“Dolcissima, la moglie del dott. Caneamari, con un bel carattere, fascinosa e signorile, molto signorile.” Così gli amici commentavano la presenza della giovane signora Caneamari, quando, sempre in compagnia del marito, si presentava in società. Il dott. Giorgio Caneamari era un affermato commercialista. Si era laureato ed aveva intrapreso brillantemente la professione che aveva ereditato dal padre, che si era fatto un nome ed aveva curato gli affari di una buona fetta della borghesia milanese. Il figlio si era dimostrato all’altezza del babbo e si era arricchito ulteriormente. Ora si dedicava alla professione lo stretto indispensabile, perchè si era procurato dei validi collaboratori e delle efficienti segretarie. Era un giovane borghese arrivato. Un professionista di successo e si muoveva nella Milano della buona società. fino a qualche tempo prima, aveva vissuto da scapolo impenitente: viaggiava su automobili vistose e costose. Bazzicava le feste dei suoi amici, andava a sciare, aveva continuamente flirt, molto tormentati per le sue fidanzate che si misuravano sempre con il suo essere sfuggente. Curava molto il suo aspetto: a 42 anni era un uomo asciutto, giovanile, sebbene di corporatura robusta. Teneva molto all’abbigliamento, sempre elegante e curato. In società sapeva essere brillante ed era il centro dell’attenzione. Intorno a lui ruotava un numero inesauribile di ragazze di 20 anni, con visi e corpi sempre diversi. Agli amici non lo diceva, ma di tanto in tanto ricompensava lautamente alcune di esse, per praticarvi sesso sadomasochista. Le più belle, quelle con il corpo più sensuale, erano sovente donne che si facevano frustare da lui dietro compenso. Egli si scherniva dall’invidia degli amici che lo definivano un playboy, dicendo che non aveva ancora avuto il bene di innamorarsi. Le signore, nubili o divorziate della compagnia, lo perseguivano, lui, un pò ci stava, un pò sfuggiva. Per lo più mirava a realizzare con queste dei rapporti sessuali “normali” che davano seguito solo a sporadiche e formali amicizie. Il dot. Caneamari, infatti, a meno che non ne capitasse una che lo eccitava particolarmente, andava con le sue donne una volta sola, poi si perdeva nella metropoli, e le sue ex lo incrociavano teatro, al cinema , alle mostre, ai concerti, a casa di amici. Lui non perdeva mai l’affabilità, ma sfuggiva dalle mire delle sue ammiratrici con l’abilità di un vero uomo di mondo, senza mai venir meno alla gentilezza e alla cortesia. Sapeva usare le formalità come uno scudo di diamante per difendere il suo stile di vita e il suo convinto celibato. Un anno andò a fare un viaggio nel Madagascar. . Quando tornò, in società girò la voce che finalmente si era innamorato. Dopo qualche mese, a Milano, si celebrò sontuosamente il matrimonio. Si era scelto una stupenda 25enne danese che parlava benissimo l’italiano. Bionda, fine, elegante, discreta, misurata, la fanciulla assomigliava ad una Grace Kelly più giovane e timida . Le sue ex “fidanzate” sospirarono di invidia al pensiero che il più corteggiato scapolo della compagnia aveva trovato la sua pricipessa. Tutti si aspettavano una moglie così per lui. Lui comprò un immenso appartamento nel centro della metropoli, e da quel momento il professionista non si faceva più vedere in giro senza la moglie, che si era adattata benissimo agli amici e agli interessi del marito, più innamorato e premuroso che mai. Lei si chiamava Danja. Non sembrava una passionale, ma i suoi movimenti lenti, la sua pelle bianca e le sue braccia e il suo seno pieno le conferivano sensualità. Amava l’eleganza e i gioielli, sorrideva con due labbra carnose e aveva modi raffinati. Esteriormente davano l’idea di una coppia felice. Figli, per il momento non ne avrebbero avuti. Lei era giovane e voleva godersi la vita per un pò. Lui era d’accordo. La verità era che lui era talmente invischiato di lei, che avrebbe fatto tutto quello che gli avesse chiesto. Pensava che, sessualmente, non aveva mai desiderato una donna come desiderava la moglie. O meglio:sensazioni così forti le aveva provate solo quando aveva 22 anni ed era uno studentello, ma la “lei” in questione andava contemporaneamente con lui e con altri 3 compagni di corso. Quando Giorgio l’aveva scoperto ci era rimasto molto male e la storia era finita, lasciando nel suo cuore una spessa cicatrice. Ora che si era sposato con Danja, era come se nulla fosse mai successo. Lui da tempo non provava desideri così forti e faceva in modo di andare a letto con lei più volte al giorno, seducendola con iniziative originali, come cominciare a masturbarla durante una colazione in un raffinato ristorante, con la mano nascosta sotto la tovaglia, per poi finire nel motel più vicino. Con lei si sentiva di aver raggiunto l’obiettivo della sua piena identità di uomo, individuale, sociale e animale, facevano insiema una vita brillante e senza pensare ad altro che alla propria e di lei eccitazione, la palpava impunemente in pubblico, in taxi, alle feste, al cinema. Se erano in compagnia, se ne congedavano poco dopo e si