Le nubi cariche di pioggia si rincorrevano veloci nel cielo tetro e spinte dal vento impetuoso si agitavano e si mescolavano in abbracci titanici che lasciavano presagire una tempesta imminente. Le acque del lago sottostante riflettevano il nero del cielo ed erano rotte soltanto dal biancore spumeggiante delle onde che si andavano ingrossando sotto l’azione violenta degli elementi atmosferici. Sulla sommità del promontorio roccioso di un isolotto si ergevano cupi, ben stagliati contro i riflessi del cielo, i bastioni e le torri in pietra granitica di un piccolo castello adibito a convento. Nonostante fosse un luogo destinato alla preghiera e alla meditazione, l’eremo non ispirava fiducia nei pellegrini, anzi era temuto a tal punto, che neppure nei casi di necessità osavano avvicinarsi per chiedere il sacro viatico. La gente del posto, intimorita dalle voci di strani accadimenti che sarebbero avvenuti tra le sue mura, ogni volta che vi posava lo sguardo, anche da lontano, si limitava a segnarsi il petto con la Croce e cercare altrove la carità per le loro bisogna. In questo eremo dettava legge suor Angela, una badessa dal cuore duro e senza scrupoli. Sulla cima di un torrione una figura di donna si stringe in un nero mantello e fissa dagli spalti, con ansiosa intensità, la superficie agitata delle acque del lago. Avvolta nel nero manto monacale la badessa è in attesa di veder apparire la barca del traghettatore, ma è nervosa ed inquieta. Mantiene lo sguardo fisso all’orizzonte dove già da tempo i lampi, accompagnati dal rotolare roboante del tuono, illuminano e squarciano il cupo muro di nuvole. Col viso sferzato dal vento che diventa sempre più gelido e forte, sembra sfidare, incurante del proprio disagio, gli elementi della natura che pare vogliano scatenarsi su quel paesaggio che ha assunto tetre tinte selvagge, quasi infernali. Le prime gocce di pioggia cominciano ad arrivare dalla parte del lago e sono foriere della tempesta che deve essersi già scatenata al largo sulle sue acque. Con un sospiro di sollievo finalmente avvista l’imbarcazione, ma è ancora lontana e arranca a fatica. A tratti, quando le folate di vento spirano a favore, le giunge, anche se debole per la lontananza, la voce cadenzata del barcaiolo che dà il tempo di voga ai rematori. L’attesa è trepidante, perchè sulla barca stanno viaggiando due novizie che devono raggiungere il convento per prendere i voti ed è anche penosa, perchè la pioggia si è infittita e ripetuti, gelidi scrosci d’acqua le sferzano violentemente il viso. Ferrigna come la roccia che la circonda, lo sguardo di ghiaccio, non sembra prendersene particolarmente cura e solo quando l’imbarcazione è prossima al picolo molo, si decide a rientrare al coperto ed a scendere velocemente le scale di pietra per raggiungere l’androne d’ingresso dell’eremo. Suor Angela apre con forza il portone ferrato che di affaccia sul cortile esterno; fissa lo sguardo alla fine del sentiero che porta alla riva del lago e che s’intravede, molto più in basso, tra i rami della boscaglia. A tratti le pervengono ancora le grida del capovoga, portate dal vento che ora infuria ululando con maggiore violenza. Quando capisce che la barca sta per attraccare all’imbarcadero, si rivolge ad una consorella che le sta al fianco e le ordina di preparare le tinozze per un bagno caldo da offrire alle due converse che stanno per arrivare. Di lì a poco, proprio mentre la grandine comincia a cadere con gran fragore di foglie e rami spezzati, ecco apparire in fondo al sentiero le sagome di tre uomini e due donne che affannosamente s’inerpicano fra gli arbusti, le vesti completamente zuppe d’acqua. “Riverisco Madre!” Sbotta l’uomo massiccio appena si trova al cospetto della Superiora e che sembra comandare ed essere il capo del gruppetto. Depositano a terra le sacche con gli effetti personali delle due novizie che intanto cercano di ripararsi come meglio possono sotto lo stretto androne che dà accesso al convento. La badessa si rivolge altezzosa agli uomini affranti dalla fatica. “Lasciate qui i bagagli e andate pure a ripararvi nel capanno che troverete in fondo a questo viottolo, vi farò portare qualche cosa da mangiare ed una brocca di vino che vi aiuterà a scaldarvi nell’attesa che il tempo migliori per il vostro rientro! Voi due seguite suor Maria che si prenderà cura della vostra salute e quando vi sarete rifocillate vi attendo nel mio studio per un primo colloquio.” Suor Angela, nonostante sia ancora giovanissima, è già la Superiora del convento e ciò in conseguenza del fatto di appartenere ad una famiglia potente, nobile e ricca che amministra un feudo papalino nella provincia di Urbino. Il Conte feudatario per permettere al figlio Veniero, fratello minore di Angela, di ereditare casato e feudo secondo l’usanza del tempo, costringe la figlia a prendere i voti e a ritirarsi in convento. Dopo breve tempo suor Angela assume l’autorità ed il comando che la sua nobiltà esige e da sette anni guida e amministra questo piccolo eremo che si erge sulla collina di un isolotto sperduto nel mezzo di un lago, non meno isolato, della Serenissima Repubblica di Venezia. Qui ha creato il suo piccolo regno dove neppure il Vescovo della diocesi ha l’ardire d’intromettersi. Tale è il potere che la sua famiglia ha in Vaticano che la giovane badessa gode di grandi privilegi e di quasi assoluta immunità. Seduta dietro un grande tavolo di quercia del suo studio, è in attesa della venuta delle due giovinette e mentre attende, ripercorre coi ricordi i primi tempi trascorsi al convento. Rivive il suo arrivo come educanda, il primo impatto con la badessa che allora guidava il piccolo gruppo di monache, le prime punizioni corporali e… i primi piaceri della carne ai quali fu iniziata dalla Madre Superiora stessa. Era giorno di festa al convento, ricorreva infatti la festa del Santo Patrono. Per la circostanza era stato organizzato un sontuoso banchetto al quale partecipava, ospite eccezionale, anche il confessore spirituale della confraternita. L’allegria ed il vino profuso avevano eccitato il piccolo gruppo di suore ed in maniera particolare lei ed altre due giovani novizie. Appena sedicenne era la più giovane di tutte e non usa ad ubbidire ma piuttosto ad impartire ordini, era anche la più indisciplinata. Quando durante il banchetto le toccò il turno di leggere un brano delle sacre scritture, prese al volo una pallina di mollica di pane che le era stata lanciata per gioco, ma fu sorpresa dalla superiora mentre la rilanciava ad una consorella. Con un ordine secco fu ripresa immediatamente. “Ritirati a meditare nella tua cella su ciò che hai fatto. Terminato il convivio subirai la punizione che ti meriti!” La sentenza della superiora non lasciava nessuno scampo e fremendo di sdegno per la vergogna e soprattutto per l’oltraggio che riteneva di aver subito, lei che non si era mai inchinata di fronte ad alcuno, si ritirò meditando le più incredibili vendette. Rimase in attesa della sua sorte per diverse ore ed era quasi il vespro quando vennero a prenderla per condurla nella sala delle punizioni al cospetto della Madre Superiora. “Non temere, se ti dimostrerai sottomessa non soffrirai molto!” Cercò di consolarla la suorina che aveva ricevuto l’incarico di accompagnarla. Le fu grata per le parole di sostegno, perchè fu il primo conforto che riceveva dopo la pena dell’isolamento sopportato per tutto il pomeriggio. Il suo orgoglio ferito le impedì invece di trovare la sottomissione consigliata e continuò a tenerle vivi nella mente i