Erano quasi le 5 del pomeriggio quando il solito locale comparve, in lontananza, agli occhi di chi lo attendeva alla stazioncina di un paesino della provincia bolognese. Quando fu a pochi metri dall’inizio del marciapiede, il suono della sirena e lo stridio dei freni coprì il vociare delle poche persone che non vedevano l’ora di salire sul treno per tornare a casa dopo la giornata di lavoro.Fu proprio quando il treno mi passò davanti lentamente, quasi fermo, che vidi, attraverso un finestrino, il viso dolcissimo di una ragazza non più che ventenne senz’altro assorta nei suoi pensieri. Salii sul treno; era quasi vuoto. Decisi subito che mi sarei seduto vicino alla ragazza, dall’altro lato del corridoio e di fronte a lei. Mi sembrava un buon modo per osservarla senza che lei se ne accorgesse. E così fu. La prima cosa che balzò ai miei occhi era senza dubbio la sua aria innocente. Il suo viso, praticamente non truccato era splendidamente contornato da due ciocche di capelli che sfuggivano dalla molletta che raccoglieva gli altri. Fu solo quando mi guardò per un istante, e con una certa indifferenza, che mi accorsi che aveva gli occhi verdi e che l’unico trucco era costituito di un leggero fondotinta e un velo appena percettibile di phard. Era possibile notare la sua semplicità anche nell’abbigliamento: una polo nera a maniche lunghe portata fuori, copriva la vita dei jeans azzurro chiaro stretti e a zampa d’elefante. Ai piedi, un paio di Nike e scure.Continuava a guardare fuori dal finestrino, aveva le gambe accavallate e le mani sulle cosce. Assorta nei suoi pensieri, faceva dondolare, credo istintivamente, la gamba che non toccava il pavimento mettendo in evidenza, seppur senza volerlo, il suo piedino stretto nella gomma delle scarpe dalla quale era protetto da un calzino di spugna bianco che si intravedeva solo a tratti.Quel suo movimento mi eccitava da morire. Da dietro gli occhiali da sole continuavo a guardarla, e sentivo la mia eccitazione crescere, sentivo il pene premere sempre di più sotto nei jeans. Da quando iniziai a praticare l’arte del BDSM, scelsi sempre le mie schiave tra ragazze che non conoscevo: non volevo nessun legame, ne d’amicizia, ne tanto meno di tipo sentimentale.Decisi che lei sarebbe diventata mia schiava.Tentai quello che io chiamo “approccio silenzioso”. Scrissi un messaggio breve e conciso su un pezzo di carta di fortuna: “Sei bella… nient’altro. Se mi cerchi, mi siedo in fondo alla carrozza. Se mi raggiungi fallo in silenzio e quando ti siederai di fianco a me rimani in silenzio”.Mi alzai, le passai accanto e le posi il biglietto sul piccolo ripiano sotto al finestrino. Senza nemmeno guardarla mi allontanai e andai, come programmato a sedermi nell’ultimo sedile prima della porta. Guardavo il corridoio nella speranza di vederla alzarsi e dirigersi verso di me. Per un quarto d’ora rimase solo una speranza. Quando ormai cominciavo a perdere le speranze, la vidi alzarsi e venirmi incontro con un passo molto indeciso e un’espressione a dir poco interrogativa.Si sedette accanto a me. Accavallò le gambe, come se quel gesto la facesse sentire più sicura, più protetta. Fu allora che le diedi uno schiaffo, non troppo forte ma nemmeno indolore, sulla coscia. Lei capì subito che la posizione che aveva assunto non era di mio gradimento e si mise composta. Sarà stata alta 1,65. Il vantaggio della mia altezza sulla sua, mi consentiva di intravedere sotto la sua maglietta, attraverso il colletto che teneva con entrambi i bottoni slacciati.Sentivo dentro di me, salire sempre di più il desiderio di toccarla, di esplorarla ma, soprattutto, di umiliarla. Sedendosi, la maglietta si era posta fra il suo culetto e il sedile. Con un gesto deciso, afferrai i lembi della maglia ai suoi fianchi e tirai verso l’alto fino a sfilarla da sotto il sedere. Nei suoi occhi, un’espressione di timore misto a curiosità. Mi girai parzialmente verso di lei. Lei fece per guardarmi. Un altro schiaffo colpì la sua coscia destra. “Ti ho detto di guardarmi?” le dissi con tono deciso ma con voce bassa. “Stai con lo sguardo basso e la schiena eretta… stronzetta” aggiunsi.Subito assunse la posizione che le avevo ordinato e la mia mano sinistra si infilò sotto la maglietta. Quando la punta delle mie dita, prima, e tutta la mano, poi, toccarono la sua pelle, lei inspirò per un attimo e trattenne il respiro. Vidi che sbarrò gli occhi e dischiuse leggermente le labbra. Rimanendo congelata in quell’espressione, trattenne il respiro per qualche secondo.La mia mano iniziò a salire lungo la schiena. Sentivo