Avevo da poco compiuto diciotto anni ed ero felice di poter essere assunta come domestica nella lussuosa villa del conte Valerio, un nobile quarantenne alto e con la carnagione olivastra, coniugato con Francesca, una splendida signora alta e bionda di venticinque anni, dal portamento elegante, cortese e raffinata, anch’ella di origini nobiliari: la coppia aveva anche un meraviglioso bambino di nome Aurelio, che al mio arrivo aveva appena compiuto quattro anni.Le parole di Francesca erano sussurri che mettevano i brividi: vieni Claudia che ti faccio vedere la villa, mi disse appena arrivata!Ero rimasta affascinata da quella donna che mi accompagnava di stanza in stanza silenziosamente, pareva quasi riuscisse a camminare sollevata da terra tanto erano leggiadri i suoi movimenti, mi fece vedere anche la mia camera e ne rimasi sbalordita, in quegli anni chi abitava come me in campagna doveva dormire in stanze anguste con tre quattro fratellini attorno, qui avevo una camera ben arredata e tutta per me, non potevo sperare di meglio.I giorni passavano veloci e non sentivo la nostalgia di casa, lì stavo bene ed ero trattata ancora meglio, dovevo accudire Aurelio, che portavo molto spesso a giocare nell’immenso parco, per il resto ero a disposizione della contessa Francesca, che mi trattava come una sorella minore; il conte Valerio, forse anche per la sua diversa età e per quei suoi occhi scuri, a volte penetranti, mi incuteva un senso di inquietudine, sebbene fosse sempre molto gentile e garbato nei miei confronti.Era il 1957 ed a quel tempo le ragazzine come me non avevano molti grilli per la testa, anch’io non facevo eccezione, un po’ bigotta e timorata di Dio, ero ancora vergine e non avvertivo particolari stimoli sessuali, sebbene avessi cominciato a guardarmi nuda davanti allo specchio, da sola in camera: sono alta un metro e sessanta, capelli corvini, due bei seni rotondi ed appuntiti con due corolle scure, una folta peluria nera in mezzo alle gambe ed un bel culetto, che credo a volte mi osservassero anche i miei padroni quando servivo a tavola.Il pelo era la mia ossessione da quando avevo potuto vedere nell’intimità la contessa, che sul pube aveva solo un ciuffo dorato, che celava appena le meravigliose grandi labbra rosate della sua vulva; mi sarebbe piaciuto essere come lei, al suo cospetto mi sentivo un brutto anatroccolo, sebbene fossi invece una ragazzina graziosa.Mi piaceva quando Francesca mi chiamava a lavarle la schiena, toccare quel suo splendido corpo nudo immerso nell’acqua era per me motivo di sensazioni vibranti e lei se n’era accorta, prima dovevo spalmarle della crema detergente e poi risciacquarle la schiena, massaggiando dolcemente quella candida pelle; la contessa gradiva molto e mi gratificava con dei: sei proprio brava, hai delle manine delicate, sono proprio contenta di averti con me alla villa!Il bagno era diventato motivo di incontro peccaminoso che eccitava entrambe, non dovevo lavarle solo la schiena ma anche il sedere, entro il quale le piaceva sentire le mie dita che le solcavano il forellino: fai piano Claudia, è un punto sensibile, sì, sì spingi pure dentro il dito, brava così, mi sussurrò un giorno con la voce arrochita; i tessuti erano molli e non faticavo a spingere nello sfintere il dito fino in fondo, mi pregò di tenerglielo dentro stuzzicando l’anfratto con un andirivieni dolce ma insistente, il suo respiro divenne affannoso ed anch’io facevo fatica a controllare l’emozione, nella stanza da bagno si sentiva solo il nostro ansimare a bocca aperta, il suo culo cominciò a roteare prima che lei si afflosciasse dentro la vasca all’apice del piacere.Non passarono nemmeno ventiquattro ore che la contessa con occhi maliziosi