Eravamo sposati da quindici anni e a quel tempo il nostro matrimonio stava andando a rotoli e speravamo che quel viaggio in macchina attraverso l’Italia, per raggiungere la nostra terra natia, potesse appianare le reciproche incomprensioni, anche se ormai ci speravo poco e questo viaggio era l’ultimo tentativo. Partimmo da Aosta il due di agosto e mi ricordo che faceva molto caldo, nonostante la latitudine, per fortuna che la nostra Mercedes godeva dei confort tipici delle vetture d’oggi. Dopo circa duecento chilometri si fermò in un autogrill per andare in bagno, sciacquarsi la faccia e prendere un caffè. Incominciava a sentire la stanchezza, complice il caldo che man mano che ci si avvicinava alla costa andava sempre più aumentando, ma nello stesso tempo non era opprimente ed afoso come quando eravamo partiti. Decisi di passare io alla guida, pur sapendo che Mario soffriva il mal di macchina e non avevamo provveduto a portarci dietro nessun farmaco per evitarlo. Anche se a malincuore Mario mi dette le chiavi della macchina ricordandomi il suo soffrire il mal di macchina. Mi misi al volante e guidavo in modo che Mario non soffrisse e si potesse riposare, ma iniziò a parlare, parlare, parlare… segno che il senso di nausea che caratterizzava il suo malore aveva cominciato a farsi sentire. – Vedi che vegetazione differente rispetto alla nostra? Nota come si distinguono le singole foglie degli alberi? Proprio come nei quadri che abbiamo visto al Louvre a Pasqua! – mi disse lagnosamente. – Scusami – risposi – ma io al Louvre ho ammirato i bei culi e cazzi delle statue, altro che gli alberelli…. – Stronza, vai piano che mi viene da vomitare!!! – mugolò dietro ad una smorfia. Effettivamente un po’ stronza lo fui, mentre pensavo a che cosa mi avesse spinto a sposare quel magro intellettualoide con gli occhiali spessi e senza muscoli. Nel frattempo avevo abbandonato l’autostrada ed avevo imboccato la statale e così cominciai a schiacciare sull’acceleratore e a correre come una pazza sulla strada che si srotolava per chilometri e chilometri nelle campagne disabitate. Di colpo dovetti accostare entrando in una piazzola, visto che Mario era in procinto di vomitare l’anima. Mentre lui emetteva squallidi versi piegato fuori dalla portiera, io mi beavo guardando dal mio finestrino un agricoltore che stava curando le culture del suo orto attiguo. Osservavo con attenzione quel corpo abbronzato dal sole, ricoperto da gocce di sudore, muscoloso, maturo, maschile… l’esatto opposto di Mario. Sentii ribollirmi immediatamente il sangue e cominciai ad accarezzarmi dolcemente, tirando su il vestitino comprato giorni prima, in un mercatino, per il viaggio. L’uomo si accorse di noi ed io, invece di distogliere lo sguardo famelico continuai a fissarlo spudoratamente, mentre oramai le mie dita si erano fatte strada nelle mutandine ed avanzavano impertinenti ed inesorabili, facendosi spazio nella soffice peluria della mia fica. Mentre Mario continuava a vomitare ed a dare l’anima a Dio, io invece, non curante del suo malessere e senza alcuna vergogna, mi sfilai velocemente l’intimo con un gesto non visibile dall’esterno per via della portiera chiusa, ma certamente intuito dall’agricoltore che sorrise illuminandosi in viso. Aprii lentamente le gambe e cominciai a massaggiarmi dolcemente, giocando con le labbra della fica senza mai stimolare direttamente il grilletto. Stavo sbrodolando come una vacca, macchiando il sedile e torcendomi su me stessa, senza mai allontanare lo sguardo dall’oggetto del mio desiderio. Ero come una gatta completamente concentrata sulla propria preda. – “Cazzo che vomitata! Hai un fazzoletto per piacere?”