Guardai l’ora: le due di notte. Avrei dovuto affrettarmi.Andai in corridoio a prendere la borsa di plastica, lì dove l’avevo lasciata. Tornato in stanza, presi dalla borsa il materiale che mi occorreva. Controllai l’efficienza della torcia elettrica, dopodichè tornai in corridoio per cercare l’interruttore generale. Non lo trovai. Se non era lì, poteva essere solo in cucina.Lo trovai e staccai l’energia elettrica.Tornato nella stanza di Raffaella, spostai il letto cercando di fare meno rumore possibile.Mi ero accertato, salendo, dell’assenza da casa degli inquilini sottostanti, ma non si sa mai…Trovai subito la presa nella quale s’inseriva la spina dell’abatjour sul comodino. Tolsi rapidamente la placca dalla parete, allentai le viti bloccanti, staccai i fili. Collegai i fili con la bobina che avevo costruito. Ricollegai la bobina alla presa di corrente. Reinserii la scatola nella parete e feci scattare le due linguette.Ovviamente non inserii la spina dell’abatjour: la lasciai lì, abbandonata a terra proprio sotto la presa.Tornai in cucina e ristabilii la corrente elettrica azionando l’interruttore generale. Nuovamente in stanza, inserii nella presa i terminali del tester: ora da quella presa era possibile prelevare la bellezza di 2500 volts.Ricontrollai la spina dell’abatjour: era di quelle normali, e per quanto isolata non avrebbe sopportato più di 500 volts. Potevo dirmi soddisfatto del mio lavoro. La spina dell’abatjour, se inserita, avrebbe provocato un corto circuito che avrebbe istantaneamente fatto bruciare la bobina da me inserita: non ne sarebbe rimasta traccia.Tornai a spostare il letto, rimettendolo esattamente nella posizione originale. Risistemai strumenti e cacciaviti nella borsa. Riposi nella scatola da stivali tutti i quaderni e mi arrampicai ancora una volta sulla sedia per rimetterla sull’armadio. Rimisi a posto la sedia e aggiustai il letto fino a quando non mi parve ineccepibile, poi mi guardai accuratamente in giro, per vedere se fosse rimasta per caso qualche altra traccia del mio passaggio.Si, avevo fumato tre sigarette. Mi misi i mozziconi in tasca e ripulii accuratamente il posacenere, che riportai in corridoio dove l’avevo trovato.Uscii dalla stanza e tornai in corridoio definitivamente, con la mia borsa di plastica: fuori avevo tenuto soltanto la torcia. Spensi la luce nella stanza ed andai a togliere il mascheramento alle imposte.Stavo per aprire la porta di casa quando rammentai i fiammiferi che mi erano serviti per vederci, appena entrato. Ne ricordai tre, e con l’aiuto della torcia riuscii a recuperarli tutti.Uscii sul pianerottolo, richiudendo con precauzione la porta alle mie spalle. Girai la chiave le volte necessarie a far scattare completamente la serratura. Scesi lentamente le scale, in punta di piedi, cercando di non respirare neppure. Alle due e quaranta mi trovavo davanti al portone. Premetti il pulsante e la serratura scattò.Fuori in strada, l’aria era fresca e stimolante.I timori espressi dalla mia mente un’ora prima si rivelarono infondati: nessuno mi tendeva trappole, almeno in quel momento. Dal portone guardai, prima di mettere piede in strada, a destra ed a sinistra. Chissà perchè, m’ero fatto dell’eventualità di un tranello un’idea tipo film gangster, con la polizia nascosta dietro le automobili, che come ti vede ti spara.Nessuno mi sparò.Si trattava ora di giungere fino a casa mia, parecchio distante dal luogo nel quale mi trovavo, senza dar troppo nell’occhio.Temevo soprattutto la polizia, le pattuglie notturne.Non sapevo, ma immaginavo, come avrebbero potuto reagire trovandomi nel sacchetto l’armamentario che mi portavo dietro. Avrei potuto chiamare un taxi, magari da una cabina, ma temevo potesse essere pericoloso: in certi casi i tassisti hanno la memoria troppo