“Ora, cara Giovanna, che ce ne stiamo tutte e due al calduccio nel letto, raccontami, come mi avevi promesso, quel che è accaduto a casa di tuo zio durante la tua visita.” Quella che così parlava era Benedetta, una bella ragazza , rivolta alla sua compagna di collegio, una bellissima fanciulla sua coetanea; e stupendo era il contrasto tra le due, l’una castana con grandi occhi azzurri, e l’altra bionda con splendidi occhi verdi. “Sì, te lo dirò, ma non accarezzarmi così, altrimenti il mio racconto sarà troppo breve,” rispose Giovanna. “Come tu sai, mio zio è vedovo. Ha tre figli, Alessandro , Marco e Camilla . Questo è successo due anni fa; eravamo molto affiatati e diventammo presto grandi amici. Ero ospite di mio zio per l’intera estate, i due ragazzi erano appena tornati a casa in campagna per le vacanze ed erano ben decisi a divertirsi il più possibile. “Il luogo preferito per i nostri giochi era il pagliaio, e il principale divertimento consisteva nel rotolarci. Giocavamo ‘alle montagne’, in altre parole ci arrampicavamo sui mucchi di paglia e ci lasciavamo scivolare girando velocemente su noi stessi. Un giorno, la gonna mi si sollevò durante la discesa, col risultato che, arrivata in fondo, avevo le gambe scoperte e, non portando slip, la fessura tra di esse, già ben ornata di peli, era in bella vista. “Toh, guarda!’ gridò Marco additandola e gettandomisi addosso. ‘Venite a vedere quello che ci ha qui la Giovanna!’ “Ti prego, lasciami stare,’ dissi io cercando di rialzarmi. “Falla restare giù,’ gridò Alessandro, avvicinandosi a sua volta, allargandomi le cosce e aprendomi la vagina con le dita. “Che posticino buffo, questo tuo, Giovanna,’ disse Marco. ‘Forse è meglio dargli una bella occhiata. ”E intanto, se vuoi, puoi esaminare il mio pispolo. “”Guardiamoci tutti quanti, vediamo chi ha l’affare più bello.’ “Dai, dai,’ gridarono Alessandro e Camilla, ci divertiremo un sacco.” “E così i due ragazzi tirarono fuori i loro cazzi e Camilla, sollevandosi la veste e sfilandosi gli slip, ci fece vedere la sua vagina. “La tua è molto più bella,’ mi disse Marco, ‘perché hai più peli. Mentre Camilla ne ha pochi, e io anche, attorno al mio arnese, ma cresceranno ancora.”“E tu come fai a saperlo?’ chiese Camilla. “Eh,’ rispose lui, ‘ho visto spesso uomini che facevano il bagno, e tutti hanno foreste attorno ai loro pistoloni.’ “E le donne? Hai visto anche loro mentre facevano il bagno?’ “No, ma ho visto quella della mia tata, che ne ha tanti, di peli. Una sera, circa un anno fa, mentre mi asciugava dopo il bagno, ha cominciato a strofinarmi l’uccello. Io me ne vergognavo, ma lei mi ha detto che non c’era da preoccuparsi, che anzi presto ne sarei stato orgoglioso e che l’avrei infilato a tutte le donne in un certo luogo sotto la pancia. L’ho pregata di farmi vedere il suo luogo e lei ha acconsentito.”“E com’era, com’era?” “Be’, era come una bocca con una barba intorno. Potevo metterci dentro tutta la mano, tanto era grande.’ “Era curioso vedere come si indurissero ed ergessero gli uccelli dei ragazzi mentre esaminavano la mia vagina, tastandola, baciandola, odorandola e leccandola. Anche Camilla la guardò con desiderio e si titillò la sua apertura verso l’alto con le dita della mano e poi, non contenta, con una pannocchia che aveva trovato tra la paglia. “Ma tu, Giovanna, non hai posto per entrarci come con la tata,’ fece notare Marco. “Sì, che ce l’ha, guarda,’ disse Alessandro, ‘posso anche metterci un dito.’ “Fermati, Alessandro! Così maldestro che sei mi fai male.’ “Allora, fammici entrare col mio arnese. Non ti farò male, ne sono sicuro.’ “Sì, sì, lascialo entrare!’ gridarono Marco e Camilla, ‘questo sì che sarà uno spettacolo.’ “Bene, prova pure, se vuoi,’ accondiscesi io. “Alessandro allora mi si inginocchiò tra le cosce aperte e mi spinse il suo membro tra le labbra della vagina. “Oh, non riesce a entrare,’ commentò Camilla. ‘Che peccato!’ “Io cominciavo a eccitarmi, per cui afferrai l’organo di Alessandro con una mano, aiutandolo a trovare l’entrata, e con l’altra mano gli premevo il culo, aiutandolo a spingere. “Oh, adesso entra bene, entra tutto quanto. Ti fa male, Benedetta, eh, ti fa male?’ “No, caro, anzi mi piace molto. E’ proprio bello.’ “Alessandro, spinto dall’istinto naturale, si muoveva freneticamente avanti e indietro, e Marco e Camilla osservavano seri ed attenti, ma ecco che Alessandro cominciò a sospirare forte, aveva il viso stravolto, gli occhi lucenti e come vitrei. ‘Oh,’ se ne uscì a dire, ‘che mi succede? Tienimi, tienimi forte, Benedetta!’ E cadde sul mio petto, mentre sentivo che inondava la mia cavità di un liquido caldo e vischioso. “Dopo quella volta, non perdemmo occasione di giocare con le nostre intimità, rinunciando ad altri, assai minori divertimenti. Camilla e io accarezzavamo e succhiavamo i cazzi dei maschi, mentre questi titillavano e baciavano le nostre vagine, ma Alessandro e io finivamo sempre per avere un rapporto completo; mi piaceva moltissimo, perché aveva un giocattolo davvero meraviglioso, e quel dolce esercizio ci faceva godere senza risparmio. Mi raccontò che aveva visto suo padre mandare una ragazza nel fienile dopo che i contadini se n’erano andati, con la scusa di cercargli qualcosa. Lui le era andato dietro, l’aveva fatta sdraiare sulla paglia, le aveva tolto i vestiti e aperto le gambe. Poi si era sbottonato i pantaloni, aveva tirato fuori l’uccello e, inginocchiandosi tra le sue cosce, gliel’aveva spinto nel sottoventre. “Io me ne stavo nascosto in fondo al fienile,’ continuò Alessandro, ‘e vedevo chiaramente il ventre e le gambe di lei, il grosso uccello di papà con quella testa paonazza fuori dei pantaloni, tutto duro, con molti i peli alla base, e devo dire che dapprima ho provato un senso di vergogna. Ma ero così desideroso di guardare la vagina di Marianna e di vedere come si faceva quella certa cosa, che per nessuna ragione al mondo avrei distolto lo sguardo. Dunque, mio padre le è entrato dentro, e lei sembrava abbastanza abile in quello sport, e anzi pareva che ci prendesse gusto, e mentre il babbo continuava a cavalcare lei lo incitava mormorando: ‘Datemelo, signore, datemelo, spingete più a fondo, signore, oh, oh!’ E lui: ‘Sì, sì, ecco, Marianna, dammi la tua lingua, alza il bacino.’ E i loro ventri si urtavano, si colpivano con forza, finché con una spinta tremenda papà le fece entrare dentro il suo coso quant’era lungo, la serrò tra le braccia e la baciò a lungo, e tutti e due se ne stavano lì a occhi chiusi, parevano in estasi. Poi lei si è riassettata gli abiti e se ne è andata via contenta. Dopo un po’, anche mio padre se n’è andato.’ “Non dovresti parlare di queste cose, Alessandro.’ “Infatti, non ne parlo con nessuno. L’ho fatto solo con te, perché a te racconto ogni cosa.’ “Fu proprio in quei giorni che arrivò una nuova governante. Era una bella ragazza dai capelli di un biondo chiarissimo, di nome Beatrice, e mi resi subito conto che lo zio la faceva oggetto di molte attenzioni, le portava fiori e piccoli regali. “Beatrice dormiva in una stanza vicina alla mia, separata da questa solo da un tramezzo di cartongesso, perchè in origine formavano un’unica camera; e siccome il tramezzo era sottile, sentivo tutto quello che avveniva di là: quando Beatrice si alzava dal letto, quando si lavava, quando faceva pipì nel vaso da notte (nella casa di campagna il bagno era al pianoterra e nelle camere si usavano ancora i pitali come una volta). Una sera m’avvidi che la carta che rivestiva il tramezzo era strappata in un punto, e che c’era una piccola fessura. Da questa, me ne resi conto, si poteva vedere la stanza di Beatrice in tutta la sua estensione. Un paio di notti dopo, mentre già dormivo, fui svegliata da mormorii e sussurri nella stanza accanto. In punta di piedi andai a mettere l’occhio nella fessura. Il caminetto era acceso, e illuminava a sufficienza la scena. C’era lo zio che stringeva tra le braccia Beatrice e lei gli diceva: ‘Signore, andate via, vi prego. Oh, ma cosa mi state facendo? No, non voglio sedermi sul letto con voi. Smettetela di cercare di sollevarmi la camicia! Ma dove state mettendo le mani? Toglietele di lì! Non è molto gentile da parte vostra. E non toccatemi le gambe, signore, non voglio! Mi state facendo male! Perché mi stringete a quel modo le mani?’ “E allora, metti le tue mani qui, sul mio uccello, e apri, apri di più le cosce, e sta’ zitta, altrimenti Benedetta si sveglia.’ “Ma io non voglio che mi entriate dentro, non dovete farlo, signore!’ “Dai, lasciamelo fare, amore, te ne metto dentro solo un centimetro, non di più, ti giuro. Su, da brava, lasciami entrare. Perché sei così cattiva, eh, me lo dici?’ “Vi permetterò solo di baciarmi, sono molto stanca: cosa volete da me?’ “Soltanto fotterti, mia cara. Voglio semplicemente mettere il mio cazzo li, nella tua dolcissima fichetta, e montarti, così, così. Ecco, adesso sta entrando dentro. Non senti come scivola bene? Ah, com’è calda la tua fica. Non ti piace?’ “Sì che mi piace, tanto, mi piace tanto, mi piace da pazzi. Oh, mettetelo dentro bene. Oh, sì, spingete, spingete, signore!’ “Spingere che cosa, amore mio?’ “Il tuo cazzo! Il tuo cazzo! Il tuo cazzo!’ gemette lei passando dal voi al tu. “E dove vuoi che ti spinga il mio cazzo?’ “Dentro, sempre più dentro.’ “E che cosa ti sta facendo il mio cazzo, Beatrice?’ “Mi sta rompendo, mi sta sfondando, oh, è meraviglioso! Hai un così bel cazzone, sai fottere così bene, oh, oh!’ “Lo zio l’aveva fatta distendere sul letto, le aveva sollevato la camicia da notte, le aveva spalancato le cosce e s’era messo le gambe di lei sulle proprie spalle. Stando in ginocchio, si era abbassato i pantaloni e si era sollevato la camicia, e vedevo bene il suo grosso muscolo che lavorava vigorosamente come uno stantuffo, avanti e indietro. Mi sentivo tutta eccitata, la vagina mi bruciava, e non potei fare a meno di metterci su una mano e di strofinarmela furiosamente. Proprio in quella sentii un braccio che mi stringeva e una mano che mi si piantava sulla bocca per impedirmi di gridare. Era Alessandro che mi sussurrò all orecchio: Sono io, non dire una parola. Senti il mio uccello com’è duro. Anch’io lo voglio mettere dentro, ma tu continua a guardare dalla fessura e dimmi quello che stanno facendo. Cosa vedi?’ “Vedo lo zio che chiava Beatrice. Lei sta distesa sulla sponda del letto, le gambe sulle spalle di lui, e posso vederle bene la cosa.’ “E com’è la cosa?’ “Una grossa bocca pelosa che gli succhia l’uccello.’ “E continuano a fare l’amore? Dimmi, dimmi, Benedetta, lui è già venuto?’ “Va avanti e indietro sempre più svelto, e adesso si è fermato, si è abbandonato su di lei, la stringe forte tra le braccia! Ah, ci sono, spingi, Alessandro, stringimi, altrimenti cado! Ah, che bello, che meraviglia! Hai un uccello fantastico, Alessandro! Adesso riposiamoci un po’, lo voglio succhiare per farlo tornare duro.’ “Di lì a poco, tornammo a sentire dei sussurri, e a questo punto Alessandro propose: ‘Cambiamo posto. Tu siediti con le spalle verso la parete, in modo da poter giocare col mio uccello; voglio guardare per la fessura e adesso ti racconterò io quello che stanno facendo.’ “Mi infilai in bocca il suo soffice arnese e gli accarezzai i testicoli mentre lui guardava dal buco. “Ecco, si sta inginocchiando, ecco, adesso la bacia e la succhia, le ha aperto le labbra e sta guardando tra le pieghe rosee. E adesso la lecca tutt’intorno, fregando il naso sui peli. Ascolta, ascolta quello che dice.’ “E anch’io potei udire lo zio che esclamava: ‘Quant’è bella la tua fica, Beatrice, e che buon profumo ha! E che belle labbra carnose. Hai una grande fica, eppure l’entrata è strettissima, quando te lo metto dentro mi pare che una mano me lo stringa. E adesso mettiti di sponda, prendi in mano questo mio povero fratellino e accarezzalo prima di tornare a infilartelo dentro.’ “E Alessandro: ‘Ecco, si alza, e lei gli mette le braccia intorno alle anche, in modo da raggiungere i testicoli dal di dietro, con l’altra mano intanto gli prende il pene, poi lo fa voltare, ne muove su e giù la pelle, s’infila la testa rossa tra le labbra.’ “Sì, prendilo in bocca, amor mio.’ “Credo che ne abbia preso in bocca solo metà, e che splendide labbra. Adesso lo succhia proprio come tu stai succhiando il mio. Ah, quant’è bello sentirsi succhiare il cazzo. Oh, Benedetta, non posso proseguire. Toglitelo dalla bocca, sto venendo.’ “E Alessandro tentò effettivamente di sfilarmelo dalla bocca, ma a me piaceva tanto il sapore del suo organo, e del resto ero in preda a un tale desiderio che mi riusciva impossibile lasciarlo andare. Così, afferrandogli le natiche con le mani lo muovevo avanti e indietro. Lo sentii diventare ancora più duro, poi un caldo fiotto m’inondò la bocca e mi giunse in gola. “Poi udimmo lo zio che se ne andava dalla stanza di Beatrice. E anche Alessandro se ne andò e io rimasi sola, a rimuginare i miei ricordi. “Lo zio si recava nella stanza della governante quasi ogni notte; durante il giorno riuscivano a controllarsi abbastanza bene, e lei con i suoi grandi occhi azzurri sembrava il ritratto dell’innocenza, ma la notte davano sfogo alla più sfrenata libidine. Lo zio la prendeva in tutte le posizioni possibili, la induceva a usare parole considerate generalmente volgari e sporche, e lei pareva che ci godesse un mondo. Lui aveva per esempio l’abitudine di sdraiarsi sul tappeto davanti al caminetto, e lei gli passeggiava davanti tutta nuda, poi si chinava mettendogli la vagina sulla bocca e succhiandoglielo; e quando gliel’aveva fatto gonfiare e indurire, gli si sedeva sopra, e lui le metteva le mani sotto le natiche e l’aiutava ad andare su e giù. E Beatrice affermava che era la posizione che più le piaceva, perché, diceva, aveva l’impressione che il membro le entrasse fino in gola. Alessandro e io seguivamo le loro manovre con il massimo interesse, e continuammo così finché durò la mia permanenza in casa dello zio, imitandone le posizioni e i gesti, accarezzandoci, succhiandoci a vicenda, fottendo, persino facendo pipì sulla faccia di Alessandro che nel frattempo se lo menava forsennatamente guardando le mie labbra aperte con lo spruzzo che lo irrorava, e non c’era idea che ci venisse in mente che non mettessimo in pratica per aumentare il divertimento.
Aggiungi ai Preferiti