- mi chiese Mario. Il contadino fece pochi passi e si mise all’ombra di un albero appoggiandosi al tronco e aveva cominciato a toccarsi il pacco gonfiatosi visibilmente, lasciando immaginare una gustosissima sorpresa al suo interno. Presi il mio fazzoletto di stoffa e cominciai a passarmelo sulla fica fradicia, mugolando. Mario rimase in un primo momento di sasso, non capendo ancora cosa stesse realmente succedendo. Mentre era appoggiato a non più di circa 20 metri dalla nostra macchina il contadino aprì la sua salopette e impugnò con forza un cazzo nodoso mostrandomelo in tutte le angolazioni possibili. Non capivo più nulla, la mia lingua impazzita umettava in continuazione le mie labbra carnose comunicando in modo diretto la mia voglia di cazzo… di quel cazzo meraviglioso. “Ma che fai? Oh, mio dio! Chi è quello lì? Ma che cazzo fa? Si masturba? Laura presto andiamo via! – disse Mario – Ma è una proboscide! Questa situazione non mi piace!” “A me si! Anzi, brutto stronzo, voglio andare fino in fondo e se non ti va, puoi scendere e tornare a casa a piedi! Lo vedi quel cazzo enorme? Sarà mio, caro il mio cornuto!” – risposi sguaiatamente a Mario che sembrava un bambino impaurito. Mi ero piantata oramai due dita in fica e continuavo a muoverle voluttuosamente, lubrificandole con i miei umori che oramai avevano completamente infradiciato la tappezzeria dell’auto. Per eccitare ancora di più il contadino, che aveva cominciato a masturbarsi seriamente, afferrai per i capelli Mario e mi misi la sua testa tra le gambe. Con la mano libera spalancai lo sportello in modo che si potessero vedere le mie belle cosce affusolate, i miei piedini da Cenerentola, due splendide scarpette rosso fuoco a tacco alto che mi rendevano particolarmente zoccola e nonché mio marito, afferrato per i capelli, che soffocava col muso piantato sulla mia fica. “Dai Mario datti da fare! Lo sai che la mia fica è vogliosa, leccamela tutta, così, vedrai che ti passa la nausea! Lecca!” – ordinai. Incapace, come sempre, mio marito si mise d’impegno senza troppi risultati. Dovetti lanciare uno sguardo di richiesta d’aiuto al contadino che sempre col cazzo in tiro e bene in vista mi indicò una stradina che, partendo dalla piazzola, scompariva dentro a un gruppo di alberi dietro al campo coltivato. Poi lo sentì chiamare qualcuno e si diresse nella direzione indicatami prima. Evidentemente erano in due! Meglio! Aspettai qualche minuto, poi sollevai la testa di Mario, quasi me l’ero dimenticato sulla passera. “Allora sei con me?” – gli chiesi. “Tu sei pazza!” – mi rispose. “Immagino che questo corrisponda ad un sì di un piccolo frocetto, impotente, cornuto, voglioso, ma senza palle, vero?”. Girai la chiave, accesi il motore e imboccai la stradina. Mario tremava dalla paura, ma non rispose. Nonostante le dimensioni pietose del suo uccellino notai un’erezione nei pantaloni. Arrivammo in uno spiazzo riparato dal sole da una fitta vegetazione d’alto fusto, Parcheggiai la macchina in una posizione da non farla notare, ma dei contadini manco l’ombra “Andiamo via! Andiamo via!” – piagnucolava Mario. Scesi dalla macchina e mi appoggiai sul cofano. D’un tratto scorsi il contadino a qualche metro di distanza sotto un’albero. Il suo sorriso mi confortò. Cominciai a tirarmi su il vestito e a toccarmi. Misi in mostra tutta me stessa, come una zoccola in vendita e girandomi esposi il mio bel culo sodo, aprendo le gambe, chinandomi e accarezzandomi da sotto i peli della fica. Il contadino si avvicinò e con fare deciso mi