Me lo vidi davanti quando già non ci contavo più. Sarebbe stata una falla grave, senz’altro, per un qualsiasi killer professionista, lasciarsi sfuggire la vittima perchè si son fatti male i calcoli, e mentre tu l’aspetti sotto casa, lui è di sopra che dorme tranquillo, da due ore.Ma io non sono mai stato un professionista…La cosa mi era venuta in mente una mattina a letto, dopo una sbornia lunga e faticosa. Che divertente, pensavo imbambolato dal sonno, che divertente riflettere con il cervello torpido e le frasi pensate, le mie labbra secche e impastate, le sussurravano al cuscino. Che divertente riaprire in chiave drammatica un caso altrimenti già chiuso da un pezzo.Nessuno se lo immagina: chi potrebbe pensare che tu te ne vai in giro con una pistola in tasca, per far fuori uno che non si ricorda neanche più che sei al mondo?Mi rigiravo nel letto gustando punto per punto, ma qualcuno non era ancora chiaro, il progetto che era appena nato. Certo, sarebbe stato facile: si trattava, più che altro, di far coincidere alcuni essenziali termini di tempo; si trattava di operare nel modo più opportuno per far cadere qualsiasi lontana illazione su una mia presunta responsabilità nell’episodio.Mi rigiravo ancora nel letto un’ora dopo. Forse, ammetto, un sonno di una decina di minuti aveva saputo prevalere, ad un certo punto, sul mio riflessivo dormiveglia.Avevo deciso che l’arma l’avrei acquistata ricorrendo al mercato clandestino che, per certo materiale, in questa mia città è estremamente vivo ed operante. Avevo deciso inoltre che, forse, non ci sarebbe neppure stato bisogno che mi procurassi un alibi a prova di bomba. Non vedevo infatti come si sarebbe potuto risalire a me nel corso delle indagini che sarebbero scaturite dall’omicidio.Però non si sa mai, mi dissi, ripromettendomi di studiare, a mente serena e con le gambe fuori dal letto, un alibi decente da presentare in caso di poca fortuna.Stabilito che l’omicidio avrebbe avuto luogo di notte, e sotto l’abitazione della vittima, ero passato a compiacermi di quello che avrei potuto fare dopo. Non che l’omicidio mi avrebbe aperto porte fino a quel momento chiuse, questo no: semplicemente, eseguito quello, la mente libera dalle paure solite, avrei potuto dare libero corso a quella serie di azioni da tempo progettate dalla mia immaginazione, e prima mai affrontate per timori vari. Ma cosa avrei dovuto temere, dopo aver commesso un omicidio?Vedevo una larga strada bianca spalancarsi lunghissima davanti ai miei occhi e correre sul cuscino, diretto proseguimento delle mie pupille che sempre più si stavano aprendo alla nascente luce del nuovo giorno.Avevo stabilito che, trascorso qualche tempo dal fatto, avrei trovato il modo di introdurmi in “quella” casa, per ottenere ciò che da tanto tempo desideravo. Certo, non tutto mi si presentava chiarissimo in quella fumosa mattina, ma ero certo se non altro di avere finalmente gettato il seme che, da lì a qualche tempo, avrebbe fatto germogliare la pianta contorta della mia vendetta, e da questa il frutto del mio risarcimento.La sera stessa, soppesavo nella mano la presenza inquietante e metallica di una pistola automatica Smith & Wesson, acquistata per non molto presso gente di poche parole.Era bello osservarne le sfumature brunite, sempre più mobili e sconvolgenti nella luce fredda della lampada dello scrittoio; esaltante constatarne la manegevolezza e lo scatto, mettendo in azione i meccanismi, per me insoliti, di cui era dotata. Una pressione del pollice, e la levetta della sicura sbloccava il grilletto; un dolce scorrere della mano sulla parte superiore della canna, e l’otturatore scivolava come un treno sulla