Martedì Passavo di lì ogni giorno, andando e tornando dal lavoro. Ogni giorno la vedevo all’angolo, con l’aria annoiata e quell’espressione imbronciata che tanto mi piaceva. Era una puttana, e anche piuttosto in là con gli anni, ma aveva ancora molto fascino. Doveva essere stata splendida un tempo, ma sapeva ancora difendersi. Era bassa, non più alta di 1. 60, ma il Suo corpo era ancora ben delineato, rotondo dove doveva esserlo, un seno prosperoso senza eccedere, un sedere magnifico, gambe tornite. Sapevo che si chiamava Mariella e avevo sempre pensato a Lei come a una Padrona perfetta, con quei Suoi occhi dolci, i capelli color miele che scendevano fino alle spalle e quell’espressione disincantata, ma ovviamente mi era sempre mancato il coraggio di farmi avanti, di propormi a Lei. Passavo di lì, la guardavo e sognavo senza sperare nulla di più. Eravamo a fine settembre e il clima si manteneva mite. Nella pausa andavo a leggere il giornale ai giardinetti proprio di fronte a dove Mariella batteva. Quel giorno la trovai seduta a fumarsi una sigaretta sulla panchina vicina a quella dove mi sedetti io. Di vista mi conosceva e quando arrivai accennò un saluto sorridendomi, e questo bastò a mandarmi su di giri. Sono molto timido e non so mai come parlare a una donna. Feci finta di mettermi a leggere, ma in realtà pensavo solo a una scusa con cui attaccare discorso con Lei. C’era un vecchio che portava a spasso il cane e quest’ultimo venne verso di noi. Annusò prima le mie scarpe senza che io facessi una piega, non mi piacciono i cani, poi passò alla mia vicina. Mariella iniziò a carezzarlo e a parlargli. Poi il vecchio passò oltre portando con sé la bestiola. “Le piacciono i cani?””Sono meglio di tante persone, non trovi?” mi rispose”Sono d’accordo, però li trovo troppo dipendenti da quelle stesse persone. Preferisco i gatti a dire il vero” Iniziammo così a parlare. Avevo sempre pensato che avesse un carattere scorbutico, diffidente, anche pensando al lavoro che faceva, invece Mariella si dimostrò molto dolce e simpatica, tanto da mettermi a mio agio. Quel giorno indossava una camicetta rosa ricamata, al collo portava un foulard di seta, sotto una gonna di cotone grigio lunga fino alle ginocchia. Calzava uno splendido paio di stivali in pelle nera alti sino al polpaccio, con tacco a spillo pronunciato. Non avevo smesso un attimo di osservarli e lei se ne era accorta. “Ti piacciono tanto i miei stivali?” chiese esplicitamente ad un certo punto. Rimasi un secondo contrariato prima di risponderLe”Mi scusi…” dissi un poco vergognandomi. “Non ti devi scusare. Li vuoi leccare?” disse con noncuranza, come se la cosa fosse per Lei abituale. “Sarei lusingato, Signora””Hai un po’ di tempo?””Si, sono libero per un’oretta””Allora prendi la bici e seguimi” disse alzandosi e incamminandosi verso la Sua spider che era parcheggiata lì di fronte. Mentre pedalavo al Suo seguito sentii il membro gonfiarsi, ero eccitatissimo e non stavo più nella pelle. Fra poco avrei assaggiato il sapore di quegli splendidi stivali, stavo per realizzare un mio sogno. Ero anche curioso di vedere come Mariella si sarebbe comportata nel ruolo di Padrona, a dire il vero il tono dolce della Sua voce, le Sue maniere gentili, sembravano in contrasto con l’immagine di dominatrice severa e inflessibile che mi ero costruito. La spider entrò in un cortile dove c’era un grande capannone abbandonato. Vi girammo intorno e sul retro vidi una seconda costruzione più bassa, dal basculante sul fronte capii che si trattava di un garage. A vederla da fuori sembrava ampia a sufficienza per il ricovero di tre auto. A fianco della rimessa c’era un muro che separava il capannone dal