Scrivo la presente per il mio maestro, Albert, che dopo avermi avviato sulla strada della sottomissione vuole che delle mie umiliazioni gli mandi un rapporto costante in modo che la mia vergogna non si esaurisca nell’atto stesso, ma che ne sia ulteriormente consapevole nel descriverla ad altri. Tornata a Milano ho ripreso la mia attività di avvocato, ma nello stesso tempo sono stata ceduta a Vlado, un albanese dalle attività certamente non legali che ho dovuto anche assistere legalmente. Nell’ambito di tale assistenza ho violato il mio codice professionale procurando ad alcuni connazionali di Vlado dei falsi permessi di soggiorno, tra queste carte vi è anche la mia firma ed ora Vlado può ricattarmi. Se questi permessi andassero nelle mani della questura la mia carriera come legale sarebbe assolutamente distrutta. Ma Vlado sa di poter contare sulla mia obbedienza anche senza questo ricatto, a volte mi chiedo se tali carte compromettenti non servano più a me che a lui per giustificare la dipendenza e il bisogno che provo ad essere dominata, umiliata, usata. Da quando Vlado mi ha preso in carico faccio una doppia vita: di giorno stimata professionista, altero avvocato, di notte, quando mi chiama, vestita da troia mi reco dove mi comanda il mio padrone a dargli piacere con il mio corpo e la mia sottomissione. Talvolta il mio padrone mi ordina di accompagnarlo nel giro di controllo della sua “mandria”, come lui la chiama, di ragazze molto giovani che si vendono al bordo delle strade; qualche volta mi ha ordinato di fare compagnia alle sue ragazze mentre lui si allontanava per affari che è meglio che io non conosca. Sebbene non abbia mai dovuto accompagnarmi ai clienti delle puttane, grande è stata la paura di venire fermata dalle forze dell’ordine. Come avrei potuto spiegare la presenza di uno stimato avvocato, seminuda, su una strada piena di puttane?. Ora il mio padrone mi ha imposto di passare due settimane con un gruppo di nomadi, a loro completa disposizione. La proposta mi ha sconvolto e ho implorato Vlado di non obbligarmi ad una prova così dura, di tenermi con sè, ho cercato di lusingarlo promettendoli ben oltre l’obbedienza: il rispetto e la devozione totale, ma di è dimostrato irremovibile, anzi, quanto più lo imploravo, tanto più si divertiva. Questa volta, veramente, ha pesato il ricatto dei permessi di soggiorno. Avevo chiesto a Vlado maggiori particolari sulle persona alle quali venivo affidata e su cosa avrei dovuto fare, ma il mio padrone si è limitato a sogghignare; la mia immaginazione mi faceva supporre una esperienza dura, ma la realtà è stata ben oltre tutto quello che potevo immaginare PRIMO GIORNO Su disposizione di Vlado ho interrotto tutte le mie relazioni sociali avvisando anche quelli con cui lavoro che avrei fatto 3 settimane di ferie in un paese estero; sebbene mi fosse stato imposto il ruolo di schiava solo per due settimane ho pensato che altri sette giorni per recuperare e rendermi presentabile non sarebbero stati inutili e, alla fine, è stata una scelta opportuna. Vlado è venuto a prendermi un lunedì mattina, ha imposto che non portassi con me documenti o denaro, ne’ cambi di biancheria e vestiti, nessun gioiello o altro oggetto personale. Ci siamo diretti con la sua macchina alla periferia nord di Milano e, dopo aver girato all’interno di zone industriali con fabbriche dimesse è comparsa un’area confinante con una discarica. Imboccata una strada secondaria sterrata che si chiudeva verso il perimetro della discarica, in un avvallamento parzialmente nascosto e del tutto invisibile dalla strada principale, abbiamo trovato un accampamento con tre vecchie mercedes e una roulotte; un telo tra