lunga.Presi a camminare con passo disinvolto, accesi una sigaretta, fischiettai. La strada era deserta: ogni tanto un’auto velocissima.Riuscii a raggiungere, di buon passo, il centro senza inconvenienti: qui mi sarebbe stato più facile trovare un taxi. Pure nonostante il rischio, quella notte mi sentivo di camminare.Imboccai perciò il corso e proseguii a piedi. Per le strade soltanto prostitute e qualche raro nottambulo. Ero quasi giunto sotto casa quando m’imbattei in uno strano gruppo: un uomo sulla trentina, completamente ubriaco, e due ragazze che si davano un gran da fare per trasportarlo. – Bisogno d’aiuto? – chiesi.Le ragazze si volsero a guardarmi, spaventate. – Ehi! – dissi accorgendomene. – Non sono mica il babau! -Le ragazze mi guardarono perplesse, poi sorrisero. – Ha bevuto un po’. – disse una delle due, quella che sembrava più anziana, sebbene non dimostrasse più di venticinque anni. – Me ne sono accorto. Dove dovete portarlo? – chiesi. – Non lontano – disse la stessa ragazza – solo che c’è qui la macchina, e ne’ io ne’ lei siamo capaci di guidare. – – Se è solo per questo posso guidare io. Dov’è questo posto? – m’informai. – Un po’ dopo il ponte, saranno duecento metri. -Le aiutai a caricare l’uomo sul sedile posteriore di una Dyane e mi misi al posto di guida.Per me era un po’ un casino guidare quella macchina: ha i comandi balordi. Confidai comunque nella mancanza assoluta di traffico per farcela.Le due ragazze si ammassarono al mio fianco; l’uomo, infatti, occupava completamente il sedile posteriore. – Bene – dissi – ditemi dove devo andare di preciso. -Passammo il ponte e procedemmo diritto per un centinaio di metri, poi svoltammo a destra in una via abbastanza elegante, fiancheggiata da palazzine basse con tanti balconi e tanti fiori. Riconobbi la via, c’ero già passato in qualche occasione. – Ecco, fermati qui. – mi fece la solita ragazza.Posteggiai la macchina e spensi il motore.Scaricammo con una certa fatica l’uomo, che pareva assai pesante: russava come un porco e l’avrei preso volentieri a calci. – Già che ci siamo, vi dò una mano a metterlo a nanna. – dissi.La ragazza chiaccherona accettò con entusiasmo.Fortunatamente c’era l’ascensore a portata di mano, subito oltre l’ingresso. Salimmo al terzo piano: bel palazzo, con i marmi insomma.Bella anche la casa, notai come entrammo. Di quelle case dove abitano i tipi da almeno cinque milioni al mese, forse più. – Dov’è la cuccia? – chiesi.Mi indicarono una porta. Mi sistemai meglio l’uomo sulle spalle e mi ci diressi. Lo scaricai su un letto enorme, e spinsi la mia generosità fino a torgliergli le scarpe. Poi me ne uscii dalla stanza, chiudendo la porta dietro di me.Le due ragazze si erano sedute su un divano, in una specie di salotto di quelli ultramoderni, con i tavolini di cristallo che non li vedi e ci vai a sbattere contro, i quadri che sembravano tovaglioli alle pareti, e un mucchio di quelle cose di vetro e metallo luccicanti che basta che ci passi vicino e succede qualcosa di strano. – Beh, – dissi io – missione compiuta. – – Sei stato davvero gentile. Dorme? – chiese la solita delle due. – Se dorme? Sembra che non abbia toccato un letto da tre anni. – feci io.Me ne restavo lì appoggiato allo stipite della porta. – Puoi anche sederti. – mi fece quella. – Un bicchierino di qualcosa te lo meriti. -Mi misi a ridere. – Cosa c’è da ridere? – mi chiese quella. – Niente. Mi hai fatto venire in mente mia madre, che aveva l’abitudine di offrire un bicchiere di vino al facchino. -Risero tutte e due.Mi sedetti e la chiaccherona mi mise in mano un bicchiere di quelli da whisky, con dentro però qualcos’altro. Annusai e riconobbi della vodka, ma di quella italiana. – Beh, – dissi – grazie della compagnia. Questa sera non ci speravo proprio