Dopo tutto quello che era successo ho impiegato più di venti minuti per darmi una sistemata ed riacquistare un aspetto decente. Ho approfittato del bagno per darmi una lavata e rinfrescarmi. Mi sono quindi rivestita ed ho dovuto rinunciare al tanga che Marco si è tenuto come fosse una sorta di trofeo. Ancora soddisfatta e spensierata ho fatto ritorno a casa. Era molto più tardi del solito e già dormivano tutti, mio marito compreso. Mi sono rapidamente preparata per la notte e, sdraiata al suo fianco, mi sono tranquillamente addormentata. Del tutto diverso è stato il risveglio. Miky, mio marito, mi ha portato la colazione a letto e mi ha riempito di domande sulla serata trascorsa con i colleghi. I miei bambini giocavano rincorrendosi ed io non riuscivo a non pensare che poche ore prima ero tra le braccia di un altro uomo. Nell’arco della mattinata sono stata più volte tentata di confessare tutto senza però mai trovarne il coraggio. Le cose quasi sono peggiorate il giorno seguente, domenica. Io ero nervosissima. Ogni pretesto era buono per discutere e, Miky, nonostante tutto il suo affetto ha finito col rispondere alle mie provocazioni. Al ritorno al lavoro ero decisa. Affrontai subito Marco e misi in chiaro che quello che era successo era stato uno sbaglio che non doveva ripetersi e che non avrebbe dovuto influire sul lavoro. Marco si dimostro comprensivo ascoltandomi quasi in silenzio senza nulla obiettare alle mie decisioni. A casa, la sera, ero molto più tranquilla. Preparai la cena, mi occupai dei bambini e poi mi preparai per la notte. Dovetti insistere per spedire i piccoli a letto prima del solito poi mi presentai a Miky con il proposito di farmi perdonare per un peccato che lui ignorava. Spogliandomi con sensualità distolsi Miky dal film di prima serata. Il completo intimo color fucsia non passava certo inosservato ed i complimenti non tardarono. Poco dopo ero avvinghiata al mio uomo impugnando il suo membro che, rapidamente aveva raggiunto la piena erezione. Ero sopra di lui pronta ad accoglierlo dentro di me quando Miky mi ha “disarcionata”. Mordendomi i glutei mi ha sfilato le mutandine e poi, con un dito, mi ha lubrificato l’ano. Avrei voluto dirgli di “no”. Avevo voglia di sentirmi riempire come natura vuole ma non potevo certo rifiutare a mio marito quello che solo poche notti prima Marco aveva posseduto a suo piacimento. Le mie poi dovevano essere delle scuse. Per farmi perdonare non potevo certo cominciare con un “no”. Rassegnata sollevai leggermente il posteriore e, con entrambe le mani, allargai le chiappe quasi ad indicargli una strada che, Miky, già ben conosceva. Godetti schiacciata dal peso del mio uomo. Di mio marito che tornava a possedere quello che era suo di diritto. E godetti ancora, in piena notte, quando finalmente il caldo liquido seminale invase il mio utero. Il resto della settimana trascorse normalmente. Io ero in pace con me stessa. Consideravo l’avventura con Marco come un episodio della mia vita ormai superato e da dimenticare. Mi dedicavo alla famiglia, al lavoro ed agli amici. Solo raramente il pensiero andava a quella notte ma mai con desiderio, con nostalgia. Nel week-end approfittai della disponibilità dei suoceri e, la domenica mattina, affidati i bambini ai nonni, prima di raggiungerli a casa loro per il pranzo mi dedicai a Miky anziché alle abituali pulizie della casa. Lui era in garage intento a sistemare le sue attrezzature per il bricolage. Io mi sono velocemente cambiata indossando una guepierre nera ed una vestaglia dello stesso colore ma completamente trasparente. Quando