appartavano per avere un rapporto nel primo posto che capitava, non fosse stato altro che un alberghetto per prostitute. Qui, i due signori salivano nella camera che avevano pagato per tutta la notte, dopo che erano stati seduti nell’atrio ad eccitarsi (per la precisione, era lui che eccitava lei, sempre con la sua mano tra le gambe della moglie, a ripassarle con le dita la fica per ore.). Lei elegantissima, lo seguiva nella camera come una cagnetta, dopo che si era ricomposta. Riprendeva il suo aspetto curato e di classe, dopo che poco prima aveva mostrato i genitali a chi si fosse trovato a passare di lì. Lui si accorgeva degli sguardi di desiderio che la moglie suscitava, sentendosi orgoglioso di essere l’unico a poterla possedere. Non soffriva mai di paure legate alla gelosia. Semplicemente non prendeva in minima considerazione l’ipotesi di avere ragioni di essere geloso. A volte, quando lei si addormentava nel loro letto coniugale, lui stava molto tempo ad osservarla, mentre dormiva, gioendo nel suo cuore all’idea che quella donna era proprio sua moglie. Giorgio Caneamari era di lontane origini siciliane, anche se si sentiva un nordico a tutti gli effetti. Razionale, misurato nelle passioni e nelle reazioni, poteva permettersi di fare tante cose, senza restarne invischiato in nessuna. Il suo matrimonio era stata una sorpresa per tutti, ma soprattutto per lui, che si era sentito letteralmente rinascere quand’era cominciata la sensuale convivenza. Prima di essa, per tanti anni, aveva pensato che il sesso, a parte la continua novità dei diversi corpi che si guardano e si palpano, non avesse più altri significati. A sua moglie egli dava amore libertà, agi, prestigio, divertimenti e viaggi. In cambio le chiedeva solo di essere “sua”. Lei fino a quel momento ci stava e lo faceva felice. La signora trascorreva molto del suo tempo facendo shopping. Tra le altre signore della società riscuoteva ammirazione per il suo buon gusto. Spesso disegnava lei stessa gli abiti che indossava, facendoli realizzare ad una sarta di fiducia, bravissima, che si vide dopo breve tempo incrementare la clientela. Era tutto un successo quello che succedeva a loro. Lui si sentiva un principe, baciato in fronte dalla fortuna. Egli affrontava la vita quotidiana con l’energia e l’equilibrio che gli dava l’amore per la moglie:si sentiva equilibrato e … felice. Un giorno il Dott. Caneamari era fermo ad un semaforo in un incrocio in Corso Garibaldi. Da una palazzina fine 800, vide uscire la moglie, che non lo scorse, distrattamente presa dai suoi pensieri, si incamminava in tutta fretta verso un taxi che la aspettava a pochi metri. Lei andava a casa. Egli seguì il taxi, finchè non si trovò a posteggiare nel parcheggio privato del loro condominio. Danja, che non si era accorta di lui, era arrivata contemporaneamente. Lui la lasciò salire, poi salì a sua volta, dopo aver posteggiato la macchina. Giunto a casa, abbracciò la moglie, in evidente stato di eccitazione, ma lei gli disse che non era il caso, perchè aveva mal di testa. Sull’accaduto, nè lui chiese nulla, nè lei gli fornì spiegazioni. Nei giorni successivi, Il professionista notò che le emicranie della moglie si erano fatte più frequenti. Il dott. Caneamari non era un tipo geloso, e se lo fosse stato, non lo avrebbe mai manifestato alla moglie perchè a lei avrebbe dato fastidio. Il loro rapporto si basava sulla incondizionata fiducia di lui, sul loro reciproco possesso. Non pensò più a questa circostanza. Ma un giorno, il suo cellulare intercettò il cordless di casa sua. La moglie era al telefono con un uomo dalla voce abbastanza giovanile. Questi aveva un tono impaziente. “Allora, quando te ne andrai di casa? sono mesi che ti sto aspettando. ” “Non pormi condizioni, Ferruccio, mi costringeresti a troncare la storia” Parlava un limpido italiano. La leggera inflessione scandinava, rendeva ancora più affascinante la sua voce. Ferruccio replicò: “ma non puoi lasciarmi qui così, senza una prospettiva. Quando avverrà che noi si starà insieme?” La voce piagnucolosa di lui, contrastava con quella tranquilla di lei. “Non un momento prima di quando sarò pronta. Io questo te l’ho detto sin dall’inizio. “Al chè lui, innervosito risponde:”OK, OK ci sentiamo, ciao.” Entrando in casa il dott. Caneamari era abbastanza sconvolto. Di fronte alla tranquilla gentilezza ed impassibilità della moglie, tuttavia, soffocò ogni manifestazione. Fu freddo, silenzioso, limitando la comunicazione allo stretto indispensabile. Si sedette a cena , ma non toccò cibo. Si limitò a bere diversi bicchieri d’acqua minerale, poi annunciò alla moglie che se ne sarebbe andato a letto subito perchè il giorno dopo sarebbe dovuto partire in viaggio di lavoro. Disse che era così malmostoso perchè preoccupato per una bega professsionale su cui si sarebbe dovuto concentrare nei giorni successivi. Si ritirò per alzarsi, disse, la mattina dopo di buon ora per recarsi in ufficio prima di partire. Appena arrivato telefonò ad un investigatore privato con cui aveva già collaborato in passato per