più. – – Perchè, – chiese la solita – cercavi compagnia? – – No davvero. Ma quando mi capita, faccio sempre finta di averla cercata fino a quel momento: mi dà un senso di soddisfazione, capisci? – dissi. – Sei sempre così spiritoso, o lo sei solo alle quattro del mattino? – mi chiese la ragazza che era una bruna niente male. – Dipende dall’ora in cui mi sono alzato, e dall’ora a cui mi devo alzare il giorno dopo. – affermai. – Saggio come un lama, eh? – fece quella. – Eh si! – sospirai io. – Hai qualcos’altro in fresco, oltre a ‘sta vodka? – – Mica troppo – fece quella – forse solo della birra. – – Vada per la birra. – feci io.La bruna si scosciò per alzarsi: mi potevo anche sbagliare, ma l’impressione fu che non portasse mutandine sotto il collant.Mi versò della birra ghiacciata nello stesso bicchiere, ignorando la mia occhiata disgustata. – Beh – fece la bruna – potremmo anche presentarci, no? -Dissi il mio nome. – Io sono Marzia. Lei invece è Giusy. – disse indicando l’amica. – E’ così dalla nascita o è stata una disgrazia? – chiesi io.Mi guardarono entrambe esterrefatte. – Cosa? – chiese Marzia, la bruna. – Magari mi sono sbagliato, ma mi sembra che la tua amica non abbia la lingua. – mi giustificai.Marzia scoppiò in una risata. L’amica sorrise impercettibilmente. – Ce l’ha, la lingua, stai tranquillo. E’ che non si trova molto a suo agio con gli sconosciuti, specie se sono uomini. – fece Marzia, accarezzando i capelli dell’amica. – Meno male! – mi limitai a dire.Osservai attentamente quella tal Giusy: una ragazza mica male, sui ventidue, capelli castani lunghi fino a mezza schiena e un seno non indifferente. – Siete sorelline? – azzardai io. – No, siamo amichette. – fece Marzia. – E l’orso di là? Vostro parente? – domandai. – Quello? No, è un amico. Ha la casa grande e ogni tanto ci dà un po’ di ospitalità. – rispose Marzia. – Perchè? Siete senza tetto? – chiesi stupito. – No, è che altrimenti non sappiamo dove andare per stare un po’ insieme. – fece quella. – Chi, tu e l’orso? – domandai. – No, scemone! Io e Giusy! – mi gridò.Mangiai finalmente la foglia: dio che cretino! – Beh, e lui che ci guadagna? – domandai. – Niente. Gli va di portarci a spasso per farsi vedere con noi, e poi gli va di guardarci, ogni tanto. – fece Marzia. – Guardarvi mentre… fate l’amore? – chiesi. – Ecco. Bel porco, non trovi? – disse lei. – Marzia! – si lamentò finalmente Giusy, con un vocino flebile che sembrava provenire dal solaio. – Figurati, piccola – la rassicurai io – mica mi scandalizzo. – Guardai le due ragazze: bestia! Due lesbiche. – Così – azzardai – voi, gli uomini… – – Beh – fece Marzia – cosa vuoi, ogni tanto mica mi dispiace. Lei, piuttosto… – – Ah, tu niente? – feci rivolto alla piccola.Abbassò pudicamente gli occhi: sembrava una madonna. – Ce l’aveva il ragazzo – spiegò Marzia – ma era uno stronzo. E lei adesso dice che piuttosto di tornare con un uomo… – – Pensa te! – esclamai – Non faceva bene l’amore? – – Ma va! Non è questo, figurati, è ancora vergine. Il fatto è che la trattava come una deficiente. Così ha preferito passare il suo tempo con me, piuttosto che con uno stronzo. – – E tu sarai gelosa come una tigre, immagino. – feci io. – Gelosa? Sei scemo? Lei può fare quello che le pare. Insieme stiamo benone, quando ci va di fare l’amore. Ma se lei decidesse di farlo con un uomo, a me non me ne fregherebbe niente. – – Ah beh, siete ragazze moderne, insomma. – dissi.Mi alzai per versarmi dell’altra birra. – Adesso ti toccherà tornare a casa a piedi. – mi fece Marzia. – Già – dissi – ma son solo due passi. Piuttosto ho lasciato in macchina la mia borsa. – – Roba importante? – fece Marzia. – Abbastanza. Cioè, ne ho bisogno. Dovresti scendere ad aprirmi la macchina. – dissi. – Cavolo! – esclamò lei. Sembrò riflettere – Senti, ma tu hai la mammina che ti aspetta, a casa? – – Vuoi scherzare? Perchè? – domandai. – Beh, potresti accamparti qui, per stanotte. Così te ne vai domattina bello fresco, e io scendo con te finchè vuoi. Adesso non ne ho voglia per niente. – – Va be’ – feci io – se non disturbo. – – Figurati! Tanto l’unico letto è occupato da quel maiale. Noi ci mettiamo qui con i cuscini del divano, come al solito. E tu puoi trovarti un angolino da queste parti. – propose Marzia. – Per me va benone. Se permettete vado a fare pipì. – feci io avviandomi.Il cesso sembrava di quelli che si vedono nei films. Roba da matti, pensai: due locali e un cesso che è una piazza d’armi!Tornai in salotto, e vidi le due belle che stavano disponendo i cuscini sulla moquette. – C’è dell’altra birra? – chiesi. – Lascia perdere, che poi continui ad alzarti per andare a pisciare. – mi fece Marzia. – Ma ho sete! – mi lamentai.Marzia mi tirò addosso una bottiglia ghiacciata, che presi al volo. – Grazie mamma. – dissi stappandola.Sbottonai la camicia e me la tolsi, buttandola sullo schienale della poltrona. – Posso? – domandai, accennando alla cerniera dei pantaloni. – Fai come fossi a casa tua – ribattè Marzia, che si stava sfilando la gonna.Tolsi i calzoni e li buttai sopra la camicia.Marzia si sfilò la maglietta, e rimasi sorpreso osservando come non portasse reggiseno: cazzo, che tette dure!Mi sdraiai sulla moquette, tenendo le mutande per pudore.Giusy s’era tolta i pantaloni: sotto portava uno slip nero. Quando Marzia si tolse i collant, ebbi la conferma della mia prima impressione: non portava mutandine. Vidi sbucare infatti un ventre piatto ornato in basso da un triangolo regolarissimo di peli scuri.Giusy bisbigliò qualcosa all’amica. Marzia sbuffò. – Senti, puoi spegnere la luce, per piacere, che sei più vicino. – mi disse.Mi alzai con uno scatto che avrebbe voluto sembrare atletico, e premetti l’interruttore. Mi fece rabbia non aver potuto vedere nuda la bella Giusy.Tornai a stendermi, guardando nel controluce della finestra la silhouette di Giusy che si sfilava lo slip e la maglietta. Detti una lunga sorsata alla bottiglia.Sentivo le due ragazze, a un paio di metri da me, bisbigliare amabilmente. Mi fece rabbia accorgermi che ora la più chiaccherina sembrava proprio quella Giusy che avevo creduta muta. – Mamma! – dissi. – Ehh! Che c’è? – rispose Marzia sospirando. – Ce n’è ancora di birra? – domandai. – Ma sei una latrina! Si che ce n’è, vienitela a prendere. -Mi alzai ed avanzai a quattro zampe, a tastoni, fino al frigo bar. Presi una bottiglia ghiacciata e la stappai.Al ritorno, andai a sbattere contro un ostacolo, allungai una mano per rendermi conto della sua natura, ed incontrai un seno. – Ehi! – riconobbi la voce di Giusy. – Scusami, eh! Sai, al buio. – mi scusai.Sentii gorgogliare la risata di Marzia. – Buonanotte bambine. – feci, dopo essermi di nuovo sdraiato. – Buonanotte signore! – fece eco Marzia. – Buonanotte. – percepii dalla voce di Giusy.Mi sistemai comodamente, aggiustandomi il cuscino sotto la testa; ingollai un po’ di birra.Cominciai a pensare ai casi miei, a quanto avevo fatto quella notte: mica male, per un principiante.Cercai nella mia mente di vedere la scena: una mano che inserisce la spina nella presa, un lampo, forse neppure un grido.Pensai che probabilmente non avrebbe avuto neppure il tempo di stupirsene.Proprio un bel lavoro, ben fatto. E voglio vedere quale sarà la prossima mossa di quel Fiorelli…Avevo questi pensieri nella testa, quando mi accorsi del soffocato trambusto al mio fianco.Qualcuno gemeva con intensità e soddisfazione. Percepii una voce, doveva essere quella di Giusy. – No, non adesso, aspetta. – diceva – Quello ci sente. – – Quello sta sognandosi la birra che ha bevuto. – fece la voce di Marzia.I