propositi per le più atroci vendette nei confronti della Madre Superiora. Fu introdotta nella stanza dove la badessa ed il confessore la stavano attendendo. “Vieni. – Le disse la suorina – Inginocchiati su questo scranno.” Era un inginocchiatoio rivestito in velluto rosso con una spalliera bassa che le giungeva poco al di sotto della vita, fu piegata in due e le furono legate le mani in basso al di là della spalliera stessa. Con una correggia di cuoio le furono assicurate anche le ginocchia ai due anelli fissati lateralmente sul pavimento di pietra. Era una posizione alquanto scomoda che oltre a mantenerla con le gambe allargate la costringeva a respirare con difficoltà per la pressione della spalliera sulla bocca dello stomaco. “La tua mancanza è stata grave! Ti sei permessa d’interrompere la preghiera per giocare con le tue compagne e subirai quindi una punizione corporale con lo scudiscio. Preparatela!” Le sollevarono le vesti al di sopra della schiena ed il suo orgoglio fu di nuovo ferito ancor più mortalmente. Fu consapevole che in quel momento venivano mostrate le sue nudità, le sue parti più intime, ma ciò che le procurò la pena maggiore non fu il sapersi esposta agli sguardi delle consorelle, quanto il sentirsi esibita agli occhi del confessore… in fin dei conti un uomo! Nella posizione in cui si trovava non lo poteva vedere, ma sapeva e ne era praticamente certa, che il prete le stava frugando le carni con attenzioni concupiscenti. Avvertiva il suo respiro che si andava via, via facendo sempre più affannoso e capiva che si stava eccitando alla vista delle sue intimità violate. A quel punto l’ira prese il sopravvento sulla vergogna. Venne fustigata sulle natiche con una cinghia di cuoio, fu la suorina che si incaricò di eseguire la punizione materialmente ed il primo colpo la colse di sorpresa strappandole un grido di dolore. Ad ogni sferzata il male diventò sempre più forte e non riuscendo più a resistere, lasciò che le lacrime ed i singhiozzi le sfuggissero senza alcun ritegno. Stava piangendo a dirotto quando le venne assestato l’ultimo colpo. “Povera piccola, come è diventato tutto rosso il tuo culetto! Sembra una ciliegia matura!” La badessa le parlava con voce gentile, quasi scherzosa e intanto le accarezzava i capelli ancora intonsi che le sfuggivano da sotto la cuffietta. “Ora ti medico così potrai trovare un poco di sollievo.” Ancora dopo tanti anni le pareva di sentire le sue dita delicate applicarle l’olio balsamico sui glutei feriti, ricordava il sollievo quasi immediato e la carezza che ad un tratto diventava lasciva. Era ancora ben vivo il ricordo di quella mano che le sfiorava sempre più da vicino l’intimità della sua natura arrivando ad ungere anche la parte più sensibile della fessura. Ricorda anche le sensazioni che cominciò a provare, i primi effetti voluttuosi che l’assalivano a ondate man mano che le carezze si facevano sempre più audaci, la voce della suora che invitò il prete. “Venga Padre Alberto, mi aiuti a medicare la poverina!” Divennero due le mani che le accarezzarono le natiche, che frugarono le sue intimità. A volte le dita scivolarono sulla fessura e le provocarono conseguenti brividi violenti e incipienti sensazioni di piacere. Di chi erano quelle dita? Della suora… del prete…? Che importanza aveva, ciò che contava fu che il dolore aveva lasciato il posto al piacere! Cominciò a partecipare all’azione muovendo le anche per rincorrere le dita, sperava e desiderava che si soffermassero più a lungo sulla vulva e come se i suoi pensieri fossero stati percepiti, venne accontentata. La carezza divenne decisamente più intima e con non più celato desiderio, accolse la mano che le percorreva il solco delle natiche dallo sfintere anale alla vulva. Due dita vibrarono sul clitoride e le strapparono gemiti di piacere, ricorda che non fu più una semplice carezza, ma una vera e propria masturbazione. Una sedia venne posata davanti al suo viso e subito dopo la badessa vi si sedette sollevandosi le vesti, i talloni appoggiati alla spalliera dell’inginocchiatoio e le cosce ben divaricate. Davanti agli occhi le apparve la fica della superiora contornata dal ricco e vellutato vello nero che le ricopriva completamente la fessura. Ha ancora nelle orecchie il suono vibrante della sua voce che l’invitò a baciargliela per ottenere il perdono. “Avanti piccola, se vuoi essere perdonata baciami con la lingua, lì… sulla fica! Non fare la ritrosa o sarà peggio per te!” Per farsi meglio leccare, con le dita liberò dal pelo ricciuto la vulva che si aprì come un frutto maturo davanti agli occhi della giovinetta. L’odore del sesso le penetrò le narici e le arrivò al cervello. Quasi senza rendersene conto, vi immerse la lingua cominciò a percorrere meccanicamente la fessura e l’interno delle cosce della badessa. Piacevoli nuove sensazioni, mai provate prima, cominciarono ad imbrigliarle la mente e mentre suggeva, assaporando per la prima volta le stille del piacere di un’altra donna, si accorse all’improvviso che la suorina che l’aveva precedentemente fustigata si era seduta su uno scranno e si stava masturbando freneticamente; a quel punto le cadde ogni dubbio. La mano che sentiva frugarla fra le cosce e che le stava provocando così tanto gusto non poteva essere che quella del confessore! L’idea che fosse la mano di un uomo quella che la titillava accrebbe ancor più la sua libidine e gli si abbandonò aprendosi ancora di più per favorire la piacevole intrusione. Ascoltò la badessa bisbigliare delle parole che subito non capì, ma che non erano rivolte a lei, era al prete che stava parlando. Un frusciare di vesti e poco dopo il nero abito talare le apparve davanti al viso, la tonaca sbottonata si aprì ed il pene del prete le appare davanti agli occhi nella sua stupenda erezione. Fu la prima volta che ebbe l’occasione di vedere il sesso nudo di un uomo e ne fu subito affascinata. Le venne esibito vicino alle labbra. “Su avanti, apri la bocca e lascia che vi entri, ti piacerà vedrai…!” Troppe sorprese in un solo giorno, era titubante se raccogliere l’invito della superiora oppure no, ma il glande premette sulle labbra, era morbido ed insistette per trovare spazio nella sua bocca. L’assaggiò con la punta della lingua, il sapore le piacque e decise di lasciarlo entrare accogliedolo per quasi tutta la sua lunghezza. Sempre costretta con lo stomaco premuto sulla spalliera dell’inginocchiatoio e col sesso del prete tra le labbra, boccheggiò per la mancanza d’aria, ma d’improvviso il confessore le si sfilò dalla bocca consentendole di respirare meglio e si portò alle sue spalle. “Ora forse ti farò un po’ di male, ma vedrai che in seguito ti piacerà, rilassati più che puoi, sto per aprire la porta dei tuoi futuri piaceri!” Ah come ho ancora vivo in me il ricordo della mia deflorazione! Quali stupende, magnifiche, irripetibili sensazioni! Col pensiero rivisse quegli attimi indimenticabili. L’avvertimento del prete mi mise in apprensione, non sapevo esattamente quello che voleva farmi, speravo solo che mi facesse provare ancora piacere, ma mi aveva anche detto che mi avrebbe fatto male. Che intenzioni avevano veramente lui e la badessa? Mi volevano fustigare ancora? Le dita del prete avevano intanto ripreso ad accarezzarmi il sesso e lo stavano irrorando con l’olio balsamico. Poi non furono più le dita ad accarezzarmi, non riuscivo a vedere bene, ma ero certa che quello che sentivo scivolare in mezzo alle gambe era il suo sesso, il suo bastone di carne… il suo cazzo! Ero tutta un fuoco per l’oscenità