mi sussurrò: voglio essere io oggi a lavarti la schiena, per una volta sarà la Padrona a disposizione della propria serva, sei contenta Claudia? Sì, sì, balbettai io arrossendo emozionata, mentre avvertivo una fitta nel ventre, molto più insistente di quelle che avevo cominciato a percepire durante gli ultimi giuochi d’acqua.Anch’io avevo imparato a percepire le sue emozioni, capivo che era ansiosa, aveva fretta di spogliarmi, mi sbottonò da dietro il grembiule mentre la vasca si riempiva d’acqua calda appannando l’ambiente, mi slacciò il reggiseno e poi scivolò con le mani sui fianchi, e con le dita palpitanti mi aiutò a sfilare le mutandine in cotone grezzo: mi immersi nell’acqua senza girarmi con il volto accaldato, inginocchiandomi dentro la vasca di schiena e poggiando la fronte sul bordo ove mi tenevo ferma anche con le mani.La contessa mi insaponò velocemente il dorso scendendo subito a carezzarmi il culetto a mandolino; nessuna delle due parlava ma i nostri respiri erano più che eloquenti, mi irrigidii solo un attimo quando forzò il buchetto violando la mia intimità, il suo dito insaponato non fece fatica a proseguire verso i meandri, mi prese un senso di annebbiamento a cui contribuiva anche l’immersione nell’acqua bollente, che divenne fuoco carnale quando con l’altra mano si spostò a carezzarmi lo stomaco prima di raggiungere la fichetta bagnata dentro e fuori.Le sue mani vellutate sceglievano sapientemente i miei punti sensibili mandandomi in estasi, quando l’azione divenne più pregnante e le sue dita raccolsero all’interno il clitoride turgido, manipolandolo con rara maestria, il mio respiro divenne rantolo ed il mio corpo cominciò a vibrare, sotto quell’azione combinata entro le mie fessure intonse, la mia libido fino ad allora pressoché inespressa si annunciò con veemenza: raggiunsi l’orgasmo soffiando e mugolando, con tono acceso e vibrante, tanto che Francesca accusò un senso di colpa, credette di essersi spinta troppo in avanti, si alzò e corse in camera gettandosi affannata sul letto.La raggiunsi poco dopo con addosso l’accappatoio, che avevo indossato sopra il corpo ancora bagnato, essendomi asciugata solo frettolosamente, la visione era sconvolgente: con la leggera vestaglia aperta sul davanti, si era infilata una mano dentro le mutandine di pizzo e si stava masturbando con foga, aveva gli occhi chiusi e si mordeva le labbra aspirando con le narici aperte, il suo viso era solcato da pieghe di libidine e scomposta in quel modo pareva una gazzella ferita.Si accorse della mia presenza solo quando sussurrai: voglio farlo io contessa!Si alzò di scatto come morsa da una tarantola, sfilandosi la vestaglia e le mutandine in un baleno, mi strappò di dosso l’accappatoio e strinse a sé il mio corpo umido, facendomi ribaltare sul letto, un bacio appassionato ci impedì di fiatare, scese a succhiarmi un capezzolo mentre io mi contorcevo dal piacere, poi si abbassò allargandomi le cosce, scostò con rapidità e dolcezza la folta peluria nera prima di affondare la bocca nella mia conchiglia dischiusa, credetti di svenire nell’accogliere la sua lingua appuntita entro il mio nido d’amore, mi agitai come una indemoniata sussurrando enfaticamente parole sconnesse, credevo che quello fosse l’apogeo della lussuria ma altro non era che la sua prima avvisaglia.I miei gemiti sommessi vennero soffocati dal pube della contessa che mi aveva scavalcato, poggiandomi la passera dischiusa a contatto delle labbra, seguii l’istinto e l’insegnamento pratico che mi stava sconquassando il ventre, allungai la lingua che al contatto con le labbra stracolme di umori le fece contrarre la vulva, come se volesse intrappolare il mio dardo ancora inesperto, il sapore agrodolce che