La recita del Mattutino terminò, come ampiamente prevedibile, senza altre distrazioni. I villani, che per arrivare ai loro campi dovevano percorrere lo stretto viottolo che costeggiava le alte mura della Badia, udirono chiaramente il gioioso canto di ringraziamento per il nuovo giorno intonato dalle suore. Esse potevano ben permettersi di cantare felici al termine della funzione religiosa; nel refettorio, avrebbero spento i morsi della scarsa fame con una ciotola di latte caprino ed una buona fetta di pane raffermo. Loro, i contadini, questa abbondanza potevano soltanto sognarla. Il sole doveva martellare a picco sulle loro teste, prima che potessero permettersi il lusso di fermarsi, per un attimo, per mangiare frettolosamente la misera focaccia di farina di castagne che ciascuno portava nella tasca del mantello. I più fortunati avrebbero integrato quell’esiguo pasto con le bacche selvatiche raccolte in fretta durante il cammino. Quei poveri padri di famiglia vivevano cercando di immaginare i lussi, gli agi, il benessere di cui godevano le suore del convento. Tutti speravano di avere la fortuna di poterci fare accedere una figlia, almeno come domestica o donna di fatica, magari sguattera: suora, era impensabile. Costava troppo e nessuno di loro avrebbe potuto permetterselo.Se soltanto avessero minimamente immaginato ciò che avveniva entro quelle mura, nessuno di loro avrebbe carezzato quel sogno.La Badessa, dall’alto del suo scanno, posto al centro della parete di fondo dell’ampia sala capitolare, si accertò che tutte le consorelle fossero presenti e sedute ai rispettivi posti; recitò il Benedicite ed intonò il canto di contrizione che dava il via alla pratica quotidiana più squallida mai attuata in una comunità. Ogni giorno, a quell’ora, appena terminato il pasto meridiano, si rinnovava lo svolgimento di quella consuetudine, sempre uguale a se stessa, eppure profondamente diversa per l’impatto che aveva sull’animo delle povere donne.- Sorelle, invito tutte noi, secondo la volontà della benamata fondatrice del nostro ordine, a compiere un profondo e sincero esame di coscienza, ed a purificare il nostro animo con la pubblica confessione per tutti gli atti di cui ognuna di noi si è trovata colpevole, per pensieri, parole, azioni ed omissioni indegne del nostro stato di Spose di Cristo e Serve di Dio. Chiunque sia a conoscenza di peccati veniali o, Dio non voglia, mortali non denunciati spontaneamente, è obbligata a farlo al posto dalla sorella colpevole, per aiutarla sulla via della espiazione e della redenzione e non incorrere, essa stessa, nella pena della dannazione eterna. Meditiamo. – La tiritera era sempre la stessa; stesse parole, stesse intonazioni, sessa accoglienza dalle consorelle.Il silenzio nella sala si fece ancora più profondo. Sapevano bene che la Badessa era al corrente di tutto: delle colpe e di chi era a conoscenza di quelle colpe. Nessuna poteva tacere, in modo particolare quel giorno. La notizia, seppur in modo sommario e distorto, era ormai sulla bocca di tutte: violazioni della clausura notturna.- Reverenda madre, – Suor Guendalina della Croce, una delle più anziane del convento, fu la prima a confessarsi – Ieri sera ho risposto con ira a sorella Benedetta del Buon Consiglio. Chiedo umilmente perdono a Dio, alla sorella e a tutte voi per il mio pessimo comportamento. Confido nella bontà dell’Altissimo perché mi aiuti a non peccare mai più. — Laverai tutte le sere, per una settimana, i piedi a Suor Benedetta – sentenziò la Badessa senza battere ciglio – perché umiliandoti davanti a lei esalterai il tuo pentimento per il Peccato Capitale commesso. Suor Guendalina tornò contrita al suo posto mentre un’altra sorella si avviava al centro della stanza per fare la sua confessione. La sfilata delle auto accuse andò avanti per oltre un’ora. Oggi si sarebbero considerate piccolezze e stupidaggini la maggior parte di quelle confessioni, tutte regolarmente punite dalla Badessa con pene che andavano dal recitare venti rosari, all’indossare il cilicio per due settimane consecutive.