E’ stata sempre un po’ svagata, distratta, più attratta dalle chiacchiere che si scambiano tra compagne, tra amiche, che non, certamente, dalla scuola. Forse, in effetti, non gliene fregava niente di niente, non aveva interessi, ma si dichiarava spasimante del cantante alla moda. Sapeva tutto di lui, divorava i giornaletti che ne parlavano, andava in giro narrando di una certa confidenza che aveva con lui, quasi intima, pur non avendolo mai visto a meno di venti metri di distanza, negli spettacoli all’aperto. Ascoltava musica fino a tardi, ballando scalza nella propria camera, guardandosi allo specchio, tirando su la veste. Credeva nell’oroscopo, nella chiromanzia, nei tarocchi, in modo eccessivo, ridicolo. Ma era proprio il senso del ridicolo che le mancava, anche per la eccentricità del vestire, del truccarsi. Aveva fatto qualche amicizia strana, con tipi che si dichiaravano veggenti, sensitivi e, in sostanza, erano solo soggetti necessitanti di sostegno psicologico se non, addirittura, psichiatrico. Si guardava allo specchio, sì, anche completamente nuda, ma non si considerava una bellezza, una rubacuori. Qualche amichetto, particolarmente arrapato, le aveva perfino detto che aveva un bel culo. In effetti era abbondante. Ma nessuno si voltava a guardarla, a rivolgerle espressioni del tipo ‘bella gnocca’! Non molto snella, ossatura alquanto pesante, braccia e cosce un po’ troppo grosse, e una gabbia toracica troppo tonda, sulla quale il seno sembrava più protuberante di quanto in effetti fosse, non essendo di grosse dimensioni. Tette rotondeggianti. Veronica faceva tutto con superficialità, leggerezza, senza troppo pensarci. Quando subito dopo la maturità strappata a fatica e grazie a pressioni esterne, incontrò quello che giurò di amarla alla pazzia, che non poteva vivere senza lei, che la bramava, la concupiva. Si comportò come se il compagno di banco le avesse detto di aver fame e le avesse chiesto un po’ del suo panino. Poverino, non poteva lasciarlo affamato, se lei aveva di che aiutarlo… Così, a Marcello disse un ‘va bene’, un po’ distaccato, quasi con aria arrendevole, e si fece trombare senza nessun entusiasmo e con scarso o nullo coinvolgimento. Appena un ‘ahi’, quando, sorpreso e sconcertato, il giovane si accorse di lacerarle l’imene, e poi rimase in attesa che lui avesse finito. In effetti stava pensando ad altro, perfino al CD nuovo che non aveva ancora comprato. Marcello non capì mai perché Veronica non volle più ripetere quella esperienza ma, in effetti, non ne era rimasto entusiasta. Al compagno che gli aveva chiesto come era andata, disse che gli sembrava di averlo messo in un chilo di vitella! Una sola persona destava sentimenti in Veronica. La madre. La odiava! Nessuna gelosia, sia chiaro, nessun complesso perché era il padre che se la scopava. La odiava perché, pensava e diceva, era una egoista stronza che si occupava della figlia solo per romperle le scatole, per dirle che era sgraziata, che non valeva nulla… e cose del genere. In effetti, la madre pensava solo a sé stessa, e al suo unico figlio maschio. Neanche del marito si curava. Gliela dava, purtroppo, perché era il suo ‘debito coniugale’, ma ne avrebbe fatto a meno. Tra l’altro si illudeva (sì, si illudeva perché non era vero) che gli uomini l’ammirassero e la desiderassero. Veronica era del tutto disinteressata al padre e al fratello, come maschi. Anzi, le erano proprio indifferenti. Quel suo fare, quasi trasognato, aveva attratto l’attenzione di zio Pietro. Uno zio acquisito, il marito di una sorella della madre. Veronica aveva tre zii, un fratello della madre, Lucio, e i mariti delle zie. Oltre Pietro c’era anche Eugenio. Pietro era sempre interessato alle donne, di tutte le età, anche alle non bellissime, e aveva una particolare predisposizioni per le giovani. Per motivi ‘legali’ pretendeva, però, che fossero maggiorenni, anche se da poche ore. Cominciò a guardare Veronica come femmina. Disse che si trovava a passare per caso da quelle parti (invece da un bel po’ era dietro l’angolo attendendo che uscisse di casa) e si offrì di accompagnarla. Veronica lo salutò