Rosetta, una bambola mora fatta col pennello, una botte un po’ piccola ma piena di buon vino vero, bella (ma non solo per me innamorato, per tutti!), colta, intelligente, gioviale, vivace, cresciuta nella morbidezza della bambagia come quasi tutti i figli unici di genitori della cosiddetta media borghesia.Prima di diventare la mia fidanzata – oltre ad aver avuto flirt e qualche “mezzo fidanzato” – lo era stata di un medico già affermato ed emigrato negli States, e poi di un “partito” di quelli più ambiti della città.Io bramavo da tempo e neanche nascostamente la bellezza e le grazie di Rosetta, (come tanti) ma per conquistarle, adesso che aveva scisso il fidanzamento c’era un modo solo: fidanzarsi ufficialmente con lei, sennò la mentalità bigotta e la pressione psico-fisica dei genitori, l’educazione acquisita ed un bel po’ di sua furbizia aggiunta non m’avrebbero permesso “certe cose”.Mi lasciai abbindolare dal profumo delle sue grazie dopodiché, lambiti i confini della felicità, non riuscii più a rinunciare alla voglia matta di averla.E “accettai” di fidanzarmi ufficialmente con la bellissima.I genitori tolsero l’assedio, lei smantellò le difese attorno alle sue veramente splendide tette, alla carnosa e saporita passerina, al sodo e burroso culetto, meravigliosi siti nei quali incominciai a placare la mia ingordigia di piacere.Inizialmente mi infastidì aver avuto predecessori che si erano abbeverati alle splendenti fonti di piacere della mia fidanzata nuova, poi mi ci abituai, infine non me ne importò più niente di niente.I piaceri sessuali che mi faceva godere la bellissima moretta – sempre più vari, intensi, completi – m’avevano proiettato su un pianeta del gusto nuovo, sublime, ormai irrinunciabile ed ero ogni ora più felice d’essermi fidanzato con lei.Il tempo scorreva veloce e piacevolissimo, la nuvola sentimentale e sessuale nella quale m’aveva imprigionato era il mio cielo infinito nel quale volavano beati il mio cuore e il mio uccello.Ma Rosetta denunciò ad un cero punto qualche problema di salute.Ci preoccupammo tutti, ma io ero certo (potere della cotta) che non era niente di serio mentre i genitori – preoccupatissimi – decisero di ricoverarla e di sottoporla ad analisi e ricerche approfondite per risolvere l’eventuale problema e ritrovare la tranquillità.La andavo a trovare in clinica tutte le sere verso le diciannove trascorrendo in sua compagnia un’ora o due.Man mano che le analisi davano i loro responsi le preoccupazioni maggiori si sgonfiavano, se Dio vuole, ma c’era ancora da attendere cinque giorni per avere tutti i risultati.La clinica ove era ricoverata era ben attrezzata e bella e la sua cameretta singola, accogliente e tranquilla, era situata nel breve corridoio dove c’erano solo una grande stanza adibita a deposito e la biblioteca sempre deserta.Tra il personale e la bella, simpatica mora si stabilì subito gran cordialità mentre la capo-sala Giovanna era addirittura nostra comune amica, tra l’altro e per inciso una stacca che non finiva mai ed una scopatrice divina ed accanita (dicevano di lei i suoi fortunati partner e la vox populi).Anche quella sera erano da poco passate le sette ed ero lì con lei che aveva appena finito di cenare, dato che nei luoghi di cura si pasteggia per tradizione molto presto.Mentre asciugava e sistemava le posate chiacchieravamo sereni, io stravaccato in poltrona, lei infilata in una lunga vestaglia a sacco di cotone leggero che poggiava lieve sui bruni capezzoli e sul grazioso culo evidenziando appena gli uni e l’altro (quanto era sensuale anche qui e così la mia bella fidanzata!) si sedette sul bordo del letto, aprì il cassettino del comodino dal