della presenza, lo sentivo scorrere lungo il taglio della fica procurandomi ondate di piacere intenso, soprattutto quando mi sfiorava il clitoride. La badessa, intanto, si sgrillettava freneticamente davanti alla mia bocca. Ripresi a baciarle la vulva e mentre mi sbrodolava sulla lingua si rivolse al prete incitandolo con voce stridula e acuta. “Avanti deciditi a prenderla, sverginala con un colpo solo…! E’ tutta tua, come ti avevo promesso… aprile la sua giovane fica… non aver paura di farle male! Guardala! Guarda la troietta come sta già smaniando, come ti desidera, come vuole il tuo bastone… mi piace guardarti mentre la violenti, vederti profanare la sua carne e sentirla gridare per come gode… Ahhh anch’io sto godendo! Mi sta facendo godere con la sua bocca, con la sua lingua…!” Con le mani mi afferrò la testa e agitò come un’ossessa il ventre tenendo pigiata la fica contro le mie labbra, proprio in quel momento il prete mi premette con decisione il pene all’imbocco della vagina e lo sentii penetrare come un ariete nel ventre. Non provai un gran dolore, solo un leggero bruciore e una sensazione di ingombro che anzichè darmi disturbo si fece via, via piacevole. Era fermo nel mio ventre e mi sentivo completamente, piacevolmente riempita. Il prete spiò le mie reazioni poi, rassicurato, cominciò a muoversi piano nel profondo della mia intimità. Ad ogni spinta che ricevevo il piacere aumentava. Continue ondate voluttuose mi salivano dal ventre per prendere possesso di tutto il mio corpo, avevo la lingua, la bocca ed il naso completamente immersi nella vagina della badessa che si agitava e gridava sempre più avvinta dall’orgasmo. Succhiavo golosamente l’umore che le colava dalla fica e poi improvvisamente mi sentii girare la testa come se stessi per svenire… una vertigine improvvisa mi squassò il corpo. Con gli occhi chiusi mi abbandonai alle sensazioni che non avevo mai provate prima… cosa mi stava succedendo? Non potevo far altro che abbandonarmi… non riuscivo più a reagire e mi sembrava di morire… morire di piacere… era stupendo! Mentre gridavo la mia voluttà mi sentii inondare la vagina da un liquido bollente che fece aumentare ancora di più gli spasimi del mio godimento. Fu stupendo, indimenticabile, fu il mio primo orgasmo! Il prete si sfilò dal ventre e si portò di nuovo davanti al mio viso. “Apri la bocca piccola e succhialo ancora, assaggia il sapore dello sperma, oggi ho voluto godere nella tua fica, ma le prossime volte godrò anche nella tua bocca e t’insegnerò a bere il nettare divino che sprizza dal cazzo di un uomo quando gode.” Mentre eseguivo l’ordine la badessa e la suorina mi sciolsero dai legacci e con un sospiro di sollievo mi lasciai cadere esausta a fianco dell’inginocchiatoio mentre lo sperma colava tiepido dalle mie cosce. Padre Alberto si accostò allora alla badessa che senza alcun indugio si buttò con foga sul pene semieretto dell’uomo, lo manipolò e lo succhiò accarezzandolo con le labbra semiaperte, poi lo ingoiò per quanto era lungo, lo estrasse e tornò ad ingoiarlo con forza strappando gemiti e grida lussuriose al prete. La guardai stupita, ero attratta dalla sua abilità nel manipolare il cazzo… il cazzo si! Ora mi piace persino ricordare quanto piacere provavo nel ripetere nella mia mente quella parola oscena: cazzo! Anche oggi mi piace essere volgare ed usare il turpiloquio quando mi sollazzo con le mie suorine, ma in quelle mie prime esperienze la volgarità aveva per me un gusto particolare e mi compiacevo nel sentirmi così depravata. Osservavo dunque con bramosia la badessa mentre dedicava, con maestria, le sue attenzioni al cazzo che mi aveva da poco sverginata. Affascinata mi ripromettevo di imparare presto anch’io l’arte che donava così tanto piacere agli uomini, ma per ora mi limitavo ad osservare e fare miei i movimenti e le azioni labiali della madre superiora. Quando il cazzo riprese una splendida erezione il prete la fece inginocchiare e da dietro la penetrò fino ai testicoli, passò del tempo prima che mi rendessi conto che la stava penetrando nell’ano e non nella vulva. Colma di stupore guardai allibita la scena lubrica che si stava svolgendo sotto i miei occhi e quando Padre Alberto mi fece cenno di avvicinarmi, mi accostai alle natiche della suora giusto in tempo per accogliere nella bocca il mazzuolo del prete che sussultando eiaculò zampilli di sperma caldo. Mi sono eccitata, i ricordi delle prime esperienze sono troppo forti ed ancora vivi in me, ma purtroppo questa sera non potrò sfogarmi con le due giovinette, non ancora. Mi accontenterò di sfogare le mie voglie fra le cosce di suor Amalia, la mia preferita. Riprendo il flusso dei ricordi… dopo quella favolosa serata la badessa ed il prete portarono a termine la mia educazione sessuale sottoponendomi ad ogni più bieca esperienza, sono stata posseduta in ogni buco e ho dato e ricevuto piacere nelle maniere più lubriche che la fantasia umana potesse raggiungere. Nel breve volgere di due anni, approfittanto del potere di cui godevo grazie al mio casato, mi sono liberata della badessa col veleno e ne ereditai l’incarico con tanto di nomina papale. Per liberarmi del prete, invece, ho fatto in modo di provvedere alla sua dipartita terrena con l’ausilio di due sicari prezzolati. Ovviamente, non volendo rinunciare ai piaceri del sesso, ho allacciato nuove amicizie fidate con altri sacerdoti e frati che, con la scusa di svolgere i loro incarichi religiosi, periodicamente venivano a farmi visita al convento. Se il Santo Offizio fosse venuto a conoscenza delle mie nefandezze neppure lo strapotere della mia famiglia avrebbe potuto salvarmi dal rogo. Questo pensiero però non mi ha mai dato inquietudine, quello che contava per me era dare sfogo a tutta la mia libidinosa lascivia correndo anche grandi rischi e arrivando a volte anche alla più bieca violenza. Nel mio piccolo regno ho la possibilità di soddisfare ogni mio capriccio e nessuno mi può contraddire o contestare. Le poche monache che vivono nell’eremo sono tutte mie complici, corrotte e dedite ai vizi della carne come me. Per soddisfare i nostri capricci abbiamo più volte fatto entrare di soppiatto nel convento uomini di ogni risma, più sovvente soldati di ventura che passavano nella zona, tutta gente rozza e brutale che non bramava altro che dare sfogo ai propri istinti animaleschi e sollazzarsi con delle povere monachelle indifese. Se avessero solo immaginato di essere unicamente strumenti per il nostro piacere e che dopo qualche giorno di sesso sfrenato sarebbero stati tutti eliminati con un buon buon bicchiere di vino drogato, senza dubbio alcuno, anzichè fermarsi, avrebbero spronato i loro cavalli al galoppo per raggiungere luoghi più sicuri della nostra casa. La cripta che sta sotto la pavimentazione della piccola chiesa, invece, contiene ancora ciò che resta di tutti loro. Al convento c’è solo una monaca avanti con gli anni e che ormai non ha più interesse per i nostri festini, è suor Crispina. Considerata la sua età, le permettiamo ancora una vita agiata e viziata in cambio dei servizi che, secondo necessità, è in grado di offrirci. Ci aiuta, infatti, a liberarci con la sua esperienza di gravidanze indesiderate e prepara i micidiali beveroni destinati agli uomini ormai inutili… Bussano alla porta, ricevuto il permesso entrano le ragazze accompagnate da suor Amalia, sono entrambe sui diciotto anni circa ed hanno già fatto il noviziato in un convento di Padova. Su consiglio di Padre Egidio, un gesuita lussurioso che sovente mi reca visita per potersi