….e sogno fra la settima e l’ottavaPrima parte della settima giornataLuisella e io ci svegliammo insieme, sul tardi; facemmo colazione, poi io consultai l’orario ferroviario e trovai che avevo un treno, alle tre e dieci del pomeriggio, che mi avrebbe consentito di arrivare in tempo da Malvina. Stavamo appena organizzando un poco la giornata, quando sentimmo suonare il campanello. Aprimmo, ed erano, insieme, Valeria e Cristina. Valeria disse:"Cristina ha dormito da me stanotte. Credo che stiamo diventando buone amiche, forse ci stabiliremo insieme, almeno per adesso, e troveremo da arrangiarci. Siamo venute a trovarti perché abbiamo bisogno di un favore. Oltre che per il piacere di vederti, naturalmente".Sembravano davvero diventate amiche, le due ragazze.Valeria era molto carina e distesa, e anche Cristina sorrideva. Domandai:"Avanti, di che cosa avete bisogno?""Ecco, noi vogliamo fare qualche soldo agganciando i distintissimi e i generosissimi d’alta classe che mettono gli annunci sulle riviste per cercare ragazze. Solo stamattina abbiamo letto una ventina di annunci possibili. Tutti chiedono di mandare qualche foto e il numero di telefono al loro indirizzo, casella postale o fermoposta. Noi il telefono non lo vogliamo mandare, vogliamo che ci mandino prima il loro, per sicurezza. Ma le foto sì, le vogliamo mandare, e vogliamo che siano foto belle, ben fatte, seducenti"."Per arrapare i distintissimi generosissimi e attirarli inesorabilmente nella vostra rete, giusto?""Giusto. Il problema è che io ho una buona macchina fotografica, ma le foto non le so fare; e poi vorremmo farne anche insieme, Cristina e io"."Ho capito. Hai portato la macchina fotografica?"Valeria estrasse dalla borsa una macchina fotografica di buona marca, efficiente e versatile, adatta a regolazioni manuali per ottenere effetti soddisfacenti. Con quell’apparecchio e con la pellicola giusta, avrei potuto fare un discreto lavoro, e glielo dissi. Valeria replicò:"Allora possiamo farlo anche subito, ti va?""Sì. Anche perché io oggi pomeriggio parto, vado a trovare un’amica fuori città, tornerò domani. Quindi abbiamo giusto una mattinata da dedicare all’arte fotografica. Già che ci sono, voglio scattare qualche foto anche a Luisella, ci possono servire… Luisella, scendi in piazza, a sinistra c’è un negozio di foto-ottica; compra dieci rullini da trentasei pose, di mille ASA di sensibilità. Prendi duecentomila dal cassetto".Luisella scese a fare la commissione, e Cristina mi domandò:"Luisella adesso lavora con te?""Praticamente sì, almeno fino a nuovo ordine. Ieri pomeriggio si è data abbastanza da fare"."Ha sempre avuto la vocazione della puttana. Io voglio farlo, ma a un altro livello, con Valeria. Vogliamo anche divertirci"."Forse ci riuscirete, ma non fatevi illusioni sui tipi di uomini che aggancerete. Quelli che mettono gli annunci non sono diversi da quelli che cercano la puttana sul marciapiede; l’unica differenza è che vogliono farlo a casa o in albergo, senza esporsi, andando sul sicuro e con un pizzico di falso mistero. Mi riferisco agli annunci che fanno capire che sono disposti a pagare, naturalmente: i distintissimi generosissimi, appunto. Gli annunci degli altri, che cercano una ragazza non mercenaria per disinteressata amicizia, beh… Quelli sono messaggi disperati, non risponde mai nessuna!"Valeria intervenne:"Chissà. Magari qualcuna a volte risponde. Anzi, magari lo faccio io: scrivo a un annuncio di quel tipo, oltre che agli altri! Così vedo com’è"."Stai attenta, poi succede che ti si appiccica addosso un disperato che non ha mai beccato una donna in vita sua, e non ti molla più, e fa il geloso, e fa guai"."Starò attenta"."Ora pensiamo piuttosto alle pose. Proprio per il tipo di uomini che volete agganciare, non vi conviene andare troppo per il sottile. Erotico deciso, spinto"."Fiche spalancate, insomma?""Soprattutto quello. Intanto, possiamo fare qualche foto anche più artistica e più leggera, ma la sostanza che vi serve sono immagini forti; e che nello stesso tempo mettano in risalto la vostra bellezza, s’intende"."Vuoi dire: troie, ma troie belle"."All’incirca. Non sono un professionista, ma sono bravino come fotografo. Anche se la foto non può ricreare il fascino dello spettacolo vivo che offrono due ragazze nude, ne conserva però una traccia, tanto più intensa quanto migliore è la foto. Fotografare il corpo nudo non è affatto facile, sapete?""Lo so, ed è per questo che ci siamo rivolte a te, maestro!" – disse Valeria ridendo. Intanto Luisella tornò con le pellicole; caricai la macchina e feci spogliare le tre donne. Dalla finestra entrava luce abbastanza, studiai l’angolazione e il gioco delle ombre. Cominciai con una serie di foto singole, ogni ragazza da sola, nelle posizioni classiche del porno: un rullino ciascuna. Poi, due rullini di immagini di Valeria e Cristina insieme. Valeria era molto disinvolta e morbida, Cristina un po’ più impacciata.Riuscii comunque a creare buone composizioni. Mi dedicai anche a Luisella, con fotografie di vario tipo, dal quasi casto al piucchetroiesco, utilizzabili nei diversi casi del mestiere. Verso l’una i dieci rullini erano finiti, ordinammo una pizza per telefono e ce la mangiammo in cucina.Mentre stavamo mangiando un cliente telefonò chiedendo se poteva venire subito; gli risposi:"C’è qui una splendida fanciulla che ti aspetta, corri, però poi cerca di non venire subito, se no te la godi poco".Non so se capisse la battuta; in ogni caso cinque minuti dopo era lì (aveva certo chiamato da una cabina in piazza) e Luisella lo trattò da signore, in cambio di duecentomila lire gli offrì una visita guidata in tutti i suoi buchi, e lo baciò in bocca, anche. Al termine, Cristina commentò:"Hai imparato bene il mestiere, Luisella!"L’altra, che aveva ancora gocce di sperma fra i capelli, ribatté:"Stronzetta, non