l’ho raggiunto era in piedi sulla scaletta che armeggiava con del materiale su di una mensola. Si è accorto di me solo quando gli ho slacciato i pantaloni. Come fosse una cosa del tutto normale ho impugnato il cazzo e quindi, approfittando delle dimensioni ancora ridotte, l’ho completamente ingoiato. Solo a quel punto ho sollevato lo sguardo incrociando quello di mio marito ancora sorpreso ma già chiaramente eccitato. Le sue mani mi hanno costretto a succhiargli tutto il membro anche quando le sue dimensioni sono cresciute e, anche se con fatica, sbavando e tossendo, sono riuscita ad accontentarlo tanto è vero che in pochi minuti tenendomi per i capelli con la mano sinistra e menandosi l’uccello con la destra mi ha schizzato il suo seme in faccia. Seppur delusa per la rapidità con cui Miky era giunto all’orgasmo ho continuato a dedicarmi a lui cercando con la lingua il suo sperma. D’altronde non avrei potuto fare diversamente perché, una volta sfogato il suo piacere, Miky mi ha nuovamente costretta ad ingoiare per intero il suo membro e solo quando finalmente si è “placato” mi ha lasciata libera. Soddisfatta per l’effetto che il mio comportamento avevo prodotto, pur continuando a succhiargli l’uccello, sono tornata a sollevare lo sguardo. Pochi istanti sono stati sufficienti a Miky per capire, senza che pronunciassi una parola, che lo desideravo, che avevo voglia di lui, che volevo godere come lui. D’impeto è sceso dalla scala, mi ha sollevata e quindi stesa sul cofano della Mercedes per poi infilarsi con la testa tra le mie gambe. Mi carezzava le cosce, le leccava, le mordeva per poi dedicarsi al lago che avevo tra le gambe. Spingeva la lingua tra le labbra vaginali, mi succhiava il clitoride, scendeva anche più giù, sollevandomi i fianchi, per raggiungere il mio ano. Era bellissimo ed infatti, come Miky, non ho resistito a lungo prima di raggiungere l’apice del piacere. Ora ero io ad obbligare Miky con la testa tra le mie gambe mentre urlavo il mio piacere. Personalmente non ricordavo un amplesso così coinvolgente, così dissoluto ed appagante. Sono certa che per Miky doveva essere lo stesso anzi lui si è voluto spingere oltre perché non mi ha consentito di rialzarmi e ricompormi ma, dopo essersi allontanato per un istante, mi ha di nuovo fatta stendere sul cofano dell’auto e quindi si è dedicato al suo hobby preferito, il bricolage. Il manico del cacciavite sembrava fatto proprio per quello scopo, riempire la mia accogliente passera gocciolante di umori e saliva. Miky scherza, provava quello a taglio e poi quello a stella, il martello e lo scalpello, tutti gli attrezzi che riteneva utili per il suo “lavoro”. Per me più che uno scherzo si trattava di qualcosa di piacevolmente serio. Di quanto mi piacesse se ne è reso conto anche lui quando i miei gemiti hanno sovrastato i suoi commenti divertiti. A quel punto anche lui si è fatto più serio e visto che io non sapevo decidermi tra l’impugnatura del cacciavite a stella e quella del modello a taglio me le ha date entrambe. Così mi ha prima riempita la vagina con entrambi gli attrezzi poi, per portarmi ad un secondo orgasmo, ne ha spostato uno nel culo ed ha cominciato a muoverli sempre più freneticamente sino a quando, squassata dal piacere, l’ho supplicato di fermarsi. Miky mi ha accontentata ma lui ancora non era soddisfatto. Sfilati i due cacciaviti mi ha presa in braccio, cosa che non faceva da tempo immemorabile, e mi ha portata nella nostra camera da letto. Stesa sul letto mi ha guardata e mi ha riempito di complimenti prima di farmi sollevare le gambe per spingermi il