la roulotte e due pali verticali realizzava una specie di veranda sotto la quale, su due sdraio, una sedia d’automobile e un materasso steso per terra, aspettavano quattro uomini bruni di pelle, non si sa se per natura della carnagione o per il fatto di non lavarsi, come il lezzo che emanavano ben rivelava. Salutarono cordialmemente Vlado, che evidentemente conoscevano bene. Il mio padrone non si perse in convenevoli, disse loro che io ero la femmina a loro disposizione per due settimane per farne quello che volevano ed era opportuno che, finchè era lì con loro, chiarissero i miei doveri, in sua presenza, affinché non ci fossero malintesi. Il più vecchio, che nei capelli neri aveva le tempie brizzolate, non si fece pregare. “Quello è il posto dove dormirai” disse indicando il materasso per terra “alla mattina ti porteremo ad un incrocio dove chiederai l’elemosina, passeremo a prenderti nel pomeriggio. Quando tornerai puoi mangiare e poi ti useremo per il nostro piacere, puoi riposare un po’ poi devi preparare la cena; quando abbiamo mangiato, verso le 10 di sera, ti porteremo sulla strada dalla quale sei venuta e lì farai la puttana. Ti verremo a prendere verso le 3 di notte, quando tornerai chi ne ha voglia di noi ti chiaverà di nuovo. Potrai dormire fino alle 10 del mattino quando andrai di nuovo a mendicare. Devi portare a casa almeno mezzo milione al giorno altrimenti verrai punita, finchè resti con noi non avrai contatti con altre persone oltre ai clienti con cui farai la puttana; se stai male o se hai bisogno di qualcosa devi chiederlo solo a me. Credo che non ci sia altro, c’è qualcosa che non va?” concluse rivolgendosi a Vlado “Si” rispose con una risata “scordatevi che vi prepari la cena perché non è assolutamente capace, morireste di fame sia voi che lei” L’osservazione dovette farli divertire tutti perché tutti risero “C’è un’altra cosa” disse Vlado “non può andare all’accattonaggio con quel vestito“ e indicò il mio taillieur “ne’ a battere con gli abiti con cui va a mendicare, Ho portato qualcosa“ prese dal bagagliaio un fagotto di vestiti e lo lanciò ai piedi del vecchio “tu spogliati” fu l’imperioso ordine che mi diede. Obbedii levandomi il costoso vestito, con lo sguardo interrogai il mio padrone per sapere se dovevo togliermi anche l’intimo e un suo cenno me lo confermò, quando fui nuda Vlado raccolse i miei indumenti e li mise nella sua automobile. “E’ tutta vostra” disse ai quattro, salì in macchina e si allontanò. Ero lì, nuda, al centro dell’accampamento attendendo gli ordini dei miei nuovi padroni. La mia vulnerabilità mi angosciava e nello stesso tempo mi eccitava. Non sapevo come comportarmi e temevo quello che sarebbe successo. L’anziano, che evidentemente era il capo e che, seppi poi, si chiamava Miran, guardò gli altri che fecero alcuni cenni di assenso “Sul letto” mi ordinò indicando il lercio materasso per terra. Mi stesi su questo lurido giaciglio e allargai le gambe predisponendomi ad essere posseduta dai miei nuovi padroni. Mi montarono tutti, in sequenza, senza alcun riguardo, senza nemmeno togliersi i pantaloni, squassandomi con i loro affondi e, infine, riempiendomi la figa del loro seme. Avvicendandosi l’uno all’altro non appena il precedente aveva versato il suo sperma nel mio ventre. Miran mi chiavò per ultimo. Fui felice che nessuno mi avesse chiesto di succhiargli la coda perché l’afrore di corpi e vestiti non lavati era veramente forte e durante gli amplessi mi faceva quasi trattenere il respiro; una tale consolazione non doveva essere che momentanea perché ben altre offese avrei dovuto subire. Quando anche l’ultimo si fu scaricato in me mi tastai la vagina trovandola bagnata, come