L’impiegata dell’agenzia immobiliare staziona dinanzi al portone della palazzina dove abbiamo appuntamento. Ha l’aria scocciata e sembra impaziente d’andarsene. Arrivo sul portone di casa trafelata, in leggero ritardo sull’ora concordata, e per giustificarmi non trovo scusa migliore che inventarmi un improvviso impedimento.- Non si preoccupi, succede anche a me di arrivare in ritardo agli appuntamenti col mio fidanzato, e poi sono abituata ad aspettare i clienti.- Mi spiace, non l’ho fatto apposta. Un cliente mi ha trattenuta più del dovuto e sono stata costretta a portare a termine il lavoro.- Le piace la palazzina?Giro il capo e osservo i mattoni faccia vista dell’edificio. L’immobile si compone di quattro piani ed è vetusto.- Sembra in ordine.- E’ una edificio non troppo recente, ma è in ordine.- Spero che lo sia anche il monolocale.- Lo costaterà di persona quando lo visiteremo.- Che aspettiamo? Andiamo allora.La donna mi precede oltre la porta d’ingresso del condominio. Nell’andito raggiunge la cabina dell’ascensore fermo a piano terra.- Le dispiace se saliamo in ascensore. Le risparmio la fatica di salire i quattro piani a piedi.- Oh, sì, mi sta bene.La cabina mobile ha dimensioni ridotte e dà l’impressione di contenere a malapena tre persone. Dalla plafoniera, bloccata al soffitto, esce una luce fioca che illumina l’ambiente. Su di una parete, quella dove sta addossata la mia accompagnatrice, trova posto uno specchio esteso ed alto quanto una persona. Mi ritrovo a stretto contatto con l’impiegata dell’agenzia, nell’attesa di essere trasportata all’ultimo piano dell’edificio. La mia accompagnatrice preme un pulsante del quadro comandi e il motore dell’impianto elettrico traina la cabina verso l’alto con un leggero crepitio delle funi che mi mette in apprensione.Tutt’a un tratto viene a mancare l’illuminazione e la cabina arresta la corsa bloccandosi di soprassalto fra un piano e l’altro. Sono colta dal panico, ma è una questione di pochi istanti perché reagisco adirandomi contro il mondo intero.- Accidenti! E adesso chi ci porta fuori di qui? – grido sperando in una sollecita risposta dalla mia accompagnatrice che invece tarda ad arrivare -Se ci mettiamo a urlare può succedere che qualcuno viene a soccorrerci.Tiro fuori dai polmoni tutto il fiato che ho racchiuso dentro e comincio a gridare.- Aiuto! Aiuto! Aiuto!Vado avanti ad invocare soccorso urlando, ma nessuno sembra udire la mia voce. Molte delle famiglie che occupano lo stabile devono essere assenti, perché in vacanza, penso, dopotutto siamo in agosto. Le mie urla non hanno il necessario sostegno della mia accompagnatrice che continua a restare muta.- Ci sarà pure un pulsante d’allarme in quest’ascensore. Adesso prendo l’accendino e con la fiamma andiamo alla ricerca del pulsante.Frugo nella borsetta e non senza qualche difficoltà trovo l’accendino.- Ecco, ci sono! Adesso faccio luce.La scintilla dell’accendino produce una piccola fiamma che rischiara l’ambiente. La mia compagna se ne sta addossata alla parete ed ha il volto deformato dalla paura. Avvicino la mano al pulsante dell’allarme, che intuisco essere quello di colore rosso, ma non succede nulla. Lo premo una seconda volta, e un’altra ancora, senza sortire nessun effetto.- Maledizione, manca la corrente elettrica al sistema di emergenza! E ora che facciamo? Be’ non le va di rispondermi?- Ho paura. – m’informa con voce tremante.- Non c’è da preoccuparsi. Le funi hanno un contrappeso che tengono bloccato l’ascensore in questa posizione nei casi di emergenza. Lo so perché mi è capitato in un altra circostanza di rimanere bloccata per più di un ora all’interno di un aggeggio infernale come quest’ascensore. Quando sono arrivati i pompieri per tirarmi fuori mi hanno rassicurato sui moderni sistemi di sicurezza degli ascensori.- Ho paura – ripete ancora una volta.Provo a tranquillizzarla accostandola al mio corpo e carezzandole i capelli. Lei approfitta della mia cortesia stringendomi le braccia attorno al collo acquietando lo spavento di cui è vittima. Sorpresa dal caloroso abbraccio mi trovo in disagio, ma accetto volentieri che stia legata a me. Percepisco l’ansare del suo respiro sulle mie guance e assaporo l’odore che ne emana la pelle. Distinguo le forme delle tette che premono sulle mie. Ho il batticuore, ma non è paura la mia.Il ritorno della corrente elettrica ci trova abbracciate una all’altra. Siamo rimaste al buio per pochi minuti, ma sono sembrati eterni, e per tutto il tempo non ho cessato un solo istante di carezzarle il capo e infonderle coraggio.