Quella mattina Rosa si era svegliata da un sonno accaldato e inquieto. Sogni morbosi le avevano agitato la notte. Non era la prima volta e non ne era certo causa la cena della sera prima. Quale fosse la spiegazione Rosa lo sapeva bene. Cinque anni prima suo marito era morto lasciandola sola. Forse la loro non era stata la più favolosa delle intese sessuali, ma senza di lui si era sentita ben presto insoddisfatta. Benché avesse superato la sessantina da un paio d’anni, Rosa si sentiva dentro lo stesso fuoco che sentiva da ragazza. Perché non avrebbe dovuto? Si sentiva ancora giovanile e attraente: un metro e sessantacinque per sessanta chili, bel sedere, belle gambe, tette terza misura che sapienti reggiseni aiutavano a slanciare e sostenere. Dopo un paio di anni aveva accettato la corte di un amico del marito, suo coetaneo. Era affettuoso, tenero e devoto, ma il corpo di Rosa reclamava assai più delle prestazioni rapide e diradate che il suo amante era in grado di offrirle. Stufa, da alcuni mesi aveva di fatto chiuso la relazione, sebbene non avesse ancora trovato il coraggio di dirgli che era altro di cui aveva bisogno. Un “altro” che i sogni le mostravano di notte con impudica chiarezza. Un bel randello giovane, ecco cosa le sarebbe servito! Nello stesso momento anche Mario, il nipote di Rosa, era uscito dal sonno al suono della sveglia. Sarebbe dovuto andare all’Università quel giorno, ma tanto non c’era obbligo di frequenza, poteva continuare a restare a letto e alzarsi più tardi. Si rigirò sotto le coperte e andò a cercarsi il cazzo, già in alzabandiera come quasi tutte le mattine. A vent’anni non c’era giorno che non si svegliasse in tiro. Prese a menarselo, lentamente, per assaporare quel momento di intimità solitaria. L’ispirazione gliela dava il ricordo della situazione che si era creata la sera prima. Nonna Rosa era venuta a cena. Finito di mangiare si erano spostati tutti sui divani del soggiorno. La nonna era intenta a conversare con sua madre. Mario, seduto in poltrona davanti a lei, fingeva di guardare la tele, in realtà ne spiava le belle gambe, attraenti nelle calze nere trasparenti e snellite dai tacchi alti. Nonna, discutendo, incrociava le gambe e Mario si abbassava sulla sua poltrona alla ricerca dell’angolo migliore che potesse svelargli l’esistenza del reggicalze o addirittura il colore delle mutandine. Mario continuava a masturbarsi mentre riviveva la scena e l’eccitazione che ne aveva provato. Sapeva di fare qualcosa di proibito, ma gli scrupoli se li era lasciati alle spalle da un pezzo. Nonna o no, Rosa era un bel pezzo di femmina, sempre vestita in modo sexy, gonne corte al ginocchio, calze velate, scollature maliziose. Mario, poi, aveva un debole per le donne mature e sua nonna, con quei capelli cortissimi quasi bianchi e le rughe sul viso, che rivelavano la sua vera età in contrasto con il corpo che di anni ne mostrava dieci di meno, era proprio l’incarnazione delle sue fantasie più sconce. Peccato fosse sua nonna! Fosse stata una vicina di casa, Mario ci avrebbe provato, si disse. E su quel pensiero venne. Rinfrescata da una doccia e avvolta, nuda, dall’accappatoio, Rosa stava facendo colazione e ripensava all’episodio della sera prima. Stava chiacchierando seduta sul divano quando aveva cominciato a notare le occhiate insistenti di suo nipote, dirette soprattutto verso le sue gambe. Lì per lì, d’istinto aveva deciso di assecondare quegli sguardi golosi e aveva accavallato ben in alto le ginocchia così da mostrargli le cosce. Rosa sorseggiava del latte e sorrideva tra sé. Non era la prima volta che coglieva le manovre di Mario. Non ne era irritata. Le piaceva suscitare gli sguardi degli uomini. Non era forse per questo che amava vestire in modo ancora provocante, per quanto l’età le permettesse? Mario era proprio diventato un bel ragazzo. Aveva vent’anni, poco più che un adolescente. Ma se riusciva ad attirare gli sguardi di un ragazzo così giovane, poteva piacere anche ad altri giovanotti. Si chiese se suo nipote avesse amici più grandi. Arrivato alla fine in ritardo in Università, Mario aveva preso a seguire svogliatamente le lezioni. La sega mattutina era stata praticamente inutile. Continuava a sentirsi arrapato e il pensiero di sua nonna Rosa c’entrava abbastanza. Anche se si ripeteva che doveva