Allora, sei sicura? La domanda le rimbombava ancora nella testa. Non ricordava neanche bene cosa avesse risposto… qualcosa tipo – Si, certo! – ma pronunciato con un tono un po’ troppo alto, per risultare sincero al cento per cento. Anna doveva aver sentito quell’insicurezza nella sua voce, perché le aveva fatto un bel sorriso e l’aveva abbracciata con trasporto. Sarà bellissimo… vedrai – le aveva detto poco dopo servendole il succo di frutta che aveva chiesto – ma voglio che tu ti senta libera di interrompere tutto, se vedi che la cosa ti mette a disagio, non ci sono problemi per noi. Capito? – Capito – aveva risposto lei sorridendo nervosamente. Avrebbe voluto essere molto più spavalda, più sicura di se…ma non ci riusciva. Ora si limitava ad ascoltare i discorsi di Anna. Stava dicendo qualcosa sui rapporti fra le persone, sulla fiducia reciproca, sull’amore con la a maiuscola. Stentava a seguirla, ma doveva essere certamente colpa della tensione, perché in realtà erano discorsi che avevano affrontato già tante volte nelle lunghissime chat dei mesi passati. Erano diventate molto amiche a furia di chiacchierare per ore su icq e, tra una confidenza e l’altra, Anna aveva cominciato ad accennare ai suoi amplessi, ai suoi giochi con il marito. Erano state all’inizio delle frasi buttate qua e là, poi queste si erano fatte sempre più esplicite, fino a diventare delle vere e proprie telecronache. Gioia si era ritrovata a godere di quei racconti, a chiederli sempre più spesso. Digitava le sue brevi risposte con una mano sola, l’altra infilata nelle mutande a toccarsi il clitoride viscido di umori. Le aveva confessato quanto le piacesse immaginarsi quelle scene, quanto godesse nel leggere dei loro rapporti un po’ diversi dal solito e un giorno Anna le aveva chiesto, a bruciapelo: ti piacerebbe assistere? Guardarci? L’avevano buttata sul ridere, ma entrambe sapevano che la proposta era vera. C’erano state altre chat dopo, altri approcci, più velati ma sempre più probabili. Fino al giorno in cui Gioia era andata in agenzia e aveva fatto il biglietto del treno. Gioia rigirò il bicchiere fra le dita, sorseggiò il succo di pera e scacciando questi ricordi dalla mente si dedicò alla sua attività preferita. Guardò Anna mentre parlava, le guardò le mani vivaci, il trucco pesante ma non volgare. Portava un vestito di ciniglia abbastanza aderente, si poteva intravedere facilmente il rilievo del pizzo delle calze. Ammirò le gambe accavallate e le scarpe col tacco alto ed un laccetto che circondava la caviglia. Notò, compiacendosi, alcuni particolari che sarebbero forse sfuggiti ad altri: un leggero segno intorno ai polsi, nascosto da un largo bracciale d’argento, un altro segno sulla coscia celato dalle calze nere un po’ opache. Sorridendo pensò ai racconti di Anna, alla passione di quella coppia per le corde, per le manette. Poi, mentre Anna accavallava le gambe, intravide un filo di cotone nero pendere fra le cosce. Lo stomaco le si chiuse dall’eccitazione: aveva qualcosa dentro, ne era certa… qualcosa di cui solo il laccetto nero sporgeva all’esterno. La troietta si era preparata per l’incontro, accidenti se si era preparata, pensò crogiolandosi su quella parola, “troietta”. Mentre Anna ignara continuava a parlare per metterla a suo agio, Gioia pensò che forse glielo aveva ordinato lui, di tenere qualcosa dentro mentre parlava con lei, mentre si accertava della sua disponibilità al “gioco”…chissà da quanto tempo ce l’aveva, forse addirittura da quando era venuta a prenderla alla stazione. Chissà quanto era grande, e dove era infilato…. forse nella fica, o forse dietro. Gioia si stava eccitando maledettamente, sentì