quale estrasse “qualcosa” di bianco, ago e filo e si mise a lavorarci attorno attentamente.Rosetta era molto brava sia nel cucito che nel ricamo ed ero abituato a vederla occupata in tali attività, il nostro colloquiare fluiva piacevole e lei, finito il lavoro che stava eseguendo, alzò la cosa tenendola tesa tra gli indici delle mani ed in controluce per vedere se il rammendo era stato ben fatto, inquadrai allora meglio la strana “cosa” che non ero ancora riuscito a capire cos’era… mi parvero sue mutandine ma erano così “strane”, troppo grandi, alte e sfiancate sul davanti come se “avessero contenuto qualcosa”… accidenti, erano sì piccoli slip, sottili, quasi trasparenti, ma da uomo!, non certo di Rosetta!La mia fidanzata, guardandomi, indovinò il sorpreso lavorio del mio cervello, sorrise e spiegò: – Sono di Don Flavio, un gesuita anche lui ricoverato e che ho conosciuto nel solito giro che fà per le camere a far visita ai malati come è tipico dei preti… ha saputo del mio hobbj per cucito e ricamo e mi ha chiesto se potevo fargli il favore di rammendargli certi suoi slip, questi, tutto qui! -Sollevato e tranquillizzato dalla qualifica del proprietario mi restò tuttavia dentro l’incredulità per il tipo dell’oggetto in questione, non mi sembravano proprio mutandoni da prete, ecco!Ripresi il nostro conversare sforzandomi di farlo scorrere su temi e binari di normalità ma, almeno per un po’ ancora, fui preda di dubbi e perplessità fino a quando la mia ragazza, piacevolmente chiacchierina, mi sottrasse “la cosa” (che aveva intanto riposta nel cassetto del comodino) dal cervello.Un bussare lieve, mentre ci stavamo carezzando con mani e con parole, ricevette da Rosetta un ritardato “avanti” quando eravamo già ognuno “sulle sue”.- E’ permesso? – e vidi entrare il sorriso di un bel ragazzone bruno, piazzato su di un fusto di un buon metro e ottanta, infilato dentro un camicione marrone lungo fino ai piedi che scandì: – Ciao Rosetta… e buona sera a te — Ciao Don Flavio — Buona sera – estirpai dalla mia gola secca.- Caro, ti presento Don Flavio… questo è il mio fidanzato — Piacere! — Piacere mio – farfugliai colpito al cuore dal secondo schock della serata vedendo in Don Flavio più un atletico cestista che non un prete!, prete allegro, comunicativo, che mi rimise in breve a mio agio togliendomi da uno stato di vero allocchimento con poche battute intelligenti e ben piazzate, mi reinserii subito nella loro normalità ed anche nella mia, raggiunte le quali il prete si affrettò a dirci: – Beh, tornerò a salutarti più tardi, ora ti lascio al tuo fidanzato, in questi casi i preti è meglio che si tolgano di torno in fretta! — Ben detto! – gli ribattè ridendo Rosetta – a proposito don Flavio, i tuoi slip sono pronti, puoi riprenderteli se vuoi — Ma… ma me li hai già rammendati? — Sì, certo! – e così dicendo li tolse dal cassettino e glie li allungò.- Che brava che sei, se non avessi potuto approfittare della tua disponibilità avrei dovuto buttarli e sarebbe stato un vero peccato… hai fatto un rammendo così preciso che non si vede proprio – e intanto se li rigirava tra le mani.Li mise nella posizione “giusta”, si chinò in avanti, infilò nella sgambatura di destra il piede omologo, calzò di nuovo il relativo sandalo, ripeté la manovra col sinistro…Non volava una mosca.Alzò il camicione fin sopra all’ombelico dove lo fissò pressando gli avambracci sui fianchi e a braccia e mani tese cominciò a far risalire lentamente, lungo le gambe prima e le cosce poi, i rammendati minislip… una fava incredibile valicava una gran borsa tesa su due coglioni in proporzione che pendeva, sbucando da un folto bosco di peli neri e ricci, verso il basso fin quasi a metà coscia: una “bestia” colossale!