rotaia lucente e lubrificata; la pressione del palmo della mano sulla base del calcio metteva alla luce sei gemelli di piombo e ottone bene allineati; spingevo i sei gemelli nella loro incubatrice e un clik mi avvertiva del loro arrivo a destinazione. Una destinazione del tutto provvisoria.Per tutta la notte avevo giocato con il nuovo passatempo. Pensavo non fosse difficile colpire un bersaglio come quello che avevo in mente, da pochi passi, anzi a bruciapelo, in due o tre punti chiave della macchina vivente. Due pallottole nello stomaco, pensavo, e mentre cade altre due nella testa, forse negli occhi.Calcoli e congetture sulle sue abitudini non ne avevo fatti. Mi andava bene lo stesso, osservai, quando lo riconobbi nero sull’angolo della via appena svoltata.Avevo deciso di aspettarlo un po’ prima del portone, per via di certe luci che m’infastidivano. Pochi passi ancora; lo vidi rallentare stupito, forse diffidente, nel notare la mia figura appoggiata ad un muro sotto casa sua, quasi alle due di notte. Per rassicurarlo, accesi una sigaretta. Affrettò il passo e mi fu a cinque metri, a tre, a uno, fu per superarmi: ma lo chiamai per nome.Cercò i miei occhi sotto la tesa del cappello che indossavo, e ciò che vide non lo rassicurò: mi riconobbe.E’ assurdo. Uno progetta una cosa del genere, un omicidio, studia per ore le frasi che dovrà dire alla vittima prima di tirare il grilletto, e queste frasi hanno un’importanza tremenda perchè costituiscono la giustificazione davanti alla propria vittima di ciò che si sta per fare. E la vittima invece cosa fa? Prima che tu possa pronunciare una sola parola, fugge, ansimando per la paura, cerca affannosamente la chiave del portone nella tasca. E non si rende conto che con quel comportamento guasta tutta la mia preparazione dettagliata, mi toglie la possibilità di pronunciare non solo con il piombo, una sentenza.Pensai, in una frazione di secondo, che se ci fossimo incontrati in piazza, questa mattina, mi avrebbe dato la mano e avremmo discorso del più e del meno.Suggestione della notte, suggestione del buio.Lo raggiunsi sul portone che lui stava disperatamente tentando di aprire: permisi che lo aprisse.Sparai il primo colpo appena vidi lo spiraglio allargarsi sull’atrio ed il proiettile, fattosi strada attraverso il suo addome, fuoriuscì per perdersi nell’androne.Cadde in modo grottesco, gemendo e agitandosi come fosse preda di un attacco epilettico. Ancora tre spari, che stavolta risuonarono in tutto il loro fragore nell’androne, mi sfuggirono pietosi dalla pistola, per andare a disegnargli dei fiori rossi e densi sulla faccia. Mi allontanai correndo sulle punte, come quando ero ragazzo, mentre qualche voce già serpeggiava spaventata nella via.Sirene non ne udii, nemmeno dieci minuti dopo quando lo scatto della serratura di casa mia mi fece capire che ero stato fortunato; lessi sul giornale, la mattina dopo, che la polizia era intervenuta sul luogo dell’omicidio soltanto dopo venti minuti, chiamata da un anonimo.Nella stanza da letto, a sorpresa, trovai il mio alibi: Daniela aveva pensato bene di venire a trovarmi, e dormiva già da non so quanto nel mio letto. Tentai.Si svegliò al mio secondo scossone, gli occhi pieni di sonno. – Che ore sono? – chiese. – L’una, tesoro, – mentii.Mi infilai svelto nel letto, ed abbracciai il corpo magro e nudo del mio alibi. – Così tardi? – domandò.E’ andata, pensai, notando oltretutto che non portava l’orologio che le avevo regalato l’anno prima. – Non dirmi che è troppo tardi per fare l’amore. – brontolai.Mi abbracciò strettamente, e le mie mani iniziarono un lento percorso sinuoso, lisciando la schiena e le natiche nervose