sollazzare con me e le mie suorine, hanno deciso di prendere i voti presso il mio convento. Ha buon gusto il prete e appena può, fa in modo di procacciarmi delle giovanette piacenti e dal fisico generoso, per spingerle al piacere della carne e nel baratro della perversione. Quando sarà il momento vorrà senza dubbio partecipare anche lui ai festini con le due novizie, ma per il momento ho in mente altri piani su di loro. Mi è giunta infatti notizia che mio fratello gode fama di essere un gran libertino e che, anche lui come me, dedica buona parte del suo tempo ai piaceri dell’alcova. Dovendo sdebitarmi per alcuni importanti favori ricevuti, l’ho invitato a venire a trovarmi con la promessa di riservargli una gradita sorpresa; mi sono infatti ripromessa di fargli dono della verginità delle due giovinette. Sono molto belle ed ho avuto modo di constatare quanto siano sode e prosperose con piccole carezze fatte apparentemente in modo innocente. Spero che nel loro animo alberghi la lascivia e che siano quindi consenzienti ai rapporti amorosi e ad esaudire i miei turpi desideri, ma se ciò non fosse, non mi creeranno certo particolari problemi. Sono infatti orfane di entrambi i genitori e senza altri parenti, una volta entrate nel mio convento nessuno si preoccuperà più di venirle a cercare e potrò usare di loro a mio piacere senza alcun timore di essere successivamente perseguita. E’ passato del tempo dal giorno dell’arrivo delle nuove e siamo già arrivati alla fine dell’estate quando un messaggero, che reca le insegne del mio casato, mi porta la notizia che mio fratello si trova ad un giorno di cavallo e che entro breve tempo avrà il piacere di essere mio ospite. Trepidante di gioia, convoco i contadini che hanno cura dei terreni e degli armenti di proprietà del convento e consegno loro le direttive perchè si uccidano gli animali migliori e si preparino vino e cibo in abbondanza per il monastero e per la scorta armata. Finalmente arriva il giorno tanto atteso ed allo squillo delle chiarine degli alfieri spalanco i portali dell’eremo e ricevo genuflessa, in atto di sottomissione, mio fratello. “Conte Veniero sono felice di ricevervi nella mia umile dimora e confido che il soggiorno sia per voi il più piacevole possibile.” “Alzati mia cara sorella ed abbracciami forte. Quanti anni sono passati da quando non ho più avuto il piacere della tua compagnia.” “Ora sei qui ed è questo ciò che conta! Sono veramente felice di averti di nuovo vicino, di poterti abbracciare e baciare come tanti anni fa, ma mi accorgo che sei molto affaticato per il viaggio, chiedi qualunque cosa e sarai accontentato.” “Ti chiedo solo una cortesia: un buon bagno caldo ed un comodo letto; da quasi due mesi sono in viaggio e per tutto questo tempo ho dormito solo su scomodi giacigli.” “Per il bagno non v’è problema alcuno, anche subito, ma per il letto… – lo guardo sorridendo e con occhio malizioso – non prima di aver cenato e chiacchierato un poco con te.” Al termine della cena, durante la quale ci siamo parlati e coccolati come quando eravamo ragazzi, gli chiedo se desidera ritirarsi nel quartiere che gli ho messo a disposizione. “Fratello caro, se lo desideri puoi andare a prenderti il meritato riposo, ti faccio accompagnare da suor Amalia che, se lo desideri… sarà felice di prendersi cura di te per ogni tua bisogna.” Lo guardo con occhi carichi di significato e con un sorriso malizioso che non lascia spazio ai dubbi. “Vuoi dire che la tua monachella sarà a mia disposizione… in ogni senso?” “La tua fama di gaudente, caro Veniero, ti ha preceduto al mio convento molto tempo prima che tu arrivassi. Quello che però ancora non sai è che la tua cara sorellina non ti è da meno, qui sia io che tutte le mie monache ci dedichiamo ad ogni sorta di piacere, anche i più perversi. Suor Amalia sarà certamente ben felice di rimanere a scaldarti il letto anche per tutta la notte e soddisfare ogni tuo desiderio e poi credimi…! Ti accorgerai che è molto meglio della maggior parte delle dame che usano di solito tenerti compagnia. Sappi che noi tutte desideriamo allietare il tuo soggiorno soddisfacendo ogni tuo più recondito desiderio.” “Sapevo di avere una sorellina eccezionale, ma non avrei mai immaginato che tu lo fossi fino a tal punto. E’ questa per me una gradita sorpresa e ti sono molto grato per le tue premure, accetto senz’altro la compagnia di suor Amelia e le attenzioni che mi vorrà riservare. Certo sono molto sorpreso! Non mi sarei mai aspettato di trovare siffatta ospitalità in un luogo di culto come il tuo eremo. Ti auguro la buona notte sorella adorata, ma anche se sono molto stanco non vedo l’ora di abbandonarmi alle attenzioni della tua monaca.” Lo guardo allontanarsi con passo sicuro, non è altezzoso nel suo portamento, ma è fiero e maschio come si conviene ad un uomo d’arme abituato al comando. Un guizzo di gelosia nei confronti di suor Amalia mi chiude per un attimo la bocca dello stomaco, beata lei che si potrà godere le sue attenzioni, ma presto spero anch’io di riuscire ad avere la mia parte. Il giorno dopo ci ritroviamo che il sole è già alto nel cielo. Veniero sorride felice e mi raggiunge con passo veloce, mi abbraccia e bacia sulle gote. “Perdonami sorellina, forse non dovrei lasciarmi andare a comportamenti così famigliari con una madre superiora, anche se del mio stesso sangue, ma sei così bella e mi sento così allegro che non ne ho potuto fare a meno.” Mi bacia ancora le guance e questa volta le sue labbra sfiorano le mie lasciandole umide e piene di desiderio. Cosa mi succede? Sto desiderando mio fratello come non ho mai desiderato nessun altro uomo. Un leggero affanno mi opprime il cuore quando mi prende la mano per condurmi alla balaustra che s’affaccia sui giardini e sulle rive scoscese che portano al lago. Chissà se si è accorto delle emozioni che mi pervadono e che mi fanno tremare come una ragazzina al suo primo incontro amoroso. Estasiata lo fisso negli occhi. Sono di un azzurro così intenso, che sembrano rispecchiare il cielo di quel mattino di sole. “Veniero, vorrei che tu non te ne andassi più, sono così felice da quando sei qui! Sto rivivendo la medesima gioia che provavo quando da bambini giocavamo insieme, ti ricordi? Ma scacciamo le nostalgie dai nostri cuori e raccontami! Come è andata questa notte? Suor Amalia è riuscita a soddisfarti?” “E’ stata davvero all’altezza delle tue parole e le ho fatto anche i miei complimenti. Sono ancora stupito e incredulo per le sorprese che mi ha riservato, fa all’amore meglio di una cortigiana, però… mi ha anche detto, me lo ha giurato…, che la migliore sei tu!” Mi sento imporporare le gote per la soddisfazione che provo ad udire le sue parole e cerco come posso di nascondere il mio imbarazzo rispondendogli con falsa umiltà. “Sciocchezze fratello caro e pensa che le sorprese non sono ancora finite. Ho in serbo per te due giovinette, due novizie che dovranno prendere i voti, belle come nemmeno riusciresti ad immaginartele nei tuoi sogni e soprattutto non ancora violate da alcuno. Le ho destinate a te, per vederti godere quando coglierai la loro verginità, anche se ancora non sanno quello che le attende. Probabilmente si ribelleranno, ma non te ne devi preoccupare, all’occasione le potremo anche violentare e sottomettere a qualunque nostro desiderio senza il timore che la cosa si risappia fuori di queste mura. Piuttosto se fra i tuoi ufficiali ve ne fosse qualcuno fidato e che sappia tenere la bocca ben chiusa, potrai invitarlo a partecipare al banchetto di oggi, al quale