Come dopo ogni avventura, anche dopo l’esperienza del club, tornammo a vivere la nostra quotidianità. Aver recuperato le fotografie compromettenti ed avere ricevuto garanzia di riservatezza e di protezione da parte di Aldo, il capo dei vigilantes, ci permise di tornare tranquilli e sereni. Ma molto più attivi sessualmente. Infatti, lavoravamo durante il giorno e, quasi ogni notte, scopavamo come ricci. Nei fine settimana, poi, se eravamo liberi da impegni con amici e parenti, ci dedicavamo l’uno all’altra. Bastava rivivere, nel racconto di un episodio vissuto, i momenti eccitanti e travolgenti, per scatenarci in modo fantastico. Mia moglie era diventata una vera porca. Mi provocava con particolari piccanti e poi, appena il mio cazzo reagiva, regalava a se stessa e a me momenti di fuoco. Io non ero da meno. Appena la sorprendevo in una certa posizione o con un certo abbigliamento, la prendevo senza alcun preavviso. Le parlavo nel modo che più la faceva eccitare. Le dicevo che era la mia splendida puttana, e che era una vera regina del sesso. Mi aveva dimostrato che, anche con altri uomini, sapeva godere come una porca e che sapeva trascinarli come nessuna. Ero felice.Lavoriamo in due diverse aziende cittadine. Spesso, quando non abbiamo motivo di usare l’auto durante il giorno, andiamo in ufficio con una sola auto. La accompagno, poi raggiungo il mio posto di lavoro. La sera passo a prenderla e torniamo a casa insieme. Quel giorno Dora mi disse che, nel pomeriggio, aveva un impegno di lavoro fuori città. Doveva effettuare un sopralluogo presso una azienda di spedizioni. Era stata incaricata, essendo assunta come ispettrice, di valutare lo stato della società, che aveva richiesto un’ingente somma in prestito alla finanziaria per cui mia moglie lavora. Avendo la responsabilità di presentare un rapporto dettagliato, in relazione alla solvibilità dell’azienda in questione, doveva visionare gli stabili, valutare i conti e, per quanto possibile, incontrare il personale impiegato. Uscì prima di me. La sera, quando rientrai non c’era. Ma non mi preoccupai. Pensai che il sopralluogo le avesse richiesto più tempo del previsto. Mi rilassai e, dopo essermi messo in libertà, mi sdraiai sul divano a guardare la tv. Erano quasi le dieci quando la sentii arrivare. Mi alzai e mi avvicinai alla porta di ingresso per accoglierla calorosamente. Ma quando entrò e la guardai, restai di sasso. Aveva i capelli scomposti, il trucco disfatto e il vestito grigio, giacca e gonna a tubino, era tutto macchiato. Si tolse la giacca e mi accorsi che non aveva più né la camicia bianca né il reggiseno che aveva indossato al mattino. Le chiesi. – Cosa è successo?. – Mi rispose, perentoria. – Adesso devo fare subito una doccia. Tu siediti sulla poltrona e aspettami. Arrivo subito. – Preparai una bevanda alcolica, che sapevo l’avrebbe rilassata, e feci come mi aveva detto. Poco dopo mi raggiunse. Era avvolta nel suo pesante accappatoio bianco e aveva raccolto i capelli sopra la testa con un asciugamano. Del suo fantastico corpo, rimaneva ben visibile solo il lungo collo. Era un particolare del suo fisico che mi faceva andare fuori di testa. L’uccello mi divenne subito duro. Ero malato. Mia moglie era rientrata in quello stato e io non pensavo ad altro che a volerla scopare. Mentre si sdraiava sul divano, le porsi il bicchiere. Ne bevve un lungo sorso, gustandolo. Passò la lingua sulle labbra e il mio cazzo approvò in modo evidente. Non c’era niente da fare. Mi sforzavo di pensare che poteva esserle capitato qualche cosa di molto serio e grave. Ma, immediatamente, l’idea che avesse saputo, come al solito, dominare gli eventi, creava nella mia mente immagini impossibili. Talmente eccitanti che dovetti forzarmi per non prenderla subito. Bevve ancora e, dopo aver chiuso gli occhi, cominciò a parlare. – Questa mattina sono rimasta in ufficio. Poi, dopo pranzo, sono andata fuori città per recarmi a visitare l’azienda che aveva richiesto il prestito. Appena arrivata il titolare mi è venuto incontro e mi ha subito fatto incazzare. Si è presentato con il nome e non con il cognome. Duilio. Un nome adatto ad un simile personaggio. – Si mosse nervosamente sul divano. Una delle sue bellissime gambe uscì completamente dall’accappatoio. Ero sempre