affettuosamente. “Grazie, zio, vado a prendere il trenino per andare al mare.” Aveva una sacca con sé. Indossava una camiciola di cotone leggero e una gonna a pieghe con grossi fiori. “Al mare?” “Si.” “Ma sai che anche io sto andando al mare. Logicamente per lavoro. Ma mi sbrigo presto. OK, ti accompagno io. Ti attende qualcuno?” “Il solito gruppo.” “Dove?” “Al Kursaal.” “Dai, telefona che non ci vai.” “Ma tu, non hai detto che stai andando al mare?” “Si, ma in un’altra zona. Io vado al Golden Dolfin.” “Il nuovo stabilimento di lusso?” “Si. Non ci sei mai stata?” “No.” “Dai, telefona. Vedrai com’è carino. Si mangia bene e hanno delle cabine con tutti i confort.” “OK.” Veronica avvisò gli amici che non sarebbe andata da loro. Pietro guidò attentamente per imboccare la strada per il mare, verso sud. Quando uscirono dal traffico cittadino, si volse sorridendo a Veronica, le mise confidenzialmente, anzi affettuosamente, una mano sulla coscia, bene in alto, la strinse un po’, constatò che, dopo tutto, le carni erano ben toste, e scosse un po’ la testa. “Come va, Nica?” In famiglia molti la chiamavano Nica. “Bene zio, grazie.” La mano carezzò un po’, avvicinandosi sempre più al grembo. Nica sentiva quella mano, capiva perfettamente che la stava palpeggiando, sorrise un po’ quando le disse che la stava ‘testando’ più che tastando. Ma scrollò appena le spalle. Se gli piaceva…. Zio Pietro era sempre così premuroso con lei… “Ma hai già il costume?” “Si, certo.” Volle accertarsene, Pietro. Mano tra le gambe per sentirlo. “Due pezzi?” “Si.” “Allora sei proprio uno schianto!” Lei sapeva di non esserlo, ma sentirselo dire le faceva piacere. Lo guardò, gli sorrise. In fondo era garbato, zio Pietro, e quella mano era proprio carezzevole. Stavano giungendo alla spiaggia. “Scusa zio, ma non devi prima andare in paese?” “A fare cosa?” “Non so… ma hai detto che avevi un impegno professionale…!” “Ah… si… ma ci vado dopo, oppure gli telefono e lo faccio venire allo stabilimento balneare.” Lasciarono l’auto al solerte guardamacchine, andarono verso il bar. Sedettero a un tavolino, vicino alla vetrata, quella che guardava verso il mare. “Cosa prendi, Nica?” “Un tè freddo, grazie.” Pietro ne ordinò due, al cameriere che si era avvicinato a loro. Poi disse alla ragazza che andava a farsi assegnare una cabina, un ombrellone e due lettini prendisole. Era un locale moderno, grazioso, arredato con gusto ed eleganza. Alcuni avventori al bancone, sugli alti sgabelli, altri ai tavoli. Molti in costume da bagno. Una vera ‘mostra’ di tette e culi e di muscolosi bicipiti ben ostentati. Pietro tornò presto ed aveva una busta di cellophane con qualcosa dentro. “Se vogliamo andare…” “Cosa hai nella busta?” “Uno slip per me, sono venuto senza. Non contavo di fare il bagno, ma visto che ci sono…” Il bagnino li accompagnò fino alla cabina. Molto ampia, con un tavolino, due sedie, attaccapanni, un lettino per riposare. In effetti era una specie di branda, con fondo di canapa, e sopra alcuni teli a spugna, gli stessi che si potevano portare in spiaggia o servirsene dopo la doccia. Una porta, appunto, dava nel vano doccia, fornito di tutti gli impianti igienici più moderni, di un phon, e di altre inutili diavolerie. Entrarono, Pietro dette la mancia al bagnino, richiuse la porta. Aveva arzigogolato un certo modo di comportarsi, un sondaggio cauto ma deciso. Nica non era quella che si definisce una ‘bellezza’ ma era pur sempre una giovane di non ancora diciannove anni, e se ci scappava una bottarella non era proprio da farsela sfuggire. Doveva creare una chiara ‘intimità’, dando l’impressione della naturalezza, della spontaneità. Nica mise sul tavolino la sacca, tolse gonna e blusa e le appese all’attaccapanni, rimase in reggiseno e minuscolo slip. Non aveva un corpo statuario, ma ricordava qualcosa delle pitture fiamminghe che, tutto sommato, attiravano l’interesse di chi la guardava. “Tu devi cambiarti zio?” “Certo.” “Vuoi che esca? Che ti aspetti fuori?” “Per me puoi restare qui… faccio presto..” La logica avrebbe dovuto suggerire a Pietro di andare a cambiarsi nel locale della doccia. Invece, tolse la leggera