cortile di un caseggiato basso che affacciava sulla via parallela. Mariella fermò la spider lì davanti lasciando il motore acceso. Abbassò il finestrino e quando mi affiancai mi disse gentilmente”Per favore alza la porta, così posso entrare” Scesi dalla bici e alzai la parete mobile, Mariella posteggiò su un lato, spense il motore e scese dall’auto. Presi la bici e la portai dentro a mano, appoggiandola contro la parete sul fondo. C’erano un paio di armadi d’epoca, uno scaffale in legno scuro, dei tappeti arrotolati in un angolo e un paio di bauli. “Chiudi adesso, svelto” disse Lei. Mentre abbassavo il basculante andò a uno dei bauli e lo aprì cominciando a rovistare al suo interno. “Questo posto è tutto mio, la ditta a cui lo avevo affittato è fallita e ora sto cercando di venderlo, ma in questo momento non c’è molta richiesta. Così lo uso per tenerci le mie cose…a casa ho dei vicini impiccioni e non voglio che mettano il naso nelle mie faccende…mi piacerebbe sistemarlo un po’, mi darai una mano?””Certamente…non ha che da chiedermi, Signora” risposi un po’ ruffiano”Allora comincia a metterti lì” disse Mariella indicando il cofano dell’auto. Il tono della Sua voce si era fatto d’un tratto severo e perentorio, e a quelle parole sentii un brivido salirmi lungo la schiena. Andai verso l’auto e mi appoggiai al cofano con il sedere. “No, no, voltati” disse Lei seccamente continuando a cercare nel baule. Mi girai. “Ora abbassati i pantaloni, da bravo…” continuò poi. Aveva trovato quel che cercava, un frustino, e sentii il rumore dei Suoi tacchi sulle mattonelle rosse del pavimento avvicinarsi a me. “Calati anche le braghette…forza, svelto…”. Adesso non chiedeva più, ordinava. Ero già in soggezione, non mi passò neanche per la mente di chiederLe cosa volesse farmi. D’altronde si poteva intuire facilmente. Giunta al mio fianco mi afferrò per i capelli costringendomi a piegare il busto sul cofano, divaricò le mie gambe con un paio di calcetti sulle caviglie e iniziò a battermi le natiche col frustino. Dapprima furono colpi lievi, che mi procurarono giusto un poco di prurito. Poi divennero più secchi e violenti e ad ognuno di essi sobbalzavo. “Ti piace?” domandò ironicamente mentre mi sforzavo di resistere. Iniziai a lacrimare e ansimare ma questo non sembrò interessarLe affatto. Seguitava a colpirmi cadenzando i colpi ritmicamente. Sentivo i glutei arrossarsi e bruciare, guaivo sommessamente dopo ogni colpo. Mariella invece si divertiva sempre di più. “Adesso in ginocchio!” ordinò infine mollando la presa dei miei capelli. Sfinito e tremante feci scivolare il mio busto lungo il cofano della spider fino a che non fui inginocchiato a terra. Mariella intanto si era appoggiata all’auto e aveva sollevato uno degli stivali portandolo all’altezza del mio viso. “Avanti, datti da fare! Lecca la suola, muoviti!” Protesi la lingua verso il cuoio chiaro della suola e iniziai a muoverla in su e in giù avidamente. “Uhmmm…” bofonchiò Mariella compiaciuta nel vedermi così ubbidiente e servile. Quando ebbi ripulito entrambe le suole mi concesse di baciare la punta di entrambi gli stivali e da lì risalire. “Così non ti piacciono i cani…ma forse non li conosci bene…forse se provassi a vivere come loro cambieresti idea, non trovi?””Credo di sì, Signora…””E piantala di chiamarmi Signora! Ora per te sono la Padrona, hai capito?””Sì, Padrona” Mi diede un calcio nel ventre.”E piantala anche di farmi sentire la tua stupida voce! Un cane non parla, razza di idiota, un cane muove la testa, abbaia, scodinzola ma non parla. D’accordo?” Annuii con la testa. “Forse i cani non ti piacciono perché li invidi…non è vero? Anche a te piacerebbe stare sempre a