gemiti ripresero, e con essi lo strofinio di corpi che avevo inteso poco prima.La cosa durò diversi minuti, seguendo fasi alterne. Ora era una voce, ora l’altra a farsi sentire maggiormente. Percepii alla fine un inequivocabile ansimare d’orgasmo, ma non avrei saputo dire a quale delle due ragazze appartenesse.La vicinanza e il profumo di quei due corpi femminili in amore mi avevano risvegliati i sensi, qualcosa nel mio slip prese a muoversi per acquistare forma e consistenza.Ora le due parevano essersi calmate. Udii un bisbiglio. – Sai che non è male, l’amico qui? Te la sentiresti con lui? – era la voce di Marzia. – Non lo so, Ma’. Non sono sicura. E poi perchè insisti? Non è mica obbligatorio, no? – fece l’amica. – Oh, uffa! Ne abbiamo già parlato un sacco di volte. Non è che ti voglio obbligare, è che sarei più contenta se tu provassi anche a fare l’amore con un uomo. Capisci? Va bene, lo so che tu mi accusi di volermi scaricare dalle mie responsabilità, in questo modo. Però ammetti che non puoi fare una scelta definitiva se conosci uno solo dei due termini di paragone? – disse Marzia.Fui lì per lì per dire la mia, ma mi trattenni. Preferivo stare a vedere fino a che punto sarebbero arrivate le due intraprendenti amiche.Cristo, pensai, sempre a queste ore devono capitarmi certe avventure! Avevo un sonno pazzesco, ma non mi sarei persa l’occasione con quelle due, nemmeno per un miliardo.Finsi di svegliarmi in quel momento, sbadigliando sonoramente e dicendo il classico ” che ore sono?”. – Ma tu non dormi? – mi fece Marzia. – Mi sono svegliato per la sete. C’è mica dell’altra birra? – domandai. – Ahia! Ma è una mania. Senti piuttosto, abbiamo un problema. Vieni qui vicino a noi. – riprese Marzia. – Ok, ma prima mi prendo un’altra birra. – feci alzandomi.Presi una bottiglia nel frigo e la stappai. Fuori cominciava a vedersi la luce del giorno. – Bene, ragazze. Che guai avete? – esordii sedendomi in mezzo alle due giovani nude. – Così, si parlava. Vedi, io sostengo che Giusy, qui, non può essere certa a priori della sua vocazione omosessuale, se prima non ha qualche esperienza completa con un uomo, non ti pare? – esordì Marzia.Guardai lei, che mi stava quasi addosso con il suo profumo di donna che ha appena fatto l’amore, poi guardai Giusy che si teneva invece un po’ discosta, con le braccia incrociate a coprirsi i seni, e le ginocchia sollevate a nascondermi il sesso. – Non ragioni male, sorella – le dissi – ma bisogna vedere cosa ne pensa la tua amica, no? – – Lei ha paura, sai le solite paure delle vergini. Ma cristo, ce l’avevo anch’io ‘sta paura, e quando è stato il momento l’ho saputa superare. – – Io “‘sta paura” non l’ho mai avuta. – feci io.La battuta risollevò un poco il morale abbattuto di Giusy, che si lasciò sfuggire un risolino. – A me, per esempio, – continuai – una ragazza come Giusy non dispiacerebbe proprio. – – E allora dille tu due parole, per favore! – concluse Marzia.Mi voltai verso Giusy e la guardai fissamente negli occhi, lei non li abbassò, anzi ricambiò lo sguardo con la stessa intensità. – Ti farei paura se adesso ti prendessi una mano? – le chiesi. – No, non credo. – rispose lei. Aveva una voce fresca e gradevole.Allungai una mano verso di lei e le afferrai una delle sue manine piccole e ben curate. – E se adesso mi avvicinassi un po’ a te, avresti paura? – – No, non l’avrei. – disse.Mi avvicinai a lei, fino ad entrare in diretto contatto con la pelle liscia delle sue gambe. – E se ora ti abbracciassi, avresti paura di qualcosa? – – Non so… non credo. – rispose lei.Le cinsi le spalle con il braccio rimasto libero. – Ora voglio baciarti. Tu sai già come si bacia, non avrai paura, vero? – insistetti.Lei non rispose. Avvicinai le mie labbra al suo viso, baciai la sua fronte, poi la