controllarsi, non riusciva a smetterla. Così, sulla strada di casa, fece una deviazione, decidendo di passare a trovarla. Sperava di trovarla ancora una volta vestita in modo sexy e di poterle rubare qualche occhiata da rivivere più tardi nelle sue fantasie masturbatorie. Rosa era però vestita in modo casalingo, tutt’altro che provocante, almeno per quello che lui avrebbe desiderato: pantaloni, scarpe basse, calze chiare. Deluso, Mario fece un po’ di conversazione, finché, per rispondere a una telefonata, Rosa lo lasciò solo e lui ne approfittò per andare al bagno. Subito dopo si sarebbe congedato e sarebbe andato via. Ma la vista della porta aperta nella camera da letto di sua nonna, gli fece venire un’idea. Non voleva rinunciare a portare con sé qualcosa che avrebbe alimentato le sue fantasticherie. Tese l’orecchio, per esser sicuro che fosse ancora impegnata al telefono. Allora entrò deciso nella sua camera. Non era la prima volta che frugava tra la biancheria intima di sua nonna. Si mosse perciò con sicurezza andando ad aprire i cassetti in cui sapeva di trovare quel che cercava: un bendidio di mutandine e reggiseni di pizzo, sottovesti semitrasparenti e calze impalpabili di vari colori si apriva dinanzi i suoi occhi. Mario impazziva ogni volta al pensiero di quella roba avvolta sul corpo di sua nonna. La sua attenzione fu attirata da una cosa nuova, un paio di mutandine leopardate a perizoma. Una cosa da urlo, pensava Mario prendendole. Solo una donna davvero amante del sesso poteva comprare una cosa del genere, rifletteva mentre le rigirava tra le dita. Improvvisi passi nel corridoio lo riportarono alla realtà. L’eccitazione lo aveva reso temerario e non aveva controllato che sua nonna fosse ancora al telefono. E lei stava per entrare e sorprenderlo con le mani nella marmellata! D’istinto richiuse i cassetti. Ma le mutandine gli erano rimaste tra le mani. Troppo tardi per rimetterle al loro posto, non restava che ficcarsele in tasca! “Che fai qui?” disse Rosa entrando nella sua camera da letto e trovandoci il nipote. “Niente. Stavo andando in bagno. Ho sentito un rumore e sono entrato”, farfugliò lui. “Vabbè,” rispose lei poco convinta, “adesso esci, però, devo vestirmi per uscire, che ho appuntamento dal commercialista.” Rimasta sola in camera, Rosa, volendo cambiarsi i collant, aprì il cassetto della biancheria alla ricerca di un paio fumé. Il caso voleva che appena poco prima avesse sistemato della biancheria appena lavata. Si accorse perciò subito che in quel cassetto qualcun altro aveva messo le mani e toccato la sua roba. Non poteva che esser stato Mario! Quel ragazzo stava diventando troppo sfacciato: cosa gli saltava in mente? Poi, Rosa notò che erano addirittura sparite le mutandine leopardate che aveva comprato appena pochi giorni prima: erano troppo vistose perché non ne saltasse agli occhi la mancanza. Turbata, Rosa afferrò i collant che cercava richiudendo di scatto il cassetto. Mentre li indossava e si toglieva i pantaloni e il golf da casa per indossare un più elegante tailleur, continuava a rimuginare sulla sua scoperta. Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi: rimproverarlo? far finta di nulla? le seccava che lui le avesse preso le mutandine, ma in cuor suo sorrideva all’idea che suo nipote avesse di queste fantasie. Nell’altra stanza, anche Mario era indeciso sul da farsi. Nascondere le mutandine da qualche parte della casa sarebbe stato avventato: cosa avrebbe pensato sua nonna trovandole? che camminassero da sole? L’idea di portarsele via lo impauriva: non aveva mai avuto tanta audacia e temeva che sua nonna potesse sospettarlo del furto. D’altra parte, era assai intrigato dall’idea di aver conquistato un tale trofeo. Con la punta delle dita dentro la tasca ne palpò il tessuto soffice. Istintivamente le tirò fuori per ammirarle ancora una volta … “Mario, sono pronta, scendi con me?” La voce di sua nonna echeggiò in corridoio. Ricacciò nella tasca del giubbotto quel pezzo di stoffa e con l’aria più innocente del mondo rispose “Eccomi!” avviandosi verso l’ingresso. Rosa lo guardò per un attimo negli occhi. Lui non immaginava che lei sapesse e sfoderava un sorriso che lei trovò impudente. Il pensiero: adesso ti aggiusto io! si formò nel suo cervello non appena gli occhi le caddero su un particolare