più eccitato. Ma attesi paziente che continuasse il racconto. Riprese. – Cinquantenne, calvo, basso, molle e grasso. La mano sudaticcia e appiccicosa. Ho cercato di fargli notare la scortesia, ma non se ne è accorto minimamente. Anzi, ha peggiorato le cose. Ha cominciato a descrivere la sua azienda. Si occupano di ricevere la merce dall’estero e poi la distribuiscono nei negozi. Ha circa una ventina di operai e una decina di impiegati. Una sola donna. La sua segretaria. L’ho conosciuta. Campagnola, poco istruita. Ossigenata, con due tette enormi e un culo gigante. Vestito e cervello di dimensioni ridottissime. Il titolare mi ha spiegato che per quel tipo di ambiente sono gli uomini i più indicati. In magazzino ci sono troppi contatti con camionisti e spedizionieri. E per il lavoro di ufficio, si sa, poi le donne restano a casa troppo spesso. Tra chiacchiere, malattie, disturbi e figli, bisogna pagarle come gli uomini e lavorano la metà. Dopo aver detto quest’ultima frase, ha realizzato chi avesse di fronte. Ha cercato di rimediare dicendo che per il mio lavoro era diverso. La pignoleria, tipica di una donna, era molto utile per verificare i conti di un’azienda. Era andato oltre ogni misura. Anche con il suo tentativo di recupero, aveva solo peggiorato le cose. Schifoso, rozzo e maschilista. Il tipo di uomo che vorrei far sparire dal genere umano. Gli ho spiegato che non mi sarei limitata a visionare i conti. Volevo vedere gli uffici e il personale impiegato. Poi, più tardi avrei visitato anche il magazzino. Dovevo raccogliere tutti gli elementi necessari. Naturalmente ha annuito, con eccessivo e falso servilismo. Poi mi ha accompagnato all’interno della piccola palazzina ad uso ufficio, che era a lato del grande capannone usato come magazzino. Mi ha presentato gli impiegati amministrativi e gli ha ordinato, bruscamente, di portarmi tutti i resoconti contabili e, di volta in volta, tutto ciò che avessi richiesto. Mi ha fatto entrare in ufficio libero e mi ha salutato ribadendo la sua disponibilità per qualunque esigenza. Ha ovviamente calcato il tono su quest’ultima parte della frase cercando di essere allusivo. Ma l’ho liquidato freddamente, dicendogli che avrei avuto bisogno di lui solo per la visita al magazzino. Verso le cinque, dopo che avevo verificato in modo approfondito la situazione contabile, l’ho fatto chiamare dal suo responsabile amministrativo. Era nervosissimo. E ne aveva ben ragione. Mi ha proposto di visitare il magazzino, ma gli ho risposto che non era più necessario. – A quel punto, Dora, si aprì completamente l’accappatoio. L’evidente contrasto tra il suo corpo e il bianco della spugna mi fece pulsare le tempie. Cominciai a massaggiarmi da sopra i pantaloncini che indossavo. Mentre continuava a tenere gli occhi chiusi, cominciò ad accarezzarsi un seno. Riprese. – Non mi è mai successo. Sentivo prepotente la voglia di ferire quell’uomo. Duramente. E ho mancato ad uno dei miei precisi obblighi. A noi ispettori non è permesso anticipare i contenuti del nostro rapporto. La relazione con i clienti, viene gestita direttamente dai funzionari. Avrei dovuto riferire solo al mio superiore, quanto invece ho buttato sul muso del bastardo. Gli ho detto che potevo interrompere lì, la mia visita, perché per quanto avevo visto dai conti, non avrebbe mai potuto restituire il prestito richiesto. A quel punto ha bestemmiato sottovoce e ha iniziato a stropicciarsi le sue grasse manone. Improvvisamente ha urlato al suo responsabile amministrativo di preparare i conti in nero e di mettere sul mio tavolo tutto il necessario per conoscerli. Poi mi ha proposto, intanto, di andare a vedere il capannone. Ho accettato, pur mantenendo la mia convinzione. Ma ero curiosa di conoscere la reale situazione. Era comunque utile per poter riportare nel rapporto le informazioni relative al magazzino e, inoltre, mi ha spaventato un poco la sua reazione violenta. Mentre ci spostavamo, mi ha spiegato che la situazione di liquidità era ben diversa da quella risultante dai conti ufficiali. Che avrei cambiato idea dopo aver visto il nero. E ha aggiunto, in modo abbastanza esplicito, che se l’avessi aiutato avrei avuto la mia parte. Sono riuscita a mantenere la calma. Sapevo che non avrei mai accettato. Che l’avrei