- Ci siamo – annuncio – è arrivata la luce!Mi scosto dalla mia compagna, pigio uno dei pulsanti dell’ascensore e la cabina mobile si mette in moto risalendo i piani del fabbricato. Al quarto piano l’abitacolo arresta la corsa e siamo leste a saltare fuori per mettere piede sul pianerottolo.- Accidenti! E’ un bene che la corrente sia mancata solo per pochi minuti, altrimenti sarei morta di spavento — Soffre di claustrofobia?- Non lo so, ma il buio mi terrorizzata.- Adesso però non deve più preoccuparsi, siamo uscite illese da questa disavventura e non ci resta che visitare il monolocale.- Sì certo, mi scusi, adesso glielo mostro.Mi precede verso una delle quattro porte del pianerottolo, davanti a quella più vicina alla tromba delle scale infila la chiave nella serratura e l’apre.Il locale è semibuio, la mia accompagnatrice si avvicina alla finestra e tira la cinghia della persiana avvolgibile facendo scorrere le tapparelle verso l’alto.Il sole, che da un po’ di giorni bagna di sudore la città, dà luce alla stanza. Mi giro d’intorno e osservo il locale. Un parquet di legno, con dei righelli disposti a pina di pesce, pavimenta la stanza dandole un aspetto raffinato.- Le piace?- Per essere un monolocale è carino.- Di là c’è il bagno – mi avverte indicando un uscio alle mie spalle.- Dentro c’è la doccia o la vasca da bagno?- La vasca, ma c’è applicata una prolunga al rubinetto che può essere accostata alla parete e permette di fare la doccia.- Ah! bene. Adoro rimanere nuda in ammollo.- Abbiamo gli stessi gusti, anch’io preferisco il bagno alla doccia – mi rassicura.Eseguo alcuni passi e mi avvicino alla stanza bagno, apro la porta e sbircio nel locale con una certa curiosità. Il luogo è stretto, ma sufficiente a contenere la vasca, un lavandino e lo scaldabagno che sta appeso a una parete.- Mmm… bene, bene, mi piaceAttraverso la stanza e mi avvicino al parapetto della finestra che la mia accompagnatrice ha provveduto ad aprire. Appoggio i gomiti sul davanzale e guardo il panorama tutt’attorno. Davanti ai miei occhi sono presenti i tetti delle case e in lontananza le torri dei campanili delle chiese che in grande numero si alzano nel quartiere.- Le piace l’Oltretorrente? – chiede la ragazza dell’agenzia accostandosi al mio fianco scrutando anch’essa il paesaggio che ci circonda.- Sono legata a questa porzione della città. Sono cresciuta in questi borghi ed ora spero di ritornare ad abitarci.- Prendendo in affitto questo monolocale ha intenzione di venirci ad abitare?- A dire il vero pensavo di farci uno studio professionale.- Ah!- Ci verrei per qualche ora al giorno.- Mmm… ho capito.- Non credo… – rimbecco.Presa alla sprovvista dalla mia risposta non sa cosa rispondere, balbetta poche parole ma sono lesta a trarla d’impaccio facendo scivolare la mano sulla sua, carezzandola con insistenza. Ci guardiamo negli occhi e per una frazione di secondo ho la chiara percezione che potrei scoparla. Potrei stenderla sul parquet e impadronirmi della sua fica e lei della mia. Non sono lesa a farlo lei fugge via sottraendo la mano alla mia e mi ritrovo al centro della stanza a discutere del prezzo d’affitto del monolocale, poco dopo siamo per strada e ci salutiamo fissando un appuntamento in agenzia per stipulare il compromesso. Da un paio di mesi ho preso possesso del monolocale. Pago un affitto da quattro soldi e per pochi soldi do via la fica. Sdraiata sul letto sto a succhiare il cazzo di un cliente, e mi adopero a farlo nello stesso modo in cui da ragazza infilavo nella bocca una grossa carota esercitandomi, con mia sorella, nel fare a gara a chi delle due faceva meglio i pompini ed ero sempre io la più capace.L’alone di luce sprigionato da un lampione filtra attraverso i vetri della finestra e rischiara la camera, in lontananza scorgo la torre campanaria di una chiesa dell’Oltretorrente, e intanto continuo a succhiare.
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