Il documento che si era impegnato a farle avere non era ancora arrivato e questo di per sé non era preoccupante: in fondo era solo un’idea, un’ipotesi da verificare. Ma le sottili implicazioni che affioravano dietro a quel progetto facevano di quell’inaspettato ritardo qualcosa che aveva il sapore di una promessa mancata, una di quelle intriganti situazioni che la vita riserva, mostra e poi impedisce. La fatalità di un caso che incrocia malamente i tempi degli accadimenti impedendo che il cambio di un ufficio si compia nei termini previsti. E la bozza di quel progetto che si arenava, che ancora sul suo tavolo non c’era. E così sfumava la possibilità di un incontro ben più intrigante.Ma il destino è fatto anche di bozzetti che possiamo trasformare in disegni e allora perché non accettare quell’invito per l’inaugurazione di quel nuovo ufficio? Il suo nuovo ufficio. Giusto per non mancare l’occasione di un affare interessante, diceva fra sé concedendosi un’apparente giustificazione.Ma la verità era più complessa, fatta del ricordo delle sue labbra, delle sue mani, di un corpo che le entrava dentro e la portava là dove tutto ciò che colora di durezza la vita svaniva nel piacere più intenso e più limpido, quello che non chiede nulla in cambio se non se stesso. E che lei rivoleva. E che anche lui rivoleva se aveva ben interpretato quell’invito a cena dopo quel party di inizio sera. Ma la verità era anche la semplicità di un regalo da consegnare e quella dolorosa contrazione nella parte più intima di lei, che risaliva il suo corpo conficcandosi nella sua mente lasciandole la gola arsa, ne era solo l’involucro. Bastava trovare il modo di effettuare una consegna intelligente, senza che nessuno potesse immaginare, al momento giusto, e in fondo era quello l’unico motivo per cui, arrivata davanti al palazzo, scese dalla macchina, salì in ascensore, respirò profondamente ed entrò.Lui era là, in fondo al corridoio, e lei sentì un brivido all’idea delle sue mani su di lei mentre lo vedeva avvicinarsi per salutarla, presentarla ad alcuni amici per poi venirle subito sottratto da un gruppo di ospiti. Rimase a fissarlo vedendo nella sua mente le sue stesse mani che bruciavano di un desiderio che già le aveva invaso la mente, che percorreva ogni piccola parte del suo essere, mani abili che allentavano il nodo della sua cravatta e la sfilavano via, preludio sensuale al tocco della sua pelle, alle mani di lui che l’accarezzavano, a brividi di piacere che si impadronivano del suo corpo. Un desiderio puro e semplice. Il desiderio perfetto.Si lasciò trascinare verso il buffet dall’amico di lui più intraprendente confidando nei canoni sociali di un’educata conversazione per assopire nella mente quei ricordi sensuali e seducenti, mentre le parole sembravano avere vita propria tra i cocktail scintillanti e quasi non richiedevano pensiero tanto erano uguali a quelle pronunciate in mille altre occasioni simili. Si aggirò curiosa per quell’appartamento con tante stanze disposte lungo un corridoio largo e luminoso dove era il buon gusto a dominare nei quadri appesi alle pareti fino a quando arrivò nell’ufficio di lui e vide il regalo materializzarsi nella sua mente: le finestre ampie a quell’ultimo piano rimandavano lo spettacolo della città accarezzata dagli ultimi raggi di sole, la scrivania ampia e la poltrona importante, di quelle reclinabili con i braccioli corti che non danno fastidio né quando si scrive, né quando ci si abbandona sdraiati su di essa, riempivano, insieme ad una libreria e a due poltrone, uno spazio in cui tutto rimandava l’immagine dell’assoluta compostezza del recente trasloco.Sconvolgere quell’impeccabilità con la consegna, di lì a poco, di quel regalo, le fece involontariamente contrarre il ventre con una fitta di piacere che aspettava solo di essere amplificato.Incrociò lo sguardo di lui che si muoveva tra gli ospiti con cortesia e attenzione e non ebbe più dubbi: il desiderio era lo stesso. E con questa intima consapevolezza partecipò per la successiva ora ai commenti sui quadri, sulla vista, sulla scelta di quella zona così comoda ed elegante per un ufficio come quello, bevve un paio di drink e avviò anche qualche contatto di lavoro. Discorsi ovvi e complimenti prevedibili che si raccoglievano gli uni sugli altri fino a quando gli ospiti salutavano e uscivano decretando al fine di quel pigro pomeriggio.Approfittò anche lei di un piccolo gruppo che si congedava per avvicinarlo, complimentarsi ancora per la serata e salutarlo. Gli occhi di lui si strinsero confusi ad esprimere una muta domanda: ma non erano d’accordo per cenare insieme? Lei resistette alla tentazione di rispondere, uscì dal suo ufficio e tra i molti invitati ancora presenti, entrò nella stanza di fronte, quella che prima aveva notato