Via Ressi è una strada lunga e stretta, senza sbocco diretto: finisce davanti ad un parapetto, sotto la ferrovia.Pensai che fosse un’ironia del destino il fatto che lo sconosciuto mi avesse dato appuntamento proprio lì, in quella via poco conosciuta, ma a me familiare per certi precedenti romantici.la voce al telefono era stata chiara: “Venga in quel bar, lei forse lo conosce, a metà di via Ressi, sull’angolo con quella vietta che porta in via Cagliero. Devo parlarle di qualcosa che forse la interesserà. Non c’è bisogno che lei si faccia riconoscere in qualche modo. Io la conosco benissimo.”Andai all’appuntamento. Non che fossi allarmato, ma inquieto si. Di cosa mai voleva parlarmi lo sconosciuto? Sapeva forse qualcosa…? Non era possibile, mi sentivo di escluderlo a priori. Solo io sapevo.Il bar era quello che ricordavo, appunto. Combinazione, che lo sconosciuto avesse fatto quell’allusione al telefono? Altra cosa che escludevo: va bene tutto, ma fino a quel punto…Mi sedetti e ordinai un gin fizz.L’uomo venne a sedersi accanto a me quando già ero a metà del bicchiere. – Permette? – esordì – Fiorelli. – – Piacere – dissi – ci siamo già incontrati? – – Tenderei ad escluderlo. Io l’ho già vista, ma solo in fotografia. Mi sorprenderebbe che lei avesse già visto me. – – Infatti – dissi – proprio non la ricordo. Beve qualcosa? – – Grazie, una birra. -Chiamai il cameriere per la birra: venne subito. – Immagino – esordì l’uomo dopo una sorsata – che lei sarà curioso di sapere perchè le ho dato appuntamento. – – Non solo del perchè, ma anche del dove! – feci io. – Già – rise l’uomo – abile no? Lo consideri il mio biglietto di visita. – – E cos’altro c’è scritto in questo biglietto? – – Agenzia di Investigazioni: Fiorelli & figlio. – – Lei è il figlio, suppongo. – – Esatto. Mio padre non se la sente più molto di correre a destra e a sinistra, e così faccio quasi tutto io. – – Bene. E poi? – – Non le farò perdere molto tempo. Lei ha saputo della morte… – – Di Walter T.? – lo prevenni – Si, ho saputo. E allora? – – Bene, vede… io sono convinto che lei l’abbia saputo in modo molto diretto. – – Cosa intende dire? Che l’avrei ucciso io? – – Calma, calma. Questo non l’ho ancora detto. Quello che voglio dire, è che lei è l’unica persona che può avere avuto un motivo valido per farlo. – – Si? E perchè, di grazia? – – Perchè tempo fa Walter T. le portò via la ragazza. -Detta e formulata in quel modo, l’accusa mi parve tanto ridicola che non potei fare a meno di scoppiare in una risata. – Ma scusi, – dissi dopo essermi calmato – ma scusi, lei se ne va in giro ad accusare di omicidio la gente, suffragando le accuse con motivi tanto ridicoli? Ma si rende conto? Senta, va bene. Una delle mie ex ragazze a un certo punto ha creduto bene di mettersi con… insomma, con la buonanima. E allora? Certo, ci avrò sofferto un tantino, non lo escludo. Ma guardi che sono passati la bellezza di cinque anni, non so se mi spiego. e lei sostiene che una persona con la testa a posto, dopo cinque anni, debba rischiare di rovinarsi e di finire in galera per “vendicarsi” di una cosa del genere? -L’uomo mi fissò attentamente, bevve un altro sorso di birra. – Una persona con la testa a posto. Già. Ma lei? -Capii che strada aveva percorso l’uomo. Lo guardai. Ammirevole come investigatore, tanto di cappello. – Cosa vuole intendere? – domandai calmissimo – Che io non ho la testa a posto? – – Oh, si rassicuri, non volevo dire che lei è un pazzo omicida o roba del genere. No. Ma certe maniette le ha avute, e le ha ancora, forse. – – Senta, amico – ripresi con durezza – forse lei vuole alludere a certe mie… stravaganze sessuali. Ma questi sono affari miei, e non voglio neppure sapere dove lei ha assunto queste informazioni, tanto