vicende di spionaggio industriale. “Voglio che si metta alle costole di mia moglie finchè non avrà delle prove schiaccianti che mi tradisce. Non bado a spese, ma voglio delle foto inequivocabili.” Il detective lo chiamò 5 giorni dopo per dirgli che aveva quanto chiedeva. Nel frattempo, Giorgio aveva risieduto in un Motel vicino all’autostrada dei fiori. Lì l’investigatore lo raggiunse e gli consegnò delle foto in cui lei, Danja ripresa con un teleobiettivo dal palazzo di fronte, stava nuda sulle ginocchia dell’amante, che la toccava in diverse parti intime. Danja aveva passato con lui tutte le notti da quando aveva lasciato la casa. Usciva a mezzanotte e rientrava alle 6 del mattino. Adesso erano le 9 e lei sarebbe stata a casa. Giorgio pagò il detective e chiamò al numero di casa. Danja gli rispose con la voce di chi è stato svegliato. “Fai le valige, preleva una decina di milioni in banca e lascia casa mia” Le disse. Lei piagnucolò che non capiva, che le sembrava uno scherzo, ma lui le troncò il fiato in gola dicendole”So che ti fai sbattere da un altro uomo. Sto guardando delle foto in cui tu ti fai toccare in mezzo alle gambe stando nuda su di lui. Io non ti voglio più vedere. Ti pagherò perchè te ne vada.” Il pianto di lei si fece disperato: “No, ti prego. E’ stato solo sesso, doveva capitare una volta sola, poi ho dovuto tenerlo buono. Voleva dirti tutto. Perdonami.” “Mi dispiace, Danja, non ne sono capace. Vattene, è meglio per tutt’e due.” “Dammi un’altra possibilità. Farò qualsiasi cosa per te.” “Ti ho sentito al telefono, mentre il tuo amante diceva che aspettava che tu andassi a vivere con lui. Cogli quest’occasione. Vattene.” “Erano menzogne, gliele raccontavo per non farlo diventare violento e per fargli tenere la bocca chiusa. Non lo farò mai più. Voglio stare con te ad ogni costo. Ho sbagliato. Dimmi cosa fare per rimediare. Parliamone di persona.” seguirono minuti di silenzio: “Va bene.” Lui riagganciò e si mise in macchina per andare a casa sua. Poco dopo i coniugi si incontrarono e lei fece per abbracciarlo con passione. Ma lui le disse:”In ginocchio. Non parlare.” Si tirò fuori il pene e glielo cacciò in bocca. “In Arabia saudita alle donne gliela cuciono ogni volta che hanno avuto un rapporto sessuale col marito, inoltre tagliano loro il clitoride, per far sì che non abbiano tiramenti. “Glielo teneva premuto in gola per lunghi secondi, poi, tenendola per i capelli, tirava indietro la testa. “Se vuoi stare con me, devi subire con dignità la tua punizione. Se sarà così, vuol dire che sei degna di essere mia moglie. Ti avviso che dovrai subire un castigo severo. Ma se vuoi puoi andartene. Divorziamo e ti becchi un pò di quattrini. ” “Voglio stare con te. Sono disposta a tutto.” “Anche a subire la frusta , l’umiliazione e la sofferenza?” “SI, se mi perdonerai, sono disposta a far sì che tu faccia quello che vuoi del mio corpo.” “Ti vedo ben decisa a subire la giusta punizione. Se sopporterai le prove senza ribellarti, come chi è passivo perchè sa di meritare d’ essere punito con severità, ti tratterò ancora come mia moglie, ma solo dopo che avrai avuto la tua lezione interamente, come la mia mente sogna. ” “D’accordo”: “Allora chiama subito il tuo amante e tronca seduta stante la tua relazione. Digli che ci trasferiamo in Namibia.” Lei eseguì immediatamente, dicendo le poche cose necessarie a Ferruccio e troncando la comunicazione alle sue rimostranze. Lui richiamò a casa un paio di volte. Alla seconda rispose Giorgio che gli disse: “Non ti sprecare , so tutto, ma ora ci trasferiamo e la storia finisce. “Riattaccò. Silenzio. Allora disse alla moglie. “Va in camera tua e metti la chiave di fuori, che poi passo a chiuderti dentro.” Così fece. La mattina dopo le disse di vestirsi in fretta che dovevano fare un viaggio in macchina. Non sembrava più tanto arrabbiato, ma solo un pò freddo. Lei, come al solito elegante, lo salutò con un semplice “ciao” e uno sguardo da cerbiatta. Lui le disse: “Prima di conoscere te ho avuto esperienze sessuali sadomaso con delle prostitute di alto bordo. Godevo fino al parossismo. Quando ti ho conosciuto pensavo che non avrei più avuto bisogno di queste esperienze. Che ero guarito, avevo chiuso.” Aveva l’aria del tutto impersonale e fredda. “E allora?”. “Tu ti stai chiedendo dove andiamo. Verso nord, in un luogo isolato c’è un locale dove, pagando bene, si può praticare il sadomasochismo. Si possono affittare delle camere di tortura ed assoldare del personale che le pratichi, se non le vogliamo praticare in prima persona. Per il resto, è un hotel in campagna, con tutti i comfort. Ci passeremo qualche giorno.” Arrivarono abbastanza in fretta. SI fecero portare le valigie nella loro camera matrimoniale. Giorgio disse:”Io dormirò nel letto, tu sdraiata sul pavimento. Non ti toccherò, finchè non sarai stata punita a dovere. Adesso mettiamoci a dormire, che il pomeriggio sarà più duro, specialmente per te.” Si svegliarono dopo un paio d’ore e pranzarono. Lui le consigliò di stare leggera. Poi scesero un paio di rampe nei sotterranei. Si