Eravamo seduti alle nostre scrivanie e Gisella aveva appena finito di raccontarmi una delle sue avventure scolastiche con uno dei suoi compagni. A quanto pare, usciti da scuola, avevano approfittato di un bus sovraffollato per dedicarsi a massaggi un po’ particolari a tutto beneficio del mazzo del giovane. Erano passati tredici anni da allora, ma ancora ricordava i particolari come se il tutto fosse accaduto il giorno prima. “ero un po’ matta, ma come ci divertivamo io e le mie compagne.” Aveva concluso così il suo racconto e si era subito concentrata su una pratica che aveva dinanzi. A me non era rimasto che imitarla, tornando al mio lavoro. Era passata più di un’ora quando mi aveva chiesto di scendere per una pausa caffè e non avevo avuto alcun motivo per non accontentarla. Usciti dal bar mi aveva sorpreso una prima volta comunicandomi che non aveva intenzione di risalire ma che preferiva passeggiare un po’ e, così, mi ero ritrovato, con lei al mio braccio, a guardare le vetrine dei negozi limitrofi il nostro ufficio. Mi ero soffermato più volte ad osservare la sua immagine riflessa nei vetri, rimanendo ogni volta incantato dal suo fascino. Indossava un pantalone, aderente bordò, dal tessuto leggermente squamato, con sopra una maglia leggera nera. Nulla di speciale, ma rendevano onore al suo fisico ancora sodo e longilineo, mettendone in risalto i suoi pezzi forti, glutei, fianchi e seno. “Qui non c’è nulla di interessante, andiamo in centro.” Le sue parole mi avevano risvegliato dal torpore. Avevo protestato, mi seccava terribilmente prendere l’automobile per ficcarmi in mezzo al traffico dell’ora di punta, e sembrava che l’avrei spuntata io quando mi aveva proposto di utilizzare un mezzo pubblico. Non salivo su un autobus da anni e mi atterriva l’idea di dovere rimanere schiacciato in mezzo a mille persone, come una sardina in scatola. Ed era stata proprio la sensazione che avevo vissuto venti minuti dopo quella scaramuccia; ovviamente l’aveva avuta vinta lei. Mi ero ritrovato a metà del mezzo pubblico, in piedi, circondato da una marea di gente. L’autobus era stracolmo, mille voci si sovrapponevano e tra commenti, proteste, racconti dettati all’orecchio del vicino e risate il caos mi raggiungeva assordante e insopportabile. Ero completamente bloccato, con una mano mi tenevo all’asta e con l’altra cercavo di controllare che nessuno tentasse di sfilarmi il portafoglio dalla giacca. Gisella si era posizionata davanti a me, dandomi le spalle. Anche lei, con una mano si teneva all’asta, mentre l’altro braccio era abbandonato su un fianco, schiacciato tra me e le altre quattro persone. Ero lì, in giacca e cravatta in mezzo a quella bolgia, che sbraitavo con me stesso quando qualcosa mi aveva sfiorato in basso, in mezzo alle gambe. Lo avevo percepito e mi era sorto un dubbio, subito cancellato. Non poteva essere vero! Non poteva accadere a noi, due adulti in mezzo a tanti altri, col rischio di fare scoppiare un casino. Stavo per chinare il viso verso il suo collo per parlarle quando avevo sentito di nuovo qualcosa sfiorarmi il cavallo dei pantaloni. Avevo cercato di rimanere indifferente, anche se quella che avevo sentito era innegabilmente una mano che, senza troppi indugi, mi stava palpando. Su chi fosse la proprietaria non avevo avuto incertezze, né tanto meno il sorriso che mi aveva riservato, voltandosi, consentiva dubbi in merito. Ero rimasto a fissarla sbigottito, mentre la mano maneggiava delicatamente i genitali attraverso il tessuto dei pantaloni per poi spostarsi leggermente verso l’alto, alla ricerca di qualcos’altro. Ero rimasto sorpreso, imbarazzato e nervoso per la paura che intorno a noi qualcuno potesse capire cosa stava accadendo, ed avevo tentato di cambiare posizione per allontanarmi, obbligandola a lasciare la presa, ma non c’era stata possibilità di muoversi. La sua mano aveva proseguito