slacciò il vestito che cadde a terra. Ero completamente nuda, con solo le scarpe addosso. Lui cominciò ad accarezzarmi e baciarmi il seno sodo. Ogni tanto mordeva i capezzoli che erano diventati durissimi e sporgenti. Potevo sentire le sue mani ruvide e callose esplorare ogni centimetro della mia pelle liscia. Lo potevo vedere da vicino. Doveva avvicinarsi alla cinquantina, ma aveva un fisico ancora possente. Era di carnagione scura per il lavoro all’aria aperta, ma i suoi capelli brizzolati avevano sfumature biondastre di nordica memoria. Sentivo il suo cazzo di marmo che scoppiava nei pantaloni. Sono sempre stata un’animalista: caddi in ginocchio per liberare quel boa da una terribile costrizione. L’uomo slacciò i due bottoni della salopette che cadde a terra come il mio vestito e davanti ai miei occhi schizzò all’insù un’asta venosa di carne di circa 24 centimetri. Anche il calibro era decisamente ragguardevole. “Apri la bocca piccola troietta e succhiami il cazzo! Fai vedere a quel cornuto di tuo marito quanto sei puttana!” – mi disse. Sentì la sua mano afferrare i capelli e fui costretta ad ingoiare quel cazzo enorme. Me lo conficcai tutto in gola, di colpo, arrivando a schiacciare il naso su un basso ventre tutt’altro che piatto, ma ancora sodo e sagomato. L’odore della pelle sudata mi mandò in estasi e il sapore un po’ acre di quella verga fece il resto. Cominciai a succhiare con foga roteando la lingua sulla cappella e stimolando al contempo il frenulo. “Cazzo, mi fai impazzire! Succhia troia, succhia! Così!” – i miei sforzi erano finalmente apprezzati e che soddisfazione succhiare finalmente un signor cazzo! Mario era uscito dalla macchina, si era tolto pantaloni e mutande per potersi masturbare meglio. “Che bel cazzo signore! Sono la sua troia” – lo imploravo mentre con la lingua seguivo il profilo del suo scettro, lasciandovi sopra quanta più saliva possibile e con la mano rimasta libera mi sgrillettavo furiosamente. “Come sei bella! Quanto sei troia! Sei stupenda in tutto: i seni sodi, il culo liscio, la bocca carnosa… ah! Sì ! Che bocca calda… ah! Così mia bella bagascia, così! Succhia il cazzo! Siii! Succhia fino alle palle! Cazzo se si vede che ti piace il cazzo! Eri in astinenza puttana?!” – quel misto di complimenti e mostruose porcate mi faceva impazzire! “La tua fica ha bisogno di una bella leccata, sai? Mi è sembrato prima che quello stronzo di tuo marito non fosse molto capace” – disse il contadino – “Del resto è una vergogna d’uomo, con una splendida puledra come te… come fa a non chiavarti da mattina a sera… io ti voglio! Voglio la tua fica, voglio la tua bocca, il tuo culo… voglio esploderti dentro al culo!” “Sì, sì, sì… ” – implorai ansimando per la foia. “E tu stronzetto guarda e impara!” – urlò rivolto a Mario. Di colpo mi sentì sollevata da una presa sui fianchi. In pochi secondi mi ritrovai sul cofano della macchina a gambe aperte con la fica in fiamme mentre l’abile lingua del contadino rovistava nel mio ventre in modo magistrale. L’ispida barba incolta mi solleticava dolorosamente l’inguine e il contadino, quasi divertito, succhiava i copiosi umori che colavano lungo le mie gambe. Mario cercò allora di infilarmi in bocca il suo pistolino in tiro. La cosa dovette dare molto fastidio al mio stallone di campagna, al punto che si alzò di scatto, si diresse verso un albero e prese una grossa corda ruvida. “I Cornuti devono stare al loro posto” – sentenziò – ” e fare i cornuti!”