lo immagino già. Comunque, passare da quelle cosette innocenti ad accusare uno di omicidio, mi sembra che ce ne corra. – – Forse… in apparenza però. Vede, io sono convinto che lei è l’assassino. C’è un guaio soltanto: non ho le prove, e sicuramente lei dispone di un alibi inespugnabile. D’accordo, partiamo da questo. Ci ho messo dieci giorni a far saltare fuori il suo nome da certe bocche. Ce ne ho messi altri cinque per sapere sul suo conto altre cosette divertenti. Forse ce ne metterò parecchi ancora prima di trovare le prove che la sbatteranno in galera. Ma le garantisco che ci riuscirò. -Terminò in una lunga sorsata di birra, si sistemò in capo il cappello e si alzò. – Buona fortuna, allora – disse. – Immagino che ne abbia più bisogno lei – risposi – Arrivederla. – lo salutai con tutto il mio garbo.Uscì. Ordinai un altro gin fizz.Cavolo, un tipo davvero in gamba. Senz’altro, aveva ripescato qualche vecchio compagno di scuola del defunto, che fra una cosa e l’altra gli aveva parlato di quella vecchia storia. Niente di speciale, ma poteva essere una traccia anche quella, per uno che non ne trova altre. Ma chi, chi perdio, poteva avergli dato particolari sul mio conto? Lei? No, me ne avrebbe parlato. Oppure… potrebbe essere anche lei convinta della mia colpevolezza, e al telefono avrebbe potuto farmi buon viso e poi… Comunque, pensai, l’avrei scoperto presto. Esattamente lunedì sera.Arrivare a lunedì fu lungo. Continuavo a rimuginare, a pensare ininterrottamente alle circostanze che l’uomo aveva predisposte per incontrarsi con me. Via Ressi. Assurdo, lei non poteva ricordarsi granchè. Si, ci sarà capitato di passarci un paio di volte, in macchina, ed io le avrò detto “Vedi cara, lì ci abita una mia vecchia fiamma”. Ma perchè poi parlare di quell’insignificante particolare? No, no, assurdo.E il resto? Va bene, forse avrebbe potuto essere stata lei a raccontare qualcosa circa i miei … innocenti passatempi. Ma troppo poco, troppo poco per arrivare ad accusare uno di omicidio in modo tanto aperto.No, no. Non basta sapere che uno ha crisi ricorrenti di gelosia morbosa, non basta sapere che uno ha manifestato sporadicamente tendenze violente, non basta sapere che uno ha una mente sottilmente sadica. Doveva esserci altro. Comunque, l’uomo non mi aveva spaventato. Avrei proseguito dritto per la mia strada. E se mi avesse ostacolato in seguito… beh, non era mica detto che lui dovesse campare fino a cent’anni, no?La domenica arrivò, fredda e noiosa.Cercai, nelle sfumature della sua voce, subito dopo lo squillo, qualche traccia. Niente da fare, innocente come un agnellino. – Senti – partii deciso – mi ha fatto visita un tipo. Un tipo balordo che, chissà come, sa un sacco di cose sul mio conto. Cose, capisci, che non può aver letto sul giornale. Cose intime, cose che oltre a me, non so se le sanno altre due persone. – – Cosa, cosa?? – sentii nell’orecchio la sua voce stupitissima. – Insomma, un tale che sta investigando sulla faccenda di… insomma, del tuo ex defunto, è venuto a dirmi cose strane. In pratica ha tirato fuori che siccome io, mi capisci, insomma, dopo tutto questo tempo, secondo lui, mi avrebbe preso un raptus, avrei impugnato un cannone e sarei andato a farmi giustizia. – – Ma è pazzesco! Senti, va bene, ci vediamo domani sera, così mi spieghi meglio. Alla stazione alle nove. – – Va bene, forse è meglio. Ciao. – – Ciao. -Beh, poteva anche essere stata convincente, ma non era mai stata una buonissima attrice, non avrebbe saputo mentire con tanta disinvoltura. Ma è difficile giudicare soltanto dalla voce. Avrei saputo di più la sera dopo, guardandola in faccia. Non mi restava che aspettare.Venne il lunedì sera, e la mia malafede mi indusse a munirmi di una confezione di