trovarono in un corridoio asettico, illuminato da neon. Tutto rigorosamente bianco, con delle porte laterali che sembravano dei laboratori o dei gabinetti per radiografie. C’era assoluto silenzio. Il marito disse: “Tutti i locali sono insonorizzati. All’esterno non si sente nulla.” Giorgio percorse il corridoio ed entrò in una di quelle porte che sembrava conoscesse. Era un ufficio simile ad uno studio medico. Lui e la moglie si sedettero di fronte ad una scrivania davanti ad un signore corpulento e gentile che li fece accomodare. “Sono contenta di rivederla dottore.” Sorrise cordialmente, senza risparmiare alla signora uno sguardo di ammirata libidine. “E’ molto tempo che non la vedo, dottore, deve sottoporre questa signora al trattamento?””Si:” Giorgio cominciò a compilare dei moduli, mentre il grasso individuo non smetteva di contemplare Danja. “E’ la mia signora” Disse Giorgio per troncare ogni curiosità. “E questo è il trattamento cui voglio sottoporla”:passò i mouli a quell’uomo, che li lesse, dopo aver inforcato gli occhiali da presbite. ” “mmm. . . E’ un training piuttosto severo. Siete sicuri di ciò?” “Certamente, la mia signora ne conviene con me che deve subire un degno castigo.” “Come sa per il programma dovete firmare un pò di carte, soprattutto la signora, che si prende ogni responsabilità su ciò cui si sottopone” e sottopose ad entrambi delle carte da firmare “Mi raccomando, signora, legga bene ciò che firma, perchè c’è scritto tutto ciò che le verrà praticato”. Danja firmò senza esitare. “Non voglio leggere cosa mi faranno. So che sarete severi, ma ho fatto qualcosa che richiede il castigo. Il mio corpo appartiene a mio marito. Sarà quello che vorrà” L’uomo la guardava negli occhi, mentre firmava tutto. Giorgio, emozionato da quelle parole, le prese la mano, stringendola per qualche secondo . Quando ebbe ririrato i fogli firmati, disse:”Sarete affidati all’operatore Luca, uno dei migliori.” Schiacciò un pulsante ed un giovane prestante in camice bianco entrò. “Le affido questa signora, Luca. Tutte le carte sono a posto. Si sottopone a questo programma.” E gli passò un foglio che aveva compilato il marito. Il giovane lesse, poi alzò lo sguardo verso l’elegante signora , fissandola freddamente. “Mi segua, signora, prego.” Danja si alzò dalla poltrona e seguì il ragazzo che si diresse nel corridoio. Si fermò davanti ad una porta e le disse:”Lei dovrebbe entrare qui e cominciare a togliersi i vestiti..” La introdusse in uno stanzino in penombra, simile ad uno spogliatoio attiguo ad uno studio medico, con attaccapanni , sgabello e ricevitore audio. Si spogliò, restando in mutande e reggiseno. . Poi una voce le disse che doveva entrare nella porta che si trovava di fronte a quella da dove era entrata. Lei eseguì, e si trovò in una specie di laboratorio dove c’era un tavolo grande, con delle cinghie agli angoli, delle strane apparecchiature elettroniche e uno specchio a parete. Poco dopo entrò l’operatore. Lei non si aspettava di trovarselo di fronte così all’improvviso. “Signora, torni gentilmente in camerino e si spogli completamente.” La guardò negli occhi: “mi ha capito? Tenga solo le scarpe.” Danja obbedì, si denudò completamente per presentarsi nuovamente al cospetto del giovane operatore. Lui accolse con freddezza la signora imbarazzata dalla sua nudità . Le indicò un tavolo ginecologico, metallico e freddo, con cinghie per bloccare chi si adagiava sopra: “Si accomodi lì, che la devo depilare completamente nella vulva.” Lei titubava. “Coraggio, si è sottomessa a me, firmando, obbedisca. Adesso si deve mettere sul lettino. Deve spalancare le coscie appoggiandole sulle grucce, come dal ginecologo. Soltanto che la devo legare, perchè lei stia immobile tra le mie mani, mentre la depilo. Forza. Salga da qui. Lasci le scarpe a terra. Si sistemò sul tavolino, aprendosi allo sguardo del ragazzo che le bloccò le braccia, le caviglie, la vita e le coscie, sopra le ginocchia spalancate. Poi, coi guanti di lattice, la insaponò e la depilò senza provocarle dolore. Mentre la asciugava e la liberava, le annunciò la sua prima tortura. Sarebbe stata torturata con la corrente su un grosso tavolo di acciaio cui era legata a gambe aperte: “Ora che abbiamo liberato i genitali dal pelo fastidioso, procederò con il primo supplizio, salga su quel tavolo di acciaio e stia ferma, che la devo legare.” Lui la aiutò a sistemarsi carponi su quel tavolo da laboratorio che era piuttosto alto. Il giovane le aprì successivamente le ginocchia. Doveva legarle con le cinghie i polsi e le caviglie. Con le grandi mani le sistemò le sottili coscie, manipolandole fino a trovare la giusta larghezza per consentire di legarle secondo la distanza tra i supporti delle cinghie. Fu sistemata in ginocchio, con i seni minuti che guardavano il pavimento, appoggiata obbligatoriamente sugli avambracci. Le cinghie erano distanziate e tirate in modo da non lasciarle gioco, così che non potesse cambiare posizione e si muovesse molto limitatamente. Stava dunque posta alla pecorina, con le gambe leggermente