guancia, infine la bocca. Giocai con le mie labbra sulle sue per qualche secondo, poi lambii leggermente con la punta della lingua le sue labbra morbide, e infine affondai la lingua in quella bocca che ancora odorava del sesso dell’amica.Giusy parve sciogliere tutta la sua tensione in quel bacio: la sua lingua, dapprima inerte, cominciò ad animarsi ed a rispondere alle carezze della mia.Con la coda dell’occhio potevo intanto vedere Marzia che, distesa sul ventre, ci osservava con curiosità e compiacimento. Mentre la mia bocca continuava a divorare la piccola bocca morbida di Giusy, le mie mani scesero a rendersi conto della ferma compattezza di quel seno che prima avevano casualmente incontrato. Le mie dita sentirono i due capezzoli fremere e poi rizzarsi; li strinsero adagio, abbandonandoli solo quando la mia bocca, abbandonata la sua, scese a prenderne possesso.Sentivo Giusy gemere adagio, percepii il suo fiato caldo sul mio collo, godetti sentendo le sue mani scendere a tormentarmi i fianchi.La mia mano più audace corse fino al ventre della ragazza, e quando vi giunse le dita giocarono con i lunghi peli lucidi del suo pube, per poi affondare nelle carni morbide che si aprivano umide più sotto.Giusy divaricò le cosce, tenendo le ginocchia sempre sollevate, e la mia mano ebbe così agio di bagnarsi in quel dolce laghetto che s’era improvvisamente aperto sotto di essa.Strinsi tra le dita un clitoride irrequieto e sfuggente e il nuovo contatto strappò a Giusy un gemito più intenso. Con delicatezza lisciai quel bocciolo di carne per alcuni secondi, fino a far salire d’intensità il suono che usciva dalla gola della ragazza.Scesi con un dito a saggiare quella verginità che volevo di lì a poco fare svanire: l’introdussi adagio nella stretta apertura, e lo mossi con circospezione avanti e indietro, mentre il palmo della mia mano si muoveva circolarmente sulla vulva di Giusy, per seguitare a darle il giusto godimento, e intanto la mia bocca seguitava a esplorare ogni centimetro dei suoi seni ansanti.Quando intuii che la ragazza era pronta ed il sacrificio avrebbe potuto essere consumato con non troppo dolore per lei, condussi la sua mano a prendere contatto con lo strumento che l’avrebbe iniziata ai piaceri da lei mai prima sperimentati. Percepii un moto nervoso, in quella mano, non appena ebbe impugnato il mio pene: moto che però si trasformò subito in una lenta, dolce esplorazione di questa carne finora sconosciuta.Compresi che il momento era giunto, e mi portai con i fianchi tra le cosce della ragazza obbligandola a stendersi sulla moquette.Mi colse la curiosità di vedere cosa stesse nel frattempo facendo la sua bruna amica, e voltai lo sguardo nella sua direzione. Sempre stesa a pancia sotto, stava divorando con gli occhi le nostre forme allacciate, mentre la sua mano si muoveva, in un va e vieni lento ed esasperante, tra le cosce dischiuse.Impugnai il mio pene alla radice, e con le dita dell’altra mano dischiusi con dolcezza le frementi, umide labbra del sesso di Giusy. Cominciai a premere con gentilezza, ma anche con determinazione, per infilare la mia asta durissima in quello stretto pertugio.Dalla bocca di Giusy sfuggì un grido lacerante quando, cessata la resistenza delle sue carni, il mio pene potè affondare interamente nella sua vagina.Rimasi fermo un attimo, approfittandone per regalare alla vittima del sacrificio un bacio dolcissimo che la ripagasse del dolore patito.Afferrai poi le sue gambe, che giacevano inerti e abbandonate contro le mie, e le sollevai oltre i miei fianchi, flettendole, finchè non le ebbi sopra le spalle, a circondarmi il collo. Mi sollevai sulle braccia, che tenni tese, le mani a stringere le braccia di lei.Infersi un primo colpo deciso, e la ragazza reagì emettendo un gemito simile a