era bagnato il materasso sotto di me. Chiesi di potermi lavare, al che tutti risero, e Miran, che si era avvicinato, mi colpì con uno schiaffo “Qui ti lavi quando lo decidiamo noi, intanto comincia a puzzare di figa e di monta come quella puttana che sei, l’odore di figa mi eccita molto di più di quel profumo che ti sei data e che copriremo presto con l’odore naturale del tuo sudore e delle tue secrezioni .. ma ora basta, preparati che devi andare a mendicare e ogni minuto di ritardo sono soldi persi” Mi fecero vestire con un’ampia gonna a mezzo polpaccio e indossare un’ampia camicia e nient’altro, mutande, reggiseno e calze non erano compresi nella tenuta da mendicante che mi avevano preparato. Mi diedero due lerce ciabatte e Miran mi appese alle orecchie due anelli in rame smaltato, mi bagno i capelli distruggendo la messa in piega e raccolse i miei lunghi capelli in una coda di cavallo, poi, con uno straccio non particolarmente pulito, mi tolse il trucco dal viso. Fu questo, più ancora della monta che avevo appena subito, a segnare la rottura con il mondo da cui provenivo, ora, seppure di carnagione chiara, ero una zingara. Uno del gruppo, che poi seppi si chiamava Lev, mi caricò su una delle mercedes e mi portò all’incrocio con una strada di grande traffico dove mi ordinò di chiedere l’elemosina alle macchine che si fermavano al semaforo. Trascorsi quella prima mattinata, con l’ansia di venire riconosciuta da qualcuno dei passanti a cui tendevo la mano, ma mi accorsi che la maggior parte manteneva nei miei confronti una totale indifferenza fingendo addirittura di non vedermi. Fu comunque durissima perché non abituata a camminare e a stare in piedi cominciai ad avvertire l’indurimento delle gambe e i piedi che mi facevano male; vi era poi il sole che implacabile batteva sull’incrocio non solo bruciandomi la pelle, ma anche facendo salire dall’asfalto ondate di calore che quasi toglievano il respiro. Avanti e indietro lungo le macchine in fila, veloce a togliermi di mezzo quando scattava il verde, raccogliendo i pochissimi spiccioli che qualcuno, probabilmente impietosito dallo stato miserevole che alla fine avevo assunto, versava nella mia mano. Non avevo orologio e quindi non avevo idea di che ora fosse, la sete era diventata terribile e maledivo il fatto di essere partita quella mattina senza aver bevuto a sufficienza. La mercedes che mi aveva accompagnata aveva fatto tre passaggi per controllare che facessi il mio dovere, ma non si era fermata. Le minacce che Lev aveva proferito se per caso abbandonavo la postazione mi facevano continuare il doloroso calvario. Alla fine, quando il sole era ormai basso sull’orizzonte, Lev venne a prendermi e mi riaccompagnò all’accampamento. Miran controllò subito quanto avevo raccolto e dal viso non parve molto soddisfatto. Un altro del gruppo chiese il permesso di fottermi di nuovo, ma Miran che aveva un maggiore senso del lavoro gli disse che ora dovevo riposare un po’ per essere pronta a fare la puttana che, evidentemente, era il lavoro da cui si aspettavano le maggiori entrate. Mi portarono da bere e mi offrirono un pezzo di pizza fredda e dura da mangiare e mi permisero di dormire per un paio d’ore. Stremata crollai sul lurido materasso. Quando mi svegliarono il sole era calato da un pezzo. Una lampada a gas completava l’illuminazione della luna sull’accampamento. Mi vennero dati i vestiti per il nuovo lavoro: calze nere autoreggenti, una mini in strecht e una camicetta senza bottoni che dovetti legare sul davanti lasciando bene in vista le tette. Mutande e reggiseno, evidentemente, dovevano essere oggetti estranei alla cultura degli zingari. Le ciabatte furono sostituite