giacca spiegazzata, di lino, tirò via la camiciola, levò le scarpe e le calze, e poi i pantaloni. Senza fretta. Nica s’era seduta sul lettino, lo guardava senza particolare espressione nel volto. Era un po’ china in avanti. Il bordo del lettino poneva in rilievo la ricchezza delle cosce, e la posizione evidenziava la prosperosità del seno. Pietro sentì che qualcosa non restava inerte, in lui. Era col boxer, ma la protuberanza diveniva sempre più visibile. Lui, tra l’altro, era rivolto verso Nica. Con una certa indifferenza, sfilò quell’ultimo indumento e si attardò ad aprire la busta di cellophane, a tirare fuori lo slip, e guardarlo attentamente. Lo sguardo di Nica era palesemente rivolto all’argomento dello zio, e gli occhi esprimevano un misto di sorpresa e compiacimento. Per la verità stava cominciando a provare una certa prurigine tra le gambe, e sentiva che la sua vagina s’andava rapidamente inumidendo. Quello di Marcello non l’aveva guardato con lo stesso interesse, ma a quanto ricordava questo aveva delle caratteristiche alquanto diverse: il glande aveva una forma fungiforme appuntita. Se l’avesse dovuto ‘stilizzare’ l’avrebbe disegnato come una freccia. Una grosso dardo, di carne. Dardo… faretra. In quel momento si sentì come Diana, la dea faretrata, solo che lei l’astuccio per quella saetta non l’aveva sulle spalle ma tra le gambe! Le venne da sorridere a quel pensiero. Pietro, intanto, si era infilato, con qualche difficoltà, lo slip blu, ed era, in piedi, di fronte alla ragazza. Il gonfiore sotto al naso di lei. “Ho visto che hai l’olio solare. Te ne metto un po’?” Nica annuì. “Sdraiati sul lettino, a pancia sotto.” Lui prese il flacone che era sul tavolino, alzò il coperchietto, ma prima di tutto si avvicinò di nuovo a Nica e le slacciò il reggiseno. Versò un po’ d’olio sul palmo della mano, cominciò ad applicarlo sulla schiena della nipote. La pelle non sembrava serica, al tatto, ma era piacevole sentirla sotto la mano, sotto i polpastrelli. Seguitò a carezzarla, dolcemente, insistentemente. La mano giungeva all’inizio del seno, sfiorava le mammelle, scendeva ai fianchi, proseguiva. Lo slip di Nica era allacciato ai fianchi, due piccoli fiocchi. Pietro tirò lentamente un laccio per parte, scoprì completamente gli opulenti glutei e prese a impastarli come se il sole dovesse ustionarli con violenza. Erano ben sodi, e si lasciavano palpare. Nica ci stava prendendo gusto. Quelle mani stavano procurandole sensazioni sconosciute. Le dita di zio Pietro erano prodigiose.. e poi… s’infilavano dappertutto… stavano ‘oliando’ anche il perineo (chissà come avrebbero fatto i raggi solari ad entrare fin là) e si soffermavano sul buchetto del sedere che era tutt’altro che dispiaciuto da quella deliziosa esplorazione. Ora, zio Pietro, senza parlare, l’aveva presa dolcemente per la vita e l’aveva fatta voltare. Lei era supina. Il reggiseno era rimasto sotto la schiena, e lo slip era ridotto a una stisciolina invisibile tra le grandi labbra che s’erano inturgidite. I riccioli del pube s’erano increspati, sembravano più duri del solito. Non sapeva se c’era ancora dell’antisolare sulla mano di zio Pietro, ma la mano la stava accarezzando. Anzi, erano tutte e due le mani che le manipolavano le tette, le pizzicavano i capezzoli. Lei sentiva il grembo contrarsi. Pietro le tolse con dolcezza l’inutile slip, aperto e sgualcito, umido della linfa stillata dalla vagina della giovane, lo gettò per terra. Una mano, leggermente, le sfiorava il pube, i riccioli, poi andò a inserirsi tra le gambe. Le dita la perlustrarono, titillarono il clitoride, curiose esplorarono l’ingresso della vagina, mucillaginosa, fremente, vi si introdussero. Nica respirava affannosamente, il bacino sussultava. Pietro si chinò su lei, la baciò sulla bocca, introdusse le sua lingua a incontrare quella di lei. Intanto, con una manovra agile e decisa, aveva liberato il suo fallo dalla prigione dello slip che era andato a fare compagnia per terra, a quello di Nica. Non era eccessivamente collaborativa la ragazza. Lui salì sul lettino, le aprì le gambe, si inserì tra esse, le alzò le ginocchia, sì