- C’è qualche sorella che debba denunciare colpe, fino ad ora taciute, commesse da altre? – Chiese la Superiora dopo che per oltre cinque minuti aveva atteso invano che si presentasse qualche altra penitente.Ogni suora, dentro di se, incominciò a tremare. La paura di aver dimenticato qualcosa che poteva essere denunciata da un’altra sorella era tangibile. La severità della Badessa in questo caso rasentava la crudeltà. Le pene, prevalentemente corporali, erano dure ed impartite senza pietà; spesso all’istante e alla presenza di tutte. La faccenda della violazione della clausura notturna pesava sul consesso come un macigno.Le colpevoli, che avevano taciuto, erano terrorizzate al pensiero che altre sapessero e che si decidessero a parlare; quelle che sapevano, visto che la faccenda andava avanti ormai da qualche tempo, erano tentate di tacere per la paura di essere accusate di complicità non avendo denunciato il fatto appena ne erano venute a conoscenza; quelle che sapevano per “sentito dire”, preferivano stare fuori da tutta quella storia e restare osservatrici imparziali. Nessuno avrebbe potuto accusarle di niente. La denuncia era obbligatoria soltanto per conoscenza diretta. Nessuna, tacendo per il proprio interesse, aveva tenuto conto del fatto che la Badessa era a conoscenza sia del fatto, che di chi ne era informata. Questo, fu l’errore gravissimo che sette di quelle donne pagarono a carissimo prezzo.Gli occhi della Superiora lanciavano fiamme quando, incrociando, uno per uno, gli sguardi delle consorelle, comprese che tutte avrebbero taciuto, anche quelle che considerava le sue più fidate delatrici. Fu questa constatazione a renderla ancora più furiosa: proprio le persone cui aveva concesso la sua fiducia la stavano tradendo e su di loro cominciò a scaricare la sua gelida ira.- Suor Maria Chiara, sei certa di non aver nulla da dire? -.La donna chiamata in causa, confidente puntuale ed informatissima, fece un piccolo passo avanti, a testa china, senza profferire parola. Ugualmente si comportarono, appena interpellate, Suor Beata della Natività e Suor Chiara Paola.- Voi. – urlò con un tono schifato nella voce – Proprio voi tre, su cui io più contavo per alleviare le mie fatiche di pastore di questo nido di serpi, voi, che avete goduto della mia fiducia, della mia bontà: voi mi tradite. -Il cuore delle tre donne batteva all’impazzata. Ognuna aveva sperato che, essendo nelle grazie della badessa, questa avrebbe sorvolato su quell’unico sbaglio. Speranza vana.- Toglietevi dalla mia vista. Andate nella cappella del sotterraneo e aspettate in preghiera. Meditate sul vostro comportamento. Meditate sul pessimo esempio che avete dato alle sorelle meno fortunate di voi. Aspettatevi tutta la mia severità. Suor Guendalina della Croce, – ordinò poi, rivolta alla vecchia consorella che, quel pomeriggio, aveva dato il via alla pantomima delle “confessioni”, – accompagnale ed accertati che non possano andarsene in giro a fare i loro porci comodi come sempre. Via. -Sapevano che era inutile piangere e implorare. Il suo perdono sarebbe arrivato, lo sapevano; ma sapevano anche a quale prezzo. Loro stesse erano state più volte complici delle “Redenzioni” forzate imposte dalla Badessa alle consorelle colpevoli. Esse stesse erano state insensibili attrici dell’espiazione di quelle sventurate. Adesso toccava a loro e sapevano bene di non potersi aspettare altro che tormenti e paura. Potevano soltanto sperare che non durasse molto a lungo.Uscirono dalla sala strascicando i piedi, a testa china, non certo in atteggiamento di preghiera, ma piuttosto di sconsolato abbattimento. Suor Guendalina chiudeva la fila; pur nella sua andatura incerta e claudicante, dovuta agli acciacchi dell’età, il suo incedere sembrava