la sua pelle liscia scorrere sotto le mie dita e avvertivo un leggero tremolio, sicuramente dovuto al suo timore; al timore di essersi messa in una situazione dalla quale non poteva, e non voleva, uscire. Mentre la mia mano sinistra continuava a toccarle la schiena nuda e la punta delle mie dita si infilavano sotto il gancetto del reggiseno, la mia mano destra si appoggiava sulla sua coscia destra. Accarezzandola con decisione sui jeans attillati, avvertivo la sua sodezza. La massaggiai a lungo nell’interno coscia, ma quando feci scorrere le mie dita verso il suo pube, comunque senza toccarlo, lei accennò leggermente a chiudere le gambe. “Ti credi così irresistibile?” le domandai con tono ironico e disprezzante. Lei capì di aver fatto un gesto a me non gradito e riaprì leggermente le gambe.Il treno continuava la sua corsa seppur lenta. Una corsa che io avrei voluto continuasse all’infinito.Con le dita della mano sinistra le sganciai il reggiseno mentre la punta del mio indice destro si appoggiava con un tocco deciso alla cucitura fra le gambe dei jeans; mi eccitava pensare che, da dietro un leggero strato di stoffa, lei sentiva il mio dito indugiare all’altezza del suo clitoride. La sue espressione diveniva sempre più attonita ma, quasi certamente, la sua mente sempre più desiderosa.Era magra sì, ma nel modo giusto. Le mie dita, mentre passavano dai jeans al suo addome, scorrevano sulla pelle liscia. Al loro passaggio la sua diventava “pelle d’oca”. Quando sfiorai la stoffa del reggiseno alla base del seno, vidi i suoi occhi chiudersi e le sue labbra aprirsi sempre più, in una espressione che ormai era di piacere. Prima di sollevare il reggiseno, raccolsi il suo seno sinistro nella mia mano. La stoffa era leggerissima e il reggi era semplice, di cotone. Con il dito sentivo il suo capezzolo inturgidirsi attraverso il tessuto. Fu allora che sollevai il reggi e la toccai sul seno nudo. La palpavo con movimenti sempre più decisi e forti e con la mano sinistra, ancora sulla sua schiena, premevo in avanti come a voler dire: “Sei mia…. puttanella!”Sentivo il pene sempre più rigido nei pantaloni. La mia eccitazione era vertiginosamente alta. Voleva essere adorato, baciato, succhiato. “Inginocchiati fra le mie gambe!” le ordinai sempre con tono deciso ma al tempo stesso pacato. “Ma se arriva qualcuno?” mi rispose con aria meravigliata.Dovevo farle capire che ogni cosa che dicesse che non fosse “Sì, padrone” era superflua ma, soprattutto, molto irritante. Racchiusi il suo capezzolo fra il pollice e l’indice e iniziai a stringere. Subito la avvertii: “Se fiati stringo ancora di più”. Aumentai la pressione finchè vidi il suo viso esprimere dolore, un dolore che era ormai diventato insopportabile. “Allora?” le chiesi con tono ironico. Senza dire nulla, si alzò e si inginocchiò fra le mie gambe aperte. Mi slacciai i jeans, e mentre abbassavo gli slip le dissi: “Faccio io, perché tu non sei nemmeno degna di toccarmi”.Lo tirai fuori. Era eretto e si trovava a pochi centimetri dal suo visino innocente. “Accarezzalo con le labbra — le dissi — ma se lo sfiori con le mani sarai punita”. Iniziò a percorrere tutta l’asta sfiorandolo con le labbra, su e giù più volte. Fu quando le sue labbra erano sull’estremità che, con un gesto al limite del violento, le premetti sulla nuca con forza, obbligandola ad aprire le labbra e ad accogliere il mio pene nella sua bocca. Dapprima si gelò. Spalancò gli occhi: era completamente incredula; in un giorno qualsiasi, durante un viaggio qualsiasi, stava succhiando il sesso di un ragazzo di cui, 5 minuti prima, non conosceva nemmeno l’esistenza e che la trattava come una schiava. Ma di una cosa era sicura: tutto ciò, non solo le piaceva; tutto ciò la eccitava.Con movimenti ripetuti della mano che le tenevano la testa, le impartii gli ordini; lei capì che io volevo che continuasse a succhiarlo, e così fece. Passato lo stupore iniziale, chiuse sempre più gli occhi. Voleva assaporarlo tutto. Mentre sentivo le sue labbra scorrere tutto il mio pene, dentro la sua bocca piccola e stretta, avvertivo la sua lingua muoversi per cercare, sfiorare e stimolare il mio punto più sensibile.Ancora qualche movimento e sarei sicuramente venuto. Ma volevo che prima godesse lei. Volevo che capisse che uno sconosciuto che la considerava meno di niente, l’avrebbe vista vivere il suo orgasmo, il momento per lei più intimo.”Siediti di fronte a me e slaccia i jeans” le ordinai. Memore della punizione precedente, eseguì subito. “Abbassali fino alle caviglie e mettiti a piedi