Il fumo dell’oppio inondava la stanza. Era un fumo di sogni e d’erotismo, un fumo mistico, magico, in cui volteggiavano leggiadre fanciulle nude, velate, dai seni prorompenti e carnosi, dalle gambe adornate di tatuaggi dorati, che raffiguravano rose o draghi, o favolosi fantasmi che s’accoppiavano con gli angeli, con suonatori di violini che intonavano ballate di Chopin o di autori ignoti. Avevo l’impressione di trovarmi in uno di quei quadri di fine Ottocento, forse, “Le café de nuit” di Van Gogh, un locale dove c’era soltanto un tavolo da biliardo, pochi giocatori alcolizzati, dei tavoli vuoti, una coppia che conversava amorevolmente, delle bottiglie vuote, in un angolo, una luce vaga, la pendola che segnava mezzanotte inoltrata. O forse no, forse, era come in uno di quei quadri di Toulouse-Lautrec, o di Seurat, dove c’era un palco, con delle ballerine bianche, un pianoforte, una ragazza inglese, bionda, seduta in un angolo, che piangeva, ma di piacere. Forse, c’erano anche dei bevitori, delle lampade che illuminavano di turchino il locale affollato, e lo tingevano di mistero. Una donna seminuda mostrava le gambe… Aveva i tacchi a spillo, e le calze a rete fino a mezza coscia, i seni enormi e una rosa tra le labbra. Il fumo dell’oppio inebriava. Ricordo il bel volto di Lulù, incorniciato da lunghi capelli rossi, le guance bianche, la bocca rossa come il fuoco, gli occhi azzurri e languidi, che mi guardavano, come per sospirare frasi d’amore appassionate. Tra quelle labbra, il frutto del piacere, l’oppio, l’oppio, figlio di Morfeo, l’unico capace di regalare l’estasi. L’avevano fumato tutti, in quel caffè di Parigi. L’avevano fumato tutti. Io ero solo con lei, in quella notte di luglio del 1894, una notte calda, dal cielo stellato, in cui le carrozze dei ricchi, tirate da magnifiche pariglie di cavalli bianchi, affollavano i grandi boulevards, nell’ora in cui si ritornava dai caffè ubriachi, abbracciati alle proprie amanti, meravigliose donne dai lunghi boccoli biondi e dagli occhi azzurri, le cui labbra si posavano dolcemente sulle vostre, per regalarvi il bacio della buona notte. E intanto, inebriata, Lulù mi raccontava dei cento uomini che aveva avuto prima di me, di come l’avessero tradita dopo aver fatto l’amore con lei, delle lettere appassionate e tristi che riceveva, quelle lettere chiuse con ceralacca rossa, mi raccontava delle volte in cui aveva fatto sesso al pianoforte, sì, al pianoforte, con le dita smarrite tra i tasti bianchi e neri, come per suonare le ultime note di “Au Clair de Lune” di Debussy. Eravamo soli io e lei, seduti al tavolo. Stringevo la sua mano tra le mie, e credetemi, era una bella mano, dalle unghie dipinte di rosso, dalle dita bianche e affusolate, sembrava fatta apposta per regalare il piacere. – Vuoi fumare? – mi diceva, appassionatamente. – Oppio? – Sì. – Non sai quanto lo desideri. – E ricordati, lui è come me, proprio come me. Ne prese una boccata generosa, e poi, abbracciandomi forte, mi baciò sulla bocca, lasciando che il fumo che usciva dalle sue labbra entrasse fra le mie. Quel bacio poteva uccidere. – Vuoi sognare con me? – mi chiese. – Vuoi sognare fino a domattina, fino a quando la luce della luna non avrà cambiato il colore delle orchidee? E me ne diede tanti altri, di baci pieni di oppio e di passione, erano baci che contenevano il profumo della sua pelle bianca, il piacere dei suoi seni nudi, delle sue gambe tornite, della sua schiena dove già le mie dita correvano avidamente, dei suoi boccoli di bambola. Giungevano fino a noi le voci sommesse di alcuni uomini, seduti a un tavolo vicino, che giocavano a Chemin de Fer, o forse, a Teresina. Lulù allora cominciò a raccontarmi la vita di una ballerina. Forse, sarebbe potuta essere la storia di una “danceuse” del Moulin Rouge, o di uno di quei locali notturni che già cominciavano ad andare di moda nella Parigi di quell’epoca. Era una ballerina amica di un pittore. Danzava fino a mezzanotte, mostrando alla folla il suo corpo di statua, i