“Ci prendiamo un caffè?” Anna lasciò cadere la domanda sapendo perfettamente che la risposta sarebbe stata, come al solito, affermativa. Chiusi il giornale e dissi, soffocando uno sbadiglio, ‘Andiamo!’. Francesca si alzò rapidamente prendendo il cappotto, Anna non se lo era mai tolto. Io, sportivamente, scesi indossando solo la giacca anche se faceva freddo quel giorno. Tornammo dopo un quarto d’ora compresa sosta di Francesca in farmacia. Rientrammo in ufficio alle nove e venti. Anna si dissolse lungo i corridoi, parlando di problemi con la bambina. Era una tradizione rispettata oramai da mesi. Rimasi solo con Francesca che armeggiava con la busta della farmacia. Tirò fuori una scatola, la aprì e cominciò a leggere un foglietto. Sul tavolo un oggetto oblungo. Io continuavo a lavorare al computer intervallando le pratiche con una partita a pinball, il flipper elettronico. “Porca miseria”, la sentì dire, ma come cazzo funziona…! “Qualche problema, feci?” “E’ questo cavolo di…esitò…di clistere…” ! Mi avvicinai e vidi che non riusciva a montare quel piccolo aggeggio che avrebbe dovuto evidentemente risolvere il suo problema. Si stava spazientendo sempre di più. “Non ci capisco niente”, fece di nuovo. “Se vuoi lo sistemo io…” Mi guardò con aria indifferente poi disse. “Ok, fai tu . Non mi intendevo minimamente di quegli arnesi ma, con un po’ di intuito riuscì a renderlo operativo.. Al suo grazie risposi con, “ne ho fatti tanti a mia moglie dopo il parto e balbettando, sottovoce, dissi . “se vuoi te lo faccio io”. Mi morsi le labbra aspettando un “vaffa” invece, sempre con quell’aria apparentemente indifferente di cui solo le donne sono capaci, mi guardò negli occhi e disse: “Ok, ma facciamo presto che aspetto una telefonata”. Rimisi l’oggetto nella busta non senza averlo fatto cadere per terra. L’emozione mi divorava anche se pensavo ad uno scherzo. Sentivo le guance avvampare mentre ci dirigevamo verso il bagno delle donne decisamente più ampio di quello maschile. Mi fece cenno di entrare. Non c’era nessuno. Tirai fuori l’oggetto dalla busta mentre cercavo di frenare il tremore delle mani. “Come mi metto, disse lei ?” Dalla gola mi uscì un mezzo sibilo che giustificai con il raffreddore che non avevo. “Appoggiati al lavandino” dissi con un filo di voce.. Da sotto la gonna avevo già visto scorrere prima i collant neri poi le mutandine nere. Appoggiò le mani al lavabo e si sollevò la gonna dicendo “dai, che aspetto una telefonata…” Feci uscire un po’ di liquido dal clisterino e con quello le umettai il buchetto. I pantaloni cominciavano a scoppiarmi. Le feci entrare due o tre volte dentro il dito mentre lei rimaneva perfettamente immobile. Stavo continuando in quell’operazione quando, senza voltarsi, mi disse di nuovo:”aspetto una telefonata, se puoi …” Con due dita le allargai il sedere e con l’altra mano le infilai il clisterino. Entrò tutto. Cominciai a premere il contenitore e mano a mano che il liquido diminuiva la mia voglia cresceva sempre di più. Arrivai in fondo e mi accorsi solo allora che le avevo fatto entrare un mezzo dito altre la cannula. Non potevo più continuare a fingere. Nel contenitore non c’era più niente. Estrassi il tutto lentamente cercando di nascondere la macchia che mi riempiva i pantaloni per fortuna scuri. Lei si sollevò abbassandosi automaticamente la gonna. Si girò e disse:”grazie, ora se vuoi uscire, per favore…””Certo, feci, con la voce ancora un po’ tremolante e la lasciai sola in bagno mentre la porta si chiudeva a chiave dietro di me. Mi ritrovai nel corridoio dove la signora Bollani, vedendomi tutto rosso, mi disse”che fai, ti senti male?”. No, risposi, solo che ho molto caldo, anche se la sciarpa che tenevo al collo non deponeva a favore di questa tesi. Raggiunsi l’ufficio dopo una sosta al bagno per tentare di asciugarmi, appena in tempo per rispondere alla telefonata del Dr. Grisenda, divisione acquisti. “Senta, Adami, tutto risolto per quella pratica?” Guardai il tavolo ingombro dal giornale, il computer con il flipper e i miei pantaloni bagnati e risposi: “Tutto a posto, dottore”. “Bravo, fece lui, ce ne vorrebbero impiegati come lei”. Riattaccai mentre pensavo, tra me e me, ce ne vorrebbero giornate come questa e cliccai su “nuova partita” dal computer che, discreto, occhieggiava davanti a me.
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