da due sandalini con un tacco da 10 centimetri che, essendo stretti, prima della fine del mio turno di lavoro sarebbero diventate una vera tortura. Miran mi porse un rossetto molto carico e la matita per gli occhi e mi truccai pesantemente, anche perché non volevo che qualche puttaniere potesse riconoscermi a prima vista. Mi venne consegnata una borsetta con una manciata di preservativi. Ero pronta per il nuovo lavoro Sempre Lev mi accompagnò lungo la strada che doveva essere il luogo della mia prostituzione, mi indicò il posto in cui potevo appartarmi con il cliente e mi lasciò sotto un lampione. Sebbene la mia vita sessuale negli ultimi tempi fosse stata molto promiscua non mi ero mai esposta volontariamente alla prostituzione; i miei padroni mi avevano venduta, ma mai avevo dovuto adescare qualcuno. La vergogna della situazione mi sconvolgeva e mi eccitava, Sola, a lato della strada, vedevo le macchine avvicinarsi con i fari illuminati e allora facevo alcuni passi ancheggiando. Qualcuno si fermava, qualcuno chiedeva la tariffa, qualcuno mi lanciava epiteti osceni ai quali non rispondevo, i più ripartivano Quella notte ebbi solo tre clienti, due dei quali furono soddisfatti di un semplice pompino. Quando alla fine Lev venne a riprendermi avevo le gambe dure come pezzi di legno e i piedi mi facevano male che quasi non riuscivo a camminare. All’accampamento consegnai le 150.000 lire a Miran che non si mostrò per niente soddisfatto “Avevamo detto che devi portare a casa 500.000, qui ne mancano 350.. per oggi non ti puniamo perché è la prima sera, ma domani o i giorni successivi devi compensare quello che manca, come fare sono affari tuoi.” ”La prego“ implorai “non picchiatemi, passava poca gente, cercherò di attirarli meglio, se volete soldi posso darveli io personalmente..appena torno a casa vi mando quello che manca” La mia proposta parve divertirli “Non hai capito niente, dei tuoi soldi di avvocato, perché è questo che fai in città, vero?, non ne vogliamo assolutamente, con Vlado siamo stati d’accordo, è qui che devi guadagnarteli, sulla strada, con la tua figa, bocca e culo… a proposito di culo, ormai è ora che lo proviamo..Che ne dite” chiese rivolto agli altri del gruppo che ghignarono. Mi fecero spogliare dei miei vestiti da baldracca e accomodare sul materasso, faccia a terra e natiche per aria, poi, a turno, mi incularono. Come la mattina non usarono riguardi. Il primo che mi invase aveva usato una crema emolliente, ma gli altri mi sfondarono confidando che il primo avesse aperto la strada. Se il primo rapporto era stato duro gli altri furono molto peggio; inizialmente ero riuscita a tenere decontratto l’ano e ad aprire lo sfintere, ma il dolore crescente della lunga inculata mi faceva stringere involontariamente procurandomi ulteriore sofferenza e aumentando il piacere di chi mi ingroppava. Miran espresse bene questo particolare; come l’altra volta era stato l’ultimo a coprirmi e mentre con feroci affondi piantava il suo membro nelle mie viscere esprimeva, nel suo modo, la soddisfazione per come reagivo “Continua vacca, stringi il culo …non sai che piacere mi dai..”; nel contempo mi afferrava i seni strizzandomeli ferocemente e mordendomi sulla nuca e le spalle. Eppure, nonostante il dolore, per la prima volta in quella giornata abbi un orgasmo che mi portò a frullarmi con una mano la vagina mentre venivo selvaggiamente inculata. Disfatta dalla lunga ingroppata venni abbandonata dai miei padroni sul mio giaciglio, prima di addormentarmi sfinita pensai che in quella giornata mi ero presa undici cazzi tra bocca, figa e culo quanti sarebbero stati domani?
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