che rimanessero alte e divaricate, poggiandosi sui talloni, e poggiò il glande all’ingresso sempre più rorido della vagina inquieta. Guardò Nica. Lei fece un piccolo cenno di assenso. Entrò in lei molto lentamente, sentendo che gli andava incontro bramosa, e cominciò un ‘avanti e indré’ che al momento opportuno divenne sempre più energico, percependo l’approssimarsi galoppante dell’orgasmo che stava travolgendo la sua nipotina. In quel momento era deliziosa. Sentiva che lo stava suggendo in sé. Poi si fermò, lei, quasi annientata. Solo per un po’. Incrociò le gambe sul dorso di lui. “Ooooooooh…. Zio Pietro….” E vibrò come la corda d’una arpa magistralmente pizzicata. Quando sentì invadersi del fiotto che si riversò in lei. Pietro non era riuscito a trattenersi… Scosse la testa. Quella ragazza, non bellissima, s’era dimostrata una amante appassionata. Scrollò le spalle. Alle eventuali conseguenze ci avrebbe pensato dopo. Era quasi sera quando Nica scese dall’auto di Pietro, che l’aveva riportata a casa. Lui restò in macchina. Lei, prima di scendere, si volse verso l’uomo e lo baciò sulla guancia. “Grazie zio!” Era d’estate, d’accordo, ma l’esame si avvicinava e lei non era a un buon punto con la preparazione. Libro aperto, blocco per appunti, matita, biro… C’era un po’ di tutto. Quello che mancava era la concentrazione. Guardava lo scritto, la spiegazione, gli esempi, ma era come se non li vedesse. Pensava ad altro. Non era stato male con zio Pietro, anzi, ma ciò che la faceva sorridere, al ricordo, era quel suo modo di affannarsi per ficcaglielo dentro, tirarlo fuori quasi del tutto, e rientrare subito. E così, per tante volte. Niente male, per carità, ma lui era proprio buffo, e poi, quando scaricava il suo liquido caldo e mieloso… aveva una faccia… sembrava proprio un ebete. Che caro, lo zietto, e come era stato contento… Aveva fatto proprio bene, lei, a starci. Non solo perché era stato gradevole, aveva provato sensazioni veramente belle, che il solo ripensarci le faceva inumidire la micetta, ma anche per non deludere il Pietro che aveva di pietra anche il suo coso. Sulle prime, però, perché poi era proprio ridotto ai minimi termini. Ecco, ‘minimi termini’, era uno degli argomenti della Matematica Generale, l’esame che l’attendeva. Non ci capiva un tubo. E pensare che in famiglia c’era un genio, in materia, il fratello della mamma, lo zio Eugenio, che insegnava ‘analisi uno’ all’università. Pensò di telefonargli. Era periodo di vacanze, forse stava a casa. Formò il numero. Al secondo squillo rispose proprio lui. “Ciao zio, disturbo?” “Ciao Veronica, nessun disturbo, sto alla scrivania sfogliando una rivista. Come stai?” “Bene, grazie, alle prese con la preparazione dell’esame. Matematica generale, non ci capisco niente.” “Ma come? E’ facilissima, semplice. Si vede che sei un po’ distratta.” “Pensavo se tu potessi darmi qualche spiegazione, mettermi sulla buona strada…” “Certo, cara, quando vuoi.” “Quando posso venire da te?” “Noi non partiremo per la villeggiatura prima di una settimana, quindi….” “Va bene domattina?” “Certo.” “A che ora?” “Diciamo alle dieci?” “OK. Salutami la zia.” Forse zio Eugenio sarebbe stato in grado di ficcarle in testa un po’ di quella materia così astrusa. Nella mente non proprio a posto della ragazza, dalla frase pensata si staccò una parte: ‘sarebbe stato in grado di ficcarle…’! Anche lui, come lo zio Pietro le avrebbe ficcato! E scoppiò in una risata. Chissà come era quello di zio Eugenio. Sembrava un tipo pacifico, sui quarantacinque, più dedito al pensiero che all’azione. Come si comportava, a letto, con la zia Cesira, la moglie? Lo ficcava? Ancora una risatina. Chiuse il libro. Se ne sarebbe riparlato l’indomani. Quando Nica bussò, andò ad aprire lo zio in persona: pantaloncini, camiciola, sandali, piedi scalzi. Un bacetto di saluto, frettoloso, di sfuggita, sulla guancia. “Vieni Veronica, scusa se sono così, ma fa abbastanza caldo. Vieni, andiamo nello studio. Cesira e la colf sono fuori per spese. Il sabato è destinato alle compere, anche se, essendo in vacanza, potrebbero farlo in altri giorni.. Vieni!” Andarono nello