Avevo capito subito che non era l’orgia giusta. Sin dal primo momento ho avuto la sensazione che c’era qualcosa che non andava, ma è la prima e l’ultima cui ho partecipato, quindi non saprei dire. La cosa storta che mi è saltata subito agli occhi, anche nella penombra, è stata la poca fica che c’era in giro. Non posso essere preciso, ma le donne sembravano la metà degli uomini. Forse pure meno. C’era una puzza di palle insopportabile. E poi l’imbarazzo. Ero arrivato con buoni tre quarti d’ora di ritardo. La villa non si riusciva a trovare: in quella strada sterrata fuori città i numeri civici sembravano messi totalmente a casaccio. Mi aveva aperto un maggiordomo che sembrava uscito da un film. “Lei è in ritardo, signore” mi aveva apostrofato in tono formale, “I signori hanno già cominciato.” Embè, mi ero chiesto, è così grave arrivare un po’ tardi a un’orgia? Che cazzo ne sapevo! Gli ho mollato l’impermeabile e quello mi guardava ancora. Cosa vuole, adesso? E lui, sempre serio, tossicchiando “Ehm… signore… Ha intenzione di partecipare vestito?” Mi sono sentito un imbecille. “Mi devo spogliare qui?” “Come preferisce lei, signore. Posso conservare i suoi vestiti nel guardaroba, insieme a quelli degli altri signori”. E mi fece capire che era la mossa giusta. Così mi sono spogliato davanti a quello che mi guardava, con la faccia altezzosa, impettito come la bruttacopia di un maggiordomo inglese anni ’30. E le scarpe? Che faccio, le tengo? O magari i calzini? Dovevo portarmi le pantofole da casa? Cazzo, il pavimento è freddo. “C’è la moquette di là, signore” mi disse lui, togliendomi dai dubbi, ma con un tono che sembrava dire “ma da dove salta fuori questo?” Insomma, mi fu indicato un corridoio dove proseguire, nudo come un verme, in questa villa sconosciuta. Proseguii, sentendomi un po’ ridicolo, e con una paura matta di fare qualche altra figuraccia. Quando entrai nella sala della festa, semibuia, nessuno sembrò far caso a me. Per fortuna. C’erano poltrone, divani, tappeti, tavolini e gente che ci si ammucchiava sopra. Sotto il prevedibile concerto di sospiri, rantoli e gridolini si sentiva un tappeto di musica soft, roba da far ammosciare le palle. Avrei preferito un po’ di sano heavy metal. Rimasi fermo lì a guardare, non sapevo che fare. Non conoscevo nessuno. Non sapevo se gli altri si conoscessero già tra di loro, o se c’erano altri “nuovi” come me. Ripensai a come ero capitato in quel posto. Quella mattina, sul treno che prendo da Monterotondo per andare al lavoro, c’erano i soliti tizi che incontro ogni giorno, e si parlava dello stesso argomento di sempre: la gnocca. Come al solito tutti gli altri, sposatissimi o quasi, dicevano che mi invidiavano, perché io, single convinto e ragazzo di bell’aspetto (almeno così sostengono), sicuramente me ne scopavo una diversa tutte le sere. Io invece cercavo di convincerli che non era affatto così semplice, che la maggior parte delle ragazze interessanti non te la mollavano se non mettevi su una “storia”, cosa che volevo assolutamente evitare. Fu allora che Mario disse enigmatico: “Secondo me il problema è che non frequenti gli ambienti giusti.” Mario è un tipo strano. Nessuno sa cosa fa, dove lavora. Ha sempre l’aria di quello che la sa lunga, ma per molti è solo un grande bluff. “Bravo Mario, perché non mi introduci tu in un bel giro di zoccole? Ne conosci qualcuna? Magari me la presenti?” “Posso fare di più. Ti dico un posto dove stasera ci sarà un’orgia. Se ti interessa ti do l’indirizzo e la parola da dire all’ingresso quando ti aprono. O hai paura di andarci?” A dire la verità mi sentivo un po’ spiazzato da quella proposta. Ma subito gli altri: “Cazzo, Gianni, hai tutte le fortune!” “Ci andrei io al tuo posto, se potessi! Ma devo uscire con Valeria, come faccio?” Allora feci lo spavaldo. “Oh, senti, se c’è fica da scopare, vado sicuro! Che problema c’è? Dammi quest’indirizzo!” * * * * * Avanzai di qualche passo e mi guardai meglio intorno. C’era troppa poca fica. In pratica erano tutti gruppetti con una donna in mezzo e tre, quattro, cinque uomini intorno che cercavano qualche pertugio per infilarsi. Età media, tra i quaranta e i cinquanta. Sembravano tutti più vecchi di me, ma erano tutte persone curate, gente ricca. Gli uomini erano nudi, come me. Sembravano dirigenti, professionisti, tipi da partitella al Tennis Club prestigioso ogni sabato per tenere sotto controllo, con discreto successo, la pancetta incipiente. Le donne, per quel poco che si riusciva a intravedere nei mucchi, portavano lingerie sexy, reggicalze o autoreggenti, reggiseni a balconcino, qualche gioiello sulle orecchie o intorno al collo. Tutte signore bene, che spendevano una tombola di parrucchiere ed estetista, ma senza riuscire a corrompere definitivamente la carta d’identità. Comunque, se c’era da scoparsele, me le sarei scopate. In mezzo ad un gruppetto più numeroso degli altri, riuscii a scorgere la sagoma di una mora notevole. Gamba lunga, culo ben fatto, soda e snella, con due tette da sballo. E anche grande zoccola, visto come si dava da fare in mezzo a quell’ammasso di corpi maschili. Fui seriamente tentato di mettermi in fila anche io, ma erano già troppi i cazzi intorno e dentro di lei, per cui andai avanti, riproponendomi di passare da quelle parti più tardi. Finalmente, in fondo alla sala, vidi un gruppetto al quale sembrava possibile aggregarsi. Una rossa, un po’ rotondetta, era seduta su un divano. Due tizi, ai suoi lati, semi-inginocchiati sullo stesso divano, le offrivano il cazzo alla bocca, e lei passava mugolando da una cappella all’altra, come se avesse passato millenni nell’attesa spasmodica di un cazzo da succhiare. Decisi che avrei cominciato a leccarle la fica: due labbroni molli e umidi che uscivano fuori da una matassa di pelame rossiccio. Mi sembrava la cosa migliore da fare. E’ un gesto politically correct, ed un modo sicuramente gentile di proporsi all’attenzione di una signora. Inoltre non avrei potuto certo far altro, nella posizione in cui stava lei, col culo seduto sul divano. Per non parlare del fatto che, ancora un po’ preso dall’imbarazzo, anche il mio spadone pendolava mestamente a testa china, timido e dubbioso. Dovevo rompere un po’ il ghiaccio. Mi inginocchiai e mi chinai in avanti, e quello fu un errore madornale. La rossa accolse la mia testa tra le cosce senza protestare, ma nemmeno distraendosi troppo dai due cazzi che stava assaporando. Cominciai a lavorar di lingua, con impegno, chiedendomi come si sarebbe poi sviluppata la situazione. Fu allora che sentii uno strano tramestio alle mie spalle. “Spalle” si fa per dire. Feci l’atto di girarmi per controllare, e per protestare, ma la rossa da sopra, pur continuando a lavorarsi di bocca i suoi amici, mi tenne la testa incollata ai suoi peli, prendendomi con decisione per la nuca con una mano grassoccia. E’ forse poco educato lasciare a metà una leccata di fica per occuparsi di questioni grettamente personali? Esitai un attimo per pormi il problema, e quelli furono istanti fatali. “Aaahiii!!!” Il mio grido si mimetizzò morbidamente tra i vari rumorini ambientali, ma non così la sensazione di dolore lancinante al buco del culo. “Cosa fai? Stronzo!” protestai cercando di voltarmi verso il mio assalitore. “Coraggio, fai il bravo…” mi rispose lui, con voce gentile e decisa, continuando a spingere e tenendomi fermo per i fianchi con mani che si intuivano piuttosto forti. Potevo sicuramente ribellarmi, scalciare, urlare, ma temevo di passare da cafone. Come ci si comporta in questi casi, in un ambiente simile? Dovevo considerarlo un affronto imperdonabile alla mia virilità, tale da giustificare una mia reazione violenta? Oppure era prassi metterlo