cazzo in fica. Siamo arrivati in ritardo per il pranzo. Sotto uno dei miei soliti vestiti indossavo ancora la guepierre nera sporca degli orgasmi consumati poco prima. Il giorno seguente ero di nuovo al lavoro. Felice, tranquilla ed in un certo qual modo grata anche a Marco per aver, involontariamente, riacceso la passione nel mio matrimonio. Non che le cose con Miky andassero male ma certo il nostro rapporto era divenuto un po’ abitudinario, piatto, privo di quella fantasia che, dopo la mia scappatella con Marco, era tornata a caratterizzare il nostro menage forse, anzi certamente, più di prima. I giorni passavano tranquillamente. Marco si dimostrava serio, gentile e disponibile. Sembrava aver capito che il nostro era stato un errore e si comportava di conseguenza. Il quotidiano lavoro d’ufficio venne turbato il giovedì seguente. Un’assurda richiesta del dirigente del mio settore mi fece andare su tutte le furie. Persi mezzora in inutili discussioni ma poi dovetti arrendermi e dedicarmi al lavoro che doveva essere pronto, inderogabilmente, per il mattino seguente. Come se non bastasse il nervoso che mi ero fatta sul lavoro Miky si dichiaro impossibilitato ad andare a prendere i bambini così dovetti ricorrere ai suoceri. Per loro non era un problema ma io contavo di affidarglieli nel fine settimana per avere più tempo libero da trascorrere con Miky. Peggio per lui pensai prima di immergermi nel lavoro. Dal canto suo Marco cercò di aiutarmi per quanto gli era possibile ma si trattava di elaborare dati sul computer e, in due, non si accelerava certo il lavoro. Comunque non si è allontanò dall’ufficio neanche dopo la fine delle sue ore. Rimase al mio fianco fino alle 18,30 quando, finalmente, terminai il lavoro. Dopo aver inviato il tutto alla stampa ci preparammo ad uscire. Prima delle sette eravamo già in ascensore. Stavo pensando che avrei potuto ringraziare Marco offrendogli un caffè o, vista l’ora, un aperitivo ma rinunciai all’idea per mantenere quel distacco che era riuscita a ristabilire tra di noi. Giunti al piano terra le porte si sono aperte ed io ho fatto per uscire come gli altri impiegati che, con noi, occupavano la cabina. Marco, che era rimasto indietro, improvvisamente mi ha bloccata per un braccio esclamando “abbiamo dimenticato la cosa più importante!”. Mi ha quindi tirata dentro l’ascensore mentre gli altri si allontanavano. Appena le porte si sono chiuse e prima che potessi chiedergli spiegazioni mi sono ritrovata contro la parete con Marco che mi baciava. D’istinto ho tentato di respingerlo ma lui mi ha bloccato entrambe le braccia ed io mi sono lasciata andare. Non so perché ma ho lascito che mi baciasse. Ho lasciato che la sua lingua si insinuasse nella mia bocca e che il suo corpo si strusciasse sul mio. Quando l’ascensore si è fermato e lui mi ha presa per mano io lo seguito come fosse una cosa del tutto normale. Ho percorso dietro di lui due rampe di scale per trovarmi in un pianerottolo buio illuminato dalla luce che filtrava attraverso una porta a vetri dalla quale si scorgeva la copertura piana del palazzo in cui lavoravamo. Ho lasciato quindi che Marco ricominciasse a baciarmi. Sono indietreggiata sino a raggiungere la porta vetrata ma non mi sono sottratta ai suoi baci ed alle sue carezze. Ho lasciato che le sue mani sollevassero la mia gonna per insinuarsi tra le mie gambe. Ho lasciato che la sua lingua scendesse lungo il mio collo per raggiungere il mio decolté. Gli ho lasciato sbottonare la camicetta ed ho lasciato che le sue labbra si posassero sui miei capezzoli turgidi. Ho lasciato che