fare la preziosa. Neanche tu sei rimasta in birreria a faticare. Io non ho voglia di fare i tuoi giri con gli annunci, preferisco rimorchiare direttamente".Valeria intervenne pacifica:"Ognuno fa a modo suo, e rispetta i modi degli altri. E col tempo, poi, si cambia. Io un mese fa non credevo che sarei stata capace di scoparmi gli uomini per guadagnarmi da vivere. Però anche allora non disprezzavo chi invece lo faceva. Sarà per questo che adesso mi sento tranquilla e continuo a rispettare me stessa"."Stai acquistando la saggezza" – dissi a Valeria, che sorrise inghiottendo un’oliva della sua pizza, e cambiò discorso informandosi su dove avrebbe potuto far sviluppare e stampare i rullini. Le consigliai di portarli allo stesso negozio dove Luisella li aveva comprati, e dove facevano stampe di buona qualità in un’ora e le consegnavano in busta chiusa senza problemi o indiscrezioni. Mi ero già servito di loro per foto simili di Roberta.Valeria mi chiese:"Le hai qui le foto di Roberta?""Sì, ne ho qualcuna. Vuoi vederle?""Sarei curiosa…"Andai a prendere le foto, un centinaio di immagini a colori che tenevo in una scatola di cartone insieme con i negativi sparpagliati, un archivio un po’ disordinato. Anche a me faceva piacere riguardare quelle foto di Roberta, fatte parecchio tempo prima. Alcune erano lievi ritratti sfumati in biancheria intima. Altre, all’opposto, erano volutamente oscene. Valeria le fece passare a una a una, e anche Luisella e Cristina osservavano e commentavano. Valeria disse:"Sì, sono buone foto. Se anche le nostre sono venute così, possiamo essere contente"."Però che maiala!" – esclamò Cristina davanti alla scena di Roberta che, con tre dita infilate nel culo, riceveva in faccia un’abbondante pisciata da un cazzo inquadrato a metà, mentre lei stessa pisciava sparpagliatissimamente dalla fica allargata con la mano. Io alzai le spalle e la rimbeccai:"Maiala o no, sono cose che piacciono. Vedrai che qualche uomo lo chiederà anche a te"."Ma non è detto che l’otterrà"."Certo che non è detto. Hai sentito Valeria prima? Ognuno a suo modo, né più né meno".Finimmo di mangiare e sparecchiammo, Valeria e Cristina lavarono i piatti. Luisella mi disse che preferiva riposarsi, quel pomeriggio, dato che un cliente l’aveva comunque avuto; e avrebbe quindi risposto al telefono e fatto venire eventuali vecchie conoscenze di Roberta, ma non sarebbe scesa in strada ad agganciare."D’accordo, è meglio così, non correre rischi. Se telefonano e chiedono di Roberta, digli che Roberta non c’è ma ci sei tu. Nel pomeriggio, caso mai, vai a far stampare le foto. Il lavoro in piazza lo riprendi domani quando ci sono anch’io".Valeria propose:"Se Luisella è sola, stasera può cenare con noi".E si misero d’accordo per le otto. Io mi preparai una borsa con poche cose essenziali, per il viaggio; ma era ancora presto per andare in stazione. Cristina e Valeria uscirono, io abbracciai Luisella e la baciai sul collo. Le foto di Roberta mi avevano messo voglia di qualcosa, e dissi:"La tua amica Cristina è troppo schizzinosa. Tu hai problemi a fare quello che Roberta fa in quella foto?""Non lo so. Farmi guardare o fotografare mentre faccio pipì non è un problema. Prendere la pisciata in bocca non so… Un po’ di schifo me lo fa"."È acqua calda. Poi, non è che devi berla. La bocca la apri un pochino, tanto da farcela gorgogliare, e lasci che si riversi sul corpo, fra le tette, scendendo a mescolarsi con la pisciata tua".La ragazza si strinse nelle spalle, ci pensò un attimo, quindi protestò:"Già. Ma solo per me è acqua calda? E tu, però, non ti fai pisciare in faccia da me?""Volendo, posso farlo. E, se ci tieni, lo facciamo.Tuttavia, ritengo che la pipì stia meglio in faccia alla ragazza, per lo stesso motivo per cui ci sta meglio lo sperma. La donna è vaso e l’uomo è innaffiatoio: così sembra suggerire anche la natura. E la donna che piscia a sua volta, mentre un uomo le piscia sul corpo, è come il ripiano fiorito di una fontana a sbalzi in un bel giardino. Però non voglio affatto contestare altri gusti e altre tendenze. Ripeto: non ho problemi a farmi pisciare in faccia da te. Diciamo che il quadro che risulta, lo spettacolo a cui si dà vita, se tu pisci addosso a me, non è il mio preferito. Ma è giusto che io collabori anche a spettacoli graditi da altri".Luisella mi guardò perplessa:"Parli come un critico d’arte, ed è questione di pisciate. Sei strano"."Un quadro dipinto, è questione di pennellate e colori a olio. Che cos’ha di più nobile un pennello che un cazzo, e un colore a olio che una pisciata? Sono arti, arti diverse che concorrono a un solo multiforme scopo: la bellezza, il piacere, la comunicazione, la scoperta di nuovi sensi, la virtù, la conoscenza"."Accidenti, quasi quasi mi convinci. Comunque, se voglio fare la puttana seria, certe cose devo imparare a farle. Proviamo questa cosa che dici"."No, non voglio forzarti"."Non mi sforzi. Tanto, mi scappa la pipì. Adesso voglio provare".La ragazza andò in bagno, si spogliò e si mise nella doccia. Io le dissi:"Però, lo facciamo in due momenti separati. Prima ti accovacci e ti piscio sulla faccia; poi pisci tu, in piedi a gambe larghe".Luisella si accovacciò, con gli occhi socchiusi e la bocca un poco aperta, passandosi la lingua sulle labbra. Io le puntai l’uccello fra gli occhi e lasciai andare il getto.Lei lo prese bene, anche quando calai sulla sua bocca. Un buon esordio. Le feci i complimenti.Poi si alzò in piedi, con le cosce bene spalancate, e piano piano mollò la sua pisciata, mentre io con le dita le divaricavo la fica al massimo. La pipì venne giù larga, molle, colando anche per le gambe. Mi ci sciacquai le mani, e alla fine, per dare soddisfazione a Luisella, mi misi sotto di lei, a prendere in faccia le ultime gocce.Restava il tempo per fare una doccia veloce