farà seguito un festino cui parteciperanno tutte le mie monache. Noi tutte ne saremmo veramente felici.” “A quanto pare mi stai proponendo una vera e propria orgia, di sorpresa in sorpresa, ma gradita! Credo di riuscire ad esaudire il tuo desiderio mia cara, ho con me tre o quattro gentiluomini miei compagni abituali di vita, di loro ci potremo fidare ciecamente e visto come si stanno mettendo le cose, anch’io ho in serbo una sorpresa per te. Ti farò conoscere un personaggio straordinario, un turco che ho liberato da una galera veneta che aveva fatto naufragio vicino a Pesaro. L’unico che siamo riusciti a salvare rompendo le catene che lo tenevano prigioniero al posto di voga, gli altri sono morti tutti annegati. Quest’uomo, per avergli salvato la vita, mi è rimasto legato da affetto morboso e farebbe qualunque cosa pur di compiacermi. Spero non ti dispiaccia se è pagano, ma lui possiede quella che sarà la mia sorpresa per te e sarai tu stessa a scoprire di cosa si tratta!” All’improvviso, con una risata argentina, mi afferra per le anche e mi fa roteare vorticosamente in tondo come usava fare da ragazzo. “Non fare così, lasciami, lo sai che mi dà fastidio questo gioco, mettimi giù…!” Strillo col fiato mozzato dall’ansia perchè, anzichè desistere, mi fa roteare ancora più velocemente, sollevandomi in alto con le sue possenti braccia. Quando mi posa a terra mi bacia sulle guance e mi sfiora le labbra in un umido, tenero bacio. “Vai ora! Avvisa i tuoi amici, che si preparino degnamente alle battaglie che ci attendono, vi aspetto al tocco per il convito!” Siamo quasi alla fine del banchetto e il vino abbondante ha contribuito ad accendere gli animi e a limare le ultime barriere tra le monache e gli ospiti. Gli amici di mio fratello si sono sparpagliati fra le converse e dai loro atteggiamenti intuisco che hanno già iniziato i primi approcci galanti, sorrido compiaciuta e mi chino verso Veniero. “Vedo con piacere che i tuoi uomini non amano perdere tempo, ma dimmi, ti piacciono le due fanciulle?” Indico le educande che ho fatto sedere proprio di fronte a noi e che, ignare della sorte che le attende, ridono e scherzano gaiamente. Chissà, può essere che alla fine siano felici di conpiacerci, come a suo tempo accadde anche a me di allietare la vecchia badessa. “Sono davvero squisite e delicate e se a te non dispiace, dedicherò subito loro le mie attenzioni.” Ci alziamo dal desco e ci rechiamo sulla terrazza dove ho già fatto preparare per tempo una moltitudine di grossi cuscini e tappeti. Le monache ci raggiungono seguite dagli ufficiali e dal turco. “Vieni Selim, mia sorella desidera conoscere le tue virtù, ti ho promesso a lei per il festino di oggi e spero che tu sappia farti onore. Vieni e mostra a queste donne le tue preziose qualità!” Siamo tutti mollemente abbandonati sui cuscini e la nostra attenzione è concentrata su Selim che, unico ad essere rimasto in piedi, si trova al centro della terrazza. Con pochi e rapidi gesti si spoglia completamente e quando cade anche l’ultimo indumento, un mormorio di stupita approvazione accompagna l’ammirazione dei nostri sguardi. “Allora sorellina, cosa ti dicevo? Non è una magnifica sorpresa? Hai mai visto nulla di più fantastico di questa virilità?” Sono scioccata dallo spettacolo offerto ai miei occhi e a quelli di tutti gli astanti. Dalle cosce di Selim s’inalbera un pene dalle dimensioni inconsuete, non so quantificare le sue misure esatte, ma è lungo almeno una spanna e mezza e grosso quanto la stanga di un carretto. Lo impugna con entrambe le mani e ancora ne avanzano quattro dita abbondanti. Lo esibisce ai presenti come fosse un trofeo, poi mi guarda e sorride con un ghigno animalesco, ricco di oscene promesse, che mi eccita e sconvolge il sangue nelle vene. Anche le mie consorelle sono eccitate dalla vista di quello stupefacente attrezzo, scettro della lussuria e manifestano il loro entusiasmo commentandolo e lodandolo con i migliori attributi. Ma è mio, solo mio! Quel pene divino deve essere mio al più presto, mi sento bruciare fra le cosce dal fuoco del desiderio e faccio cenno al turco di avvicinarsi. Senza titubanze accarezzo l’oggetto delle mie brame. Lo impugno a due mani facendole scorrere lungo la possente asta fino a scoprire del tutto il glande che è grosso in proporzione al pene di cui ne è parte. Come è diverso dai cazzi che ho conosciuto fino ad oggi, non solo per le dimensioni, ma anche per la forma. E’ largo ed arcuato a tal punto che assomiglia al corno di un bove e poi verso la punta sembra essere diverso… ma certo, come ogni mussulmano quest’uomo è stato circonciso ed è il primo uccello del genere che ho l’opportunità di vedere. Ho la bava alla bocca per la lussuria che si è impadronita del mio corpo, non mi accontento più di accarezzare quel fantastico strumento di piacere e mi avvicino con le labbra al glande per iniziare una difficile suzione. Le mascelle mi fanno male per la necessità di doverle spalancare al massimo, ma soffoco il dolore per gustarmi il piacere di sentirmi penetrare in bocca quel bastone di carne. Anche l’afrore ed il sapore selvatico che emana contribuisce ad alimentare la mia foia, ma mi devo controllare perchè voglio assistere alla deflorazione delle novizie. A malincuore stacco la bocca dal cazzo di Selim e cerco con gli occhi mio fratello. Si è già denudato ed una conversa lo sta spompinando dolcemente per portarlo alla giusta erezione. Faccio cenno a suor Amalia che rapida inizia a spogliare Maura e Cecilia mentre due ufficiali ed altre suore le tengono ferme. Maura non si ribella, ha lo sguardo allibito per la sorpresa, ma non fa nulla per sottrarsi alle nostre attenzioni. Cecilia invece si agita, strilla e scalcia cercando di liberarsi ed è proprio su di lei che Veniero punta con decisione. Le si avvicina e le accarezza le mammelle strizzandole i capezzoli fra le dita, un urlo di dolore fa seguito alla sua azione. “Grida, grida più forte che puoi, più gridi e più mi darai piacere…!” Do alcuni ordini secchi e prontamente vengono portati due inginocchiatoi ai quali sono subito legate le ragazze, ora che non dobbiamo più lottare fisicamente per tenerle ferme, siamo liberi di agire a nostro piacere. Veniero si avvicina a Cecilia piegata in due sopra l’attrezzo, la ragazza continua a strillare cercando di liberarsi dalle corregge di cuoio che la tengono legata e quando sente il pene dell’uomo strofinarsi sopra la vulva, urla selvaggiamente per la paura. Guardo con desiderio mio fratello mentre immerge nelle tenere carni la sua virilità che, pur non avendo nulla per essere paragonata al pene di Selim, è in ogni modo di ottime proporzioni. Mi spoglio in un attimo e prona a cosce larghe invito il moro a prendermi da dietro. “Prendimi Selim, così! Come una cagna… fammi sentire il tuo bastone… penetrami nel ventre… ahhh che male…! Non fermarti, continua a penetrami…!” Non so quanto sia entrato in me col suo arnese mostruoso, ma mi sento riempita come mai mi era successo fino ad ora. Ecco! Inizia i movimenti del coito, si muove piano e con cautela e la frizione comincia a dare i suoi frutti. Il piacere si impadronisce delle mie membra e i primi gemiti si trasformano in grida gutturali mano a mano che accelera il ritmo dei colpi che si fanno martellanti e più forti. Avverto i segni premonitori dell’orgasmo che sta per arrivare, un urlo lancinante mi squassa il cervello e contemporaneamente godo come un’ossessa. Mentre rantolo la mia libidine, guardo Veniero che ha infilzato con un sol colpo Cecilia e sta menando colpi