quasi insignificante. Dalla tasca del giaccone faceva appena capolino la punta dell’etichetta del suo perizoma. “Cosa ti esce dalla tasca?” esclamò protendendosi e tirando con due dita l’etichetta che sporgeva. Mario non ebbe il tempo di rendersene conto e reagire. Si ritrovò con sua nonna che teneva le mutandine facendogliele penzolare davanti agli occhi. A Mario parve che il cuore gli si arrestasse. “Cosa ci facevano queste nelle tue tasche?” Mario tirò un sospiro profondo. Doveva assolutamente inventare una scusa, velocemente, molto velocemente… “Nonna, adesso … adesso ti … ti spiego.” “Aspetto”, rispose sua nonna con un’aria vagamente trionfante. “E’ per … per il regalo…” “Regalo?” Il cervello di Mario valutò freneticamente le possibilità della storia che stava per inventare. Decise di tentarla, non aveva molte alternative. “Per il regalo…”, ripeté, “per il regalo che … per quello che volevo farti… per il tuo onomastico!” Nella mente di Mario i pezzi del puzzle roteavano a velocità vertiginosa mentre lui ne provava le varie combinazioni. L’idea dell’onomastico gli sembrò che potesse reggere. Fra pochi giorni, per festeggiarlo, sua nonna avrebbe come al solito invitato tutta la famiglia a pranzo fuori. “Ho chiesto consiglio per il regalo a mamma”, evocare la genitrice lì per lì gli parve avrebbe dato più credibilità alla frottola, “e lei mi ha consigliato di comprarti qualcosa di intimo, di biancheria, dice che a te avrebbe fatto piacere…” Rosa stava ad ascoltare in silenzio, curiosa. “Ma non sapevo la misura e… allora… non volevo chiedertela … per non guastarti la sorpresa”, concluse d’un fiato. Forse aveva una possibilità che sua nonna la bevesse. Rosa non aveva nessuna voglia di credere a quella giustificazione improvvisata, ma era colpita dalla prontezza con la quale suo nipote gliel’aveva spiattellata. “Tua madre ti avrebbe detto di rubarmi un paio di mutande solo per vedere quale taglia porto? “No,” Mario aveva preso coraggio man mano che riusciva ad arricchire la sua versione di dettagli che potevano essere plausibili, “mamma mi ha suggerito solo il regalo. L’idea di prendere in prestito un capo di biancheria per la taglia è stata mia. Ti chiedo scusa, nonna, ma volevo farti una sorpresa. Poi avrei messo tutto a posto.” Rosa riflettè un attimo. Che sfacciato! Ma aveva già deciso di perdonarlo. “Bene. Comunque adesso quel che volevi sapere lo sai, quindi posso riprendere ciò che mi appartiene,” disse mettendo il perizoma nella borsetta. “La prossima volta che vuoi un’informazione sei pregato di chiederla senza ricorrere a furti o altri trucchi. E comunque,” concluse, spingendolo fuori di casa, “adesso mi aspetto in regalo un completo intimo, se no dovrò pensare che è tutta una storiella!” Più tardi, mentre il commercialista cercava di spiegarle complesse procedure fiscali, Rosa ripensava all’episodio. Non era la prima volta che Mario dimostrava un interesse un po’ morboso, ma spingersi fino a questo punto! Lei d’altra parte era lusingata che lui le rivolgesse queste attenzioni. Se poi si fosse davvero presentato domenica con un capo di biancheria intima in regalo…. A Rosa venne quasi da ridere e il leggero fremito che avvertì la indusse ad accavallare le sue belle gambe. Il commercialista smise di parlare, preferendo soffermarsi sulle ginocchia della sua cliente che il gesto aveva scoperto. Era un uomo di circa 65 anni che da tempo aveva un debole per Rosa. “Mi rendo conto di annoiarla, signora.” “No, no”. “Sì invece. Sono questioni noiose. Se preferisce posso occuparmi io di tutto e poi riferirle l’esito. Magari,” si passò la lingua sulle labbra asciutte, ”potremmo riparlarne a cena. Saremmo più rilassati,” proseguì impacciato. “Se non ha nulla in contrario, potrei invitarla una di queste sere.” Rosa guardò l’uomo e ne indovinò lo sguardo diritto sulle sue gambe. Giunse rapidamente a due conclusioni. La prima: non aveva bisogno di un altro amante attempato, calvo e grassoccio, come quello con cui aveva troncato; la seconda: se dovevano sbirciarle le gambe, allora preferiva che a farlo fosse un bel giovane come suo nipote Mario! Quest’ultimo, mentre tornava a casa rimuginava sulla serie di fesserie che aveva fatto: prendere le mutandine, farsele trovare addosso, inventare tutta la storia del regalo. Il risultato era che per