. Afferrò con violenza mio marito e cominciò a bloccarlo nella portiera aperta dell’auto. “Sono d’accordo!” – risi sadicamente – “legalo bene!” All’inizio Mario accennò ad una minima resistenza, ma il contadino gli appioppò subito un sonoro ceffone e quindi, piagnucolando, lo squallido uomo che mi portavo dietro si abbandonò al proprio destino. In pochi secondi mio marito rimase piegato a novanta gradi e infilato nel finestrino aperto di una portiera spalancata, legato per i polsi al telaio della stessa. Un vero e proprio cornuto affacciato alla finestra, col culo per aria, che doveva osservare la propria moglie mentre veniva trivellata da uno sconosciuto. Il contadino mi girò mettendomi a pecora davanti alla faccia di mio marito e dopo essersi lubrificato la cappella con un paio di sputi mi fece divaricare le gambe e mi piantò nella fica, senza troppi convenevoli, tutta la sua asta. Urlai di dolore in faccia al cornuto! Ma dopo qualche secondo provai un immenso piacere; mi divertiva molto stare appoggiata alla portiera della macchina, la stessa su cui Mario era bloccato, nonché ansimagli in faccia tutto il mio troioso godimento! “Siii! Scopami sono la tua schifosa puttana! Spaccami la fica!” – urlai. Mentre sbattevo le tette in faccia a Mario, l’abile stallone mi accarezzava la schiena con dolcezza e nello stesso tempo assestava colpi d’ariete nella fica, a volte anche un po’ dolorosi, ma che mi facevano godere troppo per pensare al dolore. “Voglio il tuo cazzo nel culo! Lo voglio nel culo! Là dove non è entrato mai il cazzo di mio marito!!” – implorai. Mario mi guardava sconvolto e ripeteva: “Sono un cornuto di merda, a me non mi hai mai dato il culo e adesso ti fai sfondare da uno sconosciuto? Cornuto! Cornuto”! “Come vuoi mia bella zoccola !” – sentenziò il contadino. Sfilò il suo bastone dal mio ventre, mi fece girare tenendomi sempre piegata. Mi riempì nuovamente l’esofago con il suo membro sempre più turgido. Adesso era ricoperto completamente dagli umori di fregna e leccarlo mi piaceva ancora di più. “Sbatti il culo in faccia a tuo marito! E tu, stronzo! Lubrifica bene il buco di tua moglie” – urlò il contadino – “se non fai un buon lavoro lei soffrirà ed io non mi fermerò comunque”. Cominciai a schiacciare tra le mie chiappe la faccia di Mario che, bloccato dalla corda non poteva indietreggiare più di tanto. Non volevo soffrire troppo e poi mi piaceva sentirlo soffocare mentre con la lingua si faceva strada tra le mie viscere. Del resto non potevo dargli nessuna dritta in merito visto che il contadino aveva cominciato a scoparmi in bocca come una locomotiva a vapore. Con gli occhi chiusi ingoiavo quel ben di dio e sentivo una mano che mi accarezzava il seno, un’altra che mi spingeva la testa e altre due che mi accarezzavano la schiena. Ma Mario non era legato? Quando aprii gli occhi mi trovai dinnanzi due cazzi. Era spuntato dal nulla un altro uomo, probabilmente quello che aveva chiamato prima il contadino. Fu una bella sorpresa. Era un ragazzo molto giovane, avrà avuto al massimo vent’anni e somigliava molto al contadino. Immaginai che fosse suo figlio. Era scuro di carnagione, di corporatura robusta e tozza, con una fitta peluria sul petto e sulle gambe. La faccia era più tondeggiante, ma aveva lo stesso sorriso irresistibile del padre. Il cazzo era meno venoso, più corto di qualche centimetro, ma molto spesso. “Bella signora vuole succhiare anche il mio uccello per piacere?” – disse il giovane. “Sì, lo voglio” – risposi con una serietà incantata da sposa verginella. “E’ il tuo turno Piero, senti che bocca calda! Io devo sistemare quel cornuto di merda che non si dà da fare” – disse il padre. Trattata come un puro oggetto del desiderio abbandonai