aperte, ponendo sotto lo sguardo di questo ventenne i genitali tra le cosce, sconciamente disponibili all’esibizione della fica aperta. Il giovane le spennellò con un liquido i capezzoli, il clitoride, le piccole e le grandi labbra e l’ano e Danja sentiva in queste parti una sensazione di freddo e di pizzicore. Attaccò alle tette, alle labbra e all’ano degli elettrodi, martoriandola con pinze chirurgiche d’acciaio, più di quanto fosse necessario per l’operazione. Lui le frugò tra la carne della fica per far gonfiare il clitoride. Poi applicò anche lì un elettrodo, che però cadeva e non c’era verso di tenerlo attaccato. Alla fine l’operatore, sopazientito, decise di usare una pinzetta che stringeva come un fermacarte, che le comprimeva il clitoride con forza Lei urlò a lungo , e l’operatore le asciugò il viso sofferente con un Kleenex, dicendole: “Signora, non strilli così, che non abbiamo ancora cominciato.” Infine la lasciò sola, immobilizzata a quattro zampe, con le tettine che pendevano all’ingiù. Gli elettrodi gliele coprivano come francobolli, così come le altre parti più intime del suo corpo, per il resto completamente nudo (era entrata nella camera con le scarpe, ma le aveva dovute lasciare ai piedi del tavolo della tortura). Da dietro lo specchio unidirezionale, seduto in poltrona, attraverso un altoparlante, il marito le disse: “Conosci questa pratica?Adesso ti verranno trasmessi degli impulsi elettrici sugli organi genitali. Il voltaggio è bassissimo, ti daranno fastidio solo per via dell posizione. Ad un certo punto si faranno un pò più forti. Voglio vedere quando cominci a strillare e a chiedere pietà.” La pratica cominciò. Danja, nuda in ginocchio a quattro zampe, senza possibilità di muoversi strillava , si inarcava e si contorceva come una cavalla imbizzarrita costretta a stare in un recinto angusto. Il marito seguiva tutta la scena da dietro lo specchio . Dopo un pò chiese all’operatore che la imbavagliasse con un grosso cerotto, perchè lo innervosiva sentirla strillare continuamente. Il ragazzo che controllava anche le scariche elettriche, interruppe l’operazione per andarle a porre un cerotto sulla bocca, poi riprese e azionò la macchina, aumentando il voltaggio dell’elettricità. Danja non poteva neppure urlare, mentre le bruciacchiavano le parti più intime. Il marito godeva e si masturbava come un folle. . La seduta durò quasi un’ ora, durante la quale ci furono delle pause. Il giovanotto di prima che aveva curato la parte tecnica, cioè gli apparecchi che rilasciavano le scariche elettriche, entrò. La guardò con fare professionale. Con le pinze, facendo leggeri, ma decisi strappi, ad ognuno dei quali lei contraeva il suo corpo, le tolse gli elettrodi uno per uno, . Poi , infilati dei guanti in lattice, le cosparse le parti intime di una crema lenitiva, muovendo le mani come un infermiere, infine la liberò. Le disse:”Tra poco dovremo continuare, ma ora è meglio che si riposi un pò.” Le aveva portato uno scialle per coprirsi, delle riviste e diversi drink, cosicchè potesse scegliere cosa gradiva di più e la lasciò sola su un divanetto nello spogliatoio. Dopo circa venti minuti il giovane tornò, annunciandole che tutto era pronto per cominciare il trattamento successivo e che suo marito stava aspettando da un pò. Lei lo seguì in una stanza attigua, dove era collocato un grosso cono di metallo, con la punta in su, rivestita di pelle nera che ne attutiva l’estremità. Vicino c’era un argano con una specie di imbragatura che lasciava nude le gambe, i glutei e l’inguine, bloccandole le braccia come una camicia di forza. Il giovane la aiutò ad indossarla. Poi le spiegò che sarebbe stata sollevata e posta a gambe aperte sulla punta del cono e che era importante badare a scendere in modo da rendere la penetrazione il meno traumatica possibile. Le spiegò che la tecnica era posare i piedi sul cono e far forza sulle gambe , “centrando” la punta con la fessura sessuale aperta, man mano che vi si abbassava sopra. Era previsto inoltre che, per agevolare ciò, il giovane le frugasse i genitali, aprendo ed eccitando, per far bagnare la fica, così da diminuire l’attrito con la punta. Si procedette, e lui le immobilizzò le braccia con quella specie di legaccio. Poi la imbracò per sollevarla con l’argano. Il giovane la avvisò che se avesse urlato molto, sarebbe ancora stato costretto ad imbavagliarla. Lei si lasciò fare tutto come una martire. Si fece imbracare, pronta a subire quella punizione terribile. L’argano la sollevò di circa 1 metro e mezzo, lasciandola così sospesa. Lei aveva le gambe completamente rilasciate. “Bene così per lei, signora, cerchi di aprire le gambe. Si rilassi. E’ così calda.” Il giovane le accarezzò il pelo del pube, scendendo leggermente con la mano sulle grandi labbra, che accarezzava dall’esterno, stando lei, così appesa, a gambe chiuse. Poi frugò più profondamente, facendosi spazio tra le gambe, che Danja si sforazava di tenerle aperte in sospensione, titillando le labbra e palpando la carne dall’interno. La fica resistè un pò, ma poi si bagnò e