nudi” continuai con tono perentorio.Quando fu pronta le allargai le ginocchia. Le sue mutandine di cotone bianco, lasciavano trasparire leggermente le forme del suo taglio, l’ombra della sua peluria morbida e i contorni appena accennati del suo nervetto. Quando le presi l’elastico delle mutandine sui fianchi, lei capì subito le mie intenzioni e, con gesto accondiscendente, sollevò il culetto per permettermi di abbassarle le mutandine fino alle caviglie. Appoggiando le quattro dita della mano destra sul suo monte di venere, simulando un certo disprezzo, iniziai a stimolarle il clitoride con la pressione del pollice. Sentivo il suo nervetto inumidirsi sempre di più e farsi sempre più grosso.Quando lei, forse per l’imbarazzo, voltò il viso di lato, le ordinai: “devi guardarmi negli occhi, inutile schiavetta” e, in segno di punizione, la schiaffeggiai una volta sola ma con decisione sulla vagina. Dopo il suo muto gesto di dolore, ripresi a massaggiarla come facevo prima. I movimenti sempre più frequenti del suo pube sotto la mia mano, mi dicevano che tutto ciò le piaceva. Teneva le braccia aperte, appoggiate sul sedile e ogni tanto stringeva le mani a pugno, come per resistere al piacere che saliva dentro di lei.Quando vidi con la coda dell’occhio l’edificio del bowling alla mia destra, mi resi conto che ormai il tempo che ci separava dalla destinazione, o almeno dalla mia, ormai non era più tanto. Volevo umiliarla. Volevo vederla godere e, soprattutto, volevo che lei mi guardasse mentre lo faceva.Il mio indice destro scese lungo la sua vagina seguendo la forma del suo taglio e, d’un tratto e con molta decisione la penetrai. La sorpresa, stampata a chiare lettere nei suoi occhi spalancati e sulle sue labbra socchiuse, le bloccò il respiro e, d’impulso le fece sollevare per un istante il culetto dal sedile. Il mio dito si muoveva dentro e fuori dalla sua fichetta, ormai bagnato e lubrificato dai suoi umori, mentre il suo corpo si muoveva in modo sempre più accentuato e istintivo, alla ricerca del piacere.Il mio movimento divenne sempre più intenso e martellante. Guardavo i suoi piedini nudi. Ad un tratto vidi che, per il piacere che provava, alzò i talloni e premette sulle punte. Quel gesto così manifesto di piacere, fecero salire alle stelle la mia eccitazione. La mia mano, quasi senza che me ne accorgessi, iniziò a muoversi sempre più in fretta e con maggior vigore, quasi con violenza.Con movimento più che frenetico spingevo il dito più dentro che potevo. Pochi istanti dopo lei disse, quasi gridando: “Basta!….Ti prego….Fermati!” Stava per venire, per raggiungere l’orgasmo.Fu per me un incentivo a continuare in modo più deciso e veloce di prima.Spinse con forza sulle punte dei piedi. Il suo culetto, il suo bacino e tutto il suo corpo era inarcato e sollevato dal sedile. Il suo respiro, da ansimante, si trasformò in leggeri mugolii di piacere che divennero sempre più intensi, finchè sentii il mio dito e parte della mia mano estremamente bagnata dei suoi umori, della sua rugiada di piacere. Aveva raggiunto l’orgasmo, era venuta nella mia mano e aveva goduto come una troietta sotto i miei occhi; gli occhi di uno sconosciuto.Quando ricadde sul sedile, stanca e sicuramente estremamente imbarazzata, il mio pene fremeva. Voleva gettare il suo succo dentro di lei. Preso dalla voglia, la afferrai per le braccia e la tirai fino a farla inginocchiare di nuovo fra le mie gambe. Con la mano destra tenevo il pene verso la sua bocca, con la sinistra avvicinai con forza ad esso il suo viso. Quando lo sentii fra le sue labbra, cominciai a muovere con vigore la sua testa. Nel momento in cui mi accorsi che il piacere stava avendo il sopravvento e che da lì a poco le sarei venuto in bocca, i miei movimenti si fecero sempre più rapidi, concitati ed energici. Passarono pochi secondi e le sue mani mi strinsero con forza i fianchi; il mio seme le stava riempiendo la bocca. Mi rivestii senza dirle nulla e, dopo pochi minuti, il treno si fermò alla stazione alla quale dovevo scendere.Con stupore e piacere, mi resi conto che la mia destinazione era anche la sua.All’improvviso, mi balenò in mente una domanda che mi fece capire che su di lei avrei esercitato per lungo tempo un certo potere, quel potere che le diede quell’immenso piacere:con che espressione, con che occhi, con che sguardo ma, soprattutto, con che soggiogazione interiore mi avrebbe guardato in quelle innumerevoli volte che ci saremmo incontrati per caso, a passeggio per la nostra piccola cittadina?
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