sulla pelle quella ben nota sensazione di fresco causata dagli umori che si raffreddavano. La guardò di nuovo. Faceva finta di niente. Chissà che sensazione le dava quell’aggeggio… piacere, dolore, entrambi… era sicura che fosse già bagnata, anzi, fradicia, stra-eccitata. Ma lo nascondeva bene. Fu quello l’istante in cui decise che sarebbe restata. Avrebbe partecipato al “gioco”. E avrebbe guardato. Era sola nel salottino, adesso. Anna se ne era andata con un bacio, lasciandola su una comoda poltrona in un angolo della stanza. C’erano solo un paio di luci accese, nascoste nel soffitto, che illuminavano il tappeto e il divano di fronte a lei. La sua poltrona invece era in una zona discretamente buia. Era stato tutto studiato nei minimi particolari, pensò Gioia. Per un attimo si chiese cosa diavolo stesse facendo lei lì. Ma non ebbe tempo di darsi una riposta, Anna entrò nella stanza e lo spettacolo incominciò. Era vestita come prima. Si fermò un attimo in mezzo alla stanza, sembrava respirare affannosamente. Possibile che fosse già eccitata a quel punto? Poi, senza degnarla di uno sguardo si avviò verso il muro di fianco a Gioia. Si fermò a circa un metro di distanza dalla parete, allargò un po’ le gambe e poi vi appoggiò le mani. Il corpo risultava così proteso in avanti, in una posiziona innaturale e sicuramente scomoda. Anna rimase ferma, immobile per lunghi minuti, evidentemente anche quello era un ordine, pensò Gioia. Solo questo pensiero bastò per seccarle la gola. Poi entrò lui. Non l’aveva mai visto dal vero, ma se ne era fatta un’idea dalle tante fotografie che gli aveva mandato Anna. Un fisico ben fatto, curato da anni di pallavolo. Un viso non bellissimo ma mobile, espressivo. Gioia si sentì terribilmente a disagio. Di nuovo pensò di scappare via, ma i muscoli si rifiutarono di obbedirle. Qualche istante dopo di ritrovò a seguire come ipnotizzata i movimenti dell’uomo che venne deciso verso di lei, con un sorriso simpatico sulle labbra. Ciao! – le disse piegandosi sulle gambe per essere alla sua altezza, poggiando le mani sul bracciolo – piacere di conoscerti… Piacere mio! – Rispose Gioia sorridendo nervosamente e sentendosi subito dopo abbastanza stupida per quella risposta. L’uomo però stava facendo di tutto per farla rilassare, lo capiva, e questo la fece sentire leggermente meglio. Si lisciò la gonna sulle ginocchia. Allora. Lei – disse l’uomo indicando Anna con un cenno della testa – ha l’ordine di non guardarti, fa parte del gioco. Devi dirmi tu adesso se vuoi interagire in qualche modo con me….non so, se hai delle voglie particolari, un desiderio che vuoi soddisfare…lei è a tua disposizione. Dimmi tu. Per un attimo le balenò in testa l’idea di poter partecipare, anche indirettamente, a quello che sarebbe successo, ma la timidezza prese il sopravvento, e le parole le uscirono senza darle il tempo di ragionarci su. – No… no, io…. preferirei che tu non mi guardassi… fate come se non ci fossi, ok?? Mi sento già abbastanza imbarazzata… – Ok – rispose lui con un sorriso – va bene, allora buona visione… Gioia riuscì anche a ridacchiare di quella battuta, e si sistemò meglio sulla poltrona, cercando di convincersi che sarebbe stato come vedere un film. Ma si sbagliava, naturalmente… L’uomo si staccò da lei, perdendo subito il suo sorriso dolce. Gioia si stupì di come fosse diverso, ora. Si stava avvicinando lentamente ad Anna, che nel frattempo non aveva mosso un muscolo. Arrivato dietro di lei le alzò la gonna fino alla vita, poi si allontanò, lasciandola lì nuda ed esposta. Non portava slip ovviamente, e adesso Gioia poteva vedere bene il filo nero uscirle dalla fica e pendere fra le