studio, era abbastanza fresco. Il grosso tavolo antico, pieno di libri e di fogli. Sedette sulla sua poltrona. Nica dall’altra parte, sulla comoda sedia. La ragazza aveva una gonna molto ampia, leggerissima, di cotone ingualcibile, e una blusa annodata alla vita che, aprendosi ogni tanto, mostrava il reggiseno rosa che, così a balconcino, esponeva più che celava le tette tonde e prosperose. “Allora, cosa è che non ti riesce chiaro?” “Tutto.” “Non esagerare. Vedrai che basta comprendere la ‘chiave di lettura’ e tutto diviene facile.” Prese il libro che Nica aveva portato, lo aprì alla pagina iniziale e lo voltò verso la nipote. “Devo leggere, zio?” “No. Avvicinati al tavolo, e segui attentamente quello che ti dirò.” Nica si avvicinò. Anche lui si tirò più avanti, stese le gambe, incontrò quelle della nipote. Erano calde e gli sembrarono anche un po’ pelosette. Le strusciò con le sue. Veronica sentì quella specie di carezza, e la villosità dello zio. “Va bene così, zio?” Lui annuì. Nel contempo pensò di inserire una gamba tra quelle di Nica e di alzare il piede, libero dal sandalo, per salire tra le cosce. Queste erano lisce, polpose… Però, era cicciotella la nipotina! E stringeva le gambe. Eh no, birichina, devi dischiuderle… ecco… così… brava… Diamine, quanto pelo.. e che calore… E come sei bagnata… brava piccola… ti piace eh?! L’alluce aveva scostata la striscetta del perizoma, s’era intrufolato tra le grandi labbra e con estrema delicatezza stava sfiorando il clitoride, e cercando di infilarsi nella umida e palpitante vagina. Nica si era accomodata sulla sedia, spostando in avanti il bacino. Non perdeva tempo zio Eugenio. La guardava e andava assumendo la stessa espressione di zio Pietro prima di… occhio da pesce lesso, labbra semiaperte… certamente con la mano sotto al tavolo stava toccandosi il battaglio. Ecco, l’aveva battezzato. Quello di zio Adriano era un battaglio, se lo immaginava così. “Vieni qui, pupina, comprenderai meglio…” Nel contempo aveva tirato via il ‘ditone’. Veronica si alzò, con nonchalance, andò dalla parte dello zio. Lui spostò appena la poltrona. “Siedi…” Le prese la mano e la fece sedere sulle sue gambe, dove era manifesto il gonfiore della patta. Nica pensò bene di non rovinare la gonna. La alzò, e credette opportuno di far sistemare il ‘battaglio’ tra le sue robuste chiappe che lo sentirono in tutta la sua evidenza. Eugenio non immaginava tale condiscendenza. Nica si comportava come se se lo attendesse, come se fosse venuta per questo. Intanto lei, soffocando un sorrisetto, pensava allo zio docente di matematica, e al suo fallo che si era elevato …a potenza! Eugenio, intanto le aveva messo una mano nella blusetta e stava calcolando digitalmente il volume delle semisfere, nonché accertandosi della loro consistenza. ‘Ho capito’ – rifletté Nica- ‘questi zii pensano tutti alla stessa cosa, mi commuovono, mi inteneriscono. Già, io mi intenerisco e loro si induriscono… e come! Ma questo deve essere grosso e bitorzoluto come un cetriolo!’ Eugenio le aveva tirato fuori la tetta, del tutto, ed era tutto intento a ciucciarle il capezzolo che, intanto, s’era inturgidito a dovere. ‘Però’ -seguitò a rimuginare la ragazza- ‘mica male il matusa, ciuccia che sembra volerla svuotare, e ci sa anche fare… eh… sì… la mia micetta sta andando in brodo… di giuggiole…! Ma sai che mi piace?’ Quel piacere le faceva dimenare il sedere e stava facendo impazzire Eugenio. Ormai… a quel punto…! Si staccò dalla tetta nipotale e fece voltare Nica verso lui. La fece sedere a cavalcioni. Lei si spinse in avanti portando il capezzolo vicino alle labbra dell’uomo. Le era piaciuto. Ma Eugenio la fece alzare in piedi, sempre restando a gambe larghe e con un gesto rapido, sfilò i pantaloncini. Nica ebbe conferma della sua supposizione. Era proprio un bel cetriolo bitorzoluto. Lo zio le scostò il perizoma, poi decise di strappare la debole striscetta bagnata ridotta ad una stretta fettuccia di stoffa. Prese Nica per i fianchi e la fece sedere di nuovo sulle sue gambe. Portò il glande tra le cosce di lei, divaricò le grandi labbra, incontrò l’orifizio vaginale, lo