solenne e maestoso rispetto a quello delle consorelle che la precedevano. Lo stato d’animo dell’anziana suora, non rispecchiava, comunque, i suoi sentimenti: lei era della vecchia generazione. Ai suoi tempi, lei stessa era stata Priora per un breve periodo sotto la precedente Badessa, non si decapitava il Capitolo del convento in quel modo: se ne parlava; se ne discuteva; le sorelle più anziane potevano dire la loro. No, così proprio non andava; in ogni caso non erano cose che, ormai, la riguardassero più di tanto; ed in fondo, quelle tre sciagurate se la erano cercata: ne avevano fatte troppe per passarla liscia. Lei, avrebbe fatto ne più ne meno di quello che le era stato ordinato: le avrebbe lasciate incatenate in un angolo della Cappella e le avrebbe dimenticate. Da come le aveva guardate quell’altra buona lana della Badessa, si era ben capito che ormai erano niente di più che carne da macello. – Sorelle Benedicta da Deo, Maddalena della Santa Croce e Geltrude del Santo Consiglio: avvicinatevi. -I cuori delle tre donne cominciarono a pulsare come se volessero uscire da quei poveri petti. In un baleno, ciascuna per suo conto, riesaminò gli ultimi giorni, appena trascorsi, della propria vita, trovandosi priva di qualsiasi colpa. Essere, però, chiamate in quel modo dalla Badessa, non lasciava presagire niente di buono. – E’ da qualche tempo che ho in animo di premiare il vostro lodevole comportamento. Ora è giunto il momento. Tu, suor Benedicta, prenderai il posto di suor Chiara Paola, come istitutrice delle novizie; sorella Maddalena sarà la nuova Madre Portinaia al posto di suor Beata, mentre Suor Geltrude sarà la nuova Madre Priora, prendendo il posto di suor Maria Chiara. Confido che vi mostrerete più degne della mia fiducia di quelle che vi hanno preceduto, indegnamente, nell’alto compito che vi affido. -In un attimo era stato decapitato e ricomposto lo stato maggiore del convento: di tutto il Capitolo, soltanto la Badessa era rimasta, sempre più potente, al suo posto.Le tre donne, ebbre di felicità per l’alto rango, tanto agognato e così improvvisamente raggiunto, seppero contenere la loro gioia. Si limitarono a ringraziare, a turno, la Badessa per la fiducia concessa, implorando Dio che le rendesse degne e capaci di ricoprire la nuova carica di cui si sentivano indegne ed immeritevoli. Tornate ai loro posti, tutto il consesso sembrò tirare un sospiro di sollievo. Rilassamento prematuro: il peggio non era ancora arrivato.- Suor Geltrude, ti prego di accomodarti al mio posto. – Bastò questo per raggelare nuovamente gli animi di tutte le donne non ancora chiamate in causa. La Madre Priora era invitata a sedere al posto della Badessa soltanto durante lo svolgimento dei sommari processi interni: e questa era un’altra delle anomalie che si riscontravano nella vita di quel convento. Secondo la Regola, nei casi di processi interni, la Madre Priora doveva fungere da accusatrice, mentre la Badessa manteneva il suo ruolo di inappellabile giudice supremo. Qui avveniva il contrario: l’accusa era portata avanti dalla Badessa e non poteva essere altrimenti, visto il modo in cui gestiva la vita del monastero. La sentenza, invece, era emessa dalla Madre Priora. Inutile dire, che le sentenze erano tutte favorevoli all’accusa, e che, anzi, molto spesso le pene oltrepassavano le richieste dell’accusa stessa. Nessuna Madre Priora voleva giocarsi il posto andando contro il volere all’accusatrice.