quattro zampe a leccare le scarpe della Padrona, non è così?” Annuii nuovamente. “Beh, sei proprio fortunato. Ho sempre voluto avere un cagnolino che mi fa festa quando torno a casa. Però non ce la farei mai ad accudirlo e ho sempre dovuto rinunciarci…adesso però ci sei tu… diventerai il mio cagnetto, ti porterò a spasso e ti farò mangiare la pappa nella tua scodella, contento? Naturalmente dovrai essere bravo e aiutare in casa, ma di te mi posso fidare…non è vero?” Intanto che parlava così a ruota libera io seguitavo a lustrare gli stivali. Erano ormai lucidi e Mariella ne fu molto contenta. “Ecco, bene…allora adesso puoi succhiare anche il tacco, lo so che ti piace…dai, su…poi, prima di andartene lasciami il tuo numero…” mercoledì Il giorno successivo mi telefonò dandomi appuntamento presso l’autorimessa appena terminato di lavorare. Quando giunsi mi fece lasciare lì la bici perché, disse, dovevo accompagnarLa a fare compere. Salimmo sulla Sua spider, accese il motore e si avviò fuori città. “Dove andiamo?” chiesi dopo qualche minuto. “Lo capirai quando saremo arrivati” mi rispose seccamente, senza aggiungere altro. Dopo circa un quarto d’ora parcheggiò davanti a un grande magazzino. Alzando gli occhi vidi che si trattava di un centro per animali e capii cosa eravamo venuti a fare. All’interno ci incanalammo nelle corsie di scaffali, io naturalmente La seguivo a un paio di metri, raccogliendo man mano ciò che Mariella mi passava. Prese un paio di ciotole in plastica, poi quando arrivammo davanti all’esposizione dei guinzagli e dei collari si fermò per decidere con calma. Una commessa si avvicinò e gentilmente si rivolse a Mariella. “Posso esserle d’aiuto?””Grazie, sa cercavo un collare di pelle, piuttosto largo se possibile” La commessa prese dall’espositore un ampio collare di pelle bruna, largo circa 3 cm. “Questo se vuole è coordinato con quest’altro guinzaglio…” disse indicando uno dei lacci che pendevano lì a fianco “…di che razza è il suo cane?””E’ difficile dirlo, sa l’ho trovato per strada, comunque è di grossa taglia” rispose Mariella con un poco di ironia. Io stavo silenzioso dietro di Lei, senza sognarmi neanche di intervenire, nonostante la commessa mi sorridesse, credendomi forse il figlio o il nipote della sua cliente. “Ed è ubbidiente?” chiese nuovamente la signorina. “Si, devo dire di si…poi se fa il cattivo si prende le totò…sa ce l’ho da poco ma voglio abituarlo da subito a ubbidirmi””Certo, questo è molto importante” convenne la commessa. “Va bene, prendo questi, e anche le ciotole””Le prendo un sacchetto” disse l’altra. Mariella si rivolse a me, allora, dicendomi”Allora sei contento? Ti piacciono?” Dietro di Lei vidi la commessa sorridere nuovamente. Ebbi l’impressione che avesse capito tutto. Mariella mi fece pagare e ci dirigemmo verso l’uscita. Voltandomi vidi la commessa indicare verso di noi e bisbigliare qualcosa a una collega, poi entrambe scoppiarono a ridere. Tornammo al garage dove Mariella mi fece spostare uno scaffale in modo da creare sul fondo del locale un piccolo stanzino dove stese per terra un tappetino su cui appoggiò le due ciotole. Poi mi fece spogliare e inginocchiare davanti a Lei e ordinò che leccassi le Sue scarpe. Quel giorno indossava un paio di decolleté color vaniglia con tacco largo e sinuoso a cui mi applicai subito con meticolosità. “Da oggi in poi quando vorrò giocare con te ti invierò un sms con l’ora a cui dovrai farti trovare qui. Quando arriverò dovrai essere già nudo e indossare il tuo collare. Quando mi sentirai entrare dovrai venirmi incontro e farmi le feste. Hai capito?”