per poi risalire ai seni piccoli e duri.La mano di Daniela mi corse giù per il corpo fino ad impugnare saldamente il mio fratellino irrigidito. – Dammelo subito. – implorò. – No. Prima qualche giochino. – la contrariai. – Ma ne ho voglia! – insistette. – Dopo, sarà più bello. – confermai.Buttai all’aria coperte e lenzuola, e corsi con la bocca giù per il suo addome, finchè le mie labbra raggiunsero il cespuglio morbido di peli neri tra le cosce che si aprirono languide per fare spazio alla mia lingua invadente.Mi piaceva, da sempre, leccare il sesso morbido e succoso di Daniela; reagiva al cunnilinguo in modo spettacoloso. Dopo i primi rapidi tocchi della mia lingua sul suo vibrante clitoride, Daniela cominciava sempre ad ansimare in modo violento, in un crescendo esasperante, mentre i suoi fianchi iniziavano una danza estenuante. Mi sentivo le labbra, le guance, il mento, bagnati da rivoli del succo asprigno della sua vagina. Strinsi le mani sui suoi fianchi vorticosi, strinsi le natiche sudate, cominciai a far correre la lingua sempre più velocemente, in un continuo passaggio dalla cavità umida al guizzante clitoride ormai arrossato e scappucciato, finchè il grido finale di Daniela mi fece capire che il sacrificio era stato consumato.Le detti un ultimo colpetto di lingua, che la fece rabbrividire. – Basta! – esclamò allontanandomi. – Lo sai che dopo che sono venuta mi fai morire se me lo tocchi ancora. -Restammo qualche minuto distesi l’uno accanto all’altra; il mio pene cominciò a fare ginnastica, alzandosi ed abbassandosi a ritmo in un movimento buffo che divertiva sempre le mie donne. – Vedi… – le dissi, – ha voglia della tua cosina. -Daniela sorrise e si chinò a deporre un casto bacio sulla testa arrossata del ginnasta. Poi sentii la sua lingua lambire ed avvolgere il mio strumento, ed infine me lo sentii interamente catturato dalla sua vorace bocca.Decisi che era troppo, e avrebbe rischiato di guastarmi il resto del programma. Daniela capì e distolse la bocca. Mi venne sopra e, impugnandolo, se lo infilò nella vagina con un sospiro che voleva dire “finalmente”.Me lo sentivo interamente catturato dalla piccola grotta umida, calda e famelica. Daniela si agitava su di me con perizia, emettendo un mugolio crescente; appiccicò le sue labbra sulle mie e con la lingua imitò i movimenti che il mio pene andava facendo nella sua vagina.Afferrai le sue natiche con entrambe le mani, divaricandole e cercando con la punta delle dita quel punto, mio malgrado ancora vergine, che sapevo però tanto sensibile nella mia amica. Lo raggiunsi, e ne percepii l’umidore tiepido e la lieve peluria. Introdussi la punta dell’indice e Daniela mi testimoniò la sua approvazione agitando i fianchi in modo ancor più significativo.L’orgasmo la colse improvviso, nello stesso momento che il mio irriverente strumento scaricava dentro la sua vagina il succo irruento che da diversi minuti cercava già di farsi strada.Daniela si addormentò sopra di me; io ero d’altra parte troppo stanco per togliermela di dosso.Quando apprii gli occhi, la mattina, ricordai che la notte prima avevo fatto qualcosa che non avevo mai fatto in precedenza, e ne fui contento.Daniela continuava a dormire beata quando tornai in casa con i giornali appena acquistati.La notizia veniva data in un trafiletto nella cronaca cittadina, aggiunto evidentemente all’ultimo momento, visto che all’ora in cui il fatto era avvenuto, i giornali erano già in macchina. “Misterioso omicidio questa notte alle ore due dalle parti di piazzale Segrino. La polizia è intervenuta sul luogo del delitto soltanto dopo venti minuti, dietro segnalazione telefonica di un anonimo. Non si