gambe divaricate. Aveva maledettamente voglia di toccarsi, ma non le sembrava dignitoso, e resistette. Nel frattempo l’uomo era tornato da Anna, si era appoggiato al muro di fianco a lei, in modo da lasciare libera la visuale per Gioia. L’attesa stava diventando estenuante, ma lui sembrava davvero non avere nessuna fretta. Finalmente allungò la mano verso quel filo nero e tirò leggermente, provocando immediatamente lunghi gemiti nella donna. Non era ancora uscito niente quando lui respinse l’oggetto in profondità con un dito. Giocò in questo modo per cinque, sei volte, fino a che i respiri di Anna si unirono in un unico, lungo gemito. Alla fine tirò lentamente il filo senza fermarsi. Gioia, gli occhi sbarrati dall’eccitazione, vide la fica di Anna aprirsi lentamente ma inesorabilmente mentre usciva quel corpo estraneo. Era una grossa sfera nera. Gioia decise che era larga più o meno quanto il suo pugno, e rabbrividì. Non era sola. Lentamente uscirono da quel sesso luccicante altre due sfere, legate dal filo nero; la seconda era grande circa come una palla da biliardo, la terza leggermente più piccola. Gioia dovette portare la mano fra le gambe, aveva bisogno di toccarsi e anche da sopra la gonna poteva andar bene… la fica le doleva come mai le era successo. L’uomo mise una delle sfere in tasca, poi prese Anna per i capelli e le fece sollevare a testa. Le aprì violentemente la bocca con le dita, e infilandogliene quattro dentro senza riguardo le fece piegare la testa all’indietro, fin dove poteva arrivare. Con l’altra mano le carezzava le natiche sfiorandola appena. All’improvviso sollevò la mano e calò sul sedere rotondo con una forza che fece sobbalzare Gioia sulla poltrona. Forse aveva anche urlato, ma non avrebbe saputo dire, perché il gemito soffocato che era uscito dalla bocca aperta e piena di Anna le aveva riempito le orecchie. La mano dell’uomo proseguì alternando carezze e schiaffi per qualche minuto. La pelle delle natiche di Anna diventò rossa, leggermente gonfia, si vedevano gocce di umori colarle lente ma senza sosta per le gambe. Era uno spettacolo. Il corpo proteso in avanti, la testa piegata indietro, la bocca apertissima, piena delle dita di quell’uomo che ad ogni schiaffo spingevano più in profondità. Gioia ebbe una voglia improvvisa di leccare quelle gocce, di bere quell’eccitazione che stava per andare sprecata sul tappeto, ma non riusciva nemmeno a deglutire, figuriamoci ad alzarsi… Quando sembrava che Anna stesse ormai per piangere dal dolore l’uomo levò le dita da quella bocca ancora truccata, prese le sfere dalla tasca e staccò la più piccola, usandola per riempire ancora una volta quella bella bocca turgida. Gioia ebbe per qualche secondo la visione delle labbra aperte di Anna, dei denti bianchi fra cui si vedeva il nero della sfera, prima che l’uomo si levasse dalla tasca anche un nastro e glielo posizionasse sulle labbra, annodandolo dietro, impedendole così di sputarla. Subito dopo la tirò per un braccio e la spinse violentemente contro il muro, il volto rivolto verso di lui. Cominciò a spingere il sesso contro di lei, ritmicamente, le mani che stringevano la carne delle natiche in una morsa che le deformava le forme. Anna ansimava violentemente dal naso, gli occhi erano spalancati, lucidi, impazziti di piacere. Lui le baciò il volto, gli occhi, il collo, mentre le mani vagavano per l’intero corpo, stringendolo con forza, spingendolo contro la sua eccitazione. Ora passava con la lingua aperta e bagnata sulla fascia che le copriva le labbra, e Gioia poteva solo vagamente immaginare cosa si provava a sentire quella lingua così vicina ma non sulla pelle, non dentro la