le sue dita carezzassero il mio ventre prima ed il cotone della mia biancheria poi. Le ho lasciate penetrare dentro di me nella mia vagina calda ed umida. L’ho lasciato fare anche quando si è inginocchiato ed ha sostituito le dita con la lingua. Ho lasciato che assaporasse i miei umori e che esplorasse la mia intimità al solo scopo di darmi piacere. Alla fine ho lasciato il mio corpo fremere per il piacere godendo sommessamente ma senza alcun timore. Le mani di Marco sono rimaste tra le mie gambe mentre fissavo il suo volto lucido dei miei umori. Non mi ha chiesto niente. Dopo avermi trascinato in quel luogo appartato ed avermi regalato un piacevole orgasmo ha atteso le mie decisioni. Probabilmente se avessi deciso di andarmene non mi avrebbe fermato ma quella possibilità non mi è mai passata per la testa. In mente avevo ben altro. Come Marco mi sono inginocchiata. Gli ho slacciato i pantaloni liberando il pene già duro. Ho lasciato scorrere la mano lungo l’asta per poi chinarmi in avanti a baciare il glande gonfio e pulsante. Marco si è lasciato andare indietro quasi sdraiandosi a terra con le gambe allungate a fianco delle mie. Poggiandosi sui gomiti si teneva leggermente sollevato giusto per potermi guardare mentre gli succhiavo il cazzo. La mia mano si muoveva lentamente su e giù di pari passo con le mie labbra e la mia lingua. Il cazzo, sempre più duro, era ora anche bagnato dalla mia saliva e la mano scorreva ancora più velocemente. Tenendo lo sguardo fisso su Marco, pur restando in ginocchio, ho scavalcato le sue gambe. Mi sono quindi spostata in avanti con il bacino. Con la mano sinistra ho spostato lateralmente il tessuto delle mutandine quindi, tenendo la gamba destra sollevata, con l’altra mano ho diretto il pene tra le mie gambe. La cappella si è poggiata sul clitoride. L’ho lasciata strisciare la le labbra vaginali allargandole sino ha raggiungere quella che nella mia mente era la destinazione finale. Marco mi ha fermata giusto un istante prima che lasciassi affondare il suo membro nel mio ventre. Due sole parole pronunciate con tono deciso ma sensuale gli sono bastate per bloccarmi. “Nel culo” ha chiesto, ordinato. Ho avuto un attimo di esitazione. Già stavo assaporando il piacere di sentirlo riempire la mia fica e quell’improvviso cambio di programma mi disturbava. Ci ha pensato lui a rompere gli indugi. Il suo pollice ha seguito lo stesso percorso del glande e, senza esitazione alcuna, si è spinto oltre occludendo la strada che era pronta ad accogliere l’uccello di Marco. Ho chiuso gli occhi mentre non riuscivo a trattenere un gemito di piacere. Non mi rimaneva altro da fare così ho diretto il cazzo dove voleva Marco e, mordendomi il labbro inferiore, mi sono lasciata andare calandomi sul suo duro palo di carne. Il cazzo nel culo e il pollice nella fica mi hanno fatto perdere completamente la testa. Quel poco di autocontrollo che sino a quel momento ero riuscita a conservare è svanito nel nulla. Gemevo incurante di tutto e di tutti. Mi muovevo forsennatamente incitando Marco ed esternando il mio piacere. Chiunque fosse passato dal piano dell’ascensore non avrebbe potuto non sentire ma la cosa non mi preoccupava minimamente. Ero stordita dal piacere. Il luogo, il cazzo nel culo, il pollice nella fica, l’altra mano sul mio seno, quel giovane uomo che non era mio marito, tutto contribuiva ad accentuare la mia eccitazione che inevitabilmente è sfociata in un nuovo orgasmo seguito da un ulteriore spasmodico brivido di piacere quando il caldo, anzi bollente, sperma di Marco ha invaso il mio intestino. Stremata