essere ancora ingombra degli ultimi scatoloni del trasloco, con l’apparente svagatezza di chi sbagliava semplicemente porta.Si tolse la giacca e iniziò la sua paziente attesa preparando il regalo con una lentezza che le anticipava il piacere di donarlo.Le voci scemarono divenendo sempre meno forti, sempre meno numerose. L’ultima ad andarsene fu la sua segretaria: “Tu non vieni?” gli chiese con la premura dell’assoluta fedeltà.”Finisco un paio di cose poi vado” lo sentì dire.Immaginò i rumori: la porta che si chiudeva, la chiave che girava sigillandola, i passi di lui verso il suo ufficio, la giacca che cadeva sulla poltrona, il tintinnio del ghiaccio nell’ultimo goccio di wiskey.La mano di lei nella borsetta ad afferrare il cellulare che già vibrava silenzioso e il nome di lui sul display: il seguito di quella domanda a cui non aveva risposto. E a cui ancora non rispose.Uscì dalla stanza nel più profondo silenzio e si appoggiò alla porta di fronte guardandolo seduto alla scrivania, le maniche arrotolate, mentre ascoltava il cellulare che squillava invano.”Cercavi me?”, chiese sorridendo avvicinandosi a lui.La sua voce lo fece trasalire. Tentò di alzarsi, ma lei non gliene lasciò il tempo. Lo spinse indietro senza nemmeno toccarlo, solo con l’avanzare del corpo sopra il suo, appoggiandosi ai braccioli della poltrona e costringendolo ad arretrare quasi disteso. Premette le labbra su quelle di lui sfuggendo la sua lingua per succhiargli il labbro inferiore, poi il mento, poi ancora il labbro, poi quel lembo di pelle sottile sotto l’orecchio sussurrando:”Pensavi che mi fossi dimenticata della cena? E del post-cena?”Lui respirò a fondo mentre le labbra di lei che scendevano sul suo collo gli impedivano qualsiasi movimento che non fosse rimanere aggrappato alla poltrona nel tentativo di riprendersi da quel dolce assalto.”Beh…si, cioè no…ti stavo telefonando…” rispose guardandola incantato mentre lei si era ormai seduta sulle sue ginocchia aprendo le gambe quel tanto che la gonna, magia delle gonne morbide al punto giusto, si era sollevata lasciando scoprire solo il geometrico disegno di calze e reggicalze. Scivolando leggermente all’indietro le mani leggere lo liberarono della cravatta, si insinuarono tra i primi bottoni della camicia e proseguirono ad aprirla del tutto seguite dalle labbra morbide e avide che succhiavano dolcemente il suo torace e lo trascinavano in una sensualità che non riusciva a governare, incapace com’era di sottrarsi a quella iniziativa decisa e sensibile che lo toccava in quel modo quasi dolorosamente eccitante.Lei percepì la sua erezione sotto di sè, si staccò da lui e sorrise:”Apprezzi anche un pre-cena, allora…”Fu in quel momento che lui reagì con tutto se stesso prendendole le natiche e con unico movimento si raddrizzò tirandola ancora di più seduta contro di sè e baciandola con una passione resa travolgente dalla sensazione delle sue mani sulla pelle nuda di lei, là dove si sarebbe aspettato di trovare la barriera di un lembo di stoffa e la cui mancanza lo stordì. Alzò lo sguardo ansimando per la sorpresa e vide negli occhi di lei un lampo beffardo:”Il mio regalo per il tuo nuovo ufficio”, sussurròLa risposta di lui fu un lungo bacio con la lingua a possederla profonda mentre le mani le accarezzavano le cosce, si insinuavano in mezzo le gambe a scostare le piccole labbra trovandola già pronta e invitante, e infiammando il clitoride con tocchi dolci e decisi. Lei gemette inarcandosi all’indietro, quasi un invito alle dita di lui ad aprirle la camicetta scoprendo i seni già liberi. Iniziò ad ansimare senza controllo affondando le mani nei suoi capelli quando lui si impossessò dei suoi capezzoli aspirandoli tra le labbra, mordendoli, succhiandoli per poi accarezzarli procurandole il piacere troppo intenso di una carezza quasi ruvida al contatto della sua pelle resa ormai così terribilmente sensibile.Godette per alcuni minuti di quel contatto eccitante, poi riprese il dominio su quel gioco silenzioso: lo staccò da sé, lo baciò, scese con la lingua sul torace liscio e la tenne lì ad assaporare la sua pelle mentre con le mani scendeva a slacciare i pantaloni e gli abbassava i boxer per scoprire il membro già rigido. Accarezzò più volte con la lingua la punta grande e congestionata tormentandola con la promessa di quello che sarebbe stato il seguito e lentamente lo accolse nella sua bocca per tutta la sua lunghezza con un lento, avvolgente movimento dove le sue labbra succhiavano la carne e la sua lingua vagava sull’asta a disegnare percorsi infiniti con un’attenzione costante ai punti in cui i gemiti di lui erano più forti. Continuò così, con le mani che lo accarezzavano sfiorandogli i capezzoli, godendo della sensazione di potere che la inebriava mentre il piacere di dare