bocca. La mano che aveva portato fra le gambe si muoveva ormai ritmicamente, cercando di calmare la voglia che l’aveva assalita. Se avesse aumentato leggermente il movimento sarebbe venuta, ne era sicura, ma si sforzava di non cedere. Voleva vedere fin dove sarebbero arrivati. Voleva vedere quando l’avrebbe penetrata. E dove. Improvvisamente l’uomo si staccò, lasciando Anna contro il muro, quasi incapace di reggersi in piedi tanto era stravolta, eccitata. Lasciò che si calmasse un po’, poi poggiò le mani sul muro, proprio dietro di lei. Il volto vicinissimo, la costrinse con un sussurro a guardarlo negli occhi. Sei una troia. – sibilò poi in modo che anche Gioia sentisse. Anna annuì debolmente. – Sei solo una troia, guarda come ti fai trattare… Anna muoveva la testa su e giù, sembrava completamente in balia di quella voce. – Vuoi che ti levi questa pallina? Fa male, giusto? – proseguiva lui sfiorandole le labbra bendate con un dito – Lo sai che non te lo meriti…ma se te la levo è solo per due motivi…. sai quali sono, vero?? La ragazza continuava ad annuire, quasi disperatamente, ormai. – Te la levo solo perché voglio che tu dica quanto sei troia…. ad alta voce. E poi perché voglio ficcarti in bocca il mio uccello… lo so che ti fa male, puttana… ma io voglio che me lo succhi lo stesso. Le levò quindi la fascia che le copriva la bocca. Anna dovette aprire ancora un po’ le labbra e la pallina cadde rotolando sul tappeto. Gioia la seguì fino a che non sparì in un angolo. Rialzò lo sguardo appena in tempo per vedere l’uomo che schiaffeggiava Anna in pieno viso. Lo fece con una certa forza, facendole ruotare il volto con violenza. Poi gliene diede un altro dall’altra parte. Gioia credette di impazzire. Si portò una mano alla bocca per impedirsi di gemere. Tutto questo era molto di più di quanto Anna le avesse mai raccontato. Sapeva che amavano i giochi un po’ violenti, ma un conto era vedere le parole che si formavano veloci sul monitor e seguire in preda ad una discreta eccitazione lo svolgersi delle situazioni, un conto era essere lì, a pochi metri, e vedere gli occhi stravolti di Anna e la sua pelle arrossata dagli schiaffi, intravedere il cazzo gonfio sotto i pantaloni di suo marito, e sentire nell’aria l’odore già forte del sesso. Era molto diverso. E non era ancora finito. Sembrava passato un secolo da quando era entrata in quella casetta accogliente. Lei stessa si sentiva diversa. Sarebbe mai più stata quella di prima? Gioia cacciò indietro questi inutili pensieri, tornando ad immergersi nelle immagini pazzesche che aveva davanti. Adesso voglio sentire la tua voce…- stava dicendo l’uomo con voce dura. Anna era stremata. Lo guardava negli occhi, con i suoi che sembravano più grandi, resi lucidi dalle lacrime e dall’eccitazione. – Sono…sono una troia. – disse la donna. Era poco più di un sussurro, ma colpì Gioia come una staffilata. Più di tutto la fece impazzire il fatto che non riuscisse ad articolare bene le parole. Doveva avere la bocca dolorante per l’apertura forzata a cui era stata sottoposta. Gioia si sorprese a sperare che il dolore non le passasse tanto presto. Muovendo piano la mano per non farsi notare la infilò sotto la gonna, toccandosi da sopra le mutandine. Erano letteralmente fradice. Non ho sentito – La voce di lui era fredda, calma, dio solo sa come facesse. – Sono una troia! Stavolta lo disse forte, anche se la voce era leggermente tremante, e a Gioia sembrò che quella frase rimanesse sospesa nell’aria come se fosse una piccola, consistente nube di fumo. – Sono la tua troia, sono la tua puttana…!!!! Anna proseguiva sempre più concitatamente, ormai urlava, quasi. Parlare di sé in quel