a andare a prendere il treno. Si era alzato il vento e minacciava un temporale.Seconda parte della settima giornataSalii sul treno un buon quarto d’ora prima della partenza, ma i vagoni erano già affollati. Trovai un posto in uno scompartimento da otto, di quelli che le Ferrovie, divenute ormai da tempo un’azienda privata, avevano rimesso in servizio per risparmiare. Accanto a me, c’erano due anziani signori e poi una donna; di fronte, tre ragazze e una suora.La popolazione dei treni a breve e medio percorso aveva ormai una sua precisa configurazione: in maggioranza, giovani che non avevano ancora la patente e anziani che non guidavano più. Tutti gli altri giravano in automobile, convinti di essere più liberi e moderni: giravano come trottole, spinti dalla propaganda del regime che aveva bisogno di vendere sempre più macchine, come se lo spazio di questo povero piccolo pianeta fosse infinito.Gli anziani e la suora stavano in silenzio, leggendo o fingendo di leggere giornali e riviste. Ma le tre ragazze chiacchieravano vivacemente fra loro. Socchiusi gli occhi, mi rilassai ascoltandole. Parlavano di una gita in bicicletta che doveva risalire a uno o due giorni prima."Io dico che abbiamo fatto più di cento chilometri.Sono trentacinque solo fino al paese grande, vuoi che non siano altri quindici di lì alla baracca? E quindi, fra andata e ritorno…""Ma dài, ti sembra, perché la strada era tutta sassi e si andava piano"."Una faticaccia, comunque. Sono arrivata marcia di sudore"."Però i ragazzi erano più stanchi di noi. Non facevano che lamentarsi, quei debosciati"."Volevano fermarsi prima, nei prati!""Ma già, nei prati, di giorno, con tutta la gente che c’era, non gli conveniva neanche a loro"."Sì, hanno fatto un bello sforzo per arrivare alla baracca"."Ma abbiamo attraversato posti bellissimi. Lì sì che l’aria è buona. E quando abbiamo trovato le caprette?""Sì, quello scemo del tuo amico voleva fregarne una per farla arrosto"."Anche gli altri l’hanno detto. Ma non sarebbero capaci neanche di ammazzare una gallina. I ragazzi vogliono sempre fare gli scemi. Io le galline le so ammazzare"."Tu?""Certo. Quando vado in campagna da mia nonna. Lei dice che una ragazza deve imparare a fare quello e altro"."Che tipa di nonnina!""Oh, a me piace mia nonna, molto più di mia madre. Mia madre dice dice, ma poi… Non mi lascerebbe fare mai niente. La nonna invece non è bigotta. Una volta che sono arrivata in cascina con un ragazzo, l’ha fatto apposta a lasciarci soli, pensa, siamo andati tranquilli in camera da letto, e poi la nonna non ha detto niente alla mamma"."Buono, per una della sua età. E con chi hai fatto l’amore in cascina"."Ah, non lo conoscete. Uno della parrocchia, un animatore del catechismo"."Buoni quelli…""Ragazzi come gli altri…""Era un po’ imbranato, mi è rimasto il dubbio di averlo sverginato io. Non era male, ma poi l’ho mollato presto"."E come fai ad ammazzare una gallina? Le tiri il collo?""Ma no, non è così che si fa. Mi metto un grembiule brutto e prendo la gallina, sì, con una mano la prendo per il collo e con il gomito dello stesso braccio la tengo ferma contro il mio corpo"."Ci riesci?""È un pollo, mica un rinoceronte. Nell’altra mano tengo un paio di forbici aguzze…""Dio mio!""Non svenire, che tanto il pollo però lo mangi. Con la punta delle forbici le apro il becco, le caccio in gola le lame e taglio tutto quello che posso, più in dentro che posso"."Che schifo. E poi?""Poi basta, la appendo per le zampe a un chiodo, quella si agita ancora un po’ e muore dissanguata. È il modo migliore perché non resti il sangue dentro. Mia nonna mi ha insegnato così. Non so altri metodi"."So che c’è chi le taglia la testa con la scure"."Non so. Ragazze, parliamo d’altro?""Sarà meglio".Rimasero in silenzio qualche istante. Quella che sapeva uccidere le galline era la più carina e anche la più elegante, gonna rossa e scarpette col tacco; le altre due, più pacioccone, erano in pantaloni e scarpe da ginnastica. Forse fu proprio il mio sguardo, diretto appunto sull’unico paio di cosce scoperte del terzetto, a suggerire a una delle altre due l’attacco di un nuovo discorso:"Ti sei vestita figa, oggi!""Va be’, perché no? Un conto è andare in bici o in cascina, e un conto è stare in città. Questa gonna l’ho comprata ieri, pensa che l’ho pagata solo diecimila lire, al mercato"."Quasi regalata. Al mercato si trovano occasioni"."Sì. A proposito di regali, quegli stronzi dei nostri ragazzi, non è mai che gli venga in mente di regalarci qualcosa"."Non hanno una lira, neanche loro"."Ma va, che qualche soldo ce l’hanno. Piuttosto, non ci pensano; e poi non sanno trovare le cose. La minigonna che noi troviamo sul mercato a diecimila lire, loro la comprerebbero in negozio a cinquantamila. Non ci sanno fare"."Ma almeno un pensiero ogni tanto…""A me il mio ha portato un mazzo di fiori domenica scorsa"."È già qualcosa. Se no, pensano solo a quello…""Sì, pensano solo a quello. Ci pensano tanto, ma quando poi è il momento di farlo, non è nemmeno che siano dei campioni. Su alla baracca erano… stanchi!"Ridacchiarono tutte e tre, e quella con la gonna disse:"Il mio faceva lo schizzinoso, lui. E che in quella baracca non c’era l’acqua, e che non ci si poteva lavare, e che il pagliericcio era umido… E che palle! A me, mi eccitava essere lì tutti sudati, dopo la pedalata, altro che lavarsi. Che damerini che sono, certi ragazzi"."Beh, tu un po’ maialotta sei, fra cascine e galline!""Sei stronzetta, eh? A te piace l’uomo che puzza di bagnoschiuma, magari. A me no. L’odore della pelle è importante, annusare conta come vedere e toccare. Poi anche tu non ti sei mica tirata indietro. Non eri ancora scesa dalla bicicletta che stavi già limonando, mica sarai stata meno sudata di me!""Va là, eravamo sudate tutte, e dopo eravamo più sudate ancora"."Sì, ma c’è