piacere era una tentazione quasi invincibile Ma resistette lasciandolo con studiata premeditazione proprio quando lo sentì irrigidirsi e ansimare più forte.Rimase qualche istante lontana, appoggiata ai braccioli a guardare il piacere scemare dal corpo di lui poi inesorabile appoggiò le labbra sul suo inguine e risalì ancora lungo il suo corpo fino a baciarlo con le labbra che si succhiavano e le lingue che si intrecciavano impazzite in una danza di cui solo esse conoscevano il senso. Pose fine a quel bacio lasciando le sue labbra ferme a sfiorare quelle di lui per giustificare quel suo rimandare l’apice del suo appagamento:”Non adesso… non ancora” gli sussurrò. E senza che dovesse aggiungere altro lui capì, si prese il membro e lo diresse tra le piccole labbra di lei, ne strofinò la punta sul clitoride facendola tremare di piacere, poi ancora lo mise tra le labbra lasciandolo lì, per lei. E lei, lentamente, si mosse facendolo penetrare a piccoli colpi mentre lui si portava in avanti tenendola ferma su di sé e affondava il suo viso fra i suoi seni. Una penetrazione lunga, come piaceva a lei, per averlo attimo dopo attimo sempre più padrone del suo corpo, per sentirlo mentre l’apriva, la dilatava fino a conficcarsi nella parte più tenera di lei.Contrasse i muscoli del ventre secondo il ritmo che lei stessa imponeva e che lui seguiva accompagnando ogni movimento con un colpo secco ad impalarla sempre più in profondità quando risaliva le pareti della sua vagina che lo avvolgevano strette.Tutto ciò che lei aveva la facoltà di sentire in quel momento era solo quel membro duro che la possedeva rivelandosi così perfetto per il suo corpo, quelle labbra che succhiavano i suoi capezzoli e quella dita che a tratti colpivano dolcemente il suo clitoride. Nient’altro. Nient’altro esisteva se non quel sottile piacere del possesso del suo corpo da parte di lui, quel sottile filo di piacere appena accennato, delicato e forte insieme, che aveva imparato negli anni a seguire senza paura. E a non perdere. Una lamina lacerante prodotta dalle contrazioni del suo ventre su quel sentirsi riempire e che da lì partiva per giungere bruciante alla sua mente. Si abbandonò a lui, al suo membro che la scavava sempre più a fondo, a quel filo potente, intensificò il ritmo e tremò sotto i colpi decisi di lui. Ansimò guardandolo resistere al piacere che lei gli rubava, aprì le labbra in un’espressione di stupore per quanto ancora una volta stava accadendo, fremendo, mentre lui la strinse ancora di più a sé. E urlo. Urlò un orgasmo intenso, straziante, fatto di gemiti che erano quasi singhiozzi. Ancora, ancora e una volta ancora fino allo sfinimento.Si accasciò su di lui cercando di ritrovare il ritmo naturale del proprio respiro mentre la sua schiena era percorsa dalle sue dita che la sfioravano leggere.Riacquistò lucidità e con essa l’imperativo bisogno di averlo. Scese ancora a prendere con le labbra il glande e ad accarezzarne con la lingua il contorno sentendo il sapore del suo sesso e del piacere intenso che lui le aveva regalato. Lo prese nella bocca e ne succhiò l’asta più volte, con il tocco della sua lingua là dove sapeva che lo avrebbe sconvolto. Si inginocchiò tra le sue gambe e lo possedette così con un movimento costante, dolce e deciso insieme. Poi gli prese le mani e le strinse fra le sue preparandolo a perdere se stesso. Sentì il suo inguine che si contraeva incapace ormai di resister più a lungo a quella carezza, risalì fino quasi a farlo uscire dalle labbra mentre la sua lingua tormentava il glande poi affondò ancora e sentì il suo orgasmo salire con una forza inarrestabile. Sembrò che lui quasi volesse sottrarsi alle sue labbra, come se fosse troppo intenso il piacere che lei gli procurava, ma lei non lo lasciò: tenne strette le sue mani forti mentre la sua bocca percorreva l’asta. Ancora, ancora e una volta ancora fino a quando per il suo seme, che sgorgava tra i gemiti e i sussulti che lo travolgevano, ci fu solo la sua gola assetata di lui.Restò lì, con la guancia a fianco del suo membro esausto, finché lui non la sollevò e la baciò appoggiandola sul suo corpo, sdraiati su quella comoda poltrona. “Io però ho fame, adesso” le disse stringendola a sé.”Beh, dovevamo cenare insieme, giusto?” rispose lei sorridendo.”Sì, e poi c’è questo” riprese lui allungando un braccio ad afferrare alcuni fogli sulla scrivania e porgendoglieli.Lei riconobbe la bozza del progetto che aspettava e sorrise.”Credo che bisognerà discuterne a lungo. Più volte” le spiegò ammiccando.”Sicuramente. Certe opportunità non vanno perse, sarebbe un insulto a tutto ciò che vive.” rispose lei con un piccolo bacio sulle labbra mentre la sua mano lo accarezzava. Ancora, ancora e una volta ancora.
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