La metropolitana ci porta nelle viscere della città, veloce, verso l'”agognata meta”; lei, seduta al mio fianco, mi parla di cose senza importanza e anch’io, nella morsa dell’emozione, fingo disinvoltura che credo non inganni nessuno. A casa ci baciamo, prima titubanti, poi più convinti e sento i suoi piccoli morsi sul mio labbro inferiore come altrettanti messaggi in codice, di possesso, di presa di contatto, di maggiori intimità che, tra breve, ci permetteremo. Le mani corrono sul corpo, lievi, ed il calore dell’ambiente insieme a quello delle nostre emozioni congiunte, ci spinge a spogliarci, prima timidamente, poi, a Fahreneit 451, è lei che si spoglia e che, in qualche modo, prende l’iniziativa. Le bocche, affamate, si cercano, si frugano, si lasciano per ritrovarsi immediatamente dopo, in un gioco di prendi e lascia che s’alimenta in continuo cercare soddisfazione e carenza; la mia lingua percorre le superfici del collo e del mento, il suo capo abbandonato all’indietro ed il sorriso estatico che, da solo, riesce a farmi impazzire. I piedi gelati che mi chiede di scaldarle, che cerco di coprire teneramente per farle piacere, mi distraggono, specie nel momento in cui li sento sul mio inguine, e mi delizia questo contatto freddo sul mio sesso, apparentemente indifferente ma molto vigile e presente. Cerco di riabbracciarla e di farle sentire che, malgrado il mio approccio timido e tenero, posso stringerla a me con vigore e così me la stringo addosso, in un abbraccio forsennato. Qualche giorno prima le ho chiesto se si renda conto del mio desiderio, della sua qualità ed intensità; adesso mi domando se avverta concretamente quanto questo desiderio sia pieno e difficile da appagare, in breve tempo e nello spazio di un solo incontro. E cerco allora, inebriato dal suo profumo naturale, misto a quello di cosmetici poco invadenti, di cercare le sue zone di piacere, carezzandola dovunque e frugando le labbra del suo sesso ed il clitoride, eretto come un soldatino di leva, zelante e pieno di buone intenzioni? Il bagnato della sua vagina mi stupisce e m’inorgoglisce; le dico “ma non eri quella che aveva dei problemi?” e mi sento uno stupido, inopportuno e goffo amante adolescente, vecchio bambino vanaglorioso ed ingenuo, ma non ho tempo per ulteriori autodeplorazioni perché il clitoride sembra reagire al meglio ed io lo stimolo traendone una congiunta gioia: i suoi gemiti mi confermano quanto sento ed enfatizzano le mie sensazioni, più profonde e poco evidenti. Credo di aver avvertito un primo orgasmo, ovvero un momento d’acme che merita un po’ di riposo ed allora mi fermo, ci abbracciamo ed attiviamo tutte le piccole coccole dell’amore con piccoli baci teneri, carezze sulla spalla, col mio membro che, leggermente appoggiato alla sua natica, pulsa quasi inavvertitamente e mi parla di lei, ma non so se anche lei ne percepisca presenza e vitalità. Le lodo i capezzoli che lei definisce “troppo piccoli”, inconsapevole di quanto quella forma possa farmi sognare ma poi, dopo poco, è lei che comincia a baciarmi e a cercare il contatto col mio petto, coi miei capezzoli, con il mio sesso che lambisce leggermente provocando in me sensazioni a cui, se m’abbandonassi, come un Pascià, mi porterebbero in breve all’orgasmo. Non è quello che voglio, perché oggi sono dedicato tutto a lei, in un impeto che non lascia spazio a lei, se non nel ruolo passivo di donna da accudire e vezzeggiare, ed è così che la distolgo e mi propongo con la bocca e la lingua, alla ricerca di quella protuberanza che leccherò, succhierò, lambirò, stimolerò per qualchetempo, senza che i gemiti si trasformino in un reale acme ma che raggiungeremo solo dopo, con mani più penetranti e tracotanti. La Metro ci riporta alla meta d’origine, a suo marito e al suo mondo fatto di tornei di bridge e di golf e lei, ricomposta, mi appare la solita signora borghese e controllata ed io, mondano, mi sento poco naturale; le ho detto che mi sento trasognato ma non oso dirle anche che sono su di una nuvoletta, (troppo romantico), che mi manca già, (troppo melenso), che ho voglia di scoparla, (troppo brutale), che voglio sperimentare con lei tutto ed ancora altro, (troppo delirante). Il bacetto amicale che ci scambiamo sotto l’ombrello, pioggia battente a sollecitarci il commiato, m’impedisce di urlarle: “Amore mio, quando ci rivedremo?”
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