evitare l’ira di sua nonna, e magari anche un suo ceffone, si era impelagato in una serie di bugie da cui sarebbe stato non meno difficile svincolarsi. Non avrebbe saputo dire neanche lui come gli fosse venuta l’idea dell’intimo in regalo. E non era stato brillante, a ripensarci, nemmeno tirare in ballo sua madre: sarebbe bastato che le due donne si sentissero e sua nonna avrebbe immediatamente scoperto la panzana che le era stata rifilata. Adesso, se non faceva nulla, sua nonna avrebbe capito tutto e all’arrabbiatura per averle preso il perizoma si sarebbe aggiunta quella per esser stata menata per il naso, e ne sarebbe nato un casino; se recitava la sua parte fino in fondo, avrebbe invece veramente dovuto acquistarle qualcosa d’intimo: l’idea lo ringalluzziva, come dimostrava l’istantaneo brivido che a quel pensiero aveva provato, ma era impensabile che potesse consegnare un regalo del genere davanti a tutta la famiglia il giorno dell’onomastico, perché avrebbe finito con il fare anche in questo caso la figura del pervertito. Per consolarsi del dilemma che lo affliggeva, Mario si mise a immaginare l’effetto che poteva fare quel perizoma leopardato sul corpo di sua nonna! La domenica successiva, quella in cui era fissato il pranzo per l’onomastico, Mario si presentò sotto casa di sua nonna. In tasca, avvolto in una elegante busta, il regalo per sua nonna. Aveva trascorso due giorni torturandosi nell’incertezza. Alla fine era esploso: al diavolo! Quella che gli si era presentata era l’occasione per far capire a sua nonna quanto la trovasse attraente, un’occasione per entrare in maggior confidenza con lei. Se poi si fosse offesa, le avrebbe detto che era stato tutto uno scherzo. Così, prima che la sua audacia potesse svanire, si era precipitato in un negozio di lingerie piuttosto fornito. Alla fine aveva scelto un coordinato reggiseno, mutandine e reggicalze, di pizzo, di colore rosa antico, non troppo succinto ma decisamente sexy. Solo la speranza che lei potesse indossarlo lo faceva uscire fuori di testa! Il difficile era trovare il modo di consegnarglielo in privato, al riparo della curiosità e dei commenti del resto della famiglia. Aveva perciò brigato offrendosi di accompagnare lui la nonna all’appuntamento. Per sua fortuna le cose si erano messe nel giusto verso. Per questo quella mattina Mario, da solo, bussava a casa di sua nonna Rosa. Insieme, con l’auto di lei, avrebbero poi raggiunto gli altri al ristorante. Rosa era ancora in vestaglia. “Devo finire di prepararmi. Sei un po’ in anticipo. Siediti lì.” “Ehmm…” “Cosa c’è?” “Nonna, il tuo regalo!” disse Mario tendendole il pacchetto. “Ricordi: quello per cui avevo bisogno della taglia.” Rosa sedette sul divano e cominciò a scartare il regalo, il cuore in subbuglio. In quei giorni aveva spesso ripensato a quel che era successo e alla promessa di Mario. Si era chiesta se davvero si sarebbe presentato con un capo intimo in regalo e aveva finito con l’ammettere che l’idea di suo nipote che ne sceglieva uno per lei la elettrizzava. Dalla carta regalo emersero i tre pezzi di biancheria che componevano il completo: un reggiseno a balconcino, una mutandina decisamente sgambata e un reggicalze. Rosa rimase in silenzio qualche istante. Da molto tempo non riceveva un regalo così intimo. “Ti piace?” La voce di Mario la scosse. Lo guardò e sentì qualcosa scioglierlesi dentro. “E’ un po’ osé come regalo, non credi? Non è proprio il classico regalo che un nipote fa alla propria nonna, no?” “No,” ribatté Mario, “però se si ha la fortuna di avere una nonna che può permettersi di indossarlo… .” “Comunque, lo accetto volentieri. Sembra molto fine ed elegante. Grazie. Anzi, per un regalo speciale, ci vuole un grazie speciale.” Così dicendo si protese verso Mario, prese il suo viso fra le mani e lo attirò a sé, piantandogli un bel bacio sulla bocca. Rosa schiacciò le labbra contro quelle del giovane, le schiuse e fece passare la lingua nella bocca di lui. La passò sulla chiostra dei denti, finché Mario istintivamente ! l’aprì e le loro lingue si incontrarono, in un contatto tanto fugace quanto elettrico. Era durato tutto pochi istanti. Mario se ne era reso a mala pena conto e tanto era rimasto sorpreso dal gesto improvviso di Rosa da esser rimasto come un baccalà e già si pentiva di non aver