… istintivamente mi girai verso Rosetta come per chiederle aiuto di fronte ad una situazione tanto al di sopra e al di fuori di qualsiasi pur fertile fantasia!Rossa come un peperone fino alla radice dei capelli la mia bella fidanzata stava ansimando affannosamente, con la bocca semiaperta, gli occhioni neri e lucidi sbarrati e fissi sulla spranga, i capezzoli ora turgidi e ben evidenti ritmavano un breve saliscendi sulla sua vestaglietta, capii che niente l’avrebbe distolta dalla “apocalittica” visione e che forse stava godendo, “orgasmando”!Gli slip intanto avevano fasciata ed inghiottita faticosamente la borsa ma lasciato pendere da sopra l’elastico d’essi, come un manico d’ombrello, la mazza grandiosa.Imperturbabile ed imperterrito il cestista-prete agguantò il mostro a due mani, lo guardò sovra pensiero e: – Questo mio pippo è un maleducato, non sempre si toglie il cappello in presenza di altri – e occhi bassi e fissi sull’uccellone per seguire bene la manovra, si scappellò lentamente l’arnese folle.Il carneo prepuzio non finiva mai di arrotolarsi su se stesso e di arretrare per scoprire tutta quanta la “testona”, dopodiché infilò, pezzo per volta, il cosone negli slip fino ad imprigionarvelo del tutto, gonfiandoli enormemente.Finalmente aveva finito, gli avambracci del prete si allargarono ed il camicione gli ricadde ai piedi: il sipario era calato su uno spettacolo… spettacolare!- Ciaooo – ci fece Don Flavio con tranquilla naturalezza andandosene sereno come se avesse appena finito di recitare un’Ave.Tra me e me scommisi che Rosetta era venuta davvero, mentre io non ero impazzito per miracolo.Due martelli mi stavano spaccando il cuore e il cervello.Con tutti i sensi nel pallone, completamente rimbecillito, mi ritrovai nell’aria fresca della sera, in strada, senza sapere come, quando e perché, mi portò a casa l’istinto, trangugiai qualcosa di malavoglia e subito mi rituffai nella notte a cercare… a cercare cosa?Vagai a lungo senza meta e senza saper connettere.Erano passate le ventitre quando decisi di ritornare in clinica.Era a pochi isolati da dove mi trovavo e ci arrivai in pochi minuti.Lanciai il solito pacchetto di “nazionali-super” al portiere che mi ricambiò con uno squillante “grazie dottò” che invase e rimbombò nell’entrata deserta.L’ascensore mi spalancò le sue porte al piano voluto e mi ritrovai incamminato verso la stanza di Rosetta… ma cosa ci stavo andando a fare?All’improvviso mi fu tra i piedi Giovanna, sbucata dalla medicheria che mi sbarrò contro bocca ed occhi stravolti in una faccia da “e adesso che cazzo succede?”, quasi terrorizzata, come se avesse visto belzebù.Le passai avanti con un saluto appena accennato.Mi sentii rincorrere, prendere per un braccio, frenare: – Aspetta… dove vai a quest’ora? — A fare quattro chiacchiere con Rosetta! — No-no! adesso è tardi e starà riposando… e questa non è di certo l’ora delle visite e poi l’hai vista poche ore fa! — Tardi?, visite?, ma che c’entra?… e poi io ci vado lo stesso e di sicuro dove intendo andare! -Continuavo a fare passi ma con sempre maggior fatica, Giovanna mi tirava e frenava con una forza… e con una faccia!- Tanto non mi fermi!, ne tu, ne niente, ne nessuno!, perché io in camera di Rosetta ci voglio arrivare!, e se insisti faccio un casino della madonna!, mi metto a urlare come un pazzo! — E va bene! – sibilò arresa ma dandomi uno strattone che quasi mi strappò la manica della giacca, mi fermò e guardandomi dritto negli occhi furibonda sibilò – però comportati da uomo quale sei o almeno dovresti essere, sii intelligente, comprensivo, e non fare lo stronzo! -Ora era lei a trascinarmi.Svoltammo nel corridoio, passammo davanti alla biblioteca, ci fermammo davanti alla porta, appeso al pomo della stessa lessi un cartello : “non disturbare”… percepii suoni… o rumori?