hanno, per il momento, altri particolari.”Rimasi un po’ deluso. D’altra parte dovevo immaginare che, a quell’ora, i giornalisti non avrebbero potuto scrivere altro che quello. Mi rassegnai ad attendere i giornali del pomeriggio, per leggere qualcos’altro sulle mie “gesta”.Daniela si agitò nel sonno, si girò verso di me, le soffiai una boccata di fumo in faccia, e vidi i suoi occhi aprirsi. – Buon giorno… Novità? – chiese, vedendo il giornale che stavo leggendo. – Niente di speciale. Solite cose. Soliti omicidi. Uno abbastanza vicino a qua, sai? Questa notte alle due. – dissi. – Meno male, tu eri qui con me, se non sbaglio, vero? – sorrise furbescamente. – Certo. E se anche non fosse stato? Che ho la faccia dell’assassino io? – chiesi sorridendo. – Non volevo dire quello. Ma solo meno male che eri qua e che non hanno ammazzato te. – disse abbracciandomi. – Già, sarebbe stato un bel guaio, no? – ridacchiai, carezzandole i peli morbidi del sesso, ancora umidi per le battaglie sostenute. – No, no. – disse lei spaventata. – Devo andare, adesso. Non ricominciare… Non mi toccare, va bene! – – Mi scusi, signora marchesa, mi scusi, – mi inchinai.Daniela portò via dal letto il suo magro corpo. A vederla così, camminare nuda verso la stanza da bagno, non riuscivo a persuadermi che un corpo tanto magro e minuto fosse in grado di sostenere certe stancanti tenzoni nel letto.La raggiunsi nel bagno; accovacciata sul bidet si stava lavando accuratamente il sesso. – Ti piace l’acqua fredda dopo quella calda, eh? – le feci. – Volgare! E’ mai possibile che tu non abbia un po’ di rispetto per le intimità di una fanciulla? – disse imbronciata. – Ma tu sai che io rispetto moltissimo tutte le tue “intimità”. Provami che non è vero. – Le risposi, chinandomi su di lei e accarezzandole la peluria immersa nell’acqua fredda. – Oh!… ricominci?… – disse. – Beh, non è che a loro dispiaccia. – feci, indicandole i due capezzolini che si erano subitamente induriti. – Oh, questi sono scemi. Sono un po’ come il tuo coso. Basta un niente e … tac. – reagì, staccandomi dal seno una mano che era andata a constatare la tangibilità di quel turgore improvviso. – Sai che in questa posizione offri ai miei occhi in modo divino quella parte del tuo corpo che amo tanto? Ma perchè hai questa mania di sederti sul bidet alla rovescia? – chiesi. – Per non fartela vedere. E poi “quella parte del mio corpo” scordatela. O prima fatti operare per ridurtelo della metà. Non ho mica voglia di essere squartata. – disse gelida.Risi. Effettivamente, era un po’ una mania questa mia del culo delle donne. Dovevo ammettere che Daniela era tenacissima nel suo proponimento. Erano mesi che scopavamo assieme, e ancora non mi era riuscito di convincerla. – Vedrai che un giorno te ne farò venire tanta voglia che sarai tu ad implorarmi di infilartelo lì. – affermai sicuro di me. – Stai fresco! – ribattè lei che, risollevatasi, si stava ora energicamente asciugando tra le gambe. – Ehi, vacci piano che se no te la spelli! – esclamai. – Deficiente! – fu la sua unica risposta.Dopo una mezz’ora, accompagnai Daniela alla porta, congedandola con un delicato bacino sul naso. – Ciao amore. Sono stato proprio contento della tua visita. – dissi. E in effetti mai visita era stata più gradita. – Ti piacciono le sorprese, eh? – ridacchiò lei entrando in ascensore.A mezzogiorno scesi in strada per comprare qualcosa da mettere sotto i denti. Acquistai il “Corriere d’Informazione”. La notizia era riportata in prima pagina. “Misterioso delitto nella notte. Vittima un tranquillo impiegato. Si ignorano assolutamente i motivi che avrebbero indotto l’omicida a crivellare di proiettili la