micidiali sulla sua verginità abbattuta. La ragazza sta piangendo sommessamente, ma all’improvviso urla ancora, poi una sequela di grida che sembrano non finire più. Veniero si è infatti sfilato dalla vulva e sta cercando di penetrarla analmente, ma la giovane si divincola freneticamente e non gli rende facile il compito. Anche lui urla atroci bestemmie e impugnata una correggia di cuoio frusta energicamente la schiena e le natiche di Cecilia. “Brutta cagna schifosa! Ti permetti di ribellarti ai miei desideri… ma so io come si fa a domare una troia come te! Tra poco vedrai che sarai più disponibile!” Come un indemoniato continua a menare colpi sempre più violenti sulla ragazza mentre i suoi amici guardano e ridono sfottendolo perchè non riesce a sodomizzare una pulzella che è pure legata. Veniero si irrita sempre più, libera le braccia di Cecilia e le alza il busto mettendo in evidenza il magnifico seno della fanciulla. In un primo tempo sembra volerlo accarezzare, fa roteare i capezzoli fra le dita, ma all’improvviso afferra un coltello da un cesto di frutta e con un colpo netto le amputa la rosea fragolina di una mammella. Cecilia lancia un grido lancinante di dolore e di disperazione mentre due monache la sorreggono per impedirle di accasciarsi. Il sangue zampilla dal seno offeso e Veniero si masturba immergendo il pene nella ferita, poi si accosta ancora alle sue terga e tenta di nuovo la penetrazione. Spinge inseguendo il forellino sfuggente, impugna il cazzo con una mano mentre con l’altra tiene allargate le natiche della ragazza, alla fine riesce ad appoggiare il glande allo sfintere anale e lo penetra senza provare alcuna pietà alle urla ed alle implorazioni d’aiuto di Cecilia. La scena violenta dello stupro mi riaccende i sensi di colpo e godo ancora. Getti di lava bollente s’iniettano nella mia vagina dove il moro sta ancora instancabilmente menando colpi su colpi. Anche Veniero deve aver goduto e quando si toglie dai glutei della fanciulla vedo altri rivoli di sangue scendere fra le sue cosce, il suo posto è subito preso da un ufficiale che continua l’oscena opera del suo nobile padrone. Mio fratello si è abbandonato su un cuscino per ristorarsi ed attendere che gli passi l’affanno. Ha ancora il cazzo turgido e lucido per le tracce di sperma, non so cosa mi prende, all’improvviso mi butto su di lui e faccio mio quel membro. Glielo prendo in bocca completamente e lo faccio penetrare fino alla gola suggendolo golosamente. Solo un attimo di perplessità poi Veniero mi accarezza i capelli, scende con le mani lungo la schiena nuda e si sofferma con le dita lungo l’insenatura dei glutei, mi penetra la vulva ancora umida dello sperma di Selim e mi masturba. “Ahh sorellina come desideravo anch’io la tua bocca, non sapevo come fare per fartelo capire… ma tu hai saputo rompere gli indugi… sei brava… adesso voglio godere fra le tue labbra. Non subito, non ancora… dobbiamo far durare a lungo il piacere di questi momenti, ora vieni qui, sotto di me…” Mi fa sdraiare al suo fianco e poi s’incunea col viso fra le mie cosce, mi succhia la fica fradicia di sperma e beve golosamente il frutto del suo amico, poi lentamente risale lungo il ventre per fermarsi a suggere le mammelle e i capezzoli. La frenesia dei sensi mi ha reso schiava dell’atto incestuoso e cerco di coronare la mia passione ed il mio desiderio spalancando le gambe ed insinuandomi sotto di lui fino a sentire il suo scettro entrare fremente nella mia natura. Facciamo l’amore dolcemente, alterna colpi secchi a colpi sinuosi, varia il ritmo ora accelerando, ora rallentando, poi m’afferra per le natiche e spinge il bacino con forza come se volesse penetrarmi con tutto se stesso. La vista mi si annebbia e mi gira la testa, godo come un animale in calore e m’abbandono al piacere che il suo cazzo mi sta donando. “Sii fratellino mio… ti sento tutto dentro di me, fottimi come fossi la tua cortigiana preferita… sono la tua cagna in calore che vuole essere montata… chiama i tuoi ufficiali e prostituiscimi anche a loro… che mi chiavino insieme, anche nel culo…voglio essere sodomizzata!” Veniero schiocca le dita e due giovanotti arrivano subito, poche parole per spiegare loro il mio capriccio e uno dei due si sdraia supino. Mi stacco dal membro di mio fratello e mi accovaccio scosciata sul ventre dell’uomo d’arme, il suo pene scivola in me profondamente e subito si muove ritmicamente procurandomi intensi brividi. Pochi attimi e mi sento afferrata per le mammelle, me le strizzano con forza provocandomi dolore, ma è un dolore piacevole che accompagna le ondate di godimento che provo guizzando con la vagina sul pene. Attendo con ansia la seconda intrusione, ecco… il glande mi viene appoggiato sull’apertura più stretta, si muove sinuosamente cercando di forzarne l’ingresso, una spinta… un’altra e trionfante si fa largo e mi penetra nei visceri. La vista mi si annebbia per il piacere, infoiata come una baldracca da lupanare impugno il cazzo di mio fratello. “Vienimi vicino Veniero, ti voglio nella mia bocca, te lo voglio succhiare fino a farti morire fra le mie labbra… voglio bere il tuo succo quando mi godrai nella bocca… e tu Selim! Svelto… sfonda anche tu il culo di quella ganza…! Finisci l’opera di mio fratello!” I due uomini mi pompano ritmicamente e avverto le prime contrazioni vaginali che preannunciano l’orgasmo, succhio il cazzo a mio fratello, ma intanto non perdo le mosse di Selim che si è appostato alle spalle di Cecilia. Osservo con occhi lubrichi il pene gigantesco che si avvicina alle tenere carni della giovinetta, il turco l’afferra per le anche dopo averle puntato il glande sul piccolo orifizio appena violato. Comincia a spingere e le sue natiche si muovono contraendosi ad ogni colpo e ad ogni colpo Cecilia risponde con un grido di dolore. Selim sembra non badarvi, un ghigno feroce fa capire come non gli importi nulla delle sofferenze della pulzella, anzi, accentua i suoi sforzi e con un grido selvaggio ci annuncia il successo dei suoi intenti. Al suo grido fa seguito l’urlo disumano della giovinetta, il cazzo possente l’ha penetrata fino alla radice e deve averle scardinato lo sfintere. Rivoli di sangue scorrono sempre più intensi dalle sue natiche, una vera e propria emorragia e mentre il turco continua a menare colpi poderosi, i suoi lamenti si affievoliscono fino a cessare. In preda alla lussuria per le violenze cui sto assistendo e che mi eccitano in maniera incredibile, come un’affamata succhio il cazzo a mio fratello, me lo faccio penetrare in gola fino a sentirmi soffocare, lo scappello per leccargli il glande e scendere poi con la lingua lungo il bastone. Con una mano impugno lo scroto mentre gli lecco i testicoli, l’altra sinuosa si fa strada fra le natiche e con le dita gli stuzzico l’ano che sento contrarsi per il piacere. Quando lo penetro con due dita la sua voce strozzata mi avverte che sta per godere, mi affretto allora ad ingoiare di nuovo il cazzo giusto in tempo per accogliere nella bocca densi fiotti di sperma. Mi piace il suo gusto e mi soffermo per assaporare il dolce succo contro il palato e sulla lingua prima di ingoiarlo avidamente. Il piacere che ne nasce è tale che subito fremo per un nuovo orgasmo e con i miei movimenti inconsulti e le conseguenti contrazioni uterine ed anali faccio sborrare anche i due verri che si stanno affannando dentro di me. Rudemente Veniero spinge di lato gli ufficiali liberandomi della loro intrusione fisica, mi scoscia supina schiacciandomi le ginocchia sulle spalle e si butta vorace