in conto come un “incidente di percorso”, “qualcosa che può capitare”, come uno scherzo un po’ pesante ad una festa, al quale è indicato fare buon viso e prenderla sportivamente? Però con il passare dei secondi, mentre mi facevo tutti questi problemi, l’idea di una ribellione fisica diveniva meno percorribile, e mi accorgevo che il mio frenetico agitarmi non faceva che aumentare il disagio, senza migliorare affatto la situazione. Cercai una soluzione politica, e provai a trattare. “Tiralo fuori, non mi piace, non sono un frocio…” “Nemmeno io sono un frocio, cosa credi?” rispose lui un po’ stizzito, “ma sono ore che giro per questa festa con il cazzo dritto, ed il tuo è l’unico buco libero che ho trovato!” “Ma io non voglio…” “Ehi amico, ascolta bene. Siamo qui per divertirci tutti quanti insieme, senza stupidi tabù e senza piantare grane. Cerca di lasciarti andare e prova a divertirti anche tu.” “Ma mi fa male…” “Per forza, se continui ad agitarti così! Rilassati e vedrai che andrà tutto molto meglio. E fatti un esame di coscienza, già che ci sei, pensando a quante gallinelle hai fottuto nel culo in vita tua, fregandotene se sentivano dolore o meno.” Ebbe il potere di zittirmi. Cercai di girarmi meglio per vedere finalmente in faccia l’uomo che mi stava inculando. Era anche lui più giovane della media dei partecipanti, forse l’età mia o ancora meno. Torace ampio, belle spalle, anche un po’ abbronzato. Sudava. Mi accorsi che sentivo forte l’odore del suo corpo, e questo mi turbò ancora di più. Rassegnato, tornai a girarmi per immergermi con tutto me stesso nella fica della rossa, quasi a voler così riaffermare la mia convinta eterosessualità. Ma quella nel frattempo era passata ad altre posizioni con i suoi due partner, e la sua ficona color ruggine non era più alla portata della mia lingua. Ero rimasto solo, con il cazzo di quel tizio nel culo. Cercai di non vederla male. Ogni volta che pensavo “Ma come sarebbe a dire? Questo mi sta inculando!” per riflesso i miei muscoli anali si contraevano in modo assolutamente doloroso contro quel cazzo durissimo ed insolente che continuava a stantuffare nelle mie viscere. Dovevo pensare positivo. Sono una persona dedita al piacere sessuale, senza limiti e senza tabù. Frequento le orge. Ogni tanto mi capita un cazzo in cu… voglio dire un rapporto omosessuale, e allora? Mi godo come un maiale pure quello. Sono una persona aperta ed evoluta, in cerca del piacere totale. Oh, come godo. Mentre ero perso in questi pensieri, nell’assurdo tentativo di acclimatarmi alla sodomia che stavo subendo, il tizio dietro di me mi riportò bruscamente alla realtà. “Ehi! Stiamo dando spettacolo!” Mi girai. Intorno a noi si erano raggruppate un po’ di persone, una buona parte dei partecipanti al festino, e stavano tutti osservando con estremo interesse. Non solo lo stavo prendendo vigorosamente nel culo, ma tutto questo avveniva al cospetto di un pubblico attento. Mi sentii avvampare di imbarazzo. Cercai di darmi un contegno. Ma quale cazzo di contegno si può dare uno che sta a pecora mentre un altro dietro se lo incula? Devo simulare indifferenza (ti pare facile, con questo pistone che mi rimescola le viscere)? Oppure devo mostrare partecipazione e piacere? Certo, non posso far capire che sto subendo contro la mia volontà. Che figura ci faccio? L’unica è quella di mostrare una partecipazione, ma composta, senza eccessi. Mi chiedo i froci veri come si comportano. Non li ho mai visti neanche nei film. Impostai il viso su un’espressione di contenuto piacere fisico, lasciando ogni tanto scappare qualche sospiro più rumoroso a bocca aperta. Il tizio dietro di me approvò, sussurrandomi “Perfetto, ottimo così!” e, preso da una smania di esibizionismo, alzò la gamba sinistra portando il piede oltre il mio ginocchio, lasciando il ginocchio destro a terra, in modo