vittima.”Questi il titolo e i sottotitoli. Prometteva bene. Mi sedetti a leggere, dopo essere entrato nel solito bar ed avere ordinato uno spuntino. “Il fatto” scriveva l’articolista “è avvenuto alle due di stanotte in via Bassi. La vittima, Walter T., tornava da una serata trascorsa con amici. Sotto casa l’attendeva qualcuno che, dopo avergli sparato a bruciapelo alla schiena con una pistola calibro 9′, gli ha sfigurato il volto sparandogli altri tre colpi. Il perito della polizia sostiene che già il primo proiettile sarebbe bastato per uccidere il T. Non si spiegherebbero quindi i tre brutali spari in pieno volto, se non proponendo l’ipotesi dell’odio e della vendetta. Dalle prime indagini svolte dalla polizia si è però appurato che la vittima, almeno a quanto testimoniato dai parenti, conduceva una vita abbastanza tranquilla e non aveva nemici di sorta. E’ stata fatta anche l’ipotesi, scarsamente concreta, del delitto di un rapinatore; ma il ritrovamento nelle tasche della vittima del portafogli intatto, l’ha fatta immediatamente cadere. Gli inquirenti comunque proseguono le indagini.” – Benissimo. – dissi tra me, masticando una patatina. Avrei voluto telefonare subito, quella sera stessa. Ma poi pensai che lei avrebbe senz’altro letta la notizia, e la mia telefonata sarebbe apparsa come una strana coincidenza. Decisi quindi di attendere qualche giorno.I giornali parlarono del “misterioso delitto” ancora per due o tre giorni: la polizia non veniva a capo di nulla.Più si approfondivano le indagini, e più veniva confermato che assolutamente la vittima non aveva nemici di alcun tipo. Era stata ascoltata anche, come testimone, la ragazza della vittima certa Sandra C. Distrutta dal dolore, la poverina dichiarò che non riusciva a concepire come qualcuno avesse potuto uccidere il suo Walter. Altre donne? Si, ne aveva avute. Ma nessuna che potesse spasimare per lui al punto da ucciderlo per essere stata abbandonata. Non era un Adone, la povera vittima, e neppure possedeva altre virtù. Un bravo ragazzo, tutto lì. Se conosceva precedenti ragazze della vittima? Solo di nome, due o tre. Ma storie di diversi anni prima. La polizia lanciò un appello a chiunque potesse fornire indicazioni utili alle indagini. Nessuno si fece vivo.Anche se non ufficialmente, almeno formalmente il caso fu archiviato. Soltanto i parenti della vittima rimasero impegnati sul fronte delle indagini, assoldando un investigatore privato. Non volevano darsene per inteso: l’assassino doveva essere scoperto, maledizione, a tutti i costi.Telefonai quindici giorni dopo, alle nove di sera, standomene sdraiato sul letto. – Ciao. – dissi. – Ciao. – disse lei riconoscendo subito la mia voce. Come al solito, pensai. – Mi hai riconosciuto subito! – dissi ugualmente. – Certo… lo sai. – rispose. – Come va? – chiesi. – Non c’è male. E tu? – domandò. – Si vivacchia. Hai sentito di Walter… – buttai lì. – Dio, sono stata malissimo quando l’ho letto sul giornale. Sai che non riuscivo a credere che fosse possibile? Chissa chi ha potuto fare una cosa del genere! – ebbe una pausa, poi riprese. – Se fosse successo qualche anno fa, avrei potuto pensare che fossi stato tu. – – Già. L’ho pensato anch’io. Se fosse successo qualche anno fa immagino che a quest’ora me ne starei in galera. – ammisi. – Chissà chi può avercela avuta su con lui. – riflettè lei. – Tu l’avevi più visto? – chiese poi. – No. Solo una volta, ma perchè l’ho incontrato per caso in piazza Napoli. Circa due anni fa. – ammisi. – Ma dimmi un po’ la verità, – continuai – fra te e lui, cosa c’è stato di preciso? – Le mani mi tremavano. Forse anche la voce, e pregai che lei non se ne accorgesse. – Beh, già