si aprì. Il giovane ritenne che fosse venuto il momento:”E’ ora. Si è bagnata:si prepari.”; e si allontanò allora da lei per premere un pulsante. L’argano era in azione:la spostò issandola sopra l’apice del cono poi ve l’abbassò lentamente sopra. Mentre ciò avveniva, il giovane si era riavvicinato a lei e accompagnava con la mano la fica, aprendola con lo sforzo delle dita , per farla infilare senza grossi traumi sulla punta del cono. “Mi raccomando, stia morbida, non faccia resistenza. Tenga la vulva aperta, signora, così, ecco” Lui la masturbava a due mani, mentre l’argano la calava inesorabilmente sul cono. Lei si resse finchè potè sulle gambe libere da legacci, ma poi dovette cedere. Il suo corpo era appoggiato alla punta del cono, che la sorreggeva penetrandole la fica e sfondandola. Lei non potè far altro che aprire le coscie e stare a fessura aperta e rilassata, sulla punta, per fortuna ricoperta di morbida pelle, che le trafiggeva le parti intime. Con le gambe penzoloni e le braccia immobilzzate . Danja urlò lungamente, come un animale torturato. . L’assistente, come lei fu collocata e la vulva ormai era riempita dall’ estremità del cono, la lasciò in solitudine . Lei si vedeva in quella dolorosa postura allo specchio, oltre al quale c’era il marito che aveva spiato, eccitandosi, tutte le scene. “Questa è una tortura medievale che si riservava alle adultere e agli omosessuali. Lo scopo è allargare talmente il sesso, da renderlo inservibile. Non preoccuparti, per oggi vi resterai sopra poco.” “Abbi pietà di me, toglimi da qui.” Chiese di raggiungere la stanza della moglie. “Volevo guardarti da vicino. Se guardo solo il tuo volto, mi sembri una dignitosa signora che soffre, che so? per una vedovanza. Se invece scendo con lo sguardo vedo le labbra della tua fica che succhiano intorno la punta del cono e a cui la pressione del tuo peso sembra conferire una specie di voluttà, per come vi stanno incollate sopra. Dietro, invece, il tuo culetto è in una posizione sublime. Mi sembra naturale apprezzare il tuo corpo, mentre stai a cavalcioni su questo strumento che ti viola, mi sembri la donna più eccitante che esista sulla terra. Forse solo un pazzo potrebbe sentirsi così eccitato.” Poi fece un cenno e se ne uscì, con un’espressione di rammarico. l’argano la risollevò e la pose a terra. “Vatti a rivestire. Per oggi basta. Andiamo a cena. Era abbastanza soddisfatto della giornata. A tavola le disse: “Oggi hai avuto un assaggio di quello che ti spetta, a mò, di punizione. Puoi ancora andartene, ma se vuoi continuare ad essere mia moglie, sappi che non passerò sopra questo evento. Sarai punita e non potrai contare sulla mia pietà. Alla fine del trattamento non ti farai più sbattere da nessuno. Le cose stanno così e non voglio discuterne . Puoi solo rifiutarti ed andartene” Lei era decisa a starci, a subire . Forse il gioco le piaceva e non credeva che il marito si sarebbe spinto ancora più oltre. “Domani preparati:ti metterò tra le mani di più operatori, che hanno l’obiettivo di farti sottomettere in modo incondizionatamente umiliante. Adesso ritirati nella stanza. Io andrò con una puttana per sfogare l’eccitazione di oggi.” Il giorno dopo Il giovane Luca introdusse Danja in un’altra camera, in cui c’erano uno specchio, un lettino a barella, provvisto di cinghie e diverse seggiole sparse per la stanza. Danja fu invitata a sdraiarsi sul lettino, collocata, legata, sempre completamente nuda, , a pancia in su, con i genitali depilati di fresco, esposti. Le furono bendati gli occhi. “Che mi succederà?” “Entreranno 7 persone, qui, che lei non deve vedere in viso, ma che vedranno lei . Quello che avverrà dopo, non glielo dico. La aspettano violazioni e umiliazioni. “Rispose Luca, che abbassò le luci e se ne andò. Lei fu lasciata in quella situazione, senza che le fosse detto nulla per un pò. Poi entrarono rumorosamente i suoi carnefici, tutti uomini di mezza età, di grande corporatura, il cui lavoro consisteva nell’appropriarsi della donna, senza assistere a ribellioni, piegando ogni volontà di essa, con la forza dei singoli e della moltitudine. La guardarono, mentre stava nuda, immobilizzata e bendata. L’ultimo si chiuse a chiave la porta alle spalle. Tutti pensarono che avrebbero spostato e rigirato quanto volevano quel corpo esile, senza trovare la minima resistenza. Si denudarono, poi l’assalto:14 mani la palparono dappertutto, in modo febbrile, brulicando soprattutto nelle parti intime. Vollero slegare la ragazza per palparle meglio le mammelle. Appena libera, un uomo più grosso degli altri, ebbe il sopravvento e se la trascinò a sedere sulle ginocchia. “Vieni qui dal papà, che ti protegge, hai tettine e culetto bellissimi” E affondò le mani sotto, facendosi spazio tra la pelle, sditalinando il clitoride. Dietro la accarezzava dolcemente, dandole di tanto in tanto una leggera sculacciata. Qualcun altro le pizzicava i seni. Un altro ancora, che non aveva mai smesso di toccarla, approfittò di un attimo di confusione per toglierla con le braccia dalle ginocchia del primo e