a muoversi in su e in giù, con sicurezza, massaggiandomi contemporaneamente sia l’asta ch! e i testicoli. Continuavo ad osservarle il viso, fissava davanti a sé, come se io non fossi dietro di lei e non stesse facendo quel che, invece, era in atto. Oramai mi stringeva il manico, duro e teso sotto la stoffa, con tutto il palmo della mano e solleticava tutta la superficie muovendo le dita come su un pianoforte. A quel punto l’avevo vista e sentita sospirare mentre si passava la lingua sulle labbra e le dita risalivano, seguendo i contorni del pene. Le aveva fatte scorrere dalla base fino alla punta, dove si era fermata per serrarla con l’aiuto del pollice, serrandola con decisione. Avevo paura a cercare di capire sin dove si sarebbe spinta e quel suo sguardo smaliziato non mi aiutava di certo. Era stata disturbata da qualcuno che doveva passare, doveva scendere e cercava di raggiungere la bussola, e, per un attimo, aveva allentato la presa ma, subito dopo, la situazione era peggiorata. Adesso era voltata verso di me, schiacciati l’uno contro l’altro, e, mentre mi sorrideva, aveva iniziato ad abbassarmi la cerniera lampo, per far scivolare la mano dentro. Quando avevo sentito la sua mano calda sotto i boxer e il contatto della sue pelle sulla mia asta avevo avuto la sensazione di cadere e lei aveva mosso le dita in modo da costringermi ad allargare le gambe e potere infilare meglio la mano dentro. Subito dopo mi aveva in pugno ed aveva iniziato una lenta risalita seguita dall’immediata ridiscesa. Erano movimenti continui, lenti, mi guardava dentro gli occhi col suo sorriso delizioso e la sua mano continuava a regalarmi carezze e smanettamenti da incubo. Che non si sarebbe più fermata sino alla fine non avevo dubbi, ma ero confuso, ancora impaurito che gli altri potessero capire, vederci. Lei stava tentando di massaggiarmi l’uccello in tutta la sua lunghezza ma lo spazio all’interno delle brache non era sufficiente, ed, allora, aveva lasciato scivolare due dita lungo l’asta tesa, per fermarsi alla base del glande. Mi aveva guardato fissa negli occhi ed aveva iniziato a muovere i polpastrelli in senso rotatorio, premendo e massaggiando il punto più sensibile, conscia di quello che mi stava facendo provare. Via via, il massaggio era diventato più frenetico, le dita si dimenavano ora su e giù aumentando il mio piacere, nulla intorno a me aveva più importanza, non mi interessava sapere dov’ero, né che ci potessero sorprendere, ero pronto a scoppiare in un orgasmo, ma Gisella non la pensava come me. Mi aveva tenuto il pollice fermo sulla fessura e le altre dita a strozzare il manico e, facendomi cacciare un urlo, aveva spinto tutto fuori dalla patta. Si erano girati tutti verso di me, incuriositi dal mio grido, avevo balbettato qualcosa, che mi era sembrato che mi stessero rubando il portafoglio, ero rosso in viso, balbettavo ma, per fortuna, avevano creduto che fossi così per l’imbarazzo. Intanto, quella mano non si era mai fermata, aveva continuato a muoversi delicatamente dalla punta alla base, proseguendo il suo andirivieni anche dopo l’arrivo del primo fiotto di sperma, poi un altro e ancora un altro. Lei aveva portato anche l’altra mano in basso, tenendola a mo’ di coppa in modo da raccogliere il mio seme, ma sapevo che stavo imbrattando qualunque cosa avessi a portata di tiro. Gli spasmi si erano susseguiti violenti sino a che non mi ero sentito completamente svuotato, sia in basso che nel cervello. Sorridendomi, aveva riposto il membro ancora turgido all’interno dei pantaloni, facendo risalire la cerniera e, indicandomi con gli occhi la bussola, aveva iniziato a spostarsi per raggiungerla prima della prossima fermata. Due minuti dopo eravamo in strada, io ancora turbato e lei, di nuovo al mio braccio, a sghignazzare ed a succhiarsi un dito dopo l’altro, elogiando il buon sapore.
Aggiungi ai Preferiti