stato da sudare anche a risvegliarglielo, a quei tre gnocchi. A parole spaccano tutto, e poi…""Ma voi siete innamorate?" – chiese una delle due in pantaloni. Le altre alzarono le spalle quasi con lo stesso gesto. La più elegante accavallò le gambe e disse:"Io no. Sono stata innamorata lo scorso inverno, di uno. Ma me l’ha soffiato una gagnetta stronza"."Libera concorrenza, cara mia"."Ah sì, certo. Ma ho fatto di tutto per cuccarlo. Una sera che eravamo tutti in pizzeria e lui dopo se ne doveva andare con quella, le ho messo nel bicchiere cento gocce di purgante. La stronzetta ha passato la notte al cesso, ma non mi è servito lo stesso"."Però, sei una bella carognetta anche tu. Starò attenta a che cosa bevo, se mai succede che devo farti concorrenza su un ragazzo. Neanch’io comunque sono innamorata adesso".La terza ragazza aggiunse:"E nemmeno io. Allora quei tre che ci siamo portate dietro in bici non sono i nostri principi azzurri, eh?""Il mio certamente no"."Chissà se loro sono innamorati di noi. Magari gli spezziamo il cuore, poverini…""Ma che poverini del cazzo. Quelli adesso sono al bar che raccontano agli amici che hanno trovato tre oche e le hanno messe a zampette all’aria"."Sì, è molto probabile. Io se trovo un ganzo migliore già stasera me lo faccio"."Anch’io"."Anch’io"."Però il giro in bici è stato bello. Potremmo farne uno anche da sole, noi tre, la prossima volta"."Tre povere fanciulle sole contro i pericoli della strada?""Ma che pericoli d’Egitto. Magari è proprio per strada che troviamo qualche buon pericolo, e che non sia così moscio. Perché alla fine quei tre sono mosci e non sono nemmeno dolci. Il mio ha impiegato mezz’ora a farselo venire mezzo duro, senza neppure darmi una carezza, poi ha finito in un minuto e s’è pure incazzato con me"."Zitta, dài, che c’è gente che ascolta"."Sai che me ne frega"."Uno moscio e stronzo lo puoi sopportare solo se sei innamorata cotta. E poi forse nemmeno"."Andiamo, siamo arrivate".Le tre ragazze scesero. Presumibilmente erano studentesse pendolari. Mi era piaciuto ascoltare i loro discorsi, anche se erano sempre gli stessi, uguali a quelli di milioni di altre ragazze di tutti i paesi e di tutti i secoli, salvo minime varianti di lingua e di costume. Ma proprio questa identità mi affascinava.Allontanandosi dalla città, il treno si vuotava stazione dopo stazione. Mi assopii leggermente, restando però vigile quel tanto che bastava a non rischiare di superare la mia destinazione. Benché, come sempre, un poco desiderassi dirottarmi altrove, lasciare Malvina delusa e cercare del nuovo da un’altra parte. Ma non l’avrei fatto.Arrivammo puntuali nella città di Malvina. Mi informai dell’indirizzo: non era lontano. Potevo indugiare nella piazza della stazione. Un tossico mi chiese soldi, gli diedi qualcosa. La sera era fresca. Il temporale che era nell’aria quand’ero partito, doveva essersi scaricato altrove, lasciando un vento pungente. Le foglie dei platani stormivano forte, a onde. Non sapevo se avevo voglia o no di chiacchierare con Malvina. Forse avrei preferito passeggiare da solo. Ma ormai ero lì.Sotto il porticato una prostitutella giovanissima, vedendomi ciondolare nel suo raggio d’azione, mi abbordò:"Andiamo?"Senza pensarci, la seguii in una soffitta, uno stanzone diviso in due da un lenzuolo appeso a un filo tirato da parete a parete. Al di qua del lenzuolo, su un pagliericcio, una negretta nuda aveva fra le gambe un cliente grassoccio che ansimava. La mia ragazza disse:"Non guardare, vieni di là".Superammo il velo divisorio, oltre il quale c’era un altro pagliericcio. Lei si sedette, io le diedi cinquantamila lire, lei si tolse in un attimo maglia gonna e slip, io mi abbassai i pantaloni e, restando in piedi, glielo misi in bocca, lei lo succhiò, io le sborrai in faccia, lei si lavò e rivestì, io mi lavai, scendemmo.Pochi minuti dopo ero sul luogo dell’appuntamento con Malvina. Non dovetti attendere molto. La riconobbi e le andai incontro. Era cambiata, ma non troppo. Non era mai stata una donna bellissima. Mi strinse la mano:"Ciao. Mi fa piacere rivederti. Sei arrivato… Quasi non ci credevo"."Perché? Anche a me fa piacere rivederti".Entrammo in un bar a prendere l’aperitivo e ci raccontammo qualcosa delle nostre vite. Lei aveva il lavoro di cui già mi aveva detto, e viveva da sola, ed era abbastanza contenta. Le piaceva sempre scrivere, leggere e pensare. Io le spiegai che non avevo un lavoro fisso e nemmeno una donna fissa, ma mi arrangiavo."Non ti senti sola, qui? Avevi tutti gli amici in città…""Di solito non mi sento sola. Ho qualche conoscenza. E poi sto discretamente bene con me stessa. E posso scrivere ai vecchi amici come te, che magari mi vengono a trovare, come hai fatto tu"."Non saranno tanti quelli che ti vengono a trovare. Non sono tanti quelli come me. Ti trovo bene, però"."Gli anni passano. Ma sto bene, te l’ho detto. Anche tu non sei cambiato. Scommetto che sei sempre il solito puttaniere"."Oh, se tu sapessi quanto tempo è che non vado più a puttane!" – le dissi, divertendomi a pensare che quel tempo era mezz’ora scarsa, ma se fosse stato mezzo secolo era uguale, che importava? La guardai: aveva qualche capello grigio nella capigliatura nera, ma era fresca, e gli occhi le brillavano ancora. Non sapevo quanto avremmo potuto comunicarci in quella sera, comunque proposi:"Facciamo due passi e poi andiamo da te?"Terza parte della settima giornataMalvina mi fece entrare nel suo piccolo appartamento.Avevamo fatto una passeggiata e mangiato una bistecca in un bar di quelli che preparano anche qualche piatto al volo.Lei si sedette su una poltrona, io sul divano. Questo creava già una certa distanza, inusuale per me con una donna. Se si fosse seduta sul divano, mi sarei messo accanto a lei, contro il suo corpo, come facevo normalmente. Ma invece si mise