prendersela lui. Se l’era messa in grembo, rovesciandole il corpo a testa in giù, per sculacciarle sonoramente il culo. In questi incessanti turni di prima conoscenza, si persero per un pò di tempo. Poi tutti fecero pressioni perchè poppasse a tutti il pene, prima di avere con lei un rapporto sessuale vero e proprio. La costrinsero a rialzarsi e a mettersi in ginocchio sul pavimento, ai loro piedi, facendosele attorno e infilandoglielo in bocca uno dopo l’altro. Lei succhiò il pene a tutti ripetutamente, ogni volta che le veniva posto, continuando l’operazione per ore. Quando le ginocchia non sembrava la reggessero più, essi decisero che era venuto il momento di cominciare il rapporto sessuale, dunque la presero e la sdraiarono sul lettino, dopo averla palpeggiata perbene. Siccome non si bagnava facilmente, qualcuno si arrabbiò e le vergò le gambe con uno scudiscio, mentre un compare le saggiava la fica con la mano. “E’ pronta da montare “, disse ad un certo punto quello che la masturbava, allora gli uomini si misero attorno a lei e, uno alla volta, le entrarono nella vulva ardente, mentre lei stava a pancia in su, nella posizione del missionario. Quando tutti ebbero finito, il primo del turno se la prese sulle ginocchia, e, facendole sporgere il culetto all’esterno, la accarezzò dappertutto, ma in breve si concentrò a manipolarle l’ano, tra i presenti che si asciugavano e gli gettavano sguardi di approvazione. Lei capì che volevano sodomizzarla. Allora cominciò a urlare verso il marito che guardava tutto dallo specchio unidirezionale, ma lui non rispose. Gli gridò con tutto il fiato che aveva , ma i suoi carnefici che brulicavano sopra di lei, non s’interruppero neppure per un attimo di palparla, di manipolarla in ogni parte del corpo e di penetrarla, avvicendandosi incessantemente nella fessura. Gli affannosi tentativi di girare la testa in direzione del marito erano sforzi vani, in quanto, afferrandola per i capelli, le giravano la testa in continuazione, ora verso l’uno, ora verso l’altro. I 7 uomini l’avevano completamente depredata del suo corpo, la sua agitazione, per loro era solo un fastidio. Le imposero l’immobilità totale bloccandole gli arti ed impedendole di assumere posizioni diverse da quelle che le imponevano. Uno dei presenti che si era innervosito nell’udire quegli strilli, allungò la mano, come per accarezzare le mammelle piccole e puntute. Poi però le diede con le unghie una decisa strizzata ai capezzolini. Tanto le bastò a cessare la ribellione. “Cos’è tutto questo berciare, non ti piace quello che ti stiamo facendo?” Subì un uomo che le faceva pressioni nell’ano con il pene, un altro che la penetrava davanti, mentre qualcun altro ancora le soppesava le tettine, come pere mature al mercato. Le loro mani la violavano dappertutto. Mille dita le frugavano il corpo, la pelle e la carne, mentre a turno, qualcun altro la sollevava e la penetrava la fica, stando in piedi. I capezzoli erano continuamente tra le mani di qualcuno che voleva sentirli indurire. Sotto l’inguine, numerose dita sparivano sotto la pelle. Per nessuno di costoro, aveva più segreti. Non poteva neppure nascondere il viso tra le mani, perchè essi volevano leggere nei suoi occhi l’umiliazione, quindi le guardavano tutti il volto. Non poteva fare assolutamente nulla, dunque, consapevole di quanto le stava succedendo, si abbandonò con tutta se stessa alla volontà dei maschi che la possedevano. Masturbata, palpata, venne girata sulla pancia, mentre stando in piedi, appoggiava il peso del busto sul lettino. Venne il momento che la incularono uno dopo l’altro, tutti i presenti. Alla fine, se ne andarono, avendo la premura di adagiarla sdraiata sul lettino, e la lasciarono la sola. Un istante dopo entrò l’operatore. Le fece infilare un cilicio: un corsetto di fibra urticante, poi le legò mani e piedi al letttino, come prima che entrassero i torturatori. Lei parlò col marito, invisibile dietro lo specchio. “Non ti basta? Hai deciso di non dare alla pietà nessuno spazio?” Lui non rispose. Lei gridò con quel poco fiato che le era rimasto. “Cosa vuoi ancora?La tua sete di vendetta non è placata?” Sentì la voce di lui che era incrinata di commozione. “Non ce l’ho fatta ad assistere alla scena fino alla fine. ” “Quanti erano?” “7. Ti hanno presa più volte.” Lei cominciò a piangere e anche lui era commosso. “Sono dovuto uscire perchè. . . ero geloso, ed eccitato tanto che ho temuto un infarto. Sei bellissima Danja, e sei mia moglie. Vederti così mi ha fatto pazzamente reinnamorare di te . Sii mia moglie. Ancora.” “Allora tirami fuori da questo posto e andiamocene. ” “Non mi chiedere questo, se mi ami, non chiedermi di sospendere la punizione. Sono un uomo insicuro. Ho bisogno di sentirti mia senza condizioni. Quando ho saputo che mi tradivi, per un attimo, ho perso la mia identità di marito. Aiutami a ritrovarla. Vuoi?” “Si” “Allora subisci con dignita quello che ti ho preparato. Fatti forza e soffri per me. Vuoi continuare ad essere mia moglie? Vogliamo liberarci del passato?” “Si” “Fatti coraggio, allora. Dovrai