preservativi. Capirai, lo andavo a dire a lei quali erano le mie vere intenzioni. Non dimenticai, inoltre, di preparare nel cassetto in anticamera, la scatolina ripiena di cera. Viva l’organizzazione!Mi fece aspettare un quarto d’ora, ma alla fine la vidi venire verso di me. Tranne qualche cambiamento qua e la, era sempre la stessa. Stessa carrozzeria super, stesso seno pieno, stesso faccino con l’aria di dire “faccio tenerezza, eh?” – Ciao. – dissi sbuffando una boccata di fumo – Ciao. Sei qui da molto? – – No, no, ‘pena arrivato. – brontolai.Dio che imbarazzo queste situazioni! Rivedi dopo cinque anni, cioè no, meno perchè eccetera, la tua ex amante, e te ne stai lì come uno scemo, insomma la cosa ti ha quasi paralizzato. E non c’entra un cavolo il discorso sull’amore, no, storie! Ma se arrivi al punto di avvolgere una certa persona di quel non so che di maniacale, addio! Può essere una persona che detesti, ma quando la vedi, e solo pensi a qualcosa che la riguarda, addio, sessualizzi tutto, anche i tacchi delle sue scarpe.”Senti” le avrei detto, “andiamo da me.” Questo era il programma, ma poi… – Senti – le dissi – andiamo a bere una cosa in un bar? – – Va bene. Ma non da queste parti. Sai qui ci girano parecchi amici di Franco. – – Uffa! Con questa storia. Possibile che non ci sia uno straccio di posto non contaminato da questi accidenti di amici di Franco? Senti, le faccende di cui voglio parlarti sono abbastanza serie. Andiamo a casa mia. -L’avevo detto in qualche modo.Mi guardò in modo strano. – No – disse – meglio di no. Andiamo da un’altra parte. – – Scusa, ma di cosa hai paura? – – Lo sai. Lasciamo stare, andiamo in un altro posto. -Eh no, cribbio, no. – Senti, non metterti in testa idee strane – cercai di rassicurarla. – Ho ben altro a cui pensare. -La cosa, l’accento, parvero convincerla. – Va bene. Ma guarda che dovrò andarmene abbastanza presto. -Prendemmo il metrò. – Ma che tipo era questo che mi hai detto? – – Tale Fiorelli. Anzi, Fiorelli figlio. Segno che ha un padre. Della madre, immagino quali siano le referenze. – – Come sarebbe? – – Sempre debole d’intuito, eh? – le dissi canzonandola. – Insomma, questo figlio di buona donna sa un sacco di cose che, o gliele hai raccontate tu, o gliele ha raccontate il diavolo. – – Io? – fece, stupita in modo che mi parve sincero. – Già, mi ha fatto capire che sa cose sul mio conto che… Insomma, se uno fa l’amore stando sul fianco, quello, per lui, è un anormale, un maniaco, e quindi può essere benissimo anche un assassino. – – Ma queste sono notizie che può avere avuto da una qualsiasi delle donne che sono state a letto con te. O anche da una qualsiasi delle persone che hanno con te un po’ di confidenza. – – Sicuramente – ripresi – ma permetti che risalendo per quella strada, la prima delle persone che si incontrano non è una qualsiasi delle mie donne? Me l’ha detto quasi apertamente, sai? Dopo mezzo minuto che si era presentato. “Walter T. le portò via la ragazza” mi ha detto. Scusami, uno cosa deve pensare? – – Senti, tu credi quello che vuoi. Io di questa storia non ne so niente. – e ancora una volta mi parve sincera. – Può darsi. Ma in questo caso bisogna dire che quello è veramente un mostro. Insomma, vuoi spiegarmi come può aver tracciato un quadro così, diciamo “insolito” della mia personalità, se non passando per linee dirette? Insomma, scommetto che quello sa anche che mi piace farmi mettere le dita nel… mentre scopo. Ne sono convinto. Mentre mi parlava aveva la faccia dell’uomo per bene che parla con lo sporcaccione, con il pervertito. – – Ssssshh… – mi zittì lei. In effetti, mi ero scaldato e stavo quasi urlando. Qualcuno dei passeggeri guardava incuriosito nella nostra direzione. – Senti, è inutile che tu ti stia a