sulla poltrona, e io dovetti adattarmi al divano, che rispetto alla poltrona era girato ad angolo quasi retto.Non che Malvina mi interessasse particolarmente. Ma mi è difficile concepire un rapporto con una donna che escluda il corpo. Lo trovo innaturale, a meno che la donna sia mia parente o una bambina o una vecchia o un cesso. Malvina non rientrava in nessuna delle quattro categorie, pur non essendo troppo bella; e dunque stare sul divano, staccato da lei, mi infastidiva. Pensai che non avremmo potuto dirci niente di vero, niente di profondo, niente di interessante.Lei però aveva invece molta voglia di raccontare, e cominciò:"Veramente, quando ho deciso di venire ad abitare qui, ero molto depressa. È per quello che ho voluto cambiare città. Credevo di avere trovato un grande amore, e invece…""Lui ti ha piantata?""Non proprio. Ma ho scoperto che aveva un’altra donna, poi un’altra ancora, e forse di più. Glielo ho detto. Lui si è arrabbiato con me, ha detto che se aveva altre donne erano fatti suoi, che io non potevo legarlo, che nessuna donna poteva legarlo. Mi ha anche detto che dovevo prendere il buono che mi dava quando era con me, e non pensare a che cosa faceva quando non era con me".Il discorso dell’uomo, riferito da Malvina, mi parve ragionevolissimo. Anch’io avevo detto cose simili a molte donne. Ma capii al volo che non era il caso di farne cenno: appariva evidente che Malvina la pensava in modo diverso.Continuai quindi ad ascoltarla in silenzio."Tu pensa. Io ero innamorata di lui, mi affascinava. Ma aveva altre donne e non si preoccupava nemmeno di nasconderlo. Riteneva che fosse un suo diritto. E invitava anche me ad avere altri uomini, perché tanto lui non era geloso.Io mi arrabbiavo, mi sentivo ferita, soffrivo. Gli ho detto che allora non aveva senso stare insieme, se ognuno si faceva i fatti suoi".Malvina stava enunciando con chiarezza il punto di vista della femmina possessiva e gelosa: proprio il discorso che io odiavo di più, in una donna. Non sapevo se replicare esprimendo le mie idee, e quindi probabilissimamente litigare, oppure stare ancora zitto. Lei continuò:"Non so come si possa pretendere di tenere una donna e di fare contemporaneamente tutti i cazzi propri. E per di più, mandarmi fra le braccia di altri, come una puttana. Io non sono una puttana. A me basta amare un uomo che mi ami".A quel punto, ero proprio infastidito. Ero pentito di essere venuto a trovare Malvina. La vecchia amica aveva preso la sua strada, e che cosa le restava da spartire con me? Che cosa potevo obiettare io alle sue idee liberticide? Che cosa voleva da me? Eppure, mi aveva scritto, mi aveva invitato… Possibile che non sapesse come la pensavo? Eravamo stati abbastanza vicini, in passato, per un tempo non brevissimo; avrebbe dovuto capirlo. Possibile? O sperava che io fossi cambiato, che io non fossi più io? O era per il gusto della provocazione? O non aveva proprio nessun altro con cui sfogarsi? O voleva sfogarsi con tutti? Chissà.Di fatto, io non avevo tanta voglia di discutere con lei. L’esperienza mi aveva già insegnato che cercare di spiegare i pregi e le gioie dell’amore in libertà a una donna possessiva e gelosa era come sforzarsi di far capire la Divina Commedia a un manager americano: impresa assurda e anche stupida. Dissi a Malvina:"Senti, io la penso diversamente. Se ti sei innamorata di un uomo e non accetti il suo stile di vita, non c’è soluzione. Cioè: o sei innamorata abbastanza da adattarti, e magari da provare a vedere se non ha per caso un poco di ragione anche lui, oppure no. Se sì, stai con lui, se no, te ne vai. Ma è inutile che ti lagni".Malvina replicò seccamente:"E perché mi dovrei adattare solo io? Lui non dovrebbe pure adattarsi a me, se mi ama?""Allora ne fai una questione di potere, vuoi fare la lotta a chi domina di più. Ma se uno sta con te, scusa, vuol dire che già si è adattato abbastanza. Sicuramente passa con te più tempo, condivide con te la casa, le piccole cose quotidiane che con le altre non condivide… Ti pare poco? Non puoi pretendere che non si innamori più di nessun’altra.Sarebbe contro natura. E anche tu ti violenti, se credi di non innamorarti più di altri solo perché stai con lui".Malvina alzò la voce:"Comodo, il ragionamento maschile. Io gli spazzo la casa e gli preparo la cena e sono lì pronta a fare l’amore con lui tutte le sere, e lui gira tutte le puttane che vuole, e a me lascia le briciole"."Ma non è così, Malvina, accidenti. La casa la spazzi se ne hai voglia, e la cena la prepari se hai fame. Non credo proprio che l’uomo ti possa costringere a farlo. Piuttosto sei tu che fai le cose e poi le rinfacci. È un modo di imprigionare, quello, non certo di amare"."Sì, tu difendi gli uomini come te, gli egoisti…""Egoisti un cazzo, stronza. Tu sei di quelle che chiamano egoismo la libertà, perché non hanno abbastanza cuore e anima da apprezzarla. Io ho amato donne molto più di quanto sai amare tu, e non ho mai obbligato nessuna a nulla. Quella che sta con me prepara la cena se vuole, e se no la preparo io, o ci si mangia un panino che è lo stesso"."Figuriamoci. Tu non conosci i sentimenti…""No, sei tu che non conosci i sentimenti: per te il sentimento è solo una robusta corda che tiene prigioniero il tuo uomo cagnolino. Beh, si vede che ti sei innamorata di uno che non è un cagnolino. E allora stai da sola, piuttosto. Io che ci posso fare? Che cosa sono venuto a fare qui da te? A litigare? Potevo starmene a casa!"Ecco, era successo proprio quello che avrei voluto evitare: l’inutile discussione, la Divina Commedia spiegata allo yankee. Che noia. Mi alzai e feci per uscire. Malvina disse:"Ora che fai, te ne vai?""Non ho voglia di passare una notte a litigare"."E lasciamo perdere. Siamo stati buoni amici, no?""Sì, ma adesso tu hai solo voglia di provocarmi"."No, volevo