assecondato di più il bacio di sua nonna. Quest’ultima si affrettò ad alzarsi, prese in mano il completo e si avviò dall’altra parte della casa. “Penso che lo indosserò subito visto che è una giornata un po’ speciale. E, mi raccomando, Mario, non cercare di spiarmi dal buco della serratura mentre mi cambio!” lo ammonì maliziosamente, prima di entrare in camera da letto, la cui porta socchiuse lasciando uno spiraglio, minimo, ma sufficiente a sbirciare cosa accadeva al di là. Mario dal canto suo non aveva bisogno di suggerimenti. Lasciò passare qualche secondo poi si avvicinò cautamente, scoprendo così che la fessura rimasta tra stipite e porta gli offriva una visuale, scomoda, ma migliore di quella dal buco della serratura. Dentro la stanza, Rosa si stava liberando della vestaglia e si apprestava a togliere il coordinato nero che aveva indossato la mattina e che avrebbe lasciato il posto a quello nuovo. Faccia alla porta, oltre la quale era consapevole della presenza di Mario, portò le mani dietro la schiena e sganciò il reggipetto. I grandi seni carnosi una volta liberi balzarono in avanti, con le grosse areole scure e i capezzoli che avevano cominciato a indurirsi. Anche se l’idea di spogliarsi mentre era spiata la stava rendendo incredibilmente viziosa, Rosa a questo punto decise che offrire alla vista il sedere era sufficiente e si voltò di schiena prima di abbassare le mutandine. Il culo di Rosa era grande e rotondo e sebbene il tempo lo avesse fatto scivolare verso il basso era ancora abbastanza sodo e pieno. Il leggero tremolio delle natiche mentre Rosa trafficava con la biancheria produsse un brivido lungo il cazzo già duro come il ferro di Mario. Rosa si infilò le mutandine rosa al posto di quelle nere, poi infilò le tette nelle coppe del reggiseno e agganciandolo tornò a girarsi verso la porta. “Che fica!” pensò Mario, muovendo il capo per cogliere, attraverso la fessura, la massima vista possibile del corpo di Rosa, le cosce piene, i seni spinti in su dal reggiseno, i fianchi arrotondati sottolineati dalla mutandina sgambata. Gocce di sudore gli imperlavano la fronte. La sua mano accarezzò il pube attraverso i pantaloni. Rosa aveva messo il reggicalze alla vita e sedette sulla sponda del letto apprestandosi a infilare le calze. Ne aveva scelto un paio nere, con la riga dietro. Le sue gambe erano ancora toniche, perfettamente depilate, i pochi capillari che l’età faceva affiorare non le impedivano di continuare a indossare calze velate. Stese davanti a sé la gamba destra e cominciò a srotolare la calza dalla punta del piede. Compì l’operazione lentamente, con gesti languidi, fermandosi spesso a stirare la calza sulla pelle perché non facesse grinze. Allungò più volte la gamba sollevandola, fingendo di controllare che la riga posteriore fosse diritta. Soddisfatta agganciò il bordo superiore più scuro ai gancetti del reggicalze. Poi si alzò nuovamente in piedi, sollevò il piede poggiandolo sul letto e in quella posizione prese a infilarsi l’altra calza, ripetendo con studiata lentezza i gesti appena compiuti. A questo punto Rosa decise che il nipote aveva avuto abbastanza. “Mario sei tu?” esclamò improvvisamente come fingendo di aver sentito un rumore. Impaurito Mario si ritrasse di scatto e in punta di piedi per non fare rumore fuggì verso il salone, ostacolato dall’arnese duro come marmo che dolorosamente spingeva contro la patta. Rosa, che nonostante gli sforzi del ragazzo aveva sentito abbastanza rumori per non aver dubbi che il suo spogliarello avesse avuto spettatori, andò a chiudere la porta e, con un sorriso malizioso, si apprestò a completare l’abbigliamento. Quando tornò in salone, a Mario che l’attendeva seduto, apparve seducente come non mai, truccata con evidente uso di rossetto e mascara, una camicetta bianca molto leggera e un tailleur sportivo, a quadretti scozzesi. La gonna, già corta alle ginocchia, si apriva a portafoglio. Ai piedi un paio di eleganti scarpe scollate di vernice nera dai tacchi altissimi. Rosa lasciò le chiavi dell’auto a Mario perché fosse lui a guidare. La cosa gli dispiacque perché, concentrato a guardare la strada, doveva lottare contro la tentazione di lanciare occhiate fulminanti alle gambe di sua nonna. I pensieri turbinavano nel cervello di Mario: si chiedeva se quella non fosse l’occasione