mi sono lasciata andare posandomi sul petto di Marco che mi ha accarezzato i capelli prima di prendermi il viso tra le mani per baciarmi. Quando sono rientrata nell’ascensore per lasciare il palazzo e fare ritorno a casa ormai avevo capito che Marco, per molto tempo, sarebbe stato il mio amante. Non potevo farci niente. Sapeva come prendermi. Sapeva cosa fare, cosa dire per eccitarmi e farmi fare cose che, sino a quando non l’ho conosciuto, non mi appartenevano. Come ad esempio girare per la città senza mutandine. Mi dovetti abituare a quella condizione perché nei successivi incontri lui ha sempre trattenuto la mia biancheria o almeno lo ha fatto sino a quando ho capito che dovevo girare senza. Così ogni volta che sapevo di dovermi “incontrare” con lui le toglievo per tempo. Nelle settimane successive ci siamo incontrati sistematicamente almeno due volte la settimana. I primi incontri in un albergo di lusso. Poi in auto, a casa sua quando non c’erano i suoi genitori, in qualche luogo appartato che raggiungevamo con la moto, in qualche occasione anche in ufficio ed un pomeriggio a casa mia nello stesso letto che dividevo con mio marito. Il mio rapporto con Miky almeno per quanto mi riguarda non poteva andare meglio. Forse per un senso di colpa mi dedicavo a lui ed alla famiglia con tutta me stessa. Nell’intimità poi mi impegnavo ancora di più e ne traevo piena soddisfazione. A Miky presumo non dispiacesse la svolta che Marco, a sua insaputa, aveva impresso alla nostra vita. Velocemente arrivarono le ferie. A turno io e Marco ci assentammo dall’ufficio e, per quasi un mese, non ci fu modo di incontrarci. Fu l’occasione per riflettere sulla situazione e più volte meditai di porre fine alla nostra relazione. Ma il primo giorno di lavoro insieme avevo già dimenticato ogni proposito e tutto riprese come prima. Anzi Marco aveva organizzato i nostri incontri trovando una pensioncina vicina all’ufficio in cui potevamo vederci senza grossi rischi e/o perdite di tempo. Certo era un locale infimo gestito da un uomo giovane dall’aspetto ripugnante. Obeso, sempre sudato con i capelli unti, le unghie sporche ed i vistiti, informi, con ampie chiazze di sudore. Le camere poi non erano certo di primordine. Ben presto però Marco riuscì ad ottenere una camera fissa per la quale procurammo noi stessi lenzuola pulite. Ottenne anche una pulizia straordinaria, lautamente pagata, ma altrettanto apprezzata. Divenne il nostro “nido d’amore”. Due volte alla settimana, solitamente il martedì ed il venerdì, vi trascorrevamo un paio d’ore in piena intimità. Tutto ormai procedeva regolarmente. Avevo una doppia vita che gestivo con assoluta tranquillità e con grande soddisfazione sotto l’aspetto sentimentale e sessuale. I primi turbamenti giunsero improvvisi un martedì mattina. Marco si presentò con un pacchetto per me. Non era una cosa insolita. Più volte mi aveva fatto dei regali, oggetti semplici, di poco valore, ma comunque appressati. D’altronde non poteva certo regalarmi un diamante. Non avrebbe avuto alcun senso. Non lo avrei accettato e non avrei potuto accettarlo. Sapevamo entrambi che il nostro era un rapporto basato solo ed esclusivamente sul sesso. Certamente c’era affetto ma nulla di più. Quella mattina comunque il pacchetto fu una vera e propria sorpresa o meglio il suo contenuto ed il bigliettino che lo accompagnava mi lasciarono senza parole. Il regalo consisteva in un fallo artificiale di grosse dimensioni e con il bigliettino Marco mi chiedeva di usarlo davanti a lui lì in ufficio. Non ne volli neppure parlare anche se Marco mi fece capire