introdusse appena. La spinta del bacino di Nica lo fece penetrare abbondantemente. La ragazza tornò ad avvicinare la tetta alle labbra dello zio. Lui riprese a ciucciare e lei a muoversi ritmicamente. Perbacco se le piaceva, era tutto un contrarsi in lei, dal cervello alla punta dei piedi. La vagina ciucciava il grosso fallo avunculare come la bocca di lui il suo capezzolo. Forse era meglio di Pietro. Ma sì, decisamente era meglio. Lo testimoniò con un orgasmo travolgente e sconvolgente che si trasformò presto in maggior avidità, giungendo al culmine quando Eugenio dilagò il lei, come un torrente in piena. Abbracciata a lui, affranta, affannata, sudata, col seme che colava fuori, pensò al fallo dello zio: ‘espressione della passione’. Espressione, anche in matematica si usa il termine espressione. Quella di zio Eugenio lei l’aveva elevata a potenza, poi l’aveva racchiusa tra le parentesi della sua micetta, ne aveva estratto la radice ennesima (dolcissimo miele), e l’aveva ridotta ai minimi termini. Quella era stata la prima lezione di matematica. Nica avvicinò le labbra all’orecchio di Eugenio. “Grazie, zio!” Era sdraiata nella vasca. Aveva preferito un bagno rilassante alla solita doccia. Aveva versato con generosità i sali profumati nell’acqua tiepida, ed ora poltriva, lasciando vagare la mente. Seguitava a prendere coscienza del significato di essere femmina. Marcello non le aveva detto niente, assolutamente detto niente, come maschio. Quasi un fastidio. Zio Pietro le aveva fatto comprendere che lei interessava come femmina e aveva cominciato a rimuoverle quella specie di blocco che le aveva fatto considerare il sesso come un elemento secondario e trascurabile. Comunque quella era stata la prima volta che aveva compreso cosa significare sentirsi il maschio nella pancia, sentirsi invadere dal seme del maschio. Niente di sgradevole. Ma chi aveva fatto vibrare la campana, era stato il robusto batacchio di zio Eugenio. Non solo, ma le aveva anche dimostrato quanto dolce fosse il sentirsi ciucciare le tette. Anche la micetta era stata contenta. E lei aveva partecipato con molto entusiasmo, era veramente incantevole quel ‘in and out’ che le aveva fatto conoscere, per la prima volta, in cosa consistesse l’orgasmo, di cui aveva sentito tante volte parlare. Altra invasione seminale… com’era bello sentire quel tepore diffondersi nel proprio grembo…! Certe irregolarità l’avevano condotta dal ginecologo e dall’endocrinologo ed anche dal neurologo. Le avevano detto che per una certa disfunzione ipofisaria lei, allo stato, non avrebbe potuto avere bambini. Avrebbero dovuto approfondire le ricerche per stabilire se seguire una terapia e quale. Nica aveva risposto che ci avrebbe pensato. In fondo, che gli spermatozoii sparsi in lei sarebbero rimasti inutilizzati era l’ultima cosa alla quale pensava. Con la spugna morbida spargeva la schiuma su tutto il corpo, sui capezzoli che ricordavano i baci di Eugenio, sulla micetta che era ancora indecisa se, tutto sommato, sarebbe stato meglio ripetere l’esperienza con Pietro o con Eugenio. Mentre passava e ripassava la spugna, il suo solito sorrisetto vagava sulle labbra: come poteva chiamarla, considerando le persone che aveva… ospitato? Aveva dapprima pensato a ‘vulva avuncularia’, sì, ma poi aveva riflettuto che ‘avùnculus’ è il fratello della madre, non gli sposi delle zie materne delle ‘materterae’. Quindi doveva rettificare. In effetti, si potevano definire amplessi ‘intra moenia’ o, essendosi verificati nell’ambito della famiglia, ognuno era stato un ‘familiaris amplexus’. No, meglio ‘intra moenia’ per l’assonanza con ‘nella mona’! Comunque, a ben pensarci, erano stati ‘episodi’. Una botta e via. In effetti non c’era stata più occasione di incontro, e poi, le ziette, le sorelle materne, erano sempre all’erta come secondini ringhiosi. Fece un lungo respiro, uscì dalla vasca, si guardò nello specchio, indossò l’accappatoio, tornò nella sua camera. Si, una botta e via. Chissà come sarebbe stato il dormire tra le braccia d’un maschio! Mentre perdeva tempo, cazzeggiando tra sé e sé, ricordò che nel pomeriggio i genitori e le ziette