modo doveva eccitarla da morire. Alla fine si inginocchiò e liberò il cazzo del suo uomo dai pantaloni. Gioia si stupì solo per un attimo delle dimensioni di quel pene, e subito una voglia pazzesca di vedere Anna penetrata da quel grosso cazzo si impadronì di lei. I suoi pensieri non avrebbero potuto essere più sconnessi se fosse stata totalmente ubriaca… ma non lo era. Non di alcool, per lo meno. Anna intanto stava succhiando quel cazzo con devozione, emettendo lunghi sospiri ad ogni affondo. L’uomo stava godendo senza darle nessuna soddisfazione, non emetteva un gemito e Anna aumentò la suzione, disperata. Gioia pensò che era bellissima, inginocchiata, con il volto deformato dal cazzo che si ficcava con forza in bocca. Quando il marito decise che aveva succhiato a sufficienza, la tirò su per un braccio e la baciò in bocca con un’energia che Gioia trovò più devastante degli schiaffi. Sembrava che se la volesse mangiare. Quando si staccò da lei le disse brutalmente: Adesso levati il vestito e sdraiati per terra, a faccia in giù, gambe e braccia larghe. Anna obbedì subito, pur muovendosi lentamente in un modo che a Gioia parve estremamente sensuale. Non doveva essere facile riuscire a non perdere la propria dignità mentre si eseguiva un ordine così umiliante, ma Anna ci riuscì, almeno ai suoi occhi. Sdraiata, nuda se non per le calze e le scarpe, le gambe e le braccia aperte, rivolgeva la fica verso Gioia, che non poté più trattenersi dall’inserire un dito sotto l’elastico dello slip per toccarsi, finalmente, la pelle umida e gonfia. Sentiva che erano giunti quasi alla fine. L’uomo, che nel frattempo si era riabbottonato, prese da un armadio un oggetto che nell’oscurità parve a Gioia un bastone. Quando lui entrò con passo lento nel cono di luce, vide invece che era un frustino. Un asta nera e flessibile che terminava con un lembo ripiegato di tessuto rigido. L’ennesimo brivido la percorse, e lei dovette premere la mano con forza sul clitoride, interrompendo il movimento circolare che le stava ormai dando troppo piacere. Adesso lui girava intorno ad Anna come uno squalo con la sua preda. Posò la punta flessibile del frustino proprio sul sesso aperto ed esposto della donna. Anna gemette a lungo. Gioia invece portò una mano sugli occhi, non poteva credere che l’avrebbe colpita proprio lì, si sentiva male solo all’idea. Invece il frustino sfiorò lentamente il solco fra le natiche, risalì lungo spina dorsale e si andò a fermare su una guancia, disegnando leggeri ghirigori. Anna aprì la bocca e tirò fuori la lingua. Il frustino vi si posò. Un’impercettibile vibrazione della mano dell’uomo lo fece schioccare proprio sulla mucosa morbida e bagnata, con delicatezza, ma la paura fece urlare Anna. Eppure non ritirò la lingua. Gioia si stupì del suo sangue freddo. Soddisfatto l’uomo rifece il percorso al contrario. Il corpo di Anna era omai scossa da un tremore continuo, impossibile da controllare. Quando il frustino arrivò sulla fica la mano si mosse di nuovo, e un piccolo colpo le arrivò sul sesso. Il secondo colpo fu meno gentile, e il sedere di Anna ebbe un sussulto. Il terzo fece un rumore aperto, come di uno schiaffo, provocando un nuovo sussulto, più ampio. L’uomo scosse la testa con disappunto e le mise un piede sulle natiche, gravando con il proprio peso per non farla muovere. Adesso era la testa della donna, ad alzarsi, come colpita da una scossa ad ogni colpo, ed un piccolo urlo le usciva roco dalle labbra. All’improvviso l’uomo si allontanò, tornando a frugare nell’armadio. Tornato vicino ad Anna si inginocchiò presso la sua testa e agganciò due corde all’anello che aveva sul collare, tramite dei