preoccupare, no? Tanto la coscienza ce l’hai pulita – mi bisbigliò lei. – E immagino che per quando è successo il fatto, tu avrai un alibi, cioè, non fraintendermi, voglio dire che in quel momento stavi sicuramente da qualche altra parte, no? – – Certo – feci io. – Stavo scopando! -Lei mi guardò male. In quel suo solito modo, di quando le parlo delle “altre”. – Con chi? – mi chiese. – Non la conosci. – troncai io. – Questo lo immagino. Era così, per sapere. Come si chiama? – – Daniela. Carina. Un po’ magra. Scopa bene. Studentessa. – – Ah, è nuova? – – No, ha già qualche mese. -Lei mi guardò a lungo, senza parlare. – Sei cambiato, sai? – disse poi con un sospiro. – Una volta non eri così. Almeno quando parlavi delle tue avventure, reali o false che fossero. Ora parli delle donne come se fossero delle automobili. Ti rendi conto? “Ha già qualche mese” hai detto. – – Esatto, e se vuoi saperne di più ti dirò che la marmitta ce l’ha rotta, ma il tubo di scappamento è ancora sano. -Continuò a guardarmi senza dir niente, scuotendo il capo. – Cinico, eh? – feci io, interrompendo il silenzio. – Può darsi. Vedi forse anche questo è un motivo valido, secondo quel tipo, per poter stabilire che sono un assassino. Cosa vuoi di più? Maniaco sessuale, mi piacciono le ragazzine, adoro soffrire le classiche pene d’amore, sono pure cinico… – – Oh, smettila di scherzare – mi implorò. – Se quello si è messo in testa che tu c’entri qualcosa, bisogna che tu gli dia subito la prova che si sbaglia. Fallo parlare con quella tua Daniela, così la smetterà. – – Eh, no, tesoro. Proprio no! Figurati se gli lascio la soddisfazione di andarsi ad informare anche su di lei, per poi magari scoprire che la piccola adorava suo padre e detestava sua madre, e che adesso le piace fare i pompini con l’ingoio. Ti rendi conto che diverrebbe una potenziale assassina pure lei, e senz’altro una che mente spudoratamente pur di proteggere l’amante che ce l’ha grosso? – – Secondo me esageri con questa storia. Non sarà mica a questo livello ‘sto tipo! – – E invece si, dolcezza! Quello è uno che se ne sta incazzato con il mondo intero perchè magari la moglie non lo fa scopare o qualcosa del genere. – – Senti, davvero – implorò – dammi retta. Quello magari ti fa finire nei guai se non ti spieghi. E se pensasse di andare alla polizia? – – Figurati! Adesso? Così? Senza uno straccio di prove? A dire che? Ci farebbe la figura dell’idiota, e oltretutto non beccherebbe un quattrino da quelli che lo pagano, no? – – E chi è che lo paga? – – Che testa! La famiglia del caro estinto, no? – – Non usare quel tono ironico, ti prego. In fondo, è stato il mio… – – Scusami, tesoro, non ci pensavo più al particolare. – finsi di essere dispiaciuto.Lei parve riflettere qualche secondo. – A proposito – saltò su poi – La famiglia! – – Beh? Che vuoi dire con “La famiglia!”? – – Forse è stato qualcuno della famiglia che gli ha riferito il particolare di me e te. – – Perchè? Lo sapevano? – – Sapevano che io ero la ragazza di qualcuno prima di mettermi con Walter. Penso che lui si confidasse molto col padre. Può darsi che gli abbia fatto anche dei nomi, che gli abbia manifestato le sue paure. Lo sai, no, che all’inizio aveva paura che tu reagissi in qualche modo… insomma, io gli avevo parlato di quell’episodio del coltello… – – Beh – dissi dopo aver riflettuto – potrebbe essere un’idea. Non credo però che tu abbia raccontato a Walter, e lui a suo padre, di una mia antica fiamma in via Ressi. – Sgranò tanto d’occhi. – Chi?!? E lui come lo sapeva? Te l’ha detto lui, quel tipo? – – Non solo. Mi ha dato appuntamento proprio lì, in via Ressi. Ti rendi conto, ora? – Chiusi la porta di casa alle mie spalle. Era la prima volta che lei ci veniva: prima, ai tempi