che tutti potessero ammirare di fianco lo spettacolo del cazzo che entrava e usciva dal mio buco. Cominciarono ad arrivare i primi commenti. “Guarda guarda, oggi ci stanno pure due froci! Che roba!” “Quello sotto deve essere proprio frocio, guarda come gode, e ha pure i capelli lunghi…” “E che c’entrano i capelli lunghi?” “Non è frocio. E’ bisessuale. L’ho visto prima che leccava la fica di Anna.” “Eh, sì… come se bastasse dare due leccate alla fica di Anna per essere bisessuali…” “Però mica va bene st’andazzo. La fica ogni volta è sempre meno, ora cominciano pure a vedersi i froci. Se continua così, ditemelo che non ci vengo più a questi festini.” Di altro tenore i commenti delle donne. “Dio, che scena… quanto mi eccita…” “E’ la prima volta che vedo una cosa del genere… arrapantissimo!” “E che fusti che sono! Tutti e due!” “Succede spesso che i gay abbiano un gran bel fisico, non lo sapevate?” “Io me li farei volentieri, sono troppo sexy…” Un uomo rispose ironico a quest’ultima “Davvero? Pure il frocetto che sta sotto?” Lei rispose decisa. “Non capisci un cazzo. Guarda che quello lì è più uomo di tutti voi!” Il tizio dietro di me intanto era esaltato dallo stare al centro dell’attenzione, e arricchiva lo spettacolo con movenze da attore porno da quattro soldi, sebbene ho il sospetto che lo facesse con un po’ di ironia. Grugniva, mugolava, mi diceva le porcate più assurde, “Sì… godi… prenditi questo cazzo nel culo… te lo sfondo… sei una troia…” e io mi sentivo ancora più perso davanti a tutti. Ad un certo punto mi prese pure per i capelli, che porto lunghi fino alle spalle, e mi tirò indietro la testa, costringendomi ad inarcarmi di schiena ancora di più. Il gesto ottenne manifestazioni di consenso tra gli astanti, sottoforma di gridolini eccitati da parte delle donne, e di frasacce da trivio da parte degli uomini, sul tenore di “Vai così, aprila in due quella checca schifosa!” Ad un certo punto intuii che stava per venire. Da tempo avevo rinunciato alla speranza che qualche fica si fosse resa disponibile per lui, mettendo fine al supplizio che subivo. “The show must go on”. Per un attimo pensai che avesse intenzione di tirarsi fuori all’ultimo momento per schizzarmi coreograficamente sulle chiappe e sulla schiena, e l’idea mi fece rabbrividire. Non tanto per lo schizzo, figuriamoci. Quella cappella enorme e durissima estratta bruscamente dal culo proprio nel momento di massimo turgore mi avrebbe fatto svenire per la sofferenza. Molto meglio un’estrazione più dolce e morbida a cose fatte. Gli sussurrai con molta discrezione, per non farmi sentire, “Non fare cazzate, vienimi dentro”. Lui rispose ad alta voce, per la gioia degli spettatori “Sì, troia… ti schizzo dentro come vuoi tu… ti innaffio le budella di sperma…” e con cinque sei colpi ben assestati, per me devastanti, si portò oltre il limite, lanciando un grido stile Tarzan. Fece non meno di sei sette schizzi intensi. A ogni schizzo il suo cazzo mi vibrava nel culo, come il cellulare che hai in tasca quando ti arriva un messaggino. Poi si appoggiò coi suoi pettorali sudati sulla mia schiena e mi disse piano, col fiato ancora grosso, “Cazzo, mi è piaciuto un sacco farti il culo, lo sai? Non me l’aspettavo…” Gli risposi “Vaffanculo! Sei uno stronzo!” ma con una voce che avrei voluto un po’ meno piagnucolosa. Lui mi sorrise e mi diede un dolce buffetto sulla nuca. Sembrava divertito, ma anche curiosamente gentile nei miei confronti, e mi accorsi assurdamente di essere compiaciuto, quasi lusingato, da quella gentilezza. “Ci vediamo!” concluse e, sfilatosi con delicatezza da dentro me, si allontanò. Così mi ritrovai di nuovo solo, con l’inspiegabile impressione di sentire la sua mancanza. Da un certo punto di vista era l’unica persona con la quale ero riuscito a socializzare, fino a quel momento. Mi alzai in piedi, un po’ barcollante, nudo, con addosso ancora il sudore di quell’uomo, e la sensazione del suo sperma appiccicoso nel culo dolorante che mi faceva sentire insozzato dentro. Non avevo proprio idea di come avrei affrontato ora quell’ambiente che sentivo per forza di cose totalmente ostile. Ma con mia somma sorpresa mi si avvicinò la bella mora che avevo intravisto all’inizio, guardandomi con un sorriso che diceva “scopami subito!”