Faccio l’infermiera da ormai quattro anni, ho girato un paio di ospedali ed una miriade di reparti. Ma da un anno a questa parte ho trovato sembra, la mia dimensione: la maternità.Ho 28 anni sono alta 173 cm peso 53 kg ed ho un bel corpo, un bel sedere ed un seno generoso, una quarta piena, tutta naturale. Ho i capelli castani, sul biondo ed amo il mio lavoro. Quanto sto’ per raccontarvi è successo veramente, non ci sono invenzioni o alterazioni della verità. Il fatto è accaduto nel luglio del 1997 nell’ospedale M… di Roma. Ovviamente i nomi non sono quelli reali.Tutto iniziò quel pomeriggio del 11 luglio 1997, avevo il turno 14/22, e, nell’andare verso l’ospedale il caldo era insopportabile: trentasette gradi. Un vero tormento. Nella mia utilitaria non ho certo l’aria condizionata ed aprire il finestrino, con quel caldo, significa prendersi tutto il calore che sale dall’asfalto. Insomma arrivai in ospedale già abbastanza tesa. Non per ultimo quella mattina avevo litigato con mio marito. Niente d’importante, ma abbastanza da mandarmi al lavoro nervosa. Parcheggiai nel sotterraneo al mio solito posto e mi recai nello spogliatoio dove incontrai una mia amica e collega, Giulia, che fu il primo campanello d’allarme di quello che sarebbe successo.- Ciao Anna – mi salutò.- Ciao Giulia, tutto a posto? — Si, proprio tutto a posto – disse sarcastica.- Perché dici così? — Ti dico solo che stamattina è arrivata una donna di trent’anni, alla prima gravidanza, di trentasette settimane — E che c’è di strano? — E’ schizofrenica, ha paura di tutto — Ossia? — E’ qui per un problema non meglio precisato; credo che abbia le analisi sballate — Può perdere il bambino? – Chiesi.- Non lo so, ma se l’hanno ricoverata ad un mese dalla scadenza della gestazione, potrebbe essere — Ha dato in escandescenze? — Ha fatto un putiferio per una flebo di semplice soluzione di glucosio — Perché? Ha paura degli aghi? — Ma! Non lo so. Comunque è un tuo problema oggi. Vedrai da sola. -Avvertita da Giulia salii al reparto per prendere le consegne dalla caposala. Mi informai sulla signora in questione, ed ebbi conferma dello strano atteggiamento della futura mamma.Consultai la tabella delle terapie e cominciai il giro dei letti. La signora Marisa, così si chiamava l’irrequieta, era l’ultima del giro; si trovava in una stanza singola, a pagamento, con tanto di tv e lettino supplementare per i parenti o chiunque avesse voluto dormire con lei.Bussai piano, e non avendo ricevuto risposta, entrai silenziosamente pensando dormisse. Non mi sbagliavo, trovai la stanza avvolta nell’oscurità, ma proprio per questo fresca; la donna era assopita su un fianco, dandomi le spalle. Mi avvicinai al comodino per posare le medicine che avrebbe dovuto prendere. Non c’era la necessità di svegliarla, dato che non erano pastiglie da prendere ad ore precise. Sostai un attimo vicino a lei per guardarla; era una bella donna, mora, con un bel pancione, un viso espressivo anche se dormiva.Stavo per uscire silenziosamente, quando sentii chiamarmi:- Infermiera? — Si? — Può darmi un po’ d’acqua per favore? — Certo -Presi un bicchiere e lo riempii dalla brocca che aveva sul comodino. Glielo porsi ma lei chiese di essere aiutata a bere.