della nostra storia, abitavo altrove. – E’ proprio come me ne avevi parlato, sai? Me l’hai descritta così bene che mi pareva quasi di esserci già stata. – – Piace? – mi limitai a chiedere. – Un po’ troppa confusione, forse. In fondo, me lo aspettavo. – – Già, Bevi qualcosa? – – No, niente. Oppure, hai della birra? – – Niente da fare. Vino, oppure whisky. – – Magari un goccio di whisky, ma appena appena. -Le servii l’alcoolico. Lei se ne stava seduta sul divano, con il bicchiere in mano, appoggiato al ginocchio.Mi chiesi cosa stesse provando in quel momento. Su quel divano ci avevamo fatto l’amore, quando per lei erano le prime, dolorose, incerte volte. Su quel divano ci eravamo baciati, abbracciati, in tutte le salse e in tutte le varianti per due anni. – Stavo pensando a che cosa stai pensando. – buttai lì. – Non ho capito, scusa? – fece lei che evidentemente ci stava proprio pensando. – Dico che vorrei dare una lira per i tuoi pensieri. -Guardò per terra, imbarazzata. – Bello il pavimento, no? – feci io. – Non scherzare, ti prego! – implorò lei – Sai….. mi domandavo, dopo la telefonata dell’altra sera: perchè lo fai? – – Perchè lo faccio cosa? – mi informai. – Voglio dire: perchè ogni tanto devi telefonarmi, per poi chiedermi quelle cose? Non ci soffri a sentirti dire che sono stata di questo o di quell’altro? Non ci soffri a sentirmi parlare di come faccio l’amore con altri uomini? -La guardai negli occhi. Sempre la stessa. Non avrebbe mai capito niente. – Certo che ci soffro. Lo sai. Però è un modo come un altro per spartire ancora qualche cosa con te. E tu, vuoi dire che le prime volte, quando ti raccontavo delle altre donne che ho avuto, io, io che ero stato per tanto tempo “Solo tuo tuo”, non soffrivi mica? Piangevi anche, no? – – Si, ma è diverso. Mi capitava a quei tempi, subito dopo che ti avevo lasciato. E lo sai perchè. Anche se ti ho lasciato perchè ritenevo che fosse necessario farlo, non ti ho mai dimenticato. Anche se per tante cose non andavamo d’accordo, non potevo dimenticare quello che c’era stato tra di noi. – – Cos’è? La vecchia storia del “primo uomo della mia vita”? – – Non scherzare su queste cose. Lo so che tu non pensi così. Fai apposta a fare il cinico. – – Esatto. Dentro sto piangendo come una fontana. – incalzai. – Oh, piantala! – si alzò dal divano e cominciò a girare per la stanza, guardandosi intorno: le pareti, il soffitto, i libri, i dischi.Mi avvicinai a lei e la presi per le spalle. – No! – fece lei allarmata, voltandosi verso di me.La tenni ancora più stretta, e con la mia bocca centrai la sua. Lei mantenne le labbra chiuse, serrandole ancora di più, voltando la testa da una parte all’altra, l’espressione corrucciata di chi dice “cielo! che oltraggio”.Ma alla fine le sue labbra sotto le mie, ritrovate, si schiusero, e la mia lingua tornò a riassaporare un gusto perduto. La sua lingua, dapprima restia, si sciolse poco a poco fino ad intrecciare con la mia il consueto balletto, imparato tanti anni addietro, ma mai dimenticato.Il bacio fu lungo, e non fu solo bacio. Le sue mani imitarono presto le mie, iniziando a percorrere la mia nuca, la schiena, i fianchi. Le nostre salive abbondanti presero a fluire via in rivoletti sottili dalle bocche strettamente unite. – Non dovevamo. – fu solo capace di dirmi quando le nostre bocche ebbero ritrovato ciascuna la propria autonomia. – Certo che no. Abbiamo fatto una cosa orribile. Cosa ne dici di rifarla? – dissi, e tornai ad incollare la mia bocca alla sua.Facendole dolce violenza, la trascinai sul divano.Ci lasciammo cadere sui cuscini in un atteggiamento che mi parve grottesco, ma unicamente perchè pareva ricalcare punto per punto gli atteggiamenti di tanti anni prima.Le mie mani si fecero impazienti