piccoli moschettoni. Le estremità le annodò invece ai piedi del divano che stava davanti alla moglie. In questo modo le corde, tirando in due direzioni opposte, limitavano molto i movimenti della testa di Anna. Il messaggio era chiaro: non avrebbe dovuto alzare neanche la testa. I colpi ricominciarono. I gemiti di Anna si fecero più intensi, più lunghi; ormai solo quello le era rimasto per sfogare il dolore, o il piacere… Ogni tanto il frustino le arrivava sulle cosce o sulle natiche, poi tornava sul sesso, con più delicatezza. Gioia sentì che, nonostante prima si fosse spaventata all’idea, le piaceva invece vedere quella donna legata e frustata, le piaceva come non avrebbe mai immaginato. Solo non riusciva a capire se quei colpi le stessero dando più piacere o più dolore, o se le due sensazioni si fossero fuse, amalgamate, e se ognuna delle due fosse ormai indispensabile all’altra. Vide le mani di Anna che artigliavano il tappeto, mentre la sua di mano, fradicia di umori, carezzava il clitoride e la fessura, alternando il piacere da una parte all’altra per non venire. Finalmente i colpi si fermarono e l’uomo si inginocchiò dietro Anna, facendole alzare il sedere fino a che rimase sulle ginocchia. La fece spostare leggermente così da essere visibili per la loro ospite, poi le prese le mani e gliele fece unire dietro la schiena. In quella posizione i capelli di Anna erano sparsi sul tappeto come un prezioso decoro e una delle due corde passava sul volto, scavandolo. La schiena risultava arcuata, cosparsa di gocce di piacere, i seni schiacciati a terra e il sesso era lì, aperto. La fica sembrava enormemente gonfia e rossa. Gioia aveva un enorme desiderio di toccarla, di sentire il calore immane che sembrava sprigionare. Sentiva questa voglia crescere nel suo ventre e diventare quasi un bisogno, una necessità. Avrebbe voluto penetrarla. Avrebbe voluto mettere dentro quei due buchi invitanti qualcosa, qualsiasi cosa, un dito, una mano, qualcosa… Si sentiva costretta a provare quei desideri. Obbligata a volerla. Era questo che si provava ad avere una donna davanti, a tua completa disposizione, immobilizzata dalle corde e dalle tue parole? Si, forse era questo. Una sensazione di assoluto potere ma anche, insieme, di incontrollabile dipendenza. Il marito, come a confermare questi pensieri, tirò fuori il cazzo e la penetrò senza troppi complimenti. Le sue spinte furono dapprima morbide, penetranti, poi si fecero sempre più forti. La teneva per la vita, spingendola contro il suo sesso. La mano di Gioia ormai vagava impazzita sul clitoride. Si rese conto di avere la bocca aperta e di gemere insieme a loro, ma questa consapevolezza non fece che aumentare la sua eccitazione. Stava per venire. Tese disperatamente le gambe e senza ormai nessun pudore, infilò anche l’altra mano sotto le mutande, carezzandosi la fica. L’uomo alternava le spinte a sonori schiaffi sulle natiche già rosse di Anna, che ormai non gemeva ma urlava, urlava senza ritegno, incitandolo a penetrarla di più, a fare di lei la sua puttana. Mentre veniva, cercando di non fare nessun rumore, Gioia ebbe solo la fugace visione delle mani di lui che le stringevano con forza il sedere e dei due pollici che premevano insieme sul piccolo buco scuro, penetrandovi con facilità. Poi chiuse gli occhi, ansimando piano, mentre un urlo silenzioso le invadeva il cervello. Quelle di Anna, di urla, riempirono invece la casa. … Gioia rimase immobile per lunghi minuti, ansimando. Poi, pian piano, cominciò a calmarsi cercando, non appena si ricordò dove fosse, di recuperare un minimo di orgoglio. Si ricompose, levando le mani dal sesso che ancora pulsava