buona per fare delle avance, ma non riusciva a trovare il coraggio per osare. Quando furono fuori città, Rosa cominciò a dare segni improvvisi di nervosismo. “Guarda quanto traffico. Non arriviamo più. Siamo partiti troppo tardi.” A Mario in realtà non sembrava che fossero in ritardo, ma sua nonna insisteva. “Che fila! Ma sono tutti in giro, oggi. Di questo passo arriveremo troppo tardi.” “E’ inutile!” a un certo punto esclamò e preso il telefonino chiamò la madre di Mario. “Abbiamo trovato un gran traffico. Ho paura che non ce la facciamo. Sì, non arriveremo in tempo. Ma no, voi cominciate pure. No, a questo punto non ci aspettate. Chissà quando arriveremmo, se arriveremmo. Ma sì, pazienza, cosa vuoi che sia. No, non vi preoccupate, non resto sola, sono qui con Mario, mi farà compagnia lui.” Spense il telefono e si rivolse al nipote: “Ho detto a questo punto di non aspettarci. Però non roviniamoci completamente la giornata. Svolta lì a sinistra. Ti invito lo stesso a pranzo in un posto che conosco.” Il ristorante che aveva indicato Rosa lo conosceva per esserci andata con il suo vecchio amante. Arrivati, Mario spense il motore e si girò a guardare sua nonna. “Che fai non mi apri la portiera?” fece lei, pronta a richiamarlo ai suoi doveri di cavaliere. Mario uscì dall’auto e le tenne aperto lo sportello, mentre lei scendeva dall’auto. Nel muoversi la gonna si aprì e risalì scoprendo le gambe fin quasi al bordo della calze. “Ma cos’hai Mario? Mi sembri fisso come un palo!” “Nonna, è colpa tua. Sei stupenda. Se non fossi mia nonna ti giuro che ti farei la corte!” “Davvero? Che scemo! Vabbè, allora facciamo un piccolo gioco. Al ristorante non chiamarmi “nonna”. Chiamami semplicemente Rosa. D’accordo?” Gli strizzò l’occhio e senza aspettare risposta s’incamminò decisa dentro il locale. Mario le andò dietro, contemplandole la forma del sedere e la cucitura delle calze. Non capiva bene né che gioco stesse giocando né chi lo conduceva, ma gli stava piacendo moltissimo giocarlo. Era una giornata tiepida, quasi primaverile. Rosa si era tolta la giacca. La camicetta era quasi trasparente e Mario vedeva chiaramente attraverso la stoffa leggera i bordi e l’ombra più scura del reggiseno.“Ma sul serio mi faresti la corte?”. con queste parole Rosa spezzò il silenzio che si era creato dopo che il cameriere aveva preso le ordinazioni. “Certo. Sei una donna molto attraente.” Il vinello bianco frizzante che il cameriere aveva portato loro aveva reso Mario intraprendente. “Ma se ho tre volte i tuoi anni!” Seduta davanti a lui, Mario aveva modo di scrutarla con cura. I capelli bianchi e la ragnatela di rughe sul viso non potevano ingannare sulla stagionatura di Rosa. Però lui sapeva che sotto i vestiti c’era un corpo maturo e ancora appetitoso, la cui visione aveva rubato poco prima attraverso la porta socchiusa. “Tu dimostri almeno dieci o quindici anni di meno…” “… e sarebbero ancora 50!” rise lei, aumentandosi civettuola l’età. “E comunque …” Mario sorseggiò un sorso di vino per trovare la sfacciataggine di dire quello che pensava da tempo: “… penso che sei molto sexy.” Rosa si mordicchiò il labbro inferiore. “Non capita spesso a una donna della mia età che un bel ragazzo così giovane le dica queste cose. D’altra parte non mi capita nemmeno spesso di indossare un completo intimo regalatomi da un uomo. Fai regali di questo tipo a tutte le donne di mezz’età che incontri?” “No,” rispose Mario arrossendo leggermente, “solo a quelle che vorrei … che vorrei … corteggiare.” Rosa finse di non capire qual era l’altra parola che all’ultimo momento Mario non aveva osato dire. L’arrivo dei primi piatti dispensò entrambi dal proseguire quel dialogo intriso di malizia e costellato di doppi sensi. Per il resto del pranzo Mario continuò ad ammirare scopertamente Rosa e a coprirla di complimenti. Lei mostrava di accettare il suo corteggiamento, stuzzicandolo senza incoraggiarlo. Prima del caffè, lei si alzò per andare in bagno, inseguita nel suo ancheggiare languido dagli occhi del ragazzo. Quando tornò scostò la sedia dal tavolo e si sedette di sbieco a Mario. Poi accavallò le gambe. Lo fece con studiata lentezza, producendo con le calze un sensuale fruscio e accalappiando così lo sguardo di lui. Poi disse che le era venuta improvvisa voglia di fumare e lo pregò di