- Non ce la fa da sola? — La prego – disse lamentosa.L’aiutai ad alzarsi leggermente prendendola per le spalle, e gli porsi il bicchiere sulle labbra. Bevve un sorso e dopo senza proferire parola si rimise a dormire, lasciandomi come un ebete con l’acqua in mano. Uscii dalla camera un po’ contrariata dalla mancanza di educazione.Almeno un: – Grazie arrivederci -Niente. La giornata continuò normalmente, nacquero tre bambini e sei bambine, tutti prima delle otto di sera. Non ci fu alcun problema con nessuna delle mamme, e a quell’ora ormai il più era fatto; soltanto da li a tre ore ci sarebbero state le poppate, i cambi eccetera. Verso le otto e trenta più o meno facevo sempre un giro delle camere per controllare se le pazienti avessero bisogno di qualcosa, giunti alla camera di Marisa lei mi disse:- Mi farebbe un po’ di compagnia? — Controllo di la e torno. Va bene? — Si grazie. L’aspetto -Finii il mio giro e tornai da lei. La trovai ora seduta sul letto, messa così la pancia era ancora più evidente. Mi sedetti accanto a lei ed iniziammo a parlare del più e del meno, del suo problema, niente di grave comunque, del mio lavoro eccetera. – Lei ha figli? – Mi chiese.- No purtroppo. Mio marito non ne vuole. — E perché? — Perché non si sente maturo, dice lui, per me non vuole scocciature. Ma è un discorso complicato e lungo, capisce? — Si certo, anzi scusi se glielo chiesto — No per carità. Lei piuttosto, come la sta’ vivendo? — Be se non fosse stato per questo problema: bene direi -Mi chiese di aggiustarle i cuscini, e per farlo dovette chinarsi in avanti. La camicia da notte le si aprì un poco, e notai che aveva un seno veramente gonfio. Lei sembrò accorgersi del mio sguardo:- Ha visto che tettone che mi sono venute? – Disse sorridendo.- Ha un bellissimo seno – dissi io.- Speriamo che non si rovini — No vedrà che non succederà – la rassicurai.- Sa cosa mi incuriosisce della maternità? – – No mi dica – risposi.- L’allattamento. Dicono sia bellissimo sentirsi tirare il latte. — Be, le altre mamme sembrano darle ragione. — Guardi – disse.Si aprì la camicia scoprendo quello che avevo sottovalutato, come seno gonfio: lo era molto di più!- Guardi i capezzoli, mi sono diventati enormi -La guardai con una punta d’eccitazione devo dire.- Posso? – dissi passandole una mano sul seno.- Prego; lo sente com’è gonfio? — Si è molto bello — Le piace? — Si. E’ veramente una sensazione strana sa? — Anche lei ha un bel seno — Grazie — Le posso chiedere una cosa? — Mi dica — Nel cassetto ho quella siringa per tirare il latte, me la prenderebbe? — Per fare cosa scusi? — Siccome ho sempre dolori al seno, il dottore mi ha detto di cominciare a tirare via un po’ di latte, anche se ancora non ho partorito, per evitare problemi al seno ed alla qualità del latte stesso. — Ma è sicura? Gliel’ha detto il medico, sicura? – Chiesi io perplessa.- Sicura. Allora mi darebbe una mano? — Mi faccia vedere. -Rovistai nel cassetto e trovai l’arnese che Marisa aveva chiesto. Nonostante tutto, ed il mio lavoro, le siringhe mi fanno sempre impressione; anche se questa era di un tipo diverso, con l’innesto dell’ago più largo, per poterci infilare un tubicino, che a sua volta è collegato ad una ventosa che viene messa sul capezzolo. Lavai per bene il tutto, dopo di che mi accostai al letto. Marisa si stava aprendo la camicia per tirare fuori tutti e due i seni. Erano davvero gonfi. A vederli così, provavo dolore al posto suo. – Ora proviamo a fare sta cosa. Ma non mi convince – dissi.- Su non sia pessimista. Posso darti del tu? — Certo Marisa -Applicai la ventosa al capezzolo ed iniziai a massaggiare delicatamente il seno dall’alto verso il capezzolo stesso. Con l’altra mano tiravo lo stantuffo della siringa, mentre Marisa sosteneva la ventosa. Si vedeva che soffriva poverina. Dopo più di mezz’ora di tentativi, riuscimmo a tirare fuori non più di poche gocce. Aveva molto male.