… o gemiti?… che superavano ovattati, appena udibili la porta-ostacolo tra noi e… e chi?, e cosa?I miei occhi smarriti incontrarono quelli di Giovanna che vi lesse esterrefatta angoscia e mi apostrofò dura, realistica, senza alcun giro di parole: – Senti un po’ tu!, io di cazzi – per mestiere – ne vedo dieci al giorno, e sono anni che faccio questo lavoro, perciò fa’ un po’ tu i conti!, ma un “coso” così io non lo avevo mai visto o immaginato!… ho fatto carte false per cercare di prenderlo in mano, di mettermelo in bocca o nella figa che gli ho offerta chiaramente!, ma “da prete” ha fatto finta di niente mentre solo un’ora dopo che loro due si erano conosciuti stavano già lì dove e come sono ora… qualsiasi donna, sappilo bene e ficcatelo nella zucca!, farebbe qualsiasi pazzia per un “motivo” così!, le fidanzate, o le mogli, o le sorelle, o le madri di tutti direbbero sì a lui dopo aver detto di no a tutti gli altri!… perciò regolati! e sii un uomo! -Ero diventato una cosa, inebetito ed inerte “sognai” che Giovanna apriva la porta e mi trascinava nella cameretta di Rosetta.In primo piano due culatte-motori imprimevano potenza e ritmo a due atletiche cosce, due autentiche bielle che piantavano e cavavano dalla figa di Rosetta – colpo dopo colpo – il pistolone del prete.Don Flavio ritmava la monta, ad ogni colpo-penetrazione, con gutturali “oooh… oooh… oooh” come quelli del boscaiolo che affonda la mannaia nella ferita del tronco.Sotto ed aggrappata a lui la mia fidanzata sembrava una scimmietta che si stava facendo “squartare” brucando e mordicchiando qua e là il villoso petto emettendo un continuo lamento di piacere.Sconvolto, forse già pazzo, rinculai per uscirmene ma Giovanna mi inchiodò lì:- Dove vai?, hai voluto venirci?, allora approfittane e resta qui che è un vero spettacolo guardarli e ammirarli, tanto loro sono “in coma da gusto” e la nostra presenza non li sfiora nemmeno -Giovanna era colma di voglia come Rosetta qualche ora prima, e come lei era tutta rossa ed ansante e stava certo godendo e sognando che la “mannaia” del prete stesse squartando la sua di figa!Il toro si bloccò immobilizzando “cavalletto, bielle e stantuffo”.Rosetta – a cosce spalancate e con le gambe richiuse attorno alla larga, maschia schiena – iniziò a fare “la boscaiola” infilzandosi e sfilzandosi dal pistolone con colpi di reni da follia e godeva strillando ad ugola dispiegata un piacere certamente sfrenato.L’orgasmo la placò, si sfilò dal grande palo slacciando le gambe dalla madida schiena, si rigirò su se stessa e sul letto mettendosi “culo per aria”, il prete cestista fece subito “canestro” centrando d’acchito il bel culo della mia Rosy, spinse con forza, con dolcezza, Giovanna si mordeva le labbra a sangue, soffriva e godeva anche lei, ne ero certo e quando “la bestia” scomparve tutta quanta le sfuggì un soffocato “ooohmamma” di meraviglia, di invidia e di liberazione.Il prete-stallone ricominciò a far funzionare bielle e pistolone, un autentico martello pneumatico che affondava “nel lì” di lei fino alla borsa per subito fuggirne fino alla cappella… un percorso di circonferenza e di profondità che non poteva certo appartenere al dolce culetto della mia amata, tutto ciò non poteva certo essere reale e quindi credibile… ero fisicamente e psicologicamente paralizzato, Giovanna, bianca, tremante, sospirosa s’era appoggiata al muro per non stramazzare.Stavamo assistendo “al trionfo dell’impossibile”, ne Giovanna, ne io credevamo