te ne avevo parlato, no? Niente di straordinario. Non abbiamo mai neanche fatto l’amore. – rispose. – In quasi un anno? Roba da matti. – feci io. – Era lui che non voleva. Sai, quella mentalità… – – Ma lo sapeva che con me avevi già scopato, no? Lo sapeva che non eri più vergine. Che razza di scrupoli aveva? – – Beh, lui la pensava in modo diverso da te. E poi, anche volendo, non ci è mai capitato di avere un posto adatto a nostra disposizione. – – Ma qualcos’altro avrete pur fatto, no? – insistetti. – Beh, insomma, si. Quelle cose che facevamo anche noi. – – Ti toccava i seni, almeno? Te li baciava? – chiesi. – Si, questo lo faceva. – ammise. – Ti masturbava, anche? – – E’ successo tre o quattro volte, credo. – – Dove? – domandai. – Beh, in casa di amici, a qualche festa. – rispose. – Ma ti faceva piacere? Godevi? – insistetti. – No, lo sai che così non ci riesco. – – E tu a lui? – – Gliel’ho fatto solo un paio di volte. Ma lui non è che ci tenesse in modo straordinario. Non come te, insomma. – – Come ce l’aveva? Più grosso del mio? – azzardai – Noo, più piccolo di sicuro. – – E tu? Usi ancora il solito sistema? Lo fai ancora? – le chiesi. – Si, ogni tanto. Non spesso come una volta. – – E ci metti sempre tanto tempo per godere? – – Si, più o meno. Un quarto d’ora, venti minuti. A volte anche mezz’ora, come una volta. – – E di’ un po’, dopo di lui chi c’è stato? – – Te l’avevo detto no? Ho avuto un paio di filarini così con ragazzi giovani. Sai mi aveva preso una specie di smania per quelli più giovani di me. – – Cavolo! Li andavi a cercare all’asilo? – – Non esagerare. Comunque, cose poco serie. Ci baciavamo e basta. – – E… poi? – insistetti. – Beh, sai anche questo. Mi sono presa quella cotta, sai, nel periodo prima che io e te ci rivedessimo. – – Con quello ci hai scopato, però, non è vero? – – Con quello si. – ammise lei. – Quante volte? – le chiesi. – Solo due. In macchina. – confessò. – Che macchina aveva? – chiesi. – Una Cinquecento. Tutta scassata. – fece lei. – Un po’ scomoda, eh? Raccontami come è successo. – – Beh, in pratica l’ho fatto perchè non volevo che lui mi lasciasse. Sapevo che lui voleva quello, e a un certo punto non ho saputo dirgli di no. E’ successo che una domenica siamo andati da certi suoi parenti, fuori Milano, e al ritorno lui ha fermato la macchina in un posto e… sai, abbiamo cominciato. Insomma, quasi non me ne sono neanche accorta. – – Come sarebbe a dire che non te ne sei accorta. – chiesi. – Cioè, a un certo punto mi è salito sopra e… – – Ma aveva i ribaltabili? – – No. Ero semisdraiata, e lui mi è venuto sopra. Oltretutto aveva anche un braccio ingessato e faceva fatica. – – Ma ti aveva spogliata prima? – domandai. – Mi aveva solo sbottonato la camicetta, e poi mi ha tolto le mutandine. – – E le calze? – chiesi. – No, quelle no. Avevo il reggicalze sotto. – rispose. – Ti ha masturbata, prima? Insomma te l’ha toccata? – – Un po’. E poi mi è venuto sopra. Io non mi ero neanche accorta che lui si era già infilato un preservativo. – – E poi? Ti ha fatto male quando è entrato? – – No, non mi ha fatto male. Doveva avercelo anche lui più piccolo del tuo. – – Come doveva? Non glielo hai visto? – – No, te l’ho detto, non me ne sono quasi accorta. – – Ma è entrato dentro tutto? – – Credo di si. – disse lei. – Ti ricordi che io non sono mai riuscito a fartelo entrare tutto? – domandai. – Certo che mi ricordo. Si vede che lui ce l’aveva proprio più piccolo. – – E poi? E’ durato molto? Hai goduto? – – No, non è durato molto. E per il resto, come al solito, lo sai. Credo che non ci riuscirò mai. – – E la seconda volta? Sempre in macchina? – – Si sempre in macchina. E’ stato più o meno come la prima, solo che è durato un po’ di più. – – E poi? L’hai piantato tu quel tipo? – – No, è stato lui. Diceva che si era scocciato di dovermi accompagnare tutte le sere. E poi si è messo con un’altra del mio ufficio. Adesso sono fidanzati. – – Ne eri proprio innamorata? – – Non lo so. Comunque è stata una bella sbandata. – – E dopo di lui, con quanti hai fatto l’amore? – – Dunque, compreso te l’ho fatto con… sette. – – Sette? Accidenti, e pensare che una volta… – – Sai, c’è stato un periodo che non capivo più niente. Mi sentivo anche un po’… puttana. Insomma, vedevo che più o meno dagli uomini non si potevano ottenere le cose che cercavo io e allora… – – Raccontami un po’. – – Beh, dopo che io e te ci siamo rivisti, ho conosciuto un ragazzo che mi piaceva molto, siamo stati insieme per circa tre mesi. – – Quante volte ci hai scopato? – – Non molte, tre o quattro. – – E che sistema usavate? I preservativi o… il saltino? – – Come con te. I preservativi, voglio dire. – – E anche con lui, niente? – – Niente. Poi c’è stato un altro, che veniva con me in palestra. fra noi non c’era quasi niente, cioè avevamo limonato un paio di volte e basta. Poi una sera, uscendo dalla palestra, mi ha portato in una pensione che conosceva lui. Pensa che l’ha fatto senza dirmi niente, e io mi sono ritrovata lì come una cretina. Mi sembrava di essere una puttana. – – E una volta che siete stati in camera? Ti ha spogliata lui? – – Beh, no, mi sono spogliata io, tanto… – – E questo ce l’aveva grosso? – – No, te l’ho detto, non mi è mai capitato di vederne uno come il tuo. D’altronde, non è che io abbia bisogno di misure eccezionali, lo sai. – – E così avete scopato. Non ti è piaciuto neanche questa volta? – chiesi. Le mani mi tremavano ed erano sudate. – No, neanche questa volta. – – E poi? Con chi sei stata? – – Poi ho avuto un altro ragazzo, siamo stati in montagna una settimana, io stavo malissimo. – – Avete scopato molte volte? – – Lui voleva farlo anche se io stavo male. L’abbiamo fatto diverse volte, sette o otto, ma io stavo proprio male e a lui non interessava niente. Voleva solo fare l’amore. – – Niente anche con questo, vero? Che sistema usavate? – – Tutti e due, però del salto indietro non mi fido mai molto. No, niente anche con questo. – – E poi? Quel tipo di adesso? – – Si, poi c’è stato Franco. E’ già quasi due anni che stiamo assieme. – – Ne sei innamorata? – – Non lo so, non sono sicura… – – Con lui immagino che avrai scopato un sacco di volte, no? – – Beh, certo si, parecchie. – – Dove andate a farlo? – – In una specie di abbaino che lui ha con degli amici. Ci andiamo una volta ogni tanto. – – Con lui hai fatto anche altre cose? – – Beh, si. – – Te l’ha leccata? – – Qualche volta. Ma non mi piace molto farlo. – – Che balorda che sei! La prima volta che te l’ho fatto ti è piaciuto moltissimo, poi basta. – – Si vede che mi piacciono solo le novità. – – E tu, glielo hai mai preso in bocca? – – Si. – – Ma, lo tieni in bocca fino… alla fine? – – No, questo non l’ho mai fatto. – – E… in quell’altro modo l’avete fatto? – – Vuoi dire…? Si, l’abbiamo fatto. – – Ah!