stroncato. Che non solo non avrebbe avuto il prestito da noi, ma ero intenzionata a far conoscere la sua situazione alle altre finanziarie e agli istituti di credito. L’avrei rovinato, quel maledetto maschilista. Senza alcun rimorso. Erano quasi le sei. Entro un’ora sarebbe stato tutto finito e sarei stata sulla strada di casa. – Intanto la mano di Dora aveva iniziato a torturare un capezzolo. Un chiaro segnale che la sua eccitazione era salita al massimo. Le chiesi. – Posso masturbarmi? – Aprì gli occhi per un istante. Mi sorrise e, annuendo disse. – Basta che non vieni. Fai come ti dico. E’ una storia che vale la pena di ascoltare fino in fondo. – Richiuse gli occhi e, mentre con una mano continuò ad occuparsi dei capezzoli, con l’altra iniziò a toccarsi la figa. Lo sapevo. La mia piccola puttana non si sarebbe smentita neanche stavolta. Mentre mi smanettavo lei riprese il racconto. – Il magazzino mi ha fatto un’ottima impressione. Gli operai stavano scaricando l’ultimo camion della giornata. Tutto era perfettamente in ordine e si capiva che era un luogo gestito in modo molto efficiente. Il rozzo e molle uomo mi ha domandato un’opinione. Non avevo motivo di mentire. E’ tornato a sorridere. Sostenendo che con i conti reali avrei cambiato idea definitivamente. Tornati nella mia stanza, mi ha lasciato dicendomi che il personale avrebbe terminato la giornata lavorativa di lì a poco. Ma che lui restava a disposizione. Dopo avermi dato il suo numero di interno e avere posizionato il telefono di fianco a me, mi ha fatto l’occhiolino e mi ha detto che potevo contare su di lui. Per qualsiasi cosa. Non ce l’ho più fatta a tacere. Gli ho urlato tutto il mio disprezzo. Gli ho detto di levarsi di torno. Che avrei verificato i conti per puro scrupolo professionale. Ma gli ho ribadito che non vedevo alcuna possibilità per lui. Non avrebbe mai ottenuto quel prestito. Aveva, anche, cercato di farmi fessa presentandomi dei conti fasulli. Ha cominciato a balbettare. Che non capivo, che non sapevo in che guaio l’avrei cacciato, che dovevo pensare al lavoro dei suoi dipendenti. L’ho zittito e gli ho detto di scomparire dalla mia vista. E’ sparito, sbattendo la porta. Mi sono lasciata cadere sulla sedia. Ero bagnatissima. Mi sono sentita piena di potere su quella nullità. E, questo, mi ha fatto eccitare a dismisura. Ci è mancato poco che gli chiedessi di scoparmi. Nel tentativo di calmarmi, mi sono rialzata e, voltando le spalle alla porta ho guardato dalla finestra. Si vedeva tutta la zona attorno al capannone. Mi sono chiesta come si tutelassero dai furti. Improvvisamente ho sentito riaprirsi la porta e, quando mi sono girata, mi sono trovata di fronte i due camionisti conosciuti al bar del club. Ho subito pensato di fuggire, ma tra me e la porta c’era il tavolo e, soprattutto, i due energumeni. – Adesso Dora aveva due dita dentro la figa. Non ce la feci più. Le chiesi. – Posso leccartela? – Era al limite. Disse. – Si, si. Ma fallo lentamente. Voglio arrivare fino alla fine. – Mi inginocchiai e, senza smettere di menarmelo, cominciai a far lavorare la lingua. Lei ansimava. Ma parlava chiaramente. – E’ stato il biondo il primo a parlare. Mi ha spiegato che mi avevano visto durante la visita al magazzino. Il camion che gli operai stavano scaricando era il loro. Mi hanno riconosciuta subito e sono rimasti indecisi sul da farsi. Ne hanno parlato con Duilio, che è un loro amico. Lui gli ha detto come raggiungermi e che, dopo aver chiamato i vigilantes, per avvisare della chiusura ritardata di quella sera, ci avrebbe raggiunto. Avevo avuto la risposta in merito alla protezione contro i furti. Ma non era più in cima ai miei interessi. Il bruno mi disse che ero diventato un chiodo fisso per loro e che mi volevano più di qualunque altra donna. Ero lusingata e sempre più eccitata. Giela avrei data volentieri a quei due. Ma all’improvviso è arrivato il porco. Ha detto ai due di prendermi e portarmi nel montacarichi. Eravamo al secondo piano e dovevamo scendere nel locale dei muletti, dove la ronda delle guardie non passava. Lì non avremmo avuto problemi e nessuno avrebbe sentito o visto nulla. Appena si sono chiuse le porte mi hanno messo a terra. Il piccolo bastardo mi ha aperto la giacca e mi ha strappato brutalmente camicia