- Oh Anna ho un dolore, mi sembra di avere degli aghi nel petto — Non posso darle nessun sedativo lo sa — Ti prego dammene poco, ma dammelo, non resisto più — Non posso Marisa, potrebbe essere pericoloso per te e per il bambino -Si abbandonò sul cuscino esausta; il nostro tentativo fallito, aveva amplificato il dolore, anziché lenirlo. Scorsi una lacrima scenderle sulla guancia. A questo punto non so come o perché, forse fu la compassione, forse altro, fatto sta che mi chinai su di lei.Aprii la bocca e le circondai il capezzolo con le labbra, iniziai a succhiare. Quello che le macchine non possono può l’uomo. Lei giro il suo viso verso me, mi sorrise accarezzandomi la nuca.- Grazie Anna, è bellissimo -Sentii il latte subito in bocca, era molto acido. Volevo sputarlo ma avevo paura d’interrompere il flusso, poteva fermarsi improvvisamente; insomma bevvi quel latte, male non poteva farmi. Passai da un capezzolo all’altro. Sentivo Marisa gemere dal piacere sotto di me. Continuai a ciucciare come una neonata, la stanza silenziosa amplificava il rumore del mio risucchio. Per favorire il deflusso lei stringeva il capezzolo spingendo il liquido verso l’esterno, i capezzoli erano ora enormi, turgidi e dritti, bellissimi. Ad ogni succhio sentivo Marisa sospirare compiaciuta, mi accarezzava la testa ed il suo sguardo era dolcissimo. Mi accoccolai sul suo petto ed ogni tanto un po’ di latte mi usciva di bocca colando sul seno gonfio. Lei si stava rilassando, la cura stava avendo un effetto positivo, il suo respiro si fece più regolare, mentre il mio si faceva più affannoso. Sentivo un leggero formicolio tra le gambe, forse mi stavo eccitando.Lei continuava ad accarezzarmi la testa e poi scese con la mano sul collo, mi passava le dita tra i capelli, dietro le orecchie. La guardai negli occhi e ci vidi del desiderio.La cosa ci prese la mano, lasciai il capezzolo e le infilai la lingua in bocca. Lei parve non aspettare altro. Aprì le labbra a ricevermi, mi strinse il viso con le mani mentre la sua lingua cercava la mia. Ci succhiammo a vicenda avidamente. Lei mi prese il seno e iniziò a sbottonarmi il camice.- Sei bella – mi disse.- Anche tu. Non pensavo di poter essere attratta da una donna. E’ eccitante. — Si è vero -Rimasi in mutande e reggiseno seduta sul bordo del letto. Mi infilai sotto le lenzuola. Stavamo strette, cosi io mi misi seduta e lei seduta sopra me col viso rivolto verso me, in modo che la pancia non subisse colpi. Ci baciammo ancora avidamente mentre Marisa mi toglieva il reggiseno, abbassò lo sguardo sul petto:- Hai un seno molto bello – disse – voglio succhiartelo io adesso. -Le sue labbra si schiusero per prendere il capezzolo, ormai duro, tra i denti; lo mordicchiò inizialmente, dandomi un brivido, poi fu sublime, sentivo la lingua spingere la protuberanza contro il palato. Lo succhiava in maniera esperta. La sua mano frugò il mio pube e lo trovò subito. Ero bagnata come poche volte, il contatto delle sue dita con la mia vulva mi spezzarono il respiro, che si fece affannoso. Abbandonai la testa all’indietro rapita da quella situazione che si era creata. Improvvisamente pensai che una collega avrebbe potuto entrare, anche se a quell’ora era abbastanza improbabile, ma la cosa anziché preoccuparmi, mi eccitò ancora di più. Lei mi stantuffava con le dita, la sua bocca continuava a succhiarmi il seno. Il ritmo si fece sempre più intenso, la sentivo dire:- Ti piace Anna? – – Si – dissi – sei brava.Mentre lei mi masturbava abilmente, io le accarezzavo la pancia, con movimenti dall’esterno all’interno. Le piacque molto, ad ogni carezza allargava le