che se non lo avessi accontentato avrebbe rinunciato a me. Quel giorno non gli detti credito ma dovetti constatare che faceva sul serio quando non mi raggiunse nella nostra solita camera. Per tutta la settimana discutemmo della cosa ma Marco non rinuncio alle sue pretese ed io non cedetti. Il martedì seguente feci di tutto per provocarlo, eccitarlo, convincerlo ma Marco rimase fermo sulle sue posizioni. Voleva che usassi quell’attrezzo lì, in ufficio, davanti a lui. Non c’era modo di farlo ragionare. Il venerdì, esasperata, cedetti. Nella pausa pranzo estrassi il fallo di plastica dall’ultimo cassetto della scrivania dove lo avevo lasciato. Seduta al mio posto posai l’attrezzo tra le gambe leggermente divaricate. Avevo già tolto le mutandine e mi tenevo ben sotto il ripiano della scrivania. Sapevo che, chiunque fosse entrato nell’ufficio, non avrebbe avuto modo di scorgere ciò che celavo sotto la scrivania ma ero comunque imbarazzata. Marco mi guardava. Fingeva indifferenza ma era chiaramente in attesa di scorgere, dal mio volto, dal mio corpo, un segno dell’avvenuta penetrazione. Provai ad avvicinare il fallo alla vagina. Lo feci scivolare tra le grandi labbra che si dischiusero aprendo la strada per quella che era la destinazione finale. In quella posizione non potevo andare oltre. Dovetti sporgermi in avanti e restare seduta sul bordo della mia poltroncina. Ora tenevo stretto con la mano destra quel cilindro di plastica che riproduceva in ogni suo aspetto il membro di un uomo. Il membro di un uomo particolarmente dotato. Marco mi aveva più volte spiegato che non era un comune vibratore ma che si trattava della perfetta riproduzione del cazzo di Rocco Siffredi. Non avevo mai visto un suo film ma lo conoscevo di fama ed ora capivo il motivo del suo successo nel mondo dello “spettacolo”. La cosa però non mi interessava affatto. Ero agitata per la situazione e pensavo solo che un oggetto più piccolo sarebbe stato più comodo. Non avevo comunque alternative e tornai ad avvicinare la punta dell’attrezzo alla mia fica. Non ebbi alcuna difficoltà a trovare la giusta posizione. Spinsi leggermente ed incontrai un po’ di resistenza. Con fare furtivo mi bagnai la mano di saliva da utilizzare come lubrificante sul dildo. Spinsi ancora e lentamente riuscì a farne entrare una parte. Prosegui muovendolo lentamente, facendolo ruotare e riuscendo a spingerne dentro ancora qualche centimetro. Avevo pensato di simulare il piacere per dare soddisfazione a Marco e porre rapidamente fine alla cosa. Ben presto mi resi conto che non ce n’era bisogno. Mi stavo chiaramente eccitando. Tra le gambe ero sempre più bagnata e quel coso, con mia piena soddisfazione, scivolava con sempre maggior facilità. Marco mi invitava a spingerlo tutto dentro. Mi chiedeva cosa provavo, quanto ne restava fuori, se mi piaceva. Mi tempestava di domande alle quali ormai rispondevo meccanicamente. Non intendevo distrarmi. Pensavo solo al mio piacere. Dovette insistere anche per farmi ruotare la ghiera che si trovava alla base del fallo. Quando lo feci faticai veramente a trattenere un gemito di piacere. Quel coso che mi riempiva e vibrava dentro di me stava facendo a pieno il suo dovere ed io ne trassi piena soddisfazione soffocando a stento il mio piacere. Quando riposi nel cassetto “Rocco”, come lo chiamava Marco, avevo superato tutte le mie paure e quasi mi rammaricavo di essermi opposta così a lungo. Quel pomeriggio Marco fu nuovamente mio e mi concesse di recuperare ciò che mi ero persa nei giorni precedenti.
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