sarebbero partiti, in pellegrinaggio per il santuario che avrebbero raggiunto a sera inoltrata, per poter partecipare alla processione col flambè lungo la salita. Sarebbero rimasti fuori per tre giorni. Lei aveva addotto l’impossibilità di interrompere la preparazione… senza dire a cosa. Alla partenza del pullman, nel cortile della parrocchia, a salutare i partenti, oltre Veronica, c’erano anche zio Pietro e zio Eugenio, nonché il fratello della mamma, zio Lucio. Non appena il pullman s’avviò, s’alzò il coro dei pellegrini: ‘lodate… lodate… lodate…’. Veronica propose agli zii di fare una cenetta, a casa sua, a base di pizza e birra. Accettarono tutti, di buon grado, ma ognuno disse che, poi, si sarebbe ritirato presto a casa sua. Col cellulare Nica ordinò pizze e birra, e tutti si avviarono, ognuno con la propria auto, ritrovandosi al portone della ragazza. Zio Lucio era molto simpatico. Un tipo un po’ originale. Era orgoglioso di essere ‘venessiàn caghinaqua’, veneziano del centro storico, non della terra ferma, ma aveva assimilato moltissimo del dialetto e della verve siciliana, dato i quindici anni trascorsi a Palermo, dove aveva frequentato l’università ed aveva iniziato la sua carriera accademica. Alternava detti veneziani con quelli palermitani. Aveva aiutato la nipote ad apparecchiare la tavola, mentre gli altri stavano discutendo, in salotto, del più e del meno. Veronica era con la sua solita gonna ampia e la blusetta legata in vita. Si alzava e abbassava, si chinava. Lucio la fermò un momento, prendendola per mano. “Nicuzza, fatti talìare, ma sai che ti sei fatta proprio bedda? O vuoi che ti dica, ostrega nipotina, che bella tosa che ti xè?” La ragazza sorrise, ma colse negli occhi dello zio una luce che conosceva. Quei lampi che, negli uomini, traevano energia dai testicoli e la trasmettevano al fallo! Indovinato! Lo zio accompagnò il commento con una pacca sul sedere. Di quelle ‘a struscio’, che si allontanano solo dopo aver percorso tutta la superficie del mappamondo per esaminarne la compattezza. “Che fa’, Nica, sei corazzata?” Veronica lo fissò, un po’ provocante. “Tu che dici, zio Lucio, è corazza o ciccia?” “Non saprei, dovrei approfondire…” Tavola apparecchiata, pizze e birra pronte. Seduti intorno: tre uomini tra i quaranta e i cinquanta, una ragazza di circa diciannove. Atmosfera allegra, il centro dell’attenzione era Nica, sempre un po’ picchiatella, come sempre. Ogni tanto si alzava, andava a versare la birra nei bicchieri vuoti, si fermava a fianco degli zii, si chinava, regalava tette alla vista, riceveva generose palpate di chiappe, sempre più insistenti, sempre più penetranti. Qualche dito le aveva anche sfruculiato il buchetto. E la micetta aveva l’acquolina alle labbra. Chissà se zio Eugenio si proponeva qualche cosa. Quello che, però, aveva messo la mano sotto la gonna, ed esplorato con maggior curiosità, era stato zio Lucio. Nica si sentiva un po’ come la kellerina dei localacci del porto, visti nei vecchi film tedeschi, che consentiva agli sbronzi clienti di fare la conoscenza con la pagnotta che il loro ingrifato wurstellone avrebbe potuto generosamente senapare. Gli elementi della scena c’erano quasi tutti, mancava solo la ‘sbronza’, perché i tre erano perfettamente presenti a loro stessi e pienamente consapevoli delle finalità che si proponevano. Dopo la cena, e qualche chiacchiera, tutti si offrirono di aiutare Veronica a rassettare. La ragazza si schernì, disse che poteva fare tutto da sola. Zio Lucio la guardò fissamente, aveva le nari dilatate. “Nicuzza, tutto da solo non si può fare!” Forse nell’aria c’era una intesta inconscia. Pietro ed Eugenio dissero che si avviavano verso casa. Un grazie alla nipotina, un affettuoso abbraccio con tanto di soppesamento delle natiche, un bacio sulla bocca. Via. Lucio, intanto che Veronica aveva accompagnato alla porta gli altri due, aveva riportato i piatti in cucina, li aveva messi nella lavastoviglie, aveva raccolto e gettato i resti, e stava ripiegando la tovaglia. Nica lo raggiunse. “Hai fatto tutto tu! Che fa’, ti trattieni un po’?” “Sicuro che mi trattengo!” Si avvicinò