emanava era intenso ma mi piaceva, lo assaporai solo qualche attimo con circospezione, addentando subito dopo con ingordigia l’enorme clitoride simile ad un simulacro fallico, trattenendolo tra i denti mentre le labbra succhiavano avide quella spessa scorza priapea.Non so quanto tempo rimasi concentrata in quell’azione, che dal profluvio di umori che mi venivano scaricati in bocca, doveva farla godere incessantemente, dal canto mio un orgasmo debordante mi fece rilassare qualche attimo, spalancai così tanto le cosce che mi dolevano le giunture, ma non era finita perché la sua bocca scivolò a mordermi i solchi pelosi delle mezzelune, addentrandosi al pari di una vortice a raspare il pertugio, che si contrasse emettendo un sordo rumore simile ad uno scoppio, le mani della contessa si erano allungate sulle mie coppe appuntite e ne strizzarono le corolle fino a che giunse, ancor più sconvolgente, un nuovo insopprimibile orgasmo.Dopo questo travolgente incontro, non mi fu facile nei giorni a seguire scrollarmi di dosso il pensiero manicheo del Bene e del Male, che mi era stata inculcato nella ferrea dottrina bigotta del paese di campagna in cui avevo abitato fino a qualche tempo prima, le effusioni della contessa mi mettevano i brividi, come una lama di coltello che ti sfiora la pelle, i primi approcci che preludevano ad un nuovo incontro passionale, mi trovavano ancora impacciata e timorosa, evidenziando la mia difficoltà a superare l’astratto concetto di peccato. Francesca in tal senso era chiaramente molto più inibita di me, anche se questa sua indole lubrica era stata messa in luce dal marito, giorno dopo giorno, coinvolgendola e rendendola complice in situazioni intriganti, che ne avevano fatto emergere una carica sensuale fuori dal comune, che ella faceva sempre più fatica a trattenere, sospinta com’era dal consorte, di cui era praticamente succube, a manifestarla senza ritegno.Intuivo che il conte fosse a conoscenza delle nostre esuberanze carnali, anche se nulla traspariva dai suoi occhi di ghiaccio; i nostri incontri solitamente avvenivano in momenti particolari, al riparo da occhi indiscreti, rimasi perciò ancor più sbigottita quando un giorno a fine pranzo, con il conte ancora seduto a tavola che giocherellava con il figlio Aurelio, venni raggiunta in cucina da Francesca mentre stavo sciacquando i piatti: ho voglia di mangiarti la fichetta, porcellona, sussurrò mordendomi il collo mentre con una mano mi palpava il culo da sopra il grembiule e con l’altra si era già infilata dentro le mutandine per carezzarmi la passerina, che si inumidì al contatto.Oh, no, adesso no, c’è il signor conte di là, potrebbe scoprirci! Non mi lasciò continuare e presami per un polso, con ancora le mani bagnate, mi trascinò in camera da letto spogliandomi; distesa sul letto supina, a gambe larghe, volle che mi masturbassi mentre lei si toglieva le vesti: guardavo estasiata il suo corpo sinuoso, di cui ormai conoscevo ogni anfratto, riproporsi nudo nella sua straordinaria bellezza, i suoi occhi sprizzavano lampi maliziosi quando estrasse dal cassetto del comodino un piccolo fallo di gomma, se lo infilò in bocca succhiandolo fino alla radice, trattenendolo nel palato per qualche istante.Salì sul letto con movenze feline e me lo posò sulle labbra facendolo succhiare anche a me, poi con la punta stuzzicò i capezzoli facendoli inturgidire, quindi scese sullo stomaco fino a raggiungere il monte di Venere, ove si fece largo nella folta peluria, mi ero irrigidita, forse la verginità l’avevo già persa nelle ficcanti azioni che ormai erano diventate routine, sta di fatto che al contatto con quell’oggetto la vagina si ritrasse chiudendo le grandi labbra, in un labile tentativo di