rimediarle una sigaretta. Mario obbedì, chiese in altri tavoli, finché non tornò e gliela accese. Rosa prese a fumare, guardando Mario che le guardava le gambe seducentemente incrociate e inguainate di nero. Scuotendo negligentemente la sigaretta un po’ di cenere le cadde sul ginocchio. Mario si chinò e con la mano la scosse via, lasciando che le dita sfiorassero il nylon che lo fasciava. Il cameriere portò il conto. Rosa pagò, si alzò ma prima disse che voleva affacciarsi dalla terrazza del locale. La campagna intorno era inondata di sole. Rosa si appoggiò alla balaustra. Mario le si avvicinò da dietro, le cinse la vita con le braccia e si piegò a poggiarle le labbra sulla base nuda del collo. “Mario, finiscila!” protestò lei, inarcandosi indietro e così appoggiando il sedere sulla sua patta. “Mica male!” pensò rendendosi conto di quanto in tiro fosse il nipote. In macchina, sulla strada di ritorno, fra i due scese il silenzio. Mario non poteva saperlo, ma Rosa, in bagno, si era tolta le mutandine restando nuda sotto la gonna. Avrebbe voluto attirarlo sotto il tavolo per poi allargare le gambe e mostrargli la figa. Aveva rinunciato al suo vizioso proposito perché nel locale c’era altra gente. Ma sentiva di aver ormai varcato la soglia che la tratteneva dall’intento di sedurre il nipote. Anche Mario si sentiva colmo di libidine repressa, eppure anche improvvisamente e sorprendentemente timoroso ed esitante di fronte all’opportunità di realizzare le fantasie a lungo coltivate. Quasi sotto casa Mario chiese: “Rosa, ti porto a casa?” “Ah, ah! cos’è questa confidenza? Fuori dal ristorante sono tornata ad essere tua nonna, sai!”. Mario arrossì, pensando che in quelle parole vi fosse un improvviso semaforo rosso. Ma sua nonna sorrideva. “Peccato! quindi finito il gioco di farti la corte?” “Non ho detto questo. O il fatto di chiamarmi nonna mi rende meno sexy?” “Assolutamente no,” protestò Mario. Nel frattempo erano arrivati e lui parcheggiò. “Anzi sei la nonna più sexy del mondo.” “Ma va là, scemo!”, e si incamminò verso il portone. “Non sali?” Una volta dentro casa, Rosa si avviò in salone, si sfilò la giacca del tailleur gettandola distrattamente in un angolo, poi si lasciò cadere sul divano. Sollevò le gambe sui cuscini, sfilò le scarpe lasciandole cadere per terra, poi, stiracchiandosi, invitò Mario a venirle vicino: “Che stanchezza! Mi fanno male i piedi dentro quelle scarpe con il tacco. Mi ci fai un massaggino?” Mario non se lo fece ripetere due volte. Le sollevò delicatamente le gambe, poi appoggiandosele in grembo. Prese quindi a massaggiare. Più che altro erano carezze quelle che faceva ai piedi di Rosa, avvolti nel nylon trasparente, nero scuro sui talloni e sulle punte, non tanto però da occultare le unghie laccate di rosso. Il serico contatto dei polpastrelli con il nylon scivoloso della calze e il leggero odore di sudore lo stordirono. Senza pensarci su portò i piedi di sua nonna alle labbra e li baciò appassionatamente. “Stupido, ma cosa fai? mi baci i piedi?” C’era incoraggiamento nel suo tono. Mario coprì di baci i piedi di Rosa ma contemporaneamente lasciò che l’altra mano vagasse verso su, accarezzando la caviglia, seguendo il contorno della gamba, girando intorno al polpaccio, avvolgendo il ginocchio. Lei lo guardava con occhi socchiusi, lasciando che lui le toccasse le gambe senza pudore. “Ti piacciono le mie gambe?” gli chiese sfrontata e con il piede andò a stuzzicargl! i il lobo dell’orecchio causando in Mario fremiti d’eccitazione. Con l’altro piede gli accarezzò la patta, dura come ferro. “Perché non lo liberi? Spogliati, su. Fammi vedere quanto sei cresciuto!” Mario si alzò in piedi e in un baleno si liberò dei vestiti. Rosa gli fece capire di togliere anche gli slip. Lui non se lo fece ripetere e rimase nudo come un verme davanti a sua nonna che se lo guardava con occhi luccicanti, le tette dure sotto la camicetta, le belle cosce scoperte fino al bordo delle calze. “Girati, dai! Che ti vergogni di farti vedere da tua nonna?” Eseguire i suoi ordini gli dava ulteriore piacere. Obbedì e la sentì esclamare: “Ti sei fatto proprio carino, Mario.” Davanti a sé Rosa vedeva non più il nipote ma, gli occhi fissi sull’asta tesa e gonfia, un giovane maschio eccitato che lei desiderava. Si tirò su la gonna, mostrandogli il