sfogarmi, cosa credi, che ci sia stata bene, che mi sia andato tutto liscio? È stata una pugnalata, per me, perdere quell’uomo"."Ma l’hai voluto, proprio voluto perdere. Da quel che mi dici, è evidente che sei stata tu a mollarlo"."Non potevo sopportare quelle umiliazioni"."Umiliazioni? Sarebbero le altre con cui faceva l’amore, le umiliazioni?""Certo. E il suo modo di imporlo".Alzai le spalle e sospirai. Sempre in piedi accanto alla porta, dissi:"Le donne come te sono strane; e purtroppo sono tante.Vi odiate una con l’altra, non amate la vita, non amate l’amore. Volete solo avere, possedere. Volete monopolizzare un uomo, vietarlo alle altre, fargli intorno un cerchio di filo spinato. E per quale motivo, poi, non lo capirò mai.Solo per soffrire e far soffrire, si direbbe. Infatti, quale uomo può essere felice in quelle condizioni? Solo un uomo che ha smesso di esistere, un decerebrato, un vegetale: lo mettete sul davanzale, come i gerani, e sta lì, tutto per voi. Che stronzata, mio Dio, che stronzata. Ma come fate a essere così stronze?""Stronzo sarai tu, non capisci niente"."Ecco, se non capisco niente, ciao".Malvina fece per trattenermi, capii che di lì a poco si sarebbe anche messa a piangere; allora uscii, scesi le scale di corsa e mi allontanai. L’aria buona della strada attenuò subito il mio malumore. Tornai verso la stazione. Sotto il porticato c’era ancora la ragazzina che mi aveva fatto un pompino prima, le dissi:"Ma quanto lavori!""Cazzi miei, ho bisogno di soldi. Tu vuoi un bis?""Ho bisogno di un posto per dormire fino a domani mattina"."Ci stanno gli alberghi"."Gli alberghi costano un capitale e non mi piacciono.Tu non sai qualche altra soluzione?""Stai a dire che vuoi dormire con me, insomma?""Se magari è possibile, perché no?""Guarda che si dormirebbe sempre su quel pagliericcio che hai visto, non è di lusso, eh? Non ho un altro posto, in questo periodo è lì che dormo e lavoro, tutto lì"."Mi sta bene"."Comunque fa trecentomila, perché se io vengo su a dormire con te, per stasera ho finito di rimorchiare, e ci rimetto"."Trecentomila… È come un albergo di lusso"."Allora vai nell’albergo di lusso, che cazzo posso dirti?""Ma il bis è compreso nel prezzo?""È compreso tutto quel che vuoi, tanto non ho sonno"."E va bene. Trecentomila, e andiamo a passare la notte insieme sul tuo grazioso lettino"."Sì, grazioso lettino. Ah, dall’altra parte del divisorio ci sarà traffico ancora per un bel po’, la mia collega lavora fino a tardi, è inteso"."È inteso. Tanto, non passa nemmeno dalla nostra parte, no?""No, questa settimana sono di turno io dal lato lontano dalla porta, vedi che ti va bene. Saliamo su, allora?""Andiamo".La soffitta era calda e umida, c’era un odore intenso di muffa, di chiuso, di piscio. La ragazza, piccola, graziosa, coi capelli bruni lisci spartiti sulla fronte, gli occhi furbi e il nasino all’insù, prese le mie trecentomila lire e si buttò sul pagliericcio vestita dicendo:"Dato che abbiamo tutta la notte davanti, adesso lasciami riposare un po’. È da stamattina che prendo cazzi, oggi ho perso il conto"."Scommetto che la dài anche a trentamila, è vero?""Io cerco sempre di tirare almeno a cinquanta. Ma certe volte non si trova proprio il tipo, e allora anche trenta è meglio che niente"."Non mi sembri una tossica. Com’è che ti sbatti così tanto?""Non sono una tossica, adesso no, mi facevo fino a due anni fa, poi ho smesso. Sono stata otto mesi in comunità, dopo sono venuta via, anche se non volevano lasciarmi, dicevano che era troppo presto e che ci sarei ricascata in pochi giorni. Invece non ci sono ricascata più. Prima battevo per comprare la roba e non avanzavo mai una lira. Adesso batto per avere i soldi per un mio progetto"."Però, sei tosta. Ma quanti anni hai?""Ne ho venti compiuti. Lo so che ne dimostro di meno, quella è una fortuna per me, gli uomini credono di farsi la quindicenne"."E qual è il tuo progetto?""Voglio comprare un teatro abbandonato che c’è qui in periferia, rimetterlo a posto e gestirlo. Ho sempre avuto la passione del teatro"."Ma ci vorrà un miliardo solo per cominciare!""Hai indovinato. Ma siamo tre amiche nel progetto"."Le altre due fanno lo stesso tuo lavoro?""Esatto. Oh, guarda che io, fra un trentamila e un centomila, da mattina a sera, se non prendo un milione ci vado vicina. Sì, venticinque milioni al mese li faccio, e li metto in banca. Le altre sono al mio stesso livello, e così in tre fa settantacinque milioni al mese che moltiplicato dodici fa novecento milioni in un anno, e praticamente con gli interessi il miliardo c’è già, per cominciare, visto?""Sei brava. Ma un posto migliore per lavorare non l’hai trovato?""Qui costa poco e poi è un buon posto, a parte le apparenze, perché dà direttamente sul porticato in piazza della stazione. Qui i clienti non mancano. Un minialloggio pulito e carino, ma in periferia, non mi servirebbe. Io non metto annunci sui giornali, i clienti li voglio agganciare in strada, che se uno mi puzza non lo filo. Con l’annuncio, ti arriva in casa chiunque. Una che conoscevo è finita squartata da un maniaco, in quel modo lì. Hanno trovato le budella sparpagliate per tutta la camera".Mi coricai accanto all’aspirante donna di teatro. Il pagliericcio era abbastanza largo, poco meno di una piazza e mezza. Mi girai su un fianco, presi in braccio la ragazza e la coccolai affettuosamente, annusandole i capelli e carezzandole le mammelle. Mi accorsi che si stava addormentando, e mi piacque sentirla addormentare. Poi fui preso anch’io da un sopore intenso e dolce, e caddi piano piano nel sonno, e sognai sogni strani e colorati.Sogno fra la settima e l’ottava giornataDal pagliericcio umido con l’odore di lei si apre una foresta. Ampia foresta con piste o strade di terra battuta o macadàm che dividono settori di selva folta. In alternanza, praterie, riquadri