alla nipote, le prese il volto tra le mani, avvicinò le sue labbra alla bocca di lei, la baciò con dolcezza, poi con passione. Lei sentì la lingua insistere, l’accolse, la ciucciò leggermente, la strofinò alla sua, ingordamente. Si staccò, ansante. “Zio Lucio…!” “Andiamo nella camera di tua madre, sei bellissima!” Nica sapeva che non era vero ma era piacevole sentirselo dire. Lui le cinse la vita e si avviò verso la camera della sorella, spegnendo le luci. Il grosso letto era lì, pronto, invitante, galeotto. Lucio abbassò le coperte, come se seguisse un copione. Andò nel vano adiacente, con calma, prese il grosso telo a spugna che in genere si usava per asciugarsi dopo la doccia, lo stese sul letto. Guardò Nica. Le si avvicinò, l’abbracciò di nuovo, la baciò sugli occhi, sul collo, e intanto scioglieva il nodo della blusetta, gliela toglieva, sbottonava il reggiseno, si abbassava a succhiarle i capezzoli. Era in ginocchio, tirava giù la gonna e il perizoma. Lei collaborava quasi passivamente, ma era in tensione, la pelle sembrava elettrizzata, anche i peli del pube erano quasi irti. Lucio tuffò il volto nel grembo di lei, la baciò tra le gambe. Si alzò, la sollevò con tenerezza, la sdraiò sul letto, con le gambe pendenti. Si abbassò, prese a leccarla insistentemente, con la lingua che titillava il clitoride, penetrava nella vagina, la carezzava circolarmente, usciva, rientrava. Una cosa mai provata, stava pensando Nica, ma molto piacevole. Si stava eccitando come non le era mai capitato. Il bacino sobbalzava. Lo zio, intanto, senza abbandonare l’esercizio orale che stava svolgendo con lodevole perizia, si era tolto pantaloni e boxer, sbottonato la camicia (la giacca l’aveva levata entrando nella camera). Nica mugolava estatica, gli stringeva la testa, carezzava i capelli. Quello sì che era bello! E poi, avrebbe riposato tra le sue braccia. Lui s’era levato in piedi, liberato della camicia. Il suo fallo, quello che Rosalia definiva una ‘fungiazza di minchia’, si ergeva maestoso, imponente, con il glande che sembrava un grosso ombrello paonazzo sopra un nodoso bastone. Alzò le gambe della ragazza, se le poggiò sulle spalle. Il bosco lasciava intravedere le grandi labbra, le piccole. Il dito si accertò che la lubrificazione fosse sufficiente. Era sovrabbondante. Poggiò la sua cappella all’ingresso di quel sesso fremente. Iniziò una lenta penetrazione, come una fresa che si fa strada inarrestabilmente. La vagina di dilatava, si richiudeva alquanto dopo il passaggio. Era arrivato fin dove poteva. Il grembo di Nica era in sussulto, nell’interno si susseguivano lunghi e incalzanti movimenti peristaltici che lo stavano facendo godere da pazzi. Veronica non era da meno. Quella sì che era una scopata, una signora scopata. L’orgasmo la investì improvvisamente, la sconvolse, non riuscì a soffocare il grido che fu come un inno alla vita, una liberazione. Si divincolava quasi con furia. Ebbe un momento di abbandono, anche le pareti della vagina sembrarono rilassarsi. Ma ripresero presto le loro contrazioni, in attesa… in attesa… del balsamico allagamento che seguì alle ultime decise spinte di Lucio. Rimasero così, un po’. Lucio si sfilò da lei, le abbassò dolcemente le gambe, la fece sdraiare supina. Si sdraiò a fianco a lei, la carezzava teneramente, tenendola abbracciata. Nica si rifugiava tra le sue braccia, con la testa sul petto di lui. Era stato bello. Le era piaciuto moltissimo. Quella doveva essere la voluttà. Dopo un po’ si mise sull’altro fianco, volgendogli la schiena. Era come seduta sulle cosce di lui. Sentì Lucio che le dilatava le natiche e vi introduceva il suo grosso fallo quasi del tutto nuovamente eretto. Nica rabbrividì. Si assopì lentamente. Beata, soddisfatta. Sentiva una mano di lui sulle tette, l’altra tra le gambe. Non seppe quanto tempo rimase così. Quando si svegliò la luce cominciava a filtrare tra le persiane, Gli prese la mano, la baciò, con trasporto, con tenerezza, con gratitudine. Non si curò se lui la sentisse o meno. La sua voce era dolcissima quando gli ripeté più volte ‘grazie zio’!
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