. Annuii in silenzio e Mariella riprese subito a parlare. “Presto diventerai ubbidiente e mite come un cucciolo. Piegherò le tue resistenze a suon di frustate, vedrai. Ti priverò del tuo tempo libero e ti obbligherò a servirmi come più mi piace. Per ora voglio cominciare ad addestrarti qui, per il mio puro divertimento, e quando ne sarai degno ti porterò da me. Là diverrai il mio servo, non avrai più alcun diritto…se non ti senti pronto a tutto ciò questo è il momento di parlare. Sappi che se mi farai perdere del tempo te ne farò pentire amaramente, quindi se non te la senti…dillo adesso””Padrona La ringrazio per la Sua bontà. Non aspiro ad altro che a servirLa e soddisfarLa. Metterò tutto il mio impegno pur di non deluderLa””Bene. Allora per oggi abbiamo finito. Tieniti libero nel week-end, comincerò il tuo addestramento. Inventati una scusa, una gita, per non dover rientrare a casa. E’ sottinteso che se non sarà così tutto finisce qui, e questo varrà anche in futuro. La prima cosa che devi imparare è che non tollero la disobbedienza! “venerdìIl messaggio di convocazione mi arrivò il venerdì mattina quando ormai stavo pensando a quale scusa inventare per dire a casa che la mia gita era annullata. Per non destare sospetti quel giorno avevo lasciato a casa la bici dicendo che sarei partito direttamente dall’ufficio. Terminato di lavorare mi recai direttamente alla rimessa, aprii la porticina che stava su uno dei lati, entrai e richiusi con la chiave che Mariella mi aveva dato la volta precedente. Vidi che aveva portato lì una poltroncina di legno, che aveva sistemato al centro del garage sopra un tappeto affiancandole un tavolino con sopra una lampada. Mi spogliai sistemando i miei abiti in un armadio di legno posto presso quella specie di stanzino che avevo sistemato la volta precedente. Spensi il mio cellulare, Mariella non avrebbe certo tollerato di essere interrotta o disturbata. Poi indossai il collare stringendolo senza esagerare e dopo aver spento la luce mi accucciai a terra. La Padrona arrivò dopo pochi minuti. Sentii la Sua auto fermarsi di fronte al garage, la portiera aprirsi e poi richiudersi e di lì a qualche istante udii la chiave nella serratura. Mi mossi allora dal mio giaciglio e andai incontro a Mariella. Appena fu entrata mi incollai agli stivali, che con mia grande gioia Mariella aveva indossato per l’occasione. Accese la luce e mi lasciò fare per qualche istante, mentre chiudeva la porta, poi mi allontanò da Lei sferrandomi un calcio all’inguine. “Ora basta, a cuccia!” ordinò. Indietreggiai accucciandomi a terra e potei osservarLa. Vestiva un tailleur color panna, sotto la giacca aveva una maglia bruna, le mani erano fasciate da guanti di pelle nera aderenti. Si avvicinò estraendo dalla borsetta il guinzaglio, si chinò su di me e ne serrò il moschettone al collare, poi si rialzò e diede uno strattone per costringermi a seguirLa. Ci dirigemmo verso il centro del locale, dov’era la poltroncina. “Domani ti farò pulire tutto per bene” sentenziò come prima cosa appena si fu seduta. Io ero già appiccicato agli stivali e li leccavo forsennatamente. “Ti piace leccare, eh? Ti piacciono proprio gli stivali della Padrona? Ti insegnerò ad amarli più di quanto tu abbia mai amato una donna, più di quanto potrai mai amare me, stupida bestia!” Si rialzò allora di scatto e si diresse al baule trascinandomi dietro di sé. Apertolo la vidi estrarre una lunga canna di bambù, di quelle che si usano per sostenere il fusto delle piante nei vasi. Richiuse il baule, fece sibilare la canna un paio di volte nell’aria, poi con uno strattone al guinzaglio mi portò al centro della rimessa. “Accucciati a terra! Svelto…Allora ti piacciono tanto i miei stivali? Ma devi imparare a guadagnarteli…a sopportare il dolore