e reggiseno. Fino al primo piano mi ha torturato tette e capezzoli. Poi mi ha preso per i capelli, ha tirato fuori il cazzo e mi ha costretto a prenderlo in bocca. Ho cercato di oppormi ma la situazione era terribilmente eccitante. Tra poco mi sarei sicuramente gustata i due palestrati. Il piccolo affare dello schifoso non era un problema. Mentre lo succhiavo ho visto invece le notevoli dimensioni degli uccelli dei due che si smanettavano guardando. Appena arrivati nel locale muletti l’odore del gasolio mi ha colpito le narici. I mezzi ne perdevano e ce n’erano diverse macchie a terra. Il porco maschilista mi ha buttato a terra. Poi mi ha detto di strisciare e di supplicarlo di non farmi del male. Ho obbedito per non contraddirlo. Si sa che gli uomini con il cazzo piccolo sono i più violenti e pericolosi per noi donne. Ma non ce la facevo più. Volevo quei due bestioni. Mi sono spogliata continuando a strisciare. A quel punto il biondo mi ha preso, mi ha girato a quattro zampe e me l’ha messo nella figa iniziando a pomparmi con foga. Il bruno si è messo davanti e me l’ha messo in bocca. Quello si che era un cazzo. Me lo sentivo fino in gola. Il nanerottolo, però, è intervenuto e, dopo aver detto al biondo di spostarsi, me l’ha piazzato nel culo. Non ha fatto fatica a entrare. Quasi non lo sentivo muoversi. In più è venuto subito. Poi è rimasto in disparte facendosi una sega nel tentativo di farselo rizzare di nuovo. Ma senza successo. Il bruno, invece, che ce l’aveva duro come il marmo, mi ha preso e me lo ha infilato al posto del cazzetto del piccolo bastardo. Quello si che lo sentivo. Ho iniziato a guaire come una cagna, mentre il biondo ha ripreso a pistonarmi nella figa. Proprio un bel sandwich. Si sono scambiati un po’ di volte. Non saprei quante. Godevo come una vacca. Li incitavo. Gli dicevo di darmene di più. Che volevo sentire la loro sborra. Che dovevano schizzarmi dentro. Obbedirono. E mentre mi riempivano ho avuto un ultimo incredibile orgasmo. Poi approfittando del loro stato di debolezza, mi sono rivestita alla bell’e meglio e me ne sono andata, senza fare troppo caso alle minacce di Duilio. – A quel punto, Dora mi guardò e mi disse. – E adesso scopami, amore mio. Ti voglio. Subito. – Non me lo feci ripetere. Le infilai il cazzo. Era calda e bagnatissima. La trattai come si aspettava. – Sei proprio una splendida puttana. Sei la mia troia. Sei fantastica. Sai sempre come usare gli uomini. Anche nelle situazioni peggiori. Ti scopo, ti scopo, ti scopo… – E lei. – Siii, fammi godere. Con te non è come con gli altri. Con te provo delle emozioni profonde. Mi adori come una regina. Dammelo, dammelo. Vieni con me, ti prego… – Sborrai immediatamente, mentre Dora veniva urlando. Poi crollò in un sonno profondo. La lasciai a riposare sul divano. Intanto rimasi a pensare tutta la notte a come rendere inoffensivo quel bastardo di Duilio. Dovevo mettermi in contatto con Aldo, il nostro protettore. Lui avrebbe trovato una soluzione. Al risveglio di Dora, mi feci descrivere per bene il contenuto delle minacce che le aveva indirizzato. Se non avesse dato un parere positivo per la concessione del prestito l’avrebbe sputtanata in ufficio e con chiunque la conoscesse. Dissi a mia moglie della mia intenzione di rivolgermi ad Aldo. Lei fu d’acccordo. Mi chiese, però, di proteggere i due camionisti. Era solo del porco maschilista che voleva vendicarsi e da cui voleva difendersi. Accettai. Le dissi di prepararsi e di andare in ufficio. Doveva guadagnare tempo per la nostra vendetta. Mi disse che avrebbe subito chiamato Duilio per tranquillizzarlo, dicendogli che aveva deciso di obbedire alla sua richiesta. Poco dopo Dora uscì. Chiamai il mio ufficio e avvisai la mia segretaria che per un paio di giorni sarei rimasto a casa per sbrigare delle faccende. Non avevo impegni urgenti. Poi uscii e mi recai al supermercato dove avevo incontrato Manuela, la vigilantes. Volevo chiederle di mettermi in contatto con il suo capo. Non c’era. Parlai con il suo collega di servizio. Mi disse che era di turno nel pomeriggio. Avrebbe cominciato verso l’una. Tornai a casa per riposare. La notte in bianco e le forti emozioni mi avevano stancato un bel po’. Dovevo recuperare.
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