difesa.Mi sfregò il clitoride accentuando la mia eccitazione, mentre con la bocca mi succhiava l’incavo delle cosce, lasciando tracce del suo passaggio con piccoli morsi; quando emisi un respiro profondo che avvicinava l’orgasmo, lo spinse all’interno deflorandomi definitivamente mentre io mi scomponevo, ansante, al colmo del piacere.Spostò il fallo dalla fichetta al culo, forzandolo lentamente ma inesorabilmente, finchè riuscì a farlo entrare tutto, quindi calò le fauci sulla vulva, divorandola; con gli occhi chiusi mi abbandonai a quei piaceri devastanti che mi strappavano le budella dallo stomaco, non so come ma percepii una presenza estranea nella stanza, socchiusi le palpebre e con la vista annebbiata intravidi la magica figura del conte che ci osservava a fondo letto, era nudo e con il cazzo svettante, credetti di sognare, spalancai gli occhi balbettando:…….c’è…….c’è il conte!Valerio salì maestoso sul letto, inforcò i fianchi della moglie e scivolò dentro il suo ventre con un colpo che mi parve micidiale; mi teneva gli occhi puntati addosso mentre pompava Francesca con bordate assordanti, i coglioni sbattevano sul perineo immediatamente prima del contatto sordo tra il suo pube con le natiche, al pari della contessa anch’io mi inarcavo ad ogni affondo come se fossi penetrata da quell’enorme randello: Francesca stava perdendo concentrazione nella suzione della mia vagina, anzi staccò la bocca per respirare affannata, sconquassata da quel devastante amplesso, Valerio emise un grugnito animalesco nello scaricarsi impetuoso, poi dette una botta nella schiena alla moglie invitandola a continuare a succhiarmi la passerina: voleva tenere acceso il fuoco che mi scaldava il ventre!Valerio scese dal letto e mi si avvicinò di fianco, tremavo come una foglia, impaurita ma anche eccitata, spostò la mia testa di lato e poggiò il glande sulle labbra alitando con voce profonda: succhialo! Non ero certamente un’esperta ma la mia suzione seppur acerba ebbe l’effetto di farglielo diventare più grosso ed impetuoso di prima, sollevò la moglie come fosse una piuma girandola in posizione di sessantanove, ella mi strusciò il naso con la ficona grondante di umori frammisti a sperma, quindi si abbassò poggiandola sulle labbra per consentirmi di assaporarla appieno.Francesca non era resistita alla voglia di imboccare anche lei l’asta pulsante del marito, lappandola con ingordigia, poi con gli occhi colmi di libidine mi aveva allargato le grandi labbra della vulva continuando a leccare l’uccello del conte che si stava posizionando per la vera deflorazione; entrò nel mio ventre con passo svelto ma senza alcuna forzatura, la mia fica si dilatava mano a mano che quel grosso arnese ne violava i più reconditi anfratti, strappandomi gemiti di inquietudine uniti ad un piacere incontrollabile, dovuto anche all’azione della contessa che era ritornata a mordicchiarmi il clitoride.Con la bocca soffocata dalla passera della contessa ed il culo profanato dal piccolo fallo in gomma, persi definitivamente la verginità in un caldo pomeriggio estivo: l’azione si fece sempre più veemente e stavo perdendo il lume della ragione, rimbalzai sul letto come morsa da una tarantola, travolta dal piacere nell’avvertire un profluvio di sperma, che con spruzzi incessanti mi inondava la fichetta, non avendo il conte avuto riguardo di ritirare il pene prima di raggiungere l’orgasmo.La mancanza di precauzioni portò a mettermi in cinta dopo appena sei mesi dal mio arrivo alla villa, ricordo ancora la mia disperazione quando il medico di famiglia venne a visitarmi confermando che ero in stato interessante, a poco servirono le parole consolatorie di Francesca per calmare il pianto dirotto che mi aveva assalito: non preoccuparti piccola penserà il conte a sistemare ogni cosa, su da brava calmati adesso!Valerio ed il medico, un anziano signore di circa settant’anni, erano usciti dalla mia camera parlottando fittamente tra loro e Francesca, approfittando del fatto che ero ancora parzialmente svestita, scese a succhiarmi prima l’interno delle cosce per incollarsi poi, come solo lei sapeva fare, alla mia vulva dischiusa ed appena esplorata dalla mano guantata del medico, tramutando in pochi attimi il pianto in sospiri mielosi, che mi portarono a soffiare come una mantice, prima di raggiungere un orgasmo straripante.Non capii subito il perché Francesca se ne andò immediatamente lasciandomi ansante e scomposta sul letto, ma guardando in volto il conte ed il medico che si affacciarono qualche istante dopo, non mi fu difficile intuire quello che mi aspettava: il dottore conosce un ragazzo che può fare al caso tuo, disse il Padrone con voce suadente, lo assumerò alla villa, penserò io a tutto, anche a far sì che ti sposi dando un padre al bambino che nascerà, devi essere riconoscente è una buona soluzione!Guardavo frastornata il conte che con mani leggere mi aiutò a finire di spogliarmi mentre soggiungeva: su da brava Claudia, mettiti carponi di traverso il letto che il dottore vuole finire di visitarti! Non feci nemmeno in tempo a mettermi in posizione, aspirando con le labbra semichiuse, che il conte mi ficcò in bocca l’uccello gonfio mentre le mani del medico perlustravano non certo professionalmente la mia vagina inumidendosi i polpastrelli, per poi passare ad allargare le natiche ove infilò due dita entro il pertugio, lubrificandolo.Il vecchio aveva un uccello incredibilmente lungo e fortunatamente non molto consistente, non fece fatica alcuna a sodomizzarmi, arrivando con pochi colpi ad affondare fino alla radice, mi piaceva sentire dentro le mie viscere quel lungo biscione che mi stantuffava senza particolare ardore ma con rara maestria, il conte Valerio capì dall’accentuarsi della mia suzione che stavo godendo come una pazza, credo si siano guardati negli occhi per decidere quando scaricarsi, infatti raccolsi i loro flotti copiosi quasi istantaneamente.Il dottore si fermò a cena quella sera e mi resi conto che c’era una complicità di vecchia data tra lui ed il conte, che nulla aveva a che vedere con l’aver poco prima abusato di una umile serva quale io ero, quando portando il dessert a tavola sentii il Padrone sussurrare: prima di andar via dovresti visitare anche Francesca, è un po’ di tempo che pure lei lamenta degli strani formicolii in mezzo alle gambe!Dal come la contessa arrossì capii che era stata presa alla sprovvista, balbettò qualche parola confusamente prima che il volto virasse in paonazzo, si alzò di scatto e fece strada al dottore in camera sua, solo quando il marito le sussurrò: avanti cara, cosa aspetti, vai a farti visitare!Non vi era confidenza tra il dottore e la contessa, ciò rese ancor più difficile l’approccio quando arrivarono in camera, Francesca restò imbambolata in mezzo alla stanza con il fiato corto aspettando che l’anziano medico prendesse l’iniziativa, non era la prima volta che Valerio la spingeva a rapporti con altre persone, fino ad allora però era stato sempre lui a condurre la danza, partecipando direttamente od indicandole come dovesse comportarsi, adesso era diverso, il messaggio era giunto all’improvviso e lei non poteva sapere se vi fossero dei limiti concordati.Francesca guardava di continuo verso la porta socchiusa nella convinzione di veder apparire il marito da un momento all’altro, ma ciò non avvenne, anzi la voce cupa del medico la tolse dai quei pensieri facendola sussultare: si tolga il vestito e si distenda sul letto