pur di avere il piacere di leccarli, non pensi?” disse restando in piedi alle mie spalle. Quindi mi sferrò il primo colpo, secco, violento e dolorosissimo. Riuscii a trattenere in gola un urlo di dolore, ma solo dopo quel primo fendente. Ai successivi non seppi resistere, iniziai a piagnucolare come un bambino man mano che si abbattevano su di me. Mariella ne parve contrariata. “Stai zitto! Non sai sopportare? Sei proprio una bestia…” diede un nuovo colpo più forte dei precedenti che mi fece sobbalzare. Tentavo di resistere ma il vigore con cui mi martoriava le natiche mi era insopportabile. Temevo di deludere Mariella, mi accorgevo dal tono della Sua voce, che da allegro si era fatto severo, che non stava più giocando, ora era davvero arrabbiata. Ma per quanto mi sforzassi ogni colpo aggiungeva sofferenza e la mia resistenza si faceva più flebile. Pensai che di lì a poco mi avrebbe cacciato via, che tutto stesse per finire. Invece a un certo punto lo stillicidio si interruppe, sentii Mariella avvicinarsi e accovacciarsi sulla mia schiena. Mi prese per i capelli costringendomi a sollevare il viso da terra e mi infilò nella bocca un bavaglio a palla le cui cinghie serrò dietro la mia nuca. Si rialzò rimanendo al mio fianco, sollevò una gamba e mi piantò nella schiena il tacco dello stivale, all’altezza dei lombi. Lo sentii affondare nella mia carne, e intanto Mariella riprese a bacchettarmi le natiche, aumentando sia l’intensità che la cadenza dei colpi. Ora i miei lamenti mi si soffocavano in gola, riuscivo ad emettere solo dei guaiti sommessi. La Padrona si divertì molto a tormentare il mio fondoschiena. In tutto credo che non mi diede più di una trentina di sferzate, ma lo fece in modo tale che quando ebbe terminato avrei fatto qualunque cosa mi avesse chiesto pur di evitare anche un solo nuovo fendente. Nelle mie esperienze passate avevo subito spesso fustigazioni prolungate ma ora mi rendevo fisicamente conto della differenza sostanziale. Un conto era essere battuto da una professionista, pagata apposta per quello e quindi interessata a compiacere il suo cliente. Mariella invece, già nell’incontro precedente, non aveva mostrato alcun interesse verso le mie sensazioni, non avevo ai Suoi occhi alcun diritto, potevo solo assecondarLa o rifiutarmi di farlo, ma in questo caso avrebbe troncato ogni rapporto. Quindi era solo la mia capacità di sopportazione che poteva determinare il proseguimento o meno della relazione. Quando ebbe terminato con la canna sollevò finalmente il piede dalla mia schiena. Riuscii appena a rifiatare per quel momentaneo sollievo, poi mi sentii tirare. Mi riportò presso la poltroncina e vi si sedette accavallando le gambe, poi mi tolse il bavaglio appoggiandolo assieme alla bacchetta sul tavolino. Senza dire nulla cominciò a dondolare lo stivale a mezz’aria davanti ai miei occhi. Capii subito e ricominciai a leccarne la punta, inghiottendola, girandovi attorno per lustrare i fianchi. Dopo qualche minuto sollevò un poco la gamba offrendomi il tacco a cui mi avvinghiai ingordo. Mariella era silenziosa, lasciò che adorassi i Suoi stivali liberamente, limitandosi a piegarli da questa o da quell’altra parte per permettermi di raggiungerne gli interstizi più remoti. Io eseguivo il mio compito smaniosamente, avevo perso ormai ogni pudore, attorcigliavo bramosamente la mia lingua al morbido cuoio che fasciava i piedi della Padrona. Il cellulare di Mariella squillò, Lei mi fece cenno di continuare e rispose. “Ah, ciao carissima…no, non sono a casa…” doveva trattarsi di qualche Sua amica, probabilmente un’altra puttana “…te l’ho detto che adesso ho un cane…sì, sì è un amore, ma non posso ancora portarlo a