sul suo corpo, tornarono a gustare il sapore di quei seni un po’ molli ma dolci, penetrando, com’era di consuetudine, nella falla creata da due bottoni slacciati, e di qui, con dolce malizia, nel reggiseno che immaginai bianco. Bottone per bottone tolsi di mezzo la barriera del pullover, poi quella costituita dalla camicetta. Imprecai mentalmente contro i reggiseni dalla chiusura impossibile che lei, da sempre, prediligeva. Alla fine cadde anche quell’ostacolo. e fu con autentica delizia che mi ritrovai fra le mani due seni bianchi, morbidi, sfuggenti, e nella bocca il prediletto fra i due capezzoli larghi e chiari: quello di destra.Lei si era abbandonata ad occhi chiusi all’abbraccio mio ed a quello dei cuscini. – Vedi? – le dissi – I cuscini si ricordavano di te. Vedi come ti abbracciano senza farti male? -Lei sorrise, ma non volle aprire gli occhi. – Hai paura? Non vuoi assistere al sacrilegio? – – No, non ho paura. – disse. – Con te non ho mai avuto paura, ma so che sto sbagliando. Non è giusto, pensaci, fermiamoci qua. -Non l’ascoltai. La mia bocca aveva fame di quei seni, il mio corpo aveva fame del suo corpo. Rituffai il volto fra quelle due colline candide, mentre le mie mani incontravano la lampo della gonna esattamente dove si aspettavano di trovarla.La lampo corse con un ziip discreto; pur temendolo come certo, rimasi ugualmente deluso constatando l’unico cambiamento sicuro del rituale: il consueto reggicalze era stato sostituito dagli obbrobbriosi collant. – Ti ricordi – le ansimai all’orecchio – ti ricordi i tuoi ridicoli reggicalze? Sai, ne sento la mancanza. -Lei non parlò: solo, le sue braccia mi allacciarono più strettamente.La gonna cadde sul pavimento, seguita dai detestabili collant dopo meno di un minuto. Notai un altro cambiamento: non portava più mutandine di cotone, un po’ infantili, come quelle che ero abituato a vederle togliere, nei lontani culmini della mia eccitazione. Portava ora uno slip semitrasparente, molto ridotto, di seta artificiale. Sotto le scorgevo l’ombra scura del pube.Anche questa fu forse una delusione: una volta, quelle mutandine di cotone, costituivano l’ultima barriera, fragile ma impenetrabile allo sguardo, prima di giungere all’agognato vello. Ora, era già nuda prima di esserlo compiutamente. Quel triangolo di peli, visto in trasparenza, pareva beffarsi della mia ingenua trepidazione.Sfilai lo slip facendole sollevare appena i fianchi. Lo slip si rivoltò su se stesso, aderendo per alcune frazioni di secondo alla carne umida tra le cosce, poi venne via, scorrendo leggero per tutta la lunghezza delle gambe. Un intenso profumo si sollevò da quel muschio, raggiungendo le mie narici eccitate. Anche questo riconoscevo, inalterato.Mi tolsi quanto di superfluo avevo addosso, restando in slip (com’era consueto ai nostri tempi), desiderando che fosse lei a sfilarmeli. – Ti ricordi? – le sussurrai.Annuì più volte col capo.Le portai la mano a stringere lo strumento che, per primo, aveva saputo aprire certe sue vie. La mano si serrò sulla stoffa dello slip, poi una dolce reazione mise a nudo il mio pene indurito, e le sue dita poterono ripercorrere l’asta in tutta la sua lunghezza, scendere a soppesare i testicoli, ricamare ghirigori sui peli del pube. – Davvero non ne hai più avuti, così grossi? – domandai.Lei annuì ancora una volta col capo, sorridendo.Mi prese come una frenesia, cominciai a lambirle con la lingua ogni centimetro di pelle, fino a che le mie labbra incontrarono la morbida, stuzzicante presenza della peluria bionda del suo sesso. Mi parve più folta di come la ricordavo. Glielo dissi. Rispose che effettivamente anche a lei pareva che il pelo le si fosse infoltito. Chissà come, disse. Le divaricai le cosce, spingendo il capo ad