- Le novizie: Elisabetta, Caterina, Margherita e Sara vengano al centro della sala. -Pallide come cenci lavati, le quattro giovani donne avanzarono tremanti tra gli sguardi attoniti di tutte le consorelle. Una, tra tutte, non riusciva a credere alle proprie orecchie: non poteva essere. Non poteva aver chiamato lei insieme alle altre. Lei, Elisabetta, era la sua prediletta. Era la novizia che passava quasi tutte le notti nella sua cella, nel suo letto, ai suoi ordini. Non le aveva mai rifiutato niente, il suo splendido corpo statuario aveva subito in silenzio, con docilità, riconoscenza e, quasi con passione tutto quello che la badessa aveva voluto farle. Aveva gioito delle gioie dell’amore lesbico e sofferto le pene del sadismo più atroce. No, non poteva chiamarla per il processo insieme alle altre. La guardò negli occhi, cercando un segno, un cenno che la rasserenasse, che la tranquillizzasse sul suo futuro. Incontrò soltanto un terribile sguardo di ghiaccio. Elisabetta non riusciva a credere che proprio a lei erano rivolti gli sguardi più duri, più carichi d’odio. Elisabetta non sapeva, non poteva sapere che il suo stato di amante quasi fissa della Badessa, lo doveva ad una sua vaga somiglianza con il giovanile amore perduto della donna. Tra tutte le giovani novizie entrate in convento, Elisabetta era quella che per l’altezza, per le movenze, per alcuni tratti somatici, più ricordavano alla perfida suora il giovane che l’aveva salutata dal ciglio della strada quella maledetta mattina in cui fu costretta a lasciare per sempre la casa paterna.La Badessa aveva rivisto in quella giovane le sembianze dell’uomo che era rimasto l’uomo della sua vita; l’uomo che era l’ossessione dei suoi sogni; il suo tormento; il suo rimpianto.Lo aveva cercato; con discrezione ma instancabilmente. Per anni aveva cercato di avere sue notizie dai viandanti; dalle novizie che arrivavano da ogni parte della contea. Qualche sporadico accenno; qualche vaga informazione, poi più niente. Erano almeno cinque anni che non sapeva più niente di lui ed il suo ricordo si era affievolito, sbiadito, fin quasi a diventare etereo, impalpabile. Lentamente, l’ardore e l’amore giovanile, avevano subito, nella mente della Badessa, un forte cambiamento. L’amore si era ammantato d’odio; la passione, di disprezzo: se lei era ancora lì, sola, in mezzo a tutte quelle streghe, la colpa era del giovane che non l’aveva ricercata, che non l’aveva fatta evadere da quella prigione dorata. Lui stava gozzovigliando e fornicando, libero, in giro per il mondo, mentre lei era costretta a vivere da reclusa in quell’orrido monastero. Poi era arrivata Elisabetta. La somiglianza aveva risvegliato prepotentemente il ricordo, ed insieme al ricordo, l’amore. Per questo ne aveva fatto subito la sua preferita. Giacere, nuda, accanto a lei, le dava l’impressione di giacere accanto al suo sogno. Sentire le sue mani frugare indiscrete ogni parte del suo corpo le dava prepotentemente la sensazione, più che con le altre, che stesse ricevendo proprio da lui quelle stesse carezze, quegli stessi baci; sculacciare quelle belle natiche, strizzare quel bel seno, bearsi dei lamenti che uscivano da quella bella bocca, le davano la sensazione che lo stava punendo per averla abbandonata; per non averla tolta da quella prigione; lo castigava per tutti gli altri immaginari torti subiti. Ed ora Elisabetta l’aveva tradita: Lui, l’aveva tradita.La vendetta sarebbe stata atroce; forse soltanto la morte avrebbe potuto placare quella insaziabile sete. La Madre Badessa, ritta davanti al leggio delle letture, fissava le quattro giovani con occhi fiammeggianti. Il suo volto era immobile, ma non esprimeva sdegno, piuttosto una perversa gioia lussuriosa, lasciva; come pregustasse quello che sapeva sarebbe accaduto da lì a poco.- Ho atteso invano, per tutto il pomeriggio, che almeno una, una sola di voi avesse la fede di confidare a Dio i suoi peccati; i suoi e quelli delle sue sciagurate complici. Voi, non avendo avuto fede nella bontà e nella misericordia del vostro Futuro Sposo, Lo avete offeso e avete rinnovato i Dolori della Sua Passione. Se non comprenderete quanto Egli ha sofferto per i vostri peccati, non sarete mai degne di lui. Oggi, se la Reverenda Madre Priora, vi riterrà ancora degne del nostro aiuto, della nostra misericordia, riceverete un insignificante esempio delle sofferenze che Gli provocate ogni volta che peccate. Che questo vi aiuti a non peccare mai più. -La condanna era già stata emessa ancor prima di pronunciare il capo d’accusa. Nessuna se ne meravigliò. Tutte sapevano che le parole seguenti altro non erano che una farsa a esclusivo beneficio della trascrizione che la Madre Scrivana doveva inviare al Vescovo per il platonico, postumo, Placet Canonico.