dolorosamente. Ad occhi chiusi, mentre la realtà si rimpossessava piano di lei, si chiese cosa sarebbe successo ora, come avrebbe dovuto comportarsi, cosa avrebbe potuto dire… Si rese finalmente conto di cosa era successo e l’imbarazzo montò ferocemente in lei fino a che si costrinse ad aprire gli occhi. Il marito di Anna non c’era. Lei invece era seduta mollemente sul divano, coperta da una vestaglia di seta rosa, che la guardava divertita. Bastò quel sorriso per sciogliere la tensione, e Gioia si mise scherzosamente le mani sul volto, fingendosi disperata. Tutto bene? – Chiese Anna con un gran sorriso. – Oh si…mamma mia… – disse Gioia raggiungendola sul divano, sentendo di dover in qualche modo diminuire la distanza fra di loro. La abbracciò, e le due donne rimasero a lungo così, strette l’una all’altra. – Divertita? – chiese Anna alla fine. – Molto…troppo forse – confessò ridendo – non mi avevi raccontato tutto, però! Disgraziata!! – Non ti sarebbe piaciuto così, se avessi saputo… – E’ vero. – acconsentì Gioia – Senti… – proseguì improvvisamente seria – mi sento in imbarazzo con tuo marito… da morire! – Non ti preoccupare. Lui è andato di là per non metterti in difficoltà, ma si è divertito moltissimo! Era felice come una pasqua, credimi!! Tra l’altro gli sei anche piaciuta… fisicamente intendo! – Davvero?? – Si! Mi ha detto che ti si farebbe volentieri… – disse Anna con un espressione furbetta. Gioia arrossì – Ma dai…! – esclamò. – Davvero!… Chissà che il nostro rapporto non cambi, un giorno ma… non voglio metterti fretta! Avremo tempo di riparlarne, anche con lui. Ah! Se ci prepariamo ci porta fuori a cena…che ne dici? – Non so se è il caso… – si schernì Gioia. Era ancora terribilmente confusa. – Eddai – insistette Anna con dolcezza – vedrai che appena ci parli passerà tutto l’imbarazzo, fidati!!! E’ un uomo simpaticissimo… completamente diverso da come… eh eh eh… da come l’hai conosciuto tu adesso… dai!! – Si, ci ho parlato un po’ prima e… mi sembra davvero dolce. Ok, – disse alla fine – vada per la cena, tanto il treno è tardi. Bene, allora andiamo a lavarci. Io ho bisogno di un bel bagno… non so tu!- disse Anna alzandosi dal divano. – Io di più! Credo di aver sudato più di te, accidenti!!! – rispose scoppiando a ridere Gioia. Poi pensò che aveva un sacco di domande da farle. Adesso era ancora più curiosa di prima… Gioia…- disse Anna sfiorandole la guancia con la mano ingioiellata – tornerai a trovarci, qualche volta?? Io ho goduto moltissimo… non potevo guardarti, lo sai, ma sapevo che eri lì, sapevo che il tuo sguardo si sarebbe posato su di me, sulla mia umiliazione e…. beh, mi sembrava di impazzire al pensiero… Gioia aveva già un piede sullo scalino del vagone. Si girò lentamente e la guardò seria. – Tornerò, stanne certa… anche io sono stata benissimo. Anche fare il bagno insieme è stato divertente… – disse facendole l’occhiolino – Ci sentiamo via mail, ok? Promesso. – Ciao!!! – urlò mentre entrava nel vagone rivolta ad entrambi. Cercò il suo posto e si sedette, dopo aver sistemato la valigia in alto. Gettò un ultimo sguardo affettuoso a quella coppia, dal finestrino. Visti così, sulla banchina, abbracciati, sembravano due classici sposini… ma Gioia vide il collarino con l’anello spuntare dalla scollatura della camicia di Anna, pensò che neanche adesso indossava le mutandine, e che di nuovo aveva qualcosa dentro. Due palline, stavolta. Gliele aveva infilate lei personalmente, nella vasca… Scosse la testa. Dio mio, dove sono capitata… – si disse sorridendo. L’uomo di fronte a lei la guardò e le sorrise, gentile. Il gioco era appena cominciato
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