con la bocca sul mio inguine succhiando e bevendo lo sperma di cui sono intrisa. A poco, a poco il suo ardore si placa e restiamo distesi vicini nell’attesa che passi anche l’affanno. Tutta la compagnia, stanca di questi primi assalti d’amore si è abbandonata mollemente sui cuscini e ci rifocilliamo con vino e biscotti. Improvviso mi guizza nella mente un pensiero, non sento più i lamenti di Cecilia e mi alzo per andare a controllare le sue condizioni. Ancora con le ginocchia legate allo scranno è immersa in un lago di sangue, non respira più, le allargo le natiche e scopro uno spettacolo orrendo. Il turco le ha squarciato l’ano in maniera incredibile, il foro anale e quello vaginale sembrano diventati una cosa sola e la poveretta è senza dubbio morta per le conseguenze della violenza e della terribile emorragia. Non ho alcun rimorso, in verità non me ne importa più di tanto di quella ragazza, mi spiace solo che non potrà più essere utile per i nostri piaceri, ho solo il rammarico di non aver fatto in tempo a godere anch’io del suo giovane corpo. Faccio segno alle monache e tre di loro si affrettano a liberare Cecilia dalle corregge per portarne via il cadavere, pazienza mi rimane ancora la possibilità di godere del corpo di Maura. “Sei certa che non avrai problemi?” Veniero è preoccupato per me, ma lo rassicuro, appena lui se ne sarà andato segnalerò alla direzione dell’ordine il decesso per malattia della novizia e se anche vorranno venire a controllare non potranno più scoprire nulla, il tempo avrà cancellato ogni traccia dal cadavere. “Non rattristiamoci con questi pensieri, vieni ti ho promesso anche Maura, andiamo a fare la sua conoscenza.” Ci avviciniamo alla novizia, anche lei prona e legata con le corregge sull’inginocchiatoio, le accarezzo i capelli e scendo a palpeggiarle i floridi seni sodi. “Piccola mia hai capito vero quello che desideriamo fare con te? Hai capito che vogliamo divertirci e godere del tuo giovane corpo?” La ragazza è pallida e mi guarda con occhi acquosi, è evidente che è terrorizzata e con voce strozzata, ma non piagnucolosa, replica alle mie domande. “Ho capito quello che volete farmi e da quel poco che ho potuto vedere dalla mia posizione so anche che sarei comunque violentata. Mia priora… Madre! Hai pensato che potrei non avere alcuna intenzione di ribellarmi? Sono disposta a sottomettermi ai vostri desideri e a compiacervi in ogni vostro vizio. Da quel poco che ho visto e sentito ho capito che alla fine è preferibile per me accettare le vostre volontà e prendermi la mia parte di piacere…” “Hai sentito Veniero come è sveglia la nostra ragazzina? Rammenta che l’ho promessa a te e quindi decidi tu cosa farne, puoi violentarla come Cecilia o iniziarla ai piaceri dell’alcova, puoi essere gentile e generoso con lei o torturarla a morte… è tua fanne ciò che vuoi!” “Slegatela!” Ordina ai suoi uomini e quando è libera si sdraia sui cuscini invitandola a sederglisi accanto. Le accarezza i polsi e le caviglie segnate dalla tensione delle corregge che la imprigionavano, poi la palpeggia intimamente stringendole i seni fra le mani. La guardo con dolcezza mentre, ormai tranquilla, si abbandona fra le braccia di mio fratello. “Non ti hanno mai accarezzato così? Sei mai stata con un uomo prima d’ora?” Risponde con voce titubante e mi guarda timorosa. “Si qualche volta. Presso le monache dove ho fatto la prima parte di educandato, nei momenti liberi ci si accarezzava tra noi novizie, ma con un uomo la prima esperienza l’ho fatta col padre confessore… aveva una cella tutta sua quando veniva al convento per le cerimonie quotidiane. Mi faceva inginocchiare davanti a lui e durante la confessione mi accarezzava i capelli. All’inizio pensavo lo facesse per tranquillizzarmi, ma poi le sue carezze divennero sempre più indiscrete fino a diventare intime. In seguito confidandomi con le compagne sono venuta a sapere che lo faceva con tutte e che tutte, chi più e chi meno, lo lasciavano fare. Un giorno ha cominciato ad accarezzarmi i seni come ora sta facendo lei Signor Conte, avevo paura, ma la cosa mi piaceva per cui non mi sono ribellata. Probabilmente rassicurato dal mio comportamento, mi ha sollevato le vesti ed ha cominciato ad accarezzarmi anche le gambe. “Ti piace piccola? – mi diceva – E qui ti piace?” Mi aveva infilato la mano fra le cosce e con le dita mi accarezzava la fessura. Le muoveva come quando ci si masturbava tra noi ragazze, ma fatto da lui era più bello. A poco, a poco mi stava portando al godimento e quando si è reso conto che la cosa mi dilettava parecchio, si è sbottonata la tonaca mostrandomi il suo sesso grosso e duro. Era la prima volta che vedevo il pene di un uomo e mi sono sentita mancare per l’emozione. Blandendomi con parole gentili mi ha convinta a prenderglielo in mano e mi ha insegnato come voleva essere accarezzato, in altre occasioni mi ha insegnato a masturbarlo in maniera più sconcia usando la bocca e la lingua e un giorno si è fatto fare da me fino a quando dal pene non gli è uscita una sostanza bianca e gelatinosa che ha riversato nella mia bocca. Solo un altro paio di volte ha goduto sprizzando il suo seme in mia compagnia. Dalle confidenze che ci facevamo fra noi educande, ho saputo che dispensava a turno il suo piacere fra tutte noi.” “Allora sei già una porcellina navigata e dedita al vizio! Mi piacerebbe godere delle tue attenzioni, ma come hai sentito ti ho donato a mio fratello che potrà disporre di te a suo piacere, anche in modo cruento se lo desiderasse. Ti consiglio di accettare le sue attenzioni e di assecondare i suoi desideri senza obiettare e per cominciare mostrami con i fatti cosa facevi al tuo confessore.” Maura, che ha già impugnato il pene di Veniero, s’inginocchia e comincia a suggerne la punta vellicandola con le labbra. Dardeggia la lingua aguzza tutt’intorno al glande risucchiando a tratti la rossa cappella nella bocca vellutata e Veniero, che la guida nella sua azione per farsi leccare nelle parti per lui più sensibili, ad un tratto le offre anche l’ano da baciare. Maura per un attimo si blocca titubante, ma uno schiaffone che le affibbio sul sedere, la sprona come un cavallo e riprende le sue carezze labiali immergendo la bocca fra le natiche di mio fratello. La osservo mentre lecca e succhia, è evidente la sua poca esperienza, ma è altrettanto evidente di come sia portata ad incamminarsi sulla strada del vizio. La sua lingua cerca di penetrare lo sfintere di Veniero e a volte ci riesce strappandogli mugolii di piacere. Le allargo le natiche e a mia volta avvicino la bocca alla sua fica, lecco tutt’intorno lo spacco della vulva e risucchio fra le labbra il clitoride che è diventato turgido e fuoriesce superbo dalle grandi labbra. Scendo slinguando lungo la fessura e arrivata all’ingresso della vagina la penetro con la lingua per saggiarne la verginità. Maura mugola di piacere e griderebbe certamente se il cazzo di mio fratello non le riempisse completamente la bocca. Continuo nella mia azione e la insalivo più che posso per favorire la deflorazione che avverrà di lì a poco. “E’ tua fratello, è pronta per essere presa!” Seduta sui cuscini faccio accomodare la novizia fra le mie gambe tenendo le sue completamente divaricate e sollevate. Veniero si sistema fra le nostre cosce, il cazzo turgido proteso come un ariete in avanti, pronto a violare la giovane. “Guardalo Maura! Guarda come mio fratello incombe su di te, guarda il suo cazzo quanto è bello! Ora si aprirà la strada nel tuo ventre, guarda il cazzo che fra poco ti