. Scoprii poi che era la padrona di casa. “Ehi scusa! Permetti una parola?” Da vicino sembrava meno notevole di quanto mi era apparsa prima. Il viso tradiva gli anni che passavano, ma era comunque un fior di figa con un corpo da sballo. Era avvolta da una essenza floreale dai toni esotici, mista a odore di femmina e di sperma. “Ti ho visto all’opera prima e mi sono eccitata da morire. Ti volevo chiedere… tu sei bisessuale, vero?” “Ma veramente io… in realtà non sono nemmeno…” ma vidi subito che lei aveva male interpretato il senso di quelle mie prime sillabe, rabbuiandosi. Cambiai subito rotta “Ehm… cioè… stavo dicendo… certo che sì!” Il suo sorriso si illuminò di nuovo, e la sua voce divenne più sexy che mai. “Ne sono felice, perché adesso ci appartiamo, noi due, soli, e voglio fare con te tutte le porcate che conosco! Mi arrapa da matti l’idea di scoparmi un gay… voglio dire, un bisex. Sempre se ti va, naturalmente…” La domanda era retorica, perché a quelle parole il mio spadone finalmente, per la prima volta quella sera, si stava ergendo in tutto il suo splendore. Ma a scanso di equivoci aggiunsi “Certo che mi va!” Lei sorrise, e con una mano affusolata afferrò delicatamente lo spadone. Poi, con il suo viso vicinissimo al mio, mi sussurrò sospirosa: “Però prima… ti prego… voglio che mi lecchi la fica… come hai fatto prima ad Anna…” e aggiunse, con un lampo diabolico nello sguardo “…mentre mio marito ti incula!” Proprio in quel momento mi sentii bussare amichevolmente sulla spalla. A fianco a me c’era un omone alto alto che mi sorrideva complice. Siate onesti. Potevo dire di no? Potevo fare il difficile, secondo voi? Che gente strana, però. Mille premure per sapere se la fica ti è gradita, prima di mollartela. Però per ficcartelo nel culo mica li fanno tutti ‘sti complimenti! Il giorno dopo, sul treno, tutti pendevano dalle mie labbra per sapere come era andata. Compreso Mario, che mi guardava con un sorrisino mellifluo. Io non mi ero dilungato sui dettagli e parlavo dei massimi sistemi. “…cioè, non che non possa essere divertente, il sesso di gruppo. Però alla fine è… come dire?… un po’ spersonalizzante. Molto meglio soli con una donna, l’atmosfera che si crea, la seduzione reciproca, l’eccitazione che sale piano piano…” “Ma allora ti sei pentito di essere andato?” mi chiese Mario, continuando guardarmi attentamente e insistendo con quello strano sorrisino. “No…” risposi, “in fondo devo dire di no. E’ stata comunque un’esperienza che, come dire?, mi ha arricchito…” “Un’esperienza che ti ha aperto…” suggerì lui facendo un gesto ambiguo con le mani. “Intendo mentalmente” precisò. “Certo, io…” “Un’esperienza che ti ha allargato… gli orizzonti…” “Senz’altro, però…” “Un’esperienza che ti ha lasciato qualcosa dentro…” insistette. “Sicuro, ma…” “E comunque, come si dice, nella vita bisogna provare tutto, vero?” Lo guardai negli occhi. Avevo l’impressione che si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere, anche se non potevo esserne sicuro. Mario ce l’ha sempre quell’espressione sardonica. Oppure lo stronzo sapeva? Non lo scoprii mai, ma quel pensiero, in quel momento, mi mise il gelo addosso. Abbassai lo sguardo e lasciai passare una decina di secondi, nascondendo il silenzio sotto lo sferragliare del treno. Gli altri ci guardavano stupiti, senza capire. Poi parlai. “Allora? Con chi gioca la Lazio domenica?”
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