incunearsi fra di esse. Ora percepivo ancora meglio l’afrore intenso, pungente, che mai avevo dimenticato.Lei protestò debolmente. – No, non mi va… Ti prego, davvero. – sembrava miagolasse.La mia lingua saettò a lambire la fessura, aprendo dolcemente, come fossero petali di un fiore, le grandi labbra che ritrovai rosse e delicate come un tempo. Pensai, per un attimo, che per quel dolce canale erano passati, dopo di me, altri sei amanti, armi e bagagli.La mia lingua penetrò quel canale, e se ne ritrasse portandosi dietro un dolce flusso di liquore denso e aspro. Risalì quindi a considerare la morbida, succosa massa del clitoride che, unitamente alle labbra, formava un cappuccio segreto nel quale la mia lingua andò ad annidarsi, provocandone il fremere impazzito, come fossero ali di farfalla.Con le dita dilatavo il fiore scuro del suo sesso, aprendo sempre di più il liscio cammino alla mia bocca che, instancabile, mordeva amorevolmente le zone circostanti a quelle che la lingua andava punteggiando. Sentivo sotto i polpastrelli ora la massa scricchiolante dei peli, ora le scivolose pareti interne della vulva. Due dita mi fuggirono, passando sotto il mio mento, per andarsi ad insinuare morbidamente in una vagina che ritrovai ben più cedevole di quanto non la ricordassi. Andando avanti e indietro, in un movimento umido e lento, provocavano un suono che, accoppiato a quello prodotto pochi centimetri più su dalla mia lingua, non poteva far altro che accendermi ancora di più i sensi. Fu con piacere, con gratitudine anche, che udii giungere dalla gola di lei, quei suoni che tanto ero ormai abituato a percepire in altri letti, o anche in quello, ma da altre gole. Quei suoni che così raramente ero riuscito a carpire dalla sua gola.Accelerai il ritmo dell’andirivieni delle mie dita dentro di lei. Ora quei fianchi erano vivi, mobili, la mia lingua faticava a seguirne il ritmo. Le mie dita accelerarono ancora, mentre con l’altra mano brancolavo più sopra, cercando un seno che finalmente trovai nel contatto con un capezzolo indurito. In un crescendo continuo di quel suono di gola, i miei sensi costrinsero la lingua e le dita a compiere qualcosa che mai prima avevano saputo fare. E quando alla fine il suono si trasformò in un ansimare angosciato e poi in un gemito lungo, le mie labbra dettero l’ultimo abbraccio a quelle morbide, cedevoli carni, mentre le mie dita penetrarono in un ultima, irruente carica quella vagina che ormai aveva consegnato alla mia pelle ed ai cuscini tutto il suo liquido contenuto.I fianchi ebbero un isterico, disperato ultimo tremito, poi si abbatterono, sfibrati, sul divano.Qualcosa di me, e anche fuori di me, aveva vinto. Sollevai il volto bagnato dal suo ventre, imprimendo un bacio di saluto ai peli fradici di sudore. Lei stava ad occhi chiusi, il petto le si sollevava in un respiro che andava calmandosi pian piano, perdendosi in sibili sempre più brevi. Accostai il viso al suo, baciai le sue labbra con le mie, ancora bagnate dei succhi del suo sesso. – Hai visto che ce l’abbiamo fatta? – le sussurrai.Lei aprì gli occhi, mi sorrise, o meglio sorrise a qualcosa che stava oltre di me, quasi io fossi diventato improvvisamente trasparente. – Hai visto che ce l’abbiamo fatta, dopo tanto tempo? – ripetei.La sua mano mi carezzò il viso, poi scese dietro la mia nuca, attirando la mia bocca contro la sua, aperta.In quel bacio confondemmo il profumo della sua vagina con il gusto aspro del tabacco e del whisky, e il sale delle sue lacrime che erano spuntate dai suoi occhi. Tornai con una mano a saggiare il suo sesso, e lo trovai aperto ed invitante come quando l’aveva lasciato la mia bocca. Fui su di lei con un solo movimento, e fu quando già la punta del mio pene baciava le