di praterie comunque immense benché racchiuse nello spazio di un isolato di città. Certamente la terra è sconosciuta, forse un altro pianeta. La vegetazione ha forme mai viste prima. Non ci sono animali, per il momento. Qualcuno mi istruisce, mi spiega:"Questa è la regione selvaggia. Anche se noi abbiamo armi e loro no, occorre fare grandissima attenzione".Si muove sulla strada una ragazza nuda con un lungo corno diritto sulla testa, simile al dente di un narvalo. Se non fosse per quel corno aguzzo, sarebbe una ragazza terrestre normale, razza mitteleuropea, bionda oro. Anzi no, c’è un’altra differenza ed è nella sua nudità, che è la nudità animale di chi non ha mai portato vesti.Sbuca dalla foresta e le si para davanti una sua simile, diversa solo al colore dei capelli e della carnagione, più scura. Le due ragazze sono bellissime e si guardano bellicosamente. Il mio istruttore mi dice:"Ora assisterai a un duello fra due selvagge"."Perché si combattono?""Forse per un maschio, forse solo perché hanno i capelli diversi. Nessuno comprende a fondo i comportamenti delle selvagge".La bruna attacca, china il capo per colpire col corno la gola dell’altra che però si scansa, e l’attaccante finisce a terra ma subito si rialza, prima che la bionda, torcendosi, possa ferirla. La bruna sferra un calcio fra le cosce della bionda che cade sulla schiena, sembra fatta, la bruna si butta a testa in giù per trafiggerla, ma la bionda con un guizzo evita il corno che si conficca nel suolo un attimo ma subito se ne svelle.Ora le due si afferrano, si stringono con le braccia e con le unghie, i corni incrociati sopra le teste cozzano. La bruna è più muscolosa, sembra soffocare l’altra che va al suolo. Ma da un intreccio di gambe viene il colpo decisivo: la bruna intrappolata cade sulla bionda che punta fulminea il corno. Il lungo dente penetra fra le costole, sotto il seno, ed esce dalla schiena. La bruna urla e poi rantola morendo, ma anche la bionda è momentaneamente bloccata, estrarre il corno dal corpo dell’altra non è facile.Di questa situazione approfitta un nanerottolo, una specie di brutto folletto che certamente aspettava già da prima, nascosto nell’erba, l’attimo favorevole.L’omiciattolo, nudo, alto non più di due spanne, è armato di una piccola lancia, all’incirca uno spillone. Trafigge e ritrafigge il collo della bionda immobilizzata, sa bene dove deve infilzare, pochi colpi e la bionda è in agonia.I corpi delle ragazze si mescolano in un lago di sangue, hanno ancora guizzi e deboli sussulti, poi restano immobili. Guardo le due unicorne morte, non vedo più il nanerottolo che è fuggito. Il mio istruttore dice:"Accade spesso così. I nanetti aspettano che una delle due soccomba, quindi uccidono la vincitrice di sorpresa"."Che utile ne hanno?""Nessuno, che io sappia"."Ma gli animali non uccidono senza ragione"."Io ho detto solo che questa è una regione selvaggia; non ho mai detto di animali. Penso che tanto le ragazze col corno quanto i nanerottoli siano piuttosto esseri umani che animali, anche se non ho mai sentito che parlino".Mi sveglio confusamente. Una ciocca di capelli della mia ragazza mi è finita in bocca. Tra sonno e veglia, le metto una mano fra le gambe e le abbasso le mutandine. Mi pare che lei dica:"Adesso ne hai voglia? Prendi il preservativo sulla sedia".Invece le metto tre o quattro dita nella fica, mi riaddormento mentre lei forse mormora:"Ah, se preferisci col dito, fai col dito, non graffiarmi però, fai piano…"Ora sono in un piano alto di un grattacielo al centro di una grande città, l’ascensore si affaccia direttamente in salotto, lo vedo dalla porta aperta della camera da letto dove mi trovo, seminuda sul lettone su una trapunta rosa lucida. Sono una bella mulatta e penso:"Dev’essere successo quello che desideravo, mi sono reincarnato in una puttana. Ma quand’è che sono morto? Non devo essermene reso conto. Comunque non è male questo nuovo corpo. Però l’ambiente non mi piace, troppo lusso, e poi ho paura di essere capitato in America. Avrei preferito un bordello in India. Beh, fa lo stesso, l’essenziale è che finalmente sono una bella mulatta puttana, dall’ascensore arriva il primo cliente".Un grosso uomo mette cento dollari sul comodino, allora siamo proprio in America (anche in India sarebbero stati forse dollari, ma di sicuro non cento, magari uno o due o anche solo cinquanta centesimi), io ho reggiseno e mutandine e reggicalze e calze con la riga dietro e scarpette coi tacchi a spillo, mai usate per camminare, le metto solo a letto, come conviene a una puttana mulatta di medio cabotaggio: quei tacchi sono sempre puntati in su. Tacchi in su, tacchi in su è la posizione della perfetta puttana, lo diceva già mia madre, mi accorgo che lo so, si vede che mi sono reincarnato in una figlia d’arte.L’uomo mi bacia, io ho le labbra grosse e ci so fare con la lingua, gli lecco i capezzoli, lui mi toglie le mutande e mi scopa di brutto, e allora mi sveglio, perché anche i sogni hanno un certo limite, cioè la mente nel sonno non può figurare quello che non è mai stato comunque conosciuto, insomma come faccio a sapere come si sta con un cazzo nella fica, per sognarlo? Io non ce l’ho la fica.Sì, mi sveglio e ho ancora le mani fra le cosce della ragazza, mezzo intronato la giro e le dico:"Leccami i capezzoli"."Ti piace lì? Va bene".La prostitutella mi lecca i capezzoli, non è tanto brava, ci biascica su, e così la rimprovero:"Ma non in quel modo, cazzo! Devi saettare fuori la lingua e rotearla intorno, senza quasi toccarmi con le labbra…""Oh, sei pretenzioso"."Devi imparare, ti conviene imparare, per il tuo mestiere. A tutti gli uomini piace sentire la lingua della donna sui capezzoli, eppure ci sono tante ragazzine che non lo sanno, e a quanto pare non lo sanno neanche le puttane: è deplorevole. Ma non l’hai