porterà via la verginità e che ti darà il piacere che non hai mai provato! Eccolo… si accosta alla tua vagina… lo senti come comincia a frugarti la fica? Eccolo che s’immerge dentro di te… entra Veniero! Sfondala, penetra col tuo bastone! Ahh come vorrei fossi stato tu a sverginarmi quand’ero ragazza! Spingi! I tuoi colpi raggiungono anche me… è come se tu stessi chiavando anche me…!” Sono persa nella libidine e godo di questa situazione a tre. Ho lasciato andare le gambe di Maura ma le sto palpando e strizzando le mammelle baciandola e succhiandola sul collo. La ragazza che all’inizio si lamentava per il dolore patito alla rottura dell’imene, ora comincia a provare piacere anche lei, freme sempre più freneticamente e si agita, cercando di andare col ventre, incontro ai colpi che Veniero le assesta con sempre maggiore velocità. Anche mio fratello grugnisce ed ansima perchè sta per raggiungere il culmine del godimento. Chiava la ragazza, ma, con uno sguardo carico di libidine, mi guarda fisso negli occhi poi, improvvisamente, con una mossa non prevista arretra i fianchi, s’abbassa al mio livello e con un urlo di trionfo mi penetra la vagina scaricando il suo sperma nel mio ventre. Sono colta di sorpresa, ma quella repentina intrusione scatena il mio orgasmo che si ripercuote sulla novizia che unisce le sue grida di piacere alle mie. Quando ci stacchiamo è segnata sul collo e sulla spalla dall’azione dei miei denti ed anche le mammelle sono livide e sanguinanti per le unghiate che le ho inflitto durante l’orgasmo. “Svelta piccola prima che vada perduto il nettare che mio fratello mi ha voluto donare, raccoglilo con la lingua prima che coli dalla vulva.” La ragazza è dolorante, ma non obietta, il timore di chissà quali rivalse la rende docile ai nostri desideri e subito si dedica ad eseguire il mio ordine. La sua lingua passa e ripassa sulla mia fica, la allarga con le dita e la penetra per quanto possibile. Da come agisce si capisce come abbia già fatto parecchia esperienza nell’amore tra donne e sappia come destreggiarsi. Quando poi immerge le sue tenere labbra all’ingresso della vagina per succhiare il miele che vi ha depositato mio fratello, sono colta da un nuovo orgasmo e godo quasi strangolandola da tanto stringo forte le cosce intorno alla sua testa. Una nuova piccola sosta per riprendere fiato e ristorarci, offriamo anche a Maura del vino e biscotti e mentre ci rifocilliamo mi guardo intorno per rendermi conto di quello che hanno fatto gli altri. Un paio di monache sono piene di lividi ed apparentemente ridotte male, ma non mi preoccupo in quanto conosco le loro tendenze masochiste e so che amano farsi picchiare e flagellare. Le altre, come me, sembrano stanche, ma non ancora esauste. Di lì a poco Veniero chiama Selim e gli mormora alcune parole sottovoce indicandogli Maura, quest’ultima in un attimo si butta ginocchioni fra le gambe di mio fratello implorandolo. “Vi prego Signor Conte, con lui no! Non mi faccia prendere da lui vi prego! Appena ora mi avete iniziata ai piaceri del sesso e se mi farete prendere dal vostro amico sarò rovinata per sempre oppure farò la stessa fine di Cecilia. Vi scongiuro Conte Veniero, farò qualunque cosa mi chiederete, ma non datemi a quell’uomo!” “Ti voglio accontentare, però voglio guardarti mentre lo masturbi con le mani e con la bocca, avanti fammi vedere quello che il prete ti ha insegnato!” La ragazza, ancora tremante e timorosa, s’accosta allora alle grosse gambe muscolose del turco, gli accarezza le cosce possenti stuzzicandogli lo scroto con la punta delle dita, i muscoli guizzano sotto l’azione delle carezze della giovane e l’erezione del pene è immediata, si erge maestoso dal pube e incute timore per la sua possanza. La giovane vi si dedica con passione menandolo a due mani e lambendolo con la lingua, ma non riesce ad accoglierlo nella bocca da tanto è grosso. Grugnendo di piacere il moro la sdraia supina sui cuscini e la cavalca stando in ginocchio, immerge il palo di carne fra le mammelle che tiene strette con le mani, sputa nel solco dei seni per facilitare la frizione del sesso e la possiede in questo modo lubrico. Ad ogni spinta la rossa cappella, gonfia di libidine, va a sbattere sul viso di Maura che, ancora terrorizzata, non ha il coraggio di lamentarsi per il dolore che il maschio le sta infliggendo ai seni. E’ a questo punto che mi accosto alla ragazza, le sollevo il capo e le faccio aprire la bocca. “Fallo entrare fra le tue labbra quando s’accosta… usa la lingua… così, ecco che la cappella riesce ad entrarti…!” Mi chino sui seni di Maura e con la lingua lappo la terribile lancia che si muove e guizza nei movimenti del coito. Impazzita di lussuria non mi accorgo nemmeno che Veniero si è portato alle mie spalle, me ne rendo conto solo quando sento il suo paletto penetrarmi nel culo. “Ahh fratello mio… sii sodomizzami… mi piace essere presa così, come una cagna…!” Succhio il cazzo che si agita fra le mammelle di Maura, sento quello di mio fratello che mi frulla veloce nell’ano e con le mani mi masturbo la fica che sta colando gli umori generati dal piacere. Dei guizzi repentini e vibranti mi avvertono che Selim sta per godere, con un grido afferro a due mani il cazzo gigantesco e a stento riesco a farmi penetrare la punta nella bocca, è così ingombrante che fatico a respirare, ma sono talmente infoiata che non ci bado. Masturbo l’asta vigorosa fino a quando sprizza il suo seme nella mia gola. Bevo il nettare asprigno gustando golosamente il suo aroma selvatico, ma devo anche respirare per non soffocare e parte del liquido mi invade i bronchi procurandomi spasmodici colpi di tosse. Mi è rimasta la bocca piena di sperma che non riesco più a deglutire ed allora mi accosto al viso di Maura e la costringo a berla con un bacio osceno. Instancabile, Veniero mi sta ancora sodomizzando mentre rantola parole perverse. In preda al piacere m’insulta e bestemmia. “Troia…! Non sei una suora, sei una troia… una bagascia da bordello… saresti felice se ti facessi sbattere da tutti i miei armigeri vero? Sei una cagna in calore… senti il mio cazzo come ti fotte, ti piace prenderlo in culo… da me… da tuo fratello…?” Ancora pochi colpi e poi anche lui scarica il suo seme nel mio intestino urlando e bestemmiando. Si è fatta notte, affranti e sudati ci ritiriamo ognuno nelle nostre stanze per ristorarci con un buon sonno. Ho condotto con me Maura perchè voglio godere ancora della sua compagnia e ne approfitto per cercare di capire se l’imprevista avventura le è piaciuta e potrà essere una del nostro gruppo o se dovrò pensare a liberarmene. Mi toglie ogni dubbio quando, appena coricate, mi si avvinghia stretta, stretta e comincia a baciarmi sulla bocca e succhiarmi i seni. Mi lecca le mammelle e poi, passando nell’insenatura che le divide, scende con la lingua leccandomi il ventre. Mi bacia dolcemente l’inguine e l’interno delle cosce che, nel frattempo, le ho spalancato. E’ piacevole, dopo tanta violenza, abbandonarsi a carezze così tenere e dolci. Guizza veloce la lingua nella vulva che già freme di novella passione, mi raggiunge il clitoride che afferra in punta di labbra, lo tira e risucchia nella bocca, lo mordicchia dolcemente e mi strappa gemiti di piacere. Non mi trattengo più e mi lascio andare ad un ultimo, lungo, estenuante orgasmo che fa vibrare ogni cellula del mio corpo. Poco dopo, col capo appoggiato sui miei seni, si addormenta serena come una bambina ed anch’io mi abbandono all’oblio del sonno.
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