dolci labbra di lei che mi resi conto del rituale che stavo ignorando. A malincuore infilai sull’arnese umiliato il preservativo che avevo preparato all’uso prima, mentre con fare disinvolto mescevo il whisky.Risentii il contatto insolito della piccola vagina, spinsi con decisione ed affondai, come mai era stato possibile, dentro di lei, che fece una smorfia di dolore emettendo un gemito soffocato. – Vedi come entra bene, ora? A qualcosa l’esercizio ti è servito. – Lei mi strinse con forza contro di se, per non farmi scorgere nuove lacrime sulle sue guance.Sapevo di comportarmi in maniera orrenda, ma non ero in grado di agire diversamente.Presi a manovrare con calma il pene dentro di lei, ed ogni affondo provocava un gemito, e ad ogni mio ritrarsi era un sospiro che le sfuggiva dalle labbra. Le afferrai le gambe, portandole ad incrociarsi sopra le mie natiche. In questa posizione sentivo il mio pene penetrare dentro di lei ancora più profondamente, sentivo le sue labbra là sotto aderire strettamente al mio pube, ed ogni tanto baciare rapidamente i testicoli.Per due volte fui sul punto di venire, lei non se ne accorse, ma entrambe le volte riuscii a concentrarmi mentalmente su qualcosa che avrebbe ritardato l’orgasmo anche a un militare: vidi, ricamato sul cuscino sotto i miei occhi, il viso dell’uomo che avevo ucciso, sfigurato dai proiettili. Intanto, mentre la mia mente voleggiava per altri, ben altri lidi, il mio corpo si agitava con vigore sul suo corpo bianco e tremante. Il mio pene, con regolarità di stantuffo, riempiva e svuotava quella vagina estenuata sotto la quale si stava aprendo un lago dalle dimensioni impressionanti. I suoi fianchi avevano appreso il senso del ritmo dei miei, ed ora li seguivano docili e nervosi, in tutte le sfumature e in tutti i sussulti, in tutti i tremiti ed in tutte le variazioni che il mio sesso affamato suggeriva.Scavai in lei con il pene, spingendolo a fondo fino all’estremo, avendo a volte la sensazione che sotto quel martirio quella fragile vulva dovesse spezzarsi, lacerarsi. Quando alla fine capii che era il momento, che non avrei potuto attendere oltre, scatenai i miei fianchi in una corsa folle. La sentii gridare, e questa volta era dolore, dolore fisico misto a piacere. Per la prima volta ero in grado di farle provare quanto può l’amore quando è impastato di sporco, di sangue, di menzogna.Dopo l’ultimo schiocco prodotto dai nostri corpi fradici di sudore, l’unico suono che rimase a riempire la stanza fu il nostro ansimare ininterrotto, per diversi minuti.Nell’atto di godere, forse le urlai all’orecchio una cosa che non avrei voluto urlare, neppure bisbigliare.Forse c’era stata una certa volontarietà inconscia, in quella parola gridata mentre dal mio ventre fluiva rapido, per andarsi ad imprigionare nel tenace cappuccio di gomma, quello che in fondo potevo definire il succo del discorso. Perchè quello era una realtà, un’impellenza. Non la parola che le mie labbra incoscienti avevano pronunciato.Amore? Certo, una volta. Ma chi può dare, ora, in questa stanza pregna di profumi di sesso, di odori di sesso, un senso a questa parola, in queste circostanze.Amore? Questa donna che ora giace stremata su un divano?Amore? Ma lei ha udito cosa le hai gridato all’orecchio mentre più rapidi erano i colpi che stavano demolendo il suo ventre. Amore.No, non c’è amore dove il sesso acquista tale pienezza da renderlo sacrilego, abominevole. Dove amore significa dolore, sopraffazione, lacrime, parole gridate al vento.Questo non è amore. E’ sesso. E’ odio. E’ vendetta. E’ assassinio.Si addormentò calma, fra le mie braccia, mentre io fantasticavo queste ipotesi, guardando i suoi sottili capelli biondi.
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