ai nostri occhi, a tale e tanta realtà, ma così era!Godettero, crollarono sul trasandato lettino restando “uniti”.Per quanto tempo eravamo stati lì a guardarli?, per tutto il tempo che l’aveva prima scopata poi inculata!, sì, ma per quanto?, troppo o poco?, ma era poi vero quello che avevamo visto?, cosa avrei rinfacciato alla mia fidanzata?, avevo “visto” o “sognato”?Gli occhi velati dal gusto della mia ragazza e del prete erano immersi nella nebbia più fitta, quella del piacere sconfinato, movendosi al rallentatore come se fossero stati “centrifugati”, non si accorsero nemmeno della nostra presenza pur essendosi protratta ben oltre i loro orgasmi… erano “in coma da gusto” come lo aveva ben definito Giovanna.Uscii dall’inferno trascinandomi letteralmente dietro una caposala tramortita, “malata” dal gusto provato solo a guardare e a sognare di essere la protagonista caposala che dovetti sostenere fino alla guardiola, far stendere sul lettino, “svegliarla” e farla rinvenire a scossoni e ceffoni.- Questa è realtà romanzesca, impossibile da far passare come vera e se tenti di raccontarla anche solo a te stesso rischi di doverti dare del visionario, del pazzo!… Don Flavio tornerà in Africa tra un mese e tra due ce lo saremo scordato tutti, tu, Rosetta, io – cantilena cercando d’essere convincente – mi raccomando sai, non prendertela con Rosetta perché, ripeto, qualsiasi altra donna avrebbe fatto altrettanto, lei è solo la fortunata che ha potuto farlo realmente! – mi implorò mentre me ne andavo – non fare il grave ed in definitiva stupido errore di fare l’offeso, il duro, il vendicativo, mettici una pietra sopra e ricordati che il tuo amore deve essere ben più “lungo e duro” del cazzo di don Flavio! -E rieccomi immerso nel frescolino della notte, per me freddo, che mi congela pur essendo tiepida primavera.Nei giorni che la mia morettina trascorse ancora in clinica la andai a trovare tutte le sere verso le sette, come al solito.Tacitamente d’accordo fingemmo che non fosse successo niente, di non esserci neanche visti in tale e tanto “frangente”, parlavamo del più e del meno e ci si comportava normalmente, io intanto dovetti rendermi conto, pagando salatissimo, che ero troppo innamorato, e che anche se lo avessi fortemente voluto non sarei riuscito a far diversamente.Giovanna “notò”, ne fu sollevata e mi fece i suoi complimenti.Nella riacquistata normalità del “dopo”, quando il mio pisello si “incontrava e scontrava” con la bella figa di Rosetta, leggevo nel suo volto un paragone.“Per non dover leggere” la scopavo ormai quasi solo da dietro, alla pecorina, ma quando “cambiavo canale” che da strada per “traffico normale” come era “prima” di don Flavio era diventata una autostrada per “grande traffico”, per “tir” come quello del prete-cestista, il confronto lo facevo io!E un bel giorno, nel letto della nostra stanza d’albergo, nuda e stesa accanto a me dopo una bella scopata, immerse la mano nella borsa posata sul comodino lì accanto per prendere le sigarette.Le estrasse tirandosi dietro – senza avvedersene – anche i famosi e famigerati minislip.L’imbarazzo d’entrambi fu talmente evidente de essere palpabile, e “si sentì” un grande silenzio.- Te li porti dietro come souvenir? — Non ce la facciamo nessuno dei due a dimenticare, ad accettare… vero? — No cara, non rivoltare la frittata, sei tu che non puoi dimenticare e forse, “data la mole”, è giusto così!… per un… “normale” come me e tanti altri sarebbe meglio non sapere di dover subire o fare certi paragoni… opportuno non sapere “cosa e quanto” contenevano quegli slip lì! -Due anni dopo la bellissima Rosetta sposò un ignaro capostazione.
Aggiungi ai Preferiti