- Reverenda Madre Badessa, perché porti al mio cospetto queste quattro novizie? Di che colpa si sono macchiate? – Suor Geltrude del Santo Consiglio, la novella Madre Priora, seduta sullo scanno della Badessa, si era già ben immedesimata nella parte. Il copione lo conosceva alla perfezione: era lo stesso da anni. Le variazioni, minime e insignificanti, venivano dettate dalle circostanze, come questa volta.- Le colpe sono gravi, e più di una, reverenda madre. Tutte e quattro non hanno partecipato al Sacro rito della pubblica confessione. Tutte e quattro hanno taciuto sulle colpe delle consorelle di cui, non solo erano a conoscenza, ma addirittura complici, infatti, tutte e quattro, per più volte, hanno infranto la sacra clausura notturna, per recarsi, chissà con quali turpi scopi, nelle celle delle consorelle. Due tra esse, Sara e Caterina, forse perché ancora prede del demonio che le aveva possedute durante la notte, questa mattina, hanno osato interrompere il canto di ringraziamento per il nuovo giorno e rivolgere pensieri peccaminosi al lussurioso mondo esterno. Ho detto. – Il lieve brusio che aveva accompagnato l’inizio dell’esposizione dell’atto di accusa, si interruppe bruscamente alla menzione del demonio. Una cappa di gelido terrore si sparse su tutto il consesso.L’accusa era molto più grave di quanto la più perfida delle suore avesse potuto immaginare.Se avessero confessato di essere in preda al demonio, o peggio ancora sue serve, e nessuna dubitava che la Badessa le avrebbe costrette a confessarlo, sarebbe dovuto intervenire addirittura il Vescovo con il Padre Inquisitore. Tutte le novizie erano in grave pericolo. Nessuna si sarebbe salvata dal processo, e sicuramente anche tutte quelle suore che, in qualche modo, erano state più vicine alle colpevoli.La stessa Madre Priora, non si sarebbe mai aspettata, nella prima ora del suo nuovo incarico, di dover presiedere in processo così grave. In mente sua, maledisse la Badessa: ma come era saltato in mente, a quella sadica depravata, di tirare in ballo il Demonio in quella stupida storia di nostalgie per la casa paterna? Non c’erano passate tutte loro per quello straziante dolore? Non si erano sempre radunate tutte le novizie, di notte, per consolarsi dei perduti affetti? Per piangere l’una sulla spalla dell’altra? Cosa c’entrava l’essere possedute dal demonio? Si guardò bene, in ogni modo, dall’esternare i suoi pensieri. – Avete ascoltato il capo d’accusa. Avete qualcosa da dire? -Le parole suonarono come colpi di frusta nell’irreale silenzio della sala colma di donne sgomente.Le quattro ragazze erano impietrite dal terrore. Avevano avuto modo di assistere ad alcune precedenti “redenzioni” imposte dalla Badessa, e quella che ora provavano era l’angoscia dettata dalla paura per il dolore fisico. Ancora non avevano afferrato in pieno le implicazioni che comportavano quelle accuse. Sara, la più giovane e la più debole delle quattro, scoppiò in un pianto disperato. Crollando di schianto sul pavimento, tentò, strisciando, di avvicinarsi alla Badessa, mentre, tra i singhiozzi, la implorava di lasciarla tornare a casa.Le altre tre, restarono in piedi, silenziose, ma a ben guardarle, davano l’impressione di essersi trasformate in sacchi vuoti, afflosciati.- Anche voi tre volete tornare alle vostre case? – chiese perfidamente suor Geltrude, immedesimandosi sempre di più nel ruolo di Priora. – Anche voi volete abbandonare questo sacro asilo di bontà e di preghiera? -Non risposero, ma il loro silenzio disse più di mille parole.