quello d’un animale ferito.Iniziai a muovermi dentro e fuori del ventre di Giusy con regolarità, variando però ad ogni nuova spinta l’intensità e la profondità del colpo. Ogni movimento era uno scontro del mio contro il suo pube. – Lo senti? – le sussurrai. – Oh si, tanto. – rispose. – Dimmi che cosa senti. – insistetti. – Lo sento dentro… tutto… mi sento aperta… lo sento in fondo… più presto… più presto… -Accelerai il ritmo delle spinte. I gemiti di Marzia che stava raggiungendo l’orgasmo, masturbandosi dietro di noi, facevano da sottofondo all’ansimare convulso ed alle brevi grida inarticolate che di tanto in tanto un affondo più deciso strappava dalla gola di Giusy.Esaltato dall’ascolto di questo orgasmo stereofonico, rinunciai a trattenermi e mi lanciai in una galoppata frenetica, dal ritmo impossibile che pure, i fianchi agili di Giusy riuscirono a sostenere.Sempre con maggior frequenza affondavo il coltello di carne nella ferita aperta, in un crescendo esaltante che trovava perfetta rispondenza nella stretta frenetica delle gambe di Giusy intorno al mio collo, nell’ondeggiare ininterrotto dei suoi fianchi.Alla fine, nel mio orgasmo liberatore riconobbi l’orgasmo violento della ragazza sotto di me, che ne rimase travolta e distrutta; eppure non ci fermammo: il movimento dei nostri fianchi congiunti andò rallentando, adagio, sempre più adagio, sempre meno ampio, sempre più in superficie, finchè rimanemmo immobili nel nostro sudore accomunatosi, congiunti.Giusy rimase sotto di me, gli occhi chiusi, il respiro che si andava lentamente regolarizzando.Sentii Marzia muoversi sulla moquette, giunse vicino a noi, trascinandosi sul ventre. – Siete stati meravigliosi, tutti e due – sussurrò abbracciandoci. – E tu sei un bel maschione. Non mi dispiacerebbe provarti un giorno o l’altro. – aggiunse poi rivolta a me.Giusy aprì gli occhi e sorrise. – Hai visto? Non ho avuto paura. – le disse.Ci addormentammo quasi senza accorgercene, tutti e tre così, abbracciati.Fui il primo a svegliarmi. Dalla cucina sentivo venire uno sciacquio, e la voce del giornale radio.Giusy giaceva ancora sotto di me, e le sue braccia non avevano allentato il laccio che mi circondava.Marzia era rannicchiata contro i nostri corpi, ed un suo braccio circondava i miei fianchi. – Oh, buongiorno amico! – disse l’uomo dall’aria gioviale che entrò in quel momento nel salotto – Dormito bene? – – Si grazie. Ah, ho bevuto un po’ della sua birra. – dissi io ancora imbambolato. – Mica male, vero? Tedesca. – fece lui, fregandosi le mani. – La vedo bene, stamane. Ieri sera era un po’ giù di corda. – dissi. – Ah! E’ stato lei allora che mi ha salvato. – esultò. – Io e le fanciulle che vede qua. – ammisi. – Due tesori, non è vero? – sorrise compiaciuto. – Senz’altro. – convenni. – Ma, dica: come c’è riuscito? – mi sussurrò con fare complice indicando la ragazza sotto di me. – Non me lo chieda – dissi – non l’ho capito nemmeno io. – Anche Marzia si era nel frattempo destata. – Ciao Marco! Come la va? – fece sbadigliando. – Mica male: dicevo al tuo amico qua che è stato un tesoro a condurmi in porto, stanotte. – – Bravo, vero? E’ il nuovo ragazzo di Giusy. – – Ti prego! – dissi fingendomi scandalizzato. – Tutti così gli uomini! – fece lei sconsolatamente. – La notte ti portano a letto, e il mattino dopo smentiscono tutto. – – Un po’ dura da smentire. – ridacchiò il corpulento Marco puntandoci un dito contro. – Beh, forse sarà meglio che ci ricomponiamo – feci io – visto che è arrivato il padrone di casa. – – Santo dio! Sono nuda! – strillò Marzia.Giusy si svegliò in quel momento. – Tutto bene? – le chiesi.Lei mi sorrise ed annuì, serrando le sue braccia intorno al mio corpo. La sua testa era adagiata sul cuscino formato dai suoi lunghi capelli castani. – Mi sono