supina! Il medico aveva estratto dalla borsa lo stetoscopio, come se si apprestasse ad una vera visita, la contessa era rimasta con reggiseno e mutandine bianche che coprivano a mala pena le sue splendide intimità, indossava anche calze e giarrettiere di colore nero, che facevano pendant con gli indumenti e con la sua candida pelle, si distese sul letto con il cuore in tumulto, socchiudendo gli occhi per la vergogna, mentre il dottore poggiò lo stetoscopio nel mezzo dei seni che ballavano tumultuosi.Un lungo brivido attraversò il corpo di Francesca al contatto, i capezzoli si erano rizzati fuoriuscendo dal reggiseno e l’anziano medico non riuscì a trattenere un gesto istintivo, strizzò prima l’una e poi l’altra corolla appuntita mentre con voce ormai arrochita sussurrò: non è qui che ha i disturbi vero contessa? Sono più giù come accennava suo marito vero?La giovane donna alitò qualcosa di incomprensibile travolta dall’emozione, anche perché il dottore senza aspettare risposta aveva spostato lo stetoscopio sullo stomaco, facendolo scivolare a ridosso dell’elastico delle mutandine, lo stazionò appena entro il leggero vello che lo separava dalla vulva, riprendendo ad interrogarla: non sento nulla, forse è qui che ha qualche problemino, proseguì sfiorandole con la mano l’incavo delle cosce ed il davanti delle mutandine che si erano inumidite.Sì, sì, borbottò impercettibilmente Francesca, trattenendo il respiro nel percepire che il dottore si stava sbottonando i pantaloni, senza nulla aggiungere l’anziano medico le spostò una mano dentro la patta e lei non fece fatica a trovare il suo lungo uccello svettante all’interno dei mutandoni, lo impugnò scappellandolo dolcemente mentre il respiro del vecchio sporcaccione divenne quasi asmatico, facendogli perdere l’iniziale aplomb con cui aveva cominciato la visita.Le abbassò con uno strattone le mutandine, aiutandola con movimenti bruschi a sfilarsele, spostòil padiglione auricolare dello stetoscopio entro la vagina e cominciò a sfregarlo all’interno, oh sì adesso sento bene, è un fiume in piena, borbottò allargando le grandi labbra della ficona fradicia, prima di strapparsi di dosso l’aggeggio del suo lavoro e dedicarsi a piene mani a strizzare il clitoride grosso come una noce.Poco dopo, travolto dalla lussuria, spostò la testa della donna verso la patta, ansimando: succhialo contessina!La bocca ardente di Francesca si avvinghiò all’uccello mentre le mani del medico la rovistavano davanti e dietro, facendola contorcere per la ruvidezza dell’azione, il vecchio stava scoppiando e la rivoltò, accucciandola di traverso il letto con il culo per aria, la sodomizzazione era per lui un arte sopraffina, glielo ficcò dentro le chiappe e cominciò a pomparla con il suo solito ritmo morbido ma ficcante: la contessa sbavava perdutamente travolta da quel corpo estraneo che, contrariamente al cazzo del marito, non le dava un senso di soffocamento ma un piacere intensissimo.Il dottore si era allungato sulla sua schiena ancorandosi con le mani sui seni, che tratteneva con forza nei palmi chiusi: dimmi che ti piace il mio cazzo nel tuo bel culo contessina, su gridalo, dimmi che ti fa impazzire, sporcacciona! Sì, sì inculami vecchio maiale, porco, porco, oh, sì riempimi di sborra, mascalzone! Questi ricordi a distanza di vent’anni, dopo aver partorito due splendide gemelle, che tanto avevano preso dal nobile padre, mi riaffioravano vividamente nella memoria mentre mi incamminavo dopo tanti anni lungo il viale che conduce alla villa: erano gli anni settanta ed i tempi molti cambiati rispetto alle mie rimembranze, come pure gli avvenimenti, che saranno oggetto di un nuovo racconto.
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