- Ecco, chi se non il demonio, può aver istillato nell’animo di queste povere fanciulle, fino a qualche giorno fa, pie e devote, le migliori tra tutte le novizie che questo convento abbia mai avuto, questo insano desiderio di tornare ai peccati del mondo esterno, di abbandonare questo rifugio preservatore della loro castità e purezza? -Le consorelle più anziane, incarognite da anni di clausura, già pregustavano quello che, probabilmente entro pochi minuti, sarebbe accaduto. Apprezzarono il modo perfido con cui la Badessa aveva saputo trasformare la semplice nostalgia di casa, in un capo d’accusa; quasi una confessione di colpevolezza.- Reverenda Madre Priora, essendo io, colei che ha portato di fronte al tuo giudizio queste sciagurate, non dovrei farlo. Non sarebbe mio compito; ma ugualmente io ti imploro, appellandomi alla tua somma sapienza e bontà, di voler concedere aiuto a queste future sorelle. Ti imploro di voler concedere loro la possibilità di redimersi, di scacciare il demonio che alberga in esse, senza costringerle a tornare nei luoghi della lussuria e del peccato. Mi sentirei di aver fallito, nel mio compito di Madre Badessa di questo Santo convento, se non potessi tentare tutte le strade che riportino nell’ovile della salvazione queste quattro sciagurate pecorelle smarrite.-La madre Priora, seduta sull’alto scanno, tirò un sospiro di sollievo. Quella perfida donna, nella sua bassezza, le aveva aperto uno spiraglio che consentiva di lasciare tutto il monastero fuori di quella laida storia. Questa volta la Badessa voleva divertirsi molto pesantemente con quei bei corpi ancora acerbi: non sarebbe stata certo lei ad impedirglielo, anzi; le avrebbe spalancato il portone.Poggiando le mani sulla tavola, Suor Geltrude si alzò in piedi. Sapeva esattamente cosa voleva la Badessa e lei, come sempre, era ben felice e pronta a darglielo. Scrutando attentamente i volti di tutte le consorelle per cogliere il minimo accenno di disapprovazione, emise la scontata sentenza.- Il pesante fardello di giudice unico di questo tribunale interno, mi imporrebbe di emettere una sentenza esemplare; capace di mettere un freno al malcostume che, Dio non voglia, sembra cominciare ad insinuarsi in queste sante mura. Il compito del quale sono investita mi imporrebbe di rimettere alla giustizia di Sua Eminenza, il nostro reverendissimo Vescovo, il giudizio sulle colpe di queste sventurate. Comprendo, però, reverenda Madre Badessa, le motivazioni che la spingono a chiedere, ad implorare un aiuto per queste anime depravate. Punirle con l’allontanamento dalla santa vita del monastero non significherebbe altro che gettarle definitivamente nelle mani del demonio che già comincia a tentare le loro anime; per cui, confidando nella Suprema Clemenza, io affido a Lei, Reverenda Madre, queste quattro anime sciagurate, affinché lei stessa, con la sua carità e misericordia, usando tutti i mezzi che riterrà necessari, le aiuti a confessare, espiare e chiedere perdono dei loro peccati, redimendosi e promettendo di non incorrere mai più in essi. Così ho deciso. – Un rapido cenno fu sufficiente alle altre due suore del Capitolo, Suor Benedicta e Suor Maddalena, perché affiancassero le quattro novizie e le conducessero nelle celle di segregazione dei sotterranei.Sudando copiosamente per la tensione, la Madre Priora crollò nuovamente a sedere sul suo scanno. Si compiacque con se stessa: se l’era cavata piuttosto bene. La Badessa poteva sfogare liberamente i suoi istinti sadici su quelle quattro sventurate; gli atti riportati sul verbale erano perfetti: tutto era stato fatto nel pieno rispetto delle regole; anzi, si era spinta, in senso positivo, oltre le regole, arrivando a concedere la possibilità di redenzione a quelle quattro sceme, colpevoli di tutto, meno che di quello di cui le avevano accusate.
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