suoi enormi seni, e le sue gambe meravigliose, amava andare a passeggio mostrando a tutti le fattezze del suo corpo, e sfidando la censura e la polizia, perché in quegli anni, il sesso sapeva di delitto. Il suo sogno era di esibirsi dinanzi al pubblico e dare il meglio di sé, per poi concludere la sua danza facendo l’amore sul palcoscenico con un uomo. A volte, bevevo, ma era soltanto per provare maggior piacere dalla sua vita. Il suo amante era un pittore. Si erano conosciuti per caso, ad una mostra, quando lui aveva tentato di venderle un suo quadro. Le aveva fatto i complimenti e le aveva chiesto di poterle fare un ritratto. Lei era stata entusiasta di quella proposta e gli aveva chiesto dove fosse il suo atelier… – Rue de La Harpe, 19. Venite all’ora del tramonto. Lei vi era andata vestita di veli turchini. – Spogliatevi nuda, vi prego – le aveva chiesto il pittore, prendendo la sua tavolozza. – Come volete… La bella gli aveva sorriso e s’era spogliata nuda di fronte a lui. Gli aveva mostrato i seni dalle aureole rosa e grandi, le gambe avvolte i calze nere, velatissime, le scarpe dorate, col tacco s spillo, poi s’era tolta tutto il resto, e gli occhi del pittore si erano soffermati sulla sua… che era bianca, ben acconciata, e il pelo rosso andava a disegnare una specie di sole. . Mettetevi lì… più a destra, più a destra! La voce del pittore aveva cominciato a fremere presto. Dipinse tutta la notte. All’alba, lei era ancora nuda davanti a lui, che si alzò in piedi, le si avvicinò, la prese, la fece sua, senza che ella potesse o volesse opporre resistenza. – Fammi male – gli chiese la ballerina. Si spogliò. La bella non ne aveva mai visto uno eretto, e quando si sentì penetrare, gettò un grido. Le aveva squarciato l’imene, e mentre cominciava a scorrere dentro di lei, il sangue gli invischiava il membro. Lo fecero lì, davanti agli strumenti del mestiere del pittore, davanti ai suoi quadri di donne, di caffè, di boulevards. Durò a lungo. Erano in piedi, lei, con le labbra, gli mordicchiava le spalle. La ballerina voleva fare un bambino con lui. A quel punto la voce di Lulù smise di raccontare, la mia amica si alzò, mi prese per mano, mi baciò dolcemente, e mi disse di seguirla. Eravamo entrambi ubriachi, in preda ai sogni dell’oppio. E quei sogni ci condussero lontano. Mi fece salire sulla sua carrozza. Ordinò al cocchiere di partire al galoppo, di sferzare i bei cavalli bianchi, e di farli correre lungo il cielo stellato. Ero solo con lei nella carrozza. Dai finestrini vedevo passare come un sogni l’ultima Parigi, con i suoi lampioni a gas, i suoi caffè, i suoi locali notturni di fine secolo. Le rosse labbra di Lulù regalavano baci d’amore. Mi stringeva tra le sue braccia, mi prometteva di non lasciarmi. Era scoppiato un temporale. I cavalli bianchi ci condussero lontano, a casa di lei, fra i boschi lungo la Senna. Aprì l’uscio con una chiave che portava al collo. Mi prese per mano e rifece entrare, poi, si mise al pianoforte. Aveva acceso i suoi candelabri d’oro, la luce dei ceri la illuminava, mentre, china sulla tastiera, i bei capelli sciolti ricadenti sulle spalle, suonava i valzer dei più celebri musicisti francesi dell’Ottocento. Le sue mani bianche volavano fra i tasti bianchi e neri. Mi avvicinai a lei e cominciai a spogliarla. Le vidi le bellissime gambe, i piedi vestiti con scarpe rosse coi tacchi a spillo, la giarrettiera nera che le ornava la coscia, era completamente nuda, sotto. – Più forte, più forte – mi disse, suonando. – Non smettere. Le baciavo e le succhiavo i capezzoli. Era ormai nuda, fra le mie braccia. Cominciai a fare sesso con lei, che non smetteva mai di suonare. I suoi lunghi capelli avvolgevano i nostri corpi ormai nudi. Quelle note magiche, che descrivevano il chiaro di luna, accompagnarono un amplesso fatale. Lulù aveva gettato la testa all’indietro, aveva chiuso gli occhi e aperto la bocca rossa, per gridare di piacere. Fu indimenticabile.
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