…. Molte volte? ti ha fatto male? – – Qualche volta, sai, per sicurezza. Ma mi fa sempre un male boia. – – E poi? Ne manca uno al conto. – – Beh, quest’estate gli ho messo le corna. Sai, durante le vacanze, in Sicilia. – – Con uno del posto? – – Si. Sai, non so cos’è stato. L’ho conosciuto dopo due giorni che ero lì, con la mia amica. – – L’avete fatto una volta sola o di più? – – Qualche volta. – – In albergo? – – Si, nell’albergo dove ero io. – – E con lui hai goduto, o… – – E’ stato come al solito. Non ci riesco. – – E il tuo Franco lo sa di questo… – – Figurati. E poi, lui me ne fa tante di corna… – – Ma senti, visto che è tanto tempo che stai con lui, possibile che non avete trovato il modo… – – Beh, si, in un modo ci riesco. – – Cioè? – – Cioè mi masturbo io, e intanto lui, con le dita… – – Cioè, mentre tu ti masturbi, lui ti infila dentro le dita e le muove avanti e indietro? – – ….. Si. – – E così riesci a raggiungere l’orgasmo? – – Si. Così ci riesco. – – Fino a gridare? – – Qualche volta si, fino a gridare. – – E non hai provato a farlo in un altro modo, cioè mentre tu ti masturbi, lui te lo infila, ma da dietro. – – No, abbiamo provato, ma così non ci riesco. – – E le tue storie lesbiche? Ti è capitato qualcosa? – – Poca roba, mica tanto. Sai, un anno fa ero al mare con tre amiche, stavamo nella stessa stanza. Un giorno sono rimasta sola con una di queste: eravamo tutte e due in mutandine e reggiseno, poi mi sono tolta il reggiseno per lavarmi, e lei mi si è avvicinata e me l’ha toccato, e poi mi ha baciata. – – Ma un bacio sul serio? Con la lingua? – – No, no, solo sulle labbra. Però mi ha fatto un po’ senso, e mi sono subito staccata da lei. – – Tutto lì? – – Si, tutto lì. Mi sono accorta che non mi andava. Sai, magari dipende anche dalla persona. Può darsi che con un’altra… Ma non sono sicura. – – Ti ricordi che una volta eri convinta che ti sarebbe piaciuto farlo con una ragazza, no? – – Si, mi piace pensarlo, ma si vede che quando mi ci trovo… non so, non mi va più. – – Senti, ma adesso con questo Franco vai proprio d’amore e d’accordo? – – Mica tanto. Se ne frega di me, anzi, certe volte mi fa capire chiaramente che gli do noia. – – E allora cosa ci stai a fare insieme? – – Per non rimanere sola. -Trascorse una pausa di qualche minuto. – Senti, perchè non ci vediamo una volta? – chiesi. – No, lo sai come la penso. E’ meglio lasciar stare. – – Perchè? Cosa fa se ci vediamo una volta? – – Lo sai, è una cosa difficile per tutti e due. E poi non voglio fare un torto a Franco. – – Ma se lui di te se ne sbatte! – – Si, ma mi scoccia. Finchè è in torto lui, va bene, ma non voglio che lui possa dirmi che il torto è anche mio. – – Bei ragionamenti. Ma scusa, non c’è mica bisogno che lui lo sappia che ci vediamo, no? – – Lo so, ma non si sa mai. Magari può vederci qualcuno che lo conosce e allora… – – Ma scusa, basta che andiamo a starcene in un posto tranquillo, no? – – No, te l’ho detto, preferisco di no. – – Guarda che mica ho detto che voglio vederti per fare l’amore con te, se è di questo che hai paura. – – Lo so… ma sai, poi diventa una situazione difficile… – – Senti, decido io. Ci vediamo lunedì sera in piazza Stazione, e quando siamo lì decidiamo. Va bene? – – Non lo so… io… – – Basta, ho deciso io. Lunedì sera alle nove, alla fermata della linea N. – – Va bene. Comunque ti telefonerò per confermare. – – D’accordo. Telefonami domenica sera. A proposito, immagino che domenica farete l’amore, no? – – Non lo so, può darsi. Ma forse dobbiamo andare con degli amici fuori Milano. Non lo so ancora. Perchè? – – Così. Era un’idea che mi era venuta. – – Che idea? – – Niente, di vederti il giorno dopo che hai fatto l’amore con qualcuno. Non è mai successo, no? – – Senti, sei proprio sicuro? Non credi che sia male che ci vediamo? – – E perchè dovrebbe essere male? Dai, non fare la sciocca. – – Allora va bene. Ti telefono domenica sera. – – D’accordo. Ciao. – – Ciao. – – Ciao. -Appesi il ricevitore, quasi mi scivolò dalla mano, tanto era bagnato di sudore.Ora si trattava di attendere fino a domenica sera. Mancavano soltanto quattro giorni.Stavo agganciando un altro anello alla catena che avevo deciso di costruire.