permesso di preparare un po’ di caffè, per chi ne vuole. – disse Marco allargando le braccia. – Grazie, amico. Un’idea favolosa. – risposi ammiccandoFeci per sollevarmi, ma mi accorsi soltanto in quel momento, con vivo imbarazzo, di trovarmi ancora in stato di erezione, per di più nella vagina di Giusy. La quale doveva essersene accorta prima ancora di me, se dovevo dare un senso all’espressione beata del suo volto.Marzia dovette intuire la situazione: prese da terra i suoi indumenti e disse: – Senti Marco, andiamocene di là a servire il caffè, intanto che questi due piccioncini si ricompongono. -Marco la seguì ridacchiando. – Fate in fretta a ricomporvi, che diventa freddo il caffè. – disse Marco sulla porta. – Oh, lasciali in pace! Vuol dire che al limite lo berrano riscaldato. – esclamò Marzia trascinandoselo via.Come restammo soli, Giusy incollò le sue labbra sulle mie, ed ebbi il piacere di sentire la calda massa sottile della sua lingua introdursi nella mia bocca.Sentii i fianchi di Giusy, sotto i miei, iniziare a prodursi nel movimento dolce appreso soltanto poche ore prima. Cominciai a muovermi con calma dentro di lei mentre le sue gambe andavano a stringermi i fianchi in una morsa che mi diceva quanto forte fosse il suo desiderio.Facemmo l’amore con dolcezza, studiatamente, ognuno con l’intento di provare a studiare le reazioni dell’altro.Fu una cosa dolce e snervante, che durò il tempo che ritenemmo necessario a sentirci entrambi pienamente soddisfatti.Quando sentimmo ambedue l’approssimarsi dell’orgasmo, Giusy mi sussurrò all’orecchio che si vergognava del fatto che Marco, dalla cucina, potesse udirla gridare dal piacere.Le chiusi allora la bocca con un bacio: eppure il grido ci fu, ed uscì dalla sua bocca per penetrare nella mia, e dalla mia per trovare rifugio nella sua, mentre i nostri corpi si scatenavano in un movimento scomposto e folle.Quando, dopo pochi minuti, estrassi dalla vagina di Giusy il mio pene gocciolante, la ragazza emise un sospiro prolungato. – Mi è sembrato quasi che tu mi portassi via una parte del mio corpo. – mi confessò abbracciandomi.Ci rivestimmo e raggiungemmo Marco e Marzia, in cucina. – Ma come vi siete ricomposti in fretta! – ironizzò Marco – Ci avete messo soltanto venti minuti. – – Bravi, eh? – feci io. – Lei non mi ha ancora spiegato come c’è riuscito. – mi sussurrò Marco all’orecchio. – Un giorno scriverò un memoriale – gli sussurrai allo stesso modo – nel quale narrerò tutti i particolari di questa incredibile vicenda. – – Me ne farà avere una copia, spero. – fece lui con aria convinta. – Ci conti. – lo rassicurai.Le due ragazze, intanto, chiaccheravano dandosi da fare intorno ai fornelli. – Ah, caro amico, lei deve fermarsi a pranzo con noi. – dichiarò Marco, prendendomi per un braccio. – Ha sempre di quella birra? – mi informai io. – Almeno una ventina di bottiglie. Pensa che possano bastare? – fece lui. – Una ventina? Vuol dire che non potrò, però, trattenermi per la cena. – dissi serio.L’uomo scoppiò in una fragorosa risata. – Meno male – disse – che questa notte, a un certo punto, ha trovato di meglio da fare. Temo, altrimenti, che di birra non ne sarebbe avanzata neppure per il pranzo. – – E’ appunto perchè ho pensato a lei che, ad un certo punto, ho deciso di mutare attività. -Marco scoppiò in un’altra fragorosa risata. – Sa – disse dopo – sono contento che mi abbia trovato lei, addormentato tra le braccia di queste fanciulle. – – In un certo senso, anch’io sono contento di aver trovato lei addormentato fra le braccia di queste fanciulle. Immagini un po’ se avessi trovato un tipo bilioso, innamorato della sua birra in modo volgarmente egoistico! – – A tavola! – fece la voce di Marzia, da dietro il frigorifero.
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