un po’ a malincuore il cazzo enorme del padre, ma mi consolai subito con quello del figlio. Lui mi fissava negli occhi e ad ogni affondo emetteva un verso di piacere in tonalità molto bassa, da orso in calore. Era fantastico! Si sfilò da sopra l’orecchio un sigaro e se lo fece accendere dal padre. “Hai ragione! Questa vacca troia succhia divinamente, pà”. Il contadino si era intanto messo di fianco a Mario e con sguardo severo osservava le sue leccate nel mio culo. D’un tratto gridò: “Sei un incapace!” ed assestò sulle chiappe chiare di mio marito un fortissimo colpo col palmo della mano. Mario gridò mentre sul suo culo comparivano piano piano cinque dita rosse, ben stampate e che sarebbero rimaste a lungo. “Più saliva merda! Più saliva! Non posso mica sventrarla!” – urlò il vecchio contadino. “Faccio quello che posso, non mi picchi!” – ansimava Mario ed io lo sentivo darci dentro e penetrare sempre più a fondo con la lingua nelle mie budella. “Più saliva ho detto! Qui non finiamo mai! Stronzo!” – partì la seconda cinquina, sulla stessa chiappa, sullo stresso doloroso punto. Mario urlò nuovamente, poi il vecchio mi spalancò le chiappe con due mani e cominciò a sputare abbondantemente all’inizio del solco del mio bel mandolino. Sentivo la saliva scorrere nel varco e avvicinarsi al buchetto odoroso. “Adesso con la tua lingua di merda spingi la mia saliva nel culo di tua moglie” – ordinò. “Che schifo! No!” – rispose il cornuto. “Allora mi inculo te!” – disse l’agricoltore. Di colpo infilò per tutta la loro lunghezza due delle sue dita enormi, a secco, nel culo. Mario cercò di staccarsi dal mio sedere per urlare, ma io usai il culo come silenziatore e gli serrai la bocca. L’urlo si spense nelle mie viscere piene di saliva. Ubbidientemente il mio maritino cominciò a spingere dentro il mio ano tutta la lubrificazione che l’agricoltore continuava a donarmi, goccia dopo goccia, lungo una piega di carne che sembrava oramai il letto di un ruscello. Intanto il giovane rideva godendosi la scena e, continuando a fumare, mi scopava in bocca beandosi delle mie abili doti da pompinara. Quando il vecchio contadino decise che ero pronta fece un cenno al figlio e si cambiarono di posizione. Io mi girai nuovamente e vedendo Mario esausto ne ebbi pietà. Mentre sentivo la cappella del contadino poggiarsi sul mio buchetto inviolato baciai Mario in bocca e gli sussurrai: “ti devo ringraziare per quello che sei, in fondo è grazie a te che sto godendo come non m…AAAHI!!!” L’enorme cazzo si stava facendo strada piano piano nelle mie budella. Due mani ruvide serravano strette i miei fianchi. “Cara non immaginavo quanto fossi troia e quanto io fossi cornuto. Ma io ti amo ed è giusto così, anzi, ammetto che mi piace vedere il tuo volto trasfigurato dal piacere…” – mi sussurrò per distrarmi da quel misto di dolore e piacere che la penetrazione, per quanto lubrificata, mi donava. Cominciammo a baciarci, uno legato, l’altra inculata, entrambi aggrappati alla portiera dell’auto. Dopo qualche minuto avevo tutto il cazzo del contadino dentro il mio culo. Sentii le palle calde poggiarsi sulla mia fica rovente. “Adesso chiavami! Chiavami stallone!” – gridai girandomi verso l’uomo grondante di sudore, ma visibilmente soddisfatto. Piano piano il ritmo aumentò, fino a diventare quasi insostenibile. Era evidente che il contadino voleva fare tappa unica fino all’esplosione vulcanica dentro le mie budella. Il ragazzo, visibilmente eccitato interruppe i nostri baci coniugali infilando il suo cazzo tra le nostre bocche umide. “Dammi una mano Mario ” – chiesi – “ho le