casa…poi sai, i miei vicini sono dei tali rompiballe…volentieri…ma quando? Sì, domenica va benissimo…allora, d’accordo, a mezzogiorno da te…” e chiuse la comunicazione tornando a rivolgersi a me. “Sai, ho detto alle mie amiche che ho trovato un cagnolino e ora sono tutte curiose di vederlo…ma io non so…””Padrona, quello che Lei decide per me andrà sempre bene” Fu stupido parlare da parte mia. ” Credi che davvero mi importi sapere cosa pensi?” disse Mariella arrabbiata “Se ancora non hai conosciuto le mie amiche è proprio perché non sei ancora pronto per farlo, idiota! Credi che a loro possa interessare cosa dici? Certo un cane che parla può sembrare una cosa strana, ma non ti voglio per fare del circo…poi ti avevo detto di non parlare…adesso ti accorgerai di cosa vuol dire disobbedirmi”Si alzò dalla poltroncina dopo aver sganciato il moschettone dal collare. Con un paio di calci mi spinse giù dal tappeto. ” Resta fermo lì! Guai a te se ti muovi!” disse mentre tornava verso il baule. Avevo imparato ormai come l’umore della Padrona fosse suscettibile di repentini cambiamenti. Quando era buono Mariella era gioiosa, gentile, calma, ma una mia piccola mancanza, e permettermi di parlare era ben più di una piccola mancanza, poteva trasformarla all’istante in una Donna perfida e malvagia. Quando il Suo umore era cattivo Mariella mi metteva paura nel vero senso della parola. Da quel giorno imparai che quando era furente la Padrona poteva essere davvero crudele. Estrasse dal baule una frusta da circo, lunga un paio di metri, massiccia e pesante. “Cominciamo a chiarire un paio di cosette, cucciolo…tu non devi mai parlare senza essere stato invitato a farlo, d’accordo? Questo intanto ti costerà la cena…poi, per renderti più esplicito che questo non è un gioco, adesso sarò costretta a farti un po’ male…alzati sulle ginocchia, metti le mani dietro la nuca! Muovitiii!” gridò accecata dall’ira. Ubbidii senza fiatare. Annunciata da un sibilo sinistro nell’aria la prima frustata si infranse sul mio dorso. La sottile striscia di pelle con cui terminava lo scudiscio si avvolse intorno al mio fianco e schioccando mi sfiorò uno dei capezzoli. Il dolore fu lancinante e rovinai a terra. Mariella mi fu subito addosso tempestandomi di calci. “Alzati! Alzati o ti spezzo la schiena a calci” gridava istericamente. Era davvero arrabbiata oppure stava fingendo molto bene, ma non avevo alcuna intenzione di scoprirlo. Riuscii a rialzarmi a fatica, tremando, e Lei riprese a far schioccare la frusta in aria e ad abbatterla su di me. Per una decina di volte. Crollai nuovamente a terra, a calci mi sospinse verso lo stanzino dove mi fece accucciare. Tornò di lì a poco tenendo in mano una catena lunga meno di un metro che agganciò al collare con un lucchetto, che fece passare anche dentro la fibbia per impedirmi di sfilarlo. Con un secondo lucchetto agganciò l’altro estremo della catena ad un anello metallico piantato nel muro, che prima di allora non avevo notato. Non potevo né muovermi, a parte qualche passo, né alzarmi in piedi. “Adesso riposati perché domani avrai molto da fare…” disse Mariella”…e rifletti se ti conviene ancora fare di testa tua…per stasera salterai il pasto…così vediamo se domani sarai più ubbidiente…”Prese una delle due scodelle e la posò a circa un metro da me, ci si inginocchiò sopra, si sollevò la gonna. La vidi abbassarsi un poco le mutandine e quindi riempire lentamente la scodella fino all’orlo. Si rialzò e si ricompose, poi prese la scodella e la appoggiò davanti a me. “Se avrai sete…” sorrise sarcastica. Girò i tacchi e si diresse verso la porta, spense la luce e se ne andò.
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