reggicalze e le calze nere che incorniciavano la carne pallida delle cosce. Le aprì mostrandogli finalmente la figa nuda e grondante di umori. Mario rabbrividì. Le cadde in ginocchio davanti e cominciò a baciarle le cosce. “Perché non mi vieni a dare un bacio qui in mezzo?” La figa di Rosa era incorniciata da pochi peli neri in mezzo a un ciuffo di grigi e di bianchi. Lui sentì un odore acuto di erba bagnata. Sua nonna gli spinse il viso in giù e lui prese a baciarle e leccarle la figa. Rosa aveva dimenticato cosa si potesse provare mentre un uomo ti mangia la passera. Sentiva la lingua di Mario penetrarla e stuzzicarle la clitoride. Cominciò a gemere e gridare, trattenendogli la testa per evitare che si allontanasse prima che lei glielo permettesse. Mario si sentiva il viso fradicio di umori ma continuava a leccare con passione quella fessura odorosa. Quando finalmente lei lo liberò, i due restarono per un attimo a guardarsi ansimanti. “Vieni” disse solo lei, alzandosi in piedi e trascinandoselo dietro tenendolo per il cazzo eretto come una sorta di cortissimo guinzaglio. Nella camera da letto, Rosa disse a Mario di spogliarla. Lui lo fece continuando a baciarla ed accarezzarla per tutto il corpo. Nel denudarle il seno si eccitò alla vista dei capezzoli duri come chiodi. Infoiato come mai in vita sua, spinse sua nonna sul letto e le fu sopra, allargandole le gambe per ficcarle dentro il cazzo. “Fermo!”. Mario si sentì gelare. In un istante gli passarono in mente immagini e parole di una brusca retromarcia, accompagnata da sensi di colpa e imbarazzate richieste di perdono. Invece si ritrovò con le spalle sul materasso e sua nonna sopra di lui. “Mi piace stare sopra”, fu la secca spiegazione. Mario vide sua nonna impalarsi sul suo piolo, la figa di lei risucchiarlo dentro di sé. La sentì cominciare ad agitarsi su di lui. E sentì la marea montante del suo desiderio venire prepotentemente su man mano che sua nonna aumentava la frequenza del suo andirivieni. “Nonna, sto venendo!” gridò. “E vieni! Sborrami dentro! Riempimi tutta!” fu il suo urlo di risposta mentre Mario l’accontentava. Quando riaprì gli occhi Mario vide che Rosa non si era mossa e capì che il suo cazzo dentro di lei era ancora duro. “Non mi è bastato, sai? A te sì?” disse lei pizzicandogli i capezzoli con le unghie per eccitarlo di nuovo. “Dammene ancora!”. Lo cavalcò altre due volte. Alla fine gli crollò accanto. Nonna e nipote si strinsero in un abbraccio e si scambiarono, per la prima volta, un lungo bacio, le lingue avvinte l’una con l’altra. “Mi hai fatto ringiovanire di trent’anni.” “E’ proprio l’idea che alla tua età sei una così gran fica che mi ha fatto sempre impazzire.” Lo so, maiale. Credi che non mi sia accorta di tutte le volte che mi guardavi le gambe e le tette?” “Allora lo sapevi e facevi apposta?” Lei lo baciò teneramente. “Non pensavo che saremmo finiti a letto, ma mi faceva piacere che tu mi trovassi attraente.” “Sei una fica spaziale, nonna.” Su quelle parole, Rosa si girò a guardare il soffitto, assaporando quei momenti di intenso piacere che Mario era riuscito a farle godere.“Nonna?” “Sì, tesoro,” lo incoraggiò. “Lo faremo ancora? Voglio dire ci sarà un’altra volta?” Rosa si girò a guardarlo e con la mano andò a tastargli i testicoli. “Adesso che ho trovato un amante così formidabile non me lo faccio certo scappare, mio caro!”. In quel momento squillò il telefono. Rosa afferrò il cordless sul comodino. “Pronto?” Dopo aver sentito chi era sillabò in silenzio a Mario le parole “tua madre”. “Sì. Dimmi tutto. Oh sì. Certo Mario è con me. Sì, sì, mi ha tenuto lui compagnia. E… no … tutto … tutto a posto.” Mario aveva cominciato a baciarla lungo il corpo. “Ma no… che dici … ma … no, non ti …preoccupare.” Mario arrivò tra le gambe e cominciò a baciarle la fica. “Scherzi… no… non disturbi … affatto… voi? … tutto… tutto bene… il pranzo? … è andato … è andato bene?… no … non sono … arrabbiata… anzi…” Rosa smise di pensare alla voce al telefono. Si concentrò sulla lingua di Mario che le ravanava la fica. Che amante! E quanto gli piaceva la vecchia nonna! Peccato non averlo scoperto prima. Appena avesse messo giù il telefono se lo sarebbe scopato di nuovo. Rosa aveva trovato la cura per le sue notti agitate.
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