gambe un poco, le vedevo la fica molto aperta così che le passai una mano sotto fino ad arrivarle con le dita a stimolarle il culo. Lei si inarcò al contatto del mio dito col buco, portò il seno in alto ed io pronta lo presi ancora in bocca succhiandolo. Il latte mi sgorgò ancora dentro tra le labbra. Lei mi invitò a condividerlo, ci baciammo assaporando insieme il liquido prezioso. Io continuavo a prenderlo dal suo seno e a trasferirlo nella sua bocca; sembrava non saziarsi mai. I nostri seni erano ora pieni del latte che fuoriusciva da lei e dalle nostre bocche. Lei si chinò su di me per ripulirmi da esso, la sua lingua leccava via tutto quel latte da me ed i miei seni erano ormai gonfi come i suoi quasi. Io non capivo più niente. Lei spingeva sempre più veloce, sempre di più, sempre di più, finché venni; venni come una vacca senza ritegno alcuno. Ansimavo come un mantice, non avevo provato niente di simile in vita mia, nessuno uomo mi aveva fatto venire così, mai. Lei tolse la mano da dentro me e se la mise in bocca per assaggiare i miei umori. Quindi mi baciò con trasporto abbracciandomi.- Sei stata molto cara Anna — Anche tu, non avevo mai provato niente di simile sai? — Io ho avuto una esperienza lesbo da ragazza, al liceo. Ma non è stato come stasera. -Restammo abbracciate per diverso tempo ancora, senza dire niente, ci accarezzavamo e baciavamo in silenzio. Lei continuava a baciarmi il collo giocando con i miei capelli, mi mordeva l’orecchio succhiando il lobo; i nostri seni premevano l’uno contro l’altro ed un po’ di latte defluì sul mio petto, ora sembrava non volersi più fermare, con sollievo di Marisa che ora non aveva più dolore. Mi rivestii infine, era ora del cambio turno. Senza accorgerci avevamo passato più di un’ora insieme. Ne era comunque valsa la pena, almeno per me. E’ stata un esperienza che non dimenticherò mai. La salutai con un bacio ancora e mi congedai. Tornata a casa quella sera non riuscii a fare l’amore con mio marito. Lui pensò che fossi arrabbiata ancora per il diverbio del mattino, essendo così, lontano dalla verità; io naturalmente non gli dissi il motivo della mia repulsione verso di lui per quella notte, non avrebbe capito certamente.Il giorno dopo tornai, dopo il giro di terapia, in camera di Marisa; fu molto affettuosa e mi accolse con un caldo bacio. Il suo dolore era svanito del tutto, ma il suo seno continuava ad essere gonfio esageratamente. Da li a pochi minuti venne il marito, che lei mi presentò subito.Dopo una settimana ebbe il bambino, un maschio di tre chili e ottocento grammi, senza nessun problema, ne per lei ne per lui. Le portai un regalo per il bebè e Marisa mi sembrò addirittura commossa. Ci salutammo alcuni giorni dopo quando lei fu dimessa:- Anna, questo è il mio numero di casa, voglio sentirti ancora — Lo farò senz’altro, e poi voglio vedere questo frugoletto come cresce – risposi.- Sei stata più che un amica per me. Capisci cosa intendo? – Chiese.- Si. Certo, anche tu per me sei stata speciale -Fu così che ci lasciammo. Ma non fu definitivamente, ancora oggi ci vediamo spesso. I nostri mariti sono diventati amici ed usciamo insieme la sera almeno ogni quindici giorni. Naturalmente loro non sanno niente di noi. Marisa ed io ogni tanto ci scambiamo qualche effusione, niente di più, ma è solo perché, penso, ci manca l’occasione. Forse in futuro chissà, troveremo sicuramente il modo.Questo è quanto è successo, e quanto succede tuttora. La cosa ha cambiato le nostre vite in meglio sicuramente. Ed è tutto vero!
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