Continui, la prego..” Ho cercato la zip della cerniera lampo, tirandola giù dolcemente, ho sfibbiato la cintura e il bottone del calzone, infilando subito ambedue le mani dentro. A quel punto lui mi aveva aiutato calandosi i pantaloni in basso, invitandomi con un gesto ad avvicinare il viso. Ero scesa in basso, rossa per la vergogna pensando all’uomo che in quel momento era lì a guidare l’auto. Avevo baciato le mutande in corrispondenza del cazzo, che incominciava ad indurirsi, portandolo subito fuori. In quel modo avevo iniziato a leccare lo scroto con cura amorevole e nel mentre tenevo con la mano la mazza per permettere alla lingua di roteare sulle palle. Leccavo su ed in giù per tutta la dimensione del pene con la lingua mentre lui si lasciava andare ad alcuni lamenti bassi e profondi che facevano aumentare la mia vergogna verso l’autista.. Sapevo oramai che sarebbe arrivato al punto di urlare al momento di godere, me lo stava facendo apposta!! Allora avevo deciso di farla finita in breve. Lavoravo con la lingua mentre spingevo la bocca su ed in giù attorno al bastone. Poi, con le mani avevo afferrato i glutei nudi, sodi e pelosi del Berlini, premendoli a fondo con rabbia. Avrei voluto graffiarlo, invece l’unica cosa che avevo ottenuto era stata quella di farmi spingere il cazzo ancora più in fondo nella gola. Ero arrabbiata con lui, offesa. Mi stava trattando come fossi un giocattolo. Sentivo dalle contrazioni che era vicino a spruzzare il suo carico di sperma e, sempre per rabbia, non volevo berne nemmeno un goccio. Che stronzo!! “No, no, lo tenga dentro!!” Quando stavo per allontanarmi, mi aveva poggiato una mano sulla nuca, spingendo verso il basso. Poco dopo lo sentivo esplodere dentro, facendo cadere tutto il nettare giù per la gola, mentre spingeva più in fondo ad ogni contrazione del suo pene. Finalmente si era spostato lasciandomi la possibilità di rialzarmi. Immediatamente la tendina era stata riavvolta e dallo specchietto retrovisore avevo potuto vedere gli occhi dell’autista scrutarmi senza ritegno. Il Bernini aveva ancora pantaloni e mutande calate ed io mi sentivo il volto arrossato per l’affaticamento del pompino e per la vergogna. A quel punto lui aveva poggiato la sua mano sul un lato della mia bocca pulendolo da una goccia di sperma che era fuori uscita. “Brava Signora! Sapere risolvere le questioni anche quando le circostanze sono sfavorevoli é importantissimo per fare strada nella nostra azienda. E lei ne farà tanta, ne sono sicuro.”
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