visto nemmeno al cinema?""Al cinema?""Ma sì: in qualsiasi film erotico ben fatto, le donne leccano così i capezzoli agli uomini. E poi, buttar fuori la lingua senza farle toccare le labbra, tenendola sospesa a metà della bocca aperta, più sporgente che puoi, lanciata in avanti nell’aria, anche a vuoto è un gesto eccitante, anche solo da vedere. Voi ragazze snobbate i film a luci rosse, ma fate male. Dovreste istruirvi un po’ meglio. Tu poi che lo fai per professione!""Guarda che so benissimo sporgere la lingua per eccitare gli uomini, lo faccio tutti i giorni, specialmente sulla punta del cazzo. Ma adesso ero mezzo addormentata, no?""E allora dormi, che ho sonno anch’io"."Se continui a svegliarmi!""Dormi".Prendo io nelle mani le tettine di lei, e mi riaddormento presto. Ora mi trovo a letto con Roberta, il letto è all’aperto, in mezzo a una piazza, forse è la nostra piazza, dove abitavamo, ma non sono sicuro. Roberta, nuda, mi sta facendo un pompino, e intorno c’è pieno di gente che guarda, soprattutto uomini, ma anche donne e bambini. Roberta mi dice:"Su, mettici più impegno, leccami la passera. Il municipio ha autorizzato lo spettacolo erotico all’aperto, per il diletto e l’istruzione delle masse, e noi siamo i primi a interpretarlo in questa città. Il pubblico è esigente, ci sono anche i critici che faranno le recensioni sui giornali.Leccami la passera, poi infilami dentro il braccio, poi scopami".Io mi ci metto con tutta la buona volontà, ma sono un poco imbarazzato, m’ingarbuglio, non scivolo bene come al solito fra le membra di Roberta, la urto, ci sgomito. Lei un po’ s’incazza e un po’ m’incoraggia, adesso bene o male la scopo, io sopra lei sotto, poi a rovescio, poi di fianco, poi la inculo.Mi sembra che il pubblico applauda. Roberta si sporge con le cosce fuori dal letto e piscia a gambe larghe; e anch’io mi alzo in piedi sul letto e piscio in direzione della gente. Ma la gente si avvicina e ci incalza, e tutti vogliono pisciare addosso a noi. Gli uomini si sbottonano i pantaloni, le donne alzano le gonne, tutti addosso a noi. È come un temporale, come un acquazzone; Roberta però sembra a suo agio, la pipì le zampilla sul corpo da cento cazzi e lei ride e si rotola e si apre la fica con le dita."Va tutto bene, è un grande spettacolo" – dice Roberta, ma ecco che fra la gente compare una ragazza nuda con il lungo corno di narvalo in testa, una simile alle due che si sono ammazzate, una che deve avere sbagliato sogno. Grido a Roberta di stare attenta, ma è tardi, è un attimo: l’unicorna si è già tuffata, il dente acuminato squarcia il ventre di Roberta sotto l’ombelico. Un poliziotto si fa largo, estrae la pistola d’ordinanza, grida:"Fermi tutti, polizia!"E comincia a sparare. Una pallottola fulmina, facendole scoppiare il cranio, la ragazza nuda che stava cercando di estrarre il suo corno dal corpo trafitto di Roberta, un’altra pallottola fa un buco in mezzo agli occhi di una donna che era salita sul letto per pisciarmi in faccia.Mi sveglio un pochino agitato, stringendo convulsamente la ragazza sul pagliericcio, che dice:"Va bene che mi hai dato trecentomila, ma stanotte mi sa che mi riposo poco"."No, ho solo fatto un brutto sogno"."Senti, se vuoi sfogarti, tanto vale farlo bene una volta, e poi provare a dormire davvero, no?""Forse hai ragione".La ragazzina sorride, limpida, e mi fa passare lo sgomento del sogno, sussurrando:"Su, rilàssati. Vuoi mettermelo nel culo? Ho i preservativi speciali super-lubrificati e rinforzati…"Non ho tanta voglia di sodomizzarla e rispondo con voce più tranquilla:"No, nel culo no. Facciamo piuttosto un sessantanove"."Come vuoi. Io a succhiartelo non ho problemi, ma se vuoi il sessantanove completo, bisogna che vada a lavarmela.Ieri sera mi sono buttata sul letto così com’ero… Già te ne sarai accorto!""Puzzi solo un po’ di preservativo e di piscio, niente di male. E poi dove vai a lavarti?""Il bagno c’è, cosa credi? Solo che ci si arriva da fuori, bisogna uscire sul ballatoio"."E allora lascia perdere, non mi dà fastidio la tua passeretta così com’è"."Contento tu… Beh, sana è sana, lì si entra solo col preservativo"."Devo mettermi il preservativo alla lingua?""Scemo… Intendevo se entri col cazzo…""E l’ho capito, zoccolina bella, scherzavo, no?"Ci mettiamo a incastro incrociato, insomma a sessantanove, e mentre lei mi spompina (lavorando bene con la punta della lingua, come aveva detto prima), io le bacio e risucchio la fessura. Sono bravino in quel mestiere, e infatti, dopo qualche minuto, la ragazza, puttana o non puttana, comincia a sbrodolare, e mi ci lavo la faccia. Sono contento perché sono sicuro che gode anche lei, se pure forse non lo ammetterà. Le mordicchio il clitoride come se sgranassi una pannocchia di granoturco bollito. Mi piace abbastanza il granoturco bollito.E mi lascio andare placidamente all’orgasmo. Lei si riempie la bocca e poi sputa in un fazzolettino di carta che butta in un cestino già pieno di altri fazzolettini, cartacce e preservativi usati, dicendo:"Ehi, mica male. Adesso credo che dormiremo bene"."Lo credo anch’io"."Buonanotte, tesoro"."Buonanotte, amore mio".Prendo la piccola in grembo, la faccio rannicchiare in me, la sento contenta. Mi addormento, e sogno cose confuse ma belle, non figure ma sensazioni e colori, non parole ma musiche e suoni. Probabilmente nel sogno come nella realtà sono con lei, con la puttanella a cui non ho nemmeno chiesto il nome, ed è una grandiosa comunione, nella notte quieta sul pagliericcio umido, quell’ora di quel secolo di quel mondo: di sicuro Dio guarda e sorride. Sento vagamente, nel dormiveglia, che l’altra ragazza, di là dal lenzuolo divisorio, ha cominciato a russare, esauriti gli ultimi clienti della notte. E, dalla finestra, lievi suoni di vita stellare.
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