labbra spanate”. Con una mano presi il cazzo del giovane e lo indirizzai verso la bocca di mio marito ricalandomi nel ruolo che in fondo gli piaceva, quello di sadica stronza: “caro il mio maritozzo cornuto, mi sa che sei anche un frocione represso, forza pezzo di merda, succhiati questo!” Rimanemmo stupefatti in due: io perché quel culattone di Mario, senza protestare, spalancò le fauci ingurgitando tutta la sequoia con una insospettata maestria che sicuramente non poteva derivare dalla semplice osservazione delle mie precedenti performances; il giovane contadino perché non si aspettava questa “variazione sul tema” e tanto mento una tale abilità da parte di quel pompinaro in erba. “Pà” – disse – “questi due sono veramente dei porci incredibili. Guarda questo ricchione come succhia!” “Vero Piero. Fate schifo e tu troia vieni un passo in dietro!” – ordinò il vecchio – “Così brava puttanella. Adesso visto che sei una troia schifosa, mentre quel cornuto di tuo marito spompina mio figlio, tu, brutta bagascia, leccagli il culo! Piero apri le chiappe e fatti leccare il culo da questa puttana”. Non fui in grado di opporre resistenza e mi trovai con la faccia immersa nel culo sudato del giovane. Gli leccavo il buco del culo e scendevo fino alle palle, laddove la mia saliva si mischiava con quella di Mario. Eravamo entrambi in balia dei nostri stupratori ed io speravo che il vecchio venisse al più presto, sia perché mi stava martirizzando i capezzoli con i polpastrelli sia perché volevo sentire la tanto attesa inondazione di caldo sperma dentro alle budella. Le mie preghiere furono esaurite. Il ritmo si fece sempre più serrato ed il vecchio cominciò a bestemmiare gridando sconcezze. Poi mi assestò un fendente micidiale impalandomi fino in gola e gridando all’inverosimile mi sborrò in culo. Sentii distintamente i getti di caldo sperma che mi schizzavano dentro l’intestino impastandosi sull’asta venosa che continuava a pompare sebbene calando di ritmo. Dopo pochi secondi anche il figlio venne in bocca a Mario che quasi si strozzò. Il giovane gli bloccò la testa in modo che non potesse sfuggire a quell’umiliante finale. I suoi tentativi di divincolarsi furono inutili e anche se qualche rigagnolo gli uscì dai lati della bocca: il ventenne non estrasse la propria arma fino a che non fu sicuro che mio marito avesse mandato giù due belle sorsate di sperma. Finalmente, libera dalla morsa del vecchio, mi inginocchiai davanti al figlio e mi misi a ripulirgli il cazzo rilassato assaporando golosamente quel gusto dolciastro di cui quel cornuto di mio marito aveva appena fatto una bella scorpacciata. Quando fu perfettamente pulito mi accorsi che era il mio turno, perché sentivo che lo sperma del vecchio contadino stava cominciando a colarmi fuori. Rimisi in faccia a Mario il mio culo e lo sentii ripulirmi tutte le budella con molto gusto ed efficienza. Chi l’avrebbe mai detto che avevo a fianco un fottutissimo cornuto, culattone e sottomesso? Una volta liberato Mario che aveva i polsi ormai sanguinanti ci rivestimmo. Sembravamo due profughi sui quali era passato un ciclone, ma eravamo decisamente soddisfatti! Pranzammo lì con i due contadini dividendo il contenuto della borsa termica e poi, risaliti in macchina, ripartimmo su quella strada dritta e rossastra. Giorgio guardava fisso fuori dal finestrino. “Hai ancora la nausea?” – chiesi. “No cara e non sto neppure osservando gli alberi dalle moglie foglioline, mi sto solo chiedendo se i contadini sono tutti così, ma più che altro sto guardando per capire se ce ne sono altri in giro”!
Aggiungi ai Preferiti