salire ancora sul cono, ora, per altri 2 minuti. ” Lei gli voltava le spalle. Poi lo guardò con sguardo d’odio. “Mi hai fatto inculare da 7 uomini” “Comunque prima o poi ti saresti fatta fare dietro dal tuo amante. Ti ho regalato un trattamento intensivo. Così non vorrai più degli amanti. Sarai solo mia. Ho bisogno di te. Adesso devi farti coraggio. Devi salire sul cono. Altrimenti tutto quello che hai subito finora sarà stato inutile. ” Il tecnico la stava aspettando. . Danja fu nuovamente immobilizzata, sollevata da terra con l’argano, masturbata meccanicamente dalla mano guantata di Luca e issata a cavalcioni sul cono per 2 minuti dal momento della penetrazione, che Luca facilitava orientando il culetto della donna per infilare la vagina sulla punta, sotto lo sguardo del marito eccitato e commosso “Collabora al supplizio, moglie mia, tienti aperta più che puoi. . “. Alla fine il suo corpo fu collocato sullo strumento di tortura. Da quel momento lei subì la penetrazione del cono, umiliante e dolorosa, con espressione di dolore e rassegnazione insieme, per i 2 interminabili minuti. La notte lui volle toccarle la fica, ma lei si schernì, dicendo che le faceva male. Lui insistè per posarle sopra le mani leggermente, e lei dovette cedere. Notò che si era dilatata e che le grandi labbra erano calde e gonfie. Decise che era il momento di avere un rapporto sessuale con sua moglie, ma voleva avere il suo consenso. Lei, naturalmente non lo diede e lui si sentì rifiutato e gli si strinse il cuore a pensare cosa le sarebbe costato ciò. Il giorno dopo, lui disse che quella mattina lei sarebbe stata flagellata, e che avrebbe compiuto l’operazione lui personalmente. Venne denudata e legata ad un palo di schiena. Le gambe leggermente aperte. Il marito entrò poco dopo, con una lunga frusta. “E’ leggera ed elastica, come fosse di gomma, ma è di una fibra speciale, simile alla carta vetrata che sulla pelle procura un bruciore intenso, vistose striatue e sensazioni particolari.” La sferzò e dai primi colpi forti, si sentì indurire il pene. Finì dopo una mezz’ora, le si avvicinò e l’abbracciò, strusciandosi contro il suo corpo nudo. Con una mano la accarezzava in mezzo alle gambe, passando dalla fica all’ano, delicatamente. “Danja sei mia moglie. Sei solo mia. Il trattamento è quasi finito. C’è solo l’ultima prova. Devi affrontarla per me. ” “D’accordo.” Entrò il giovane tecnico, che spiegò che lei avrebbe subito la penetrazione del cono attraverso la via anale. Lei protestò debolmente che se Giorgio l’amava, doveva risparmiarle questo, ma lui le chiese nuovamente di non profittare della sua debolezza e di affrontare con la dignità di una moglie le conseguenze di un errore. Giorgio era davvero intenerito dal sacrificio di Danja, ma aveva bisogno di confermare il ripreso possesso di lei, difendendo la sua identità di maschio. Dal momento in cui Danja accettò anche quest’ultima, severa, condizione, assistè a ciò che le stava accadendo, estraniandosene, come se stesse guardando la tv. Il tecnico si rivolse alla donna:”Signora, adesso la dovrò toccare un pò dietro. Devo spalmare un unguento sulla parte, per alleggerire il trauma. “E lei si lasciò divaricare, con l’energia di un dito maschile, il buco del culo. Poi venne imbracata diversamente da prima, in una specie di amaca, legata a due pali troppo vicini tra loro. Era fasciata come una mummia da cinghie elastiche, salvo il culetto che sporgeva in giù, ad angolo tra il tronco e le gambe. Fu sollevata con l’argano e posata molto lentamente sulla punta del cono. Vide il marito che collaborava per orientare il suo corpo in modo da centrare con l’ano l’estremità dello strumento di tortura. Il giovane aveva cosparso il rivestimento di pelle di vasellina. Senza fretta, Danja fu adagiata sul cono, mentre il ragazzo le teneva le dita nel buco del culo e glielo apriva per farla più agevolmente violare dietro. Appena penetrata, cominciò a strillare. Il marito la lasciò un minuto, come promesso. Quando scese, lui le disse che era tutto finito, che lui era un verme, un sadico e che voleva chiederle perdono. Lei gli rispose che non c’era bisogno che chiedesse perdono, bastava che la portasse via di lì immediatamente. Lui acconsentì, salirono in camera, fecero le valige e partirono in auto. Lui le disse: “Sarai mia per sempre?” “Hai dei dubbi, dopo quello che ho subito?” “Perdonami. La mia libidine si alimenta delle mie insicurezze. Sarà come se nulla fosse accaduto. Dimenticheremo tutto. Torneremo felici come prima. “Lui le prese la mano. “Anche se sarà difficile dimenticarmi del tuo volto mentre ti torturavo. Ti amo Danja. Sarai mia moglie per sempre. ” “Anch’io ti amo Giorgio. Ora so quanto hai sofferto. Non ti tradirò più. La vita dei coniugi riprese il percorso che era stato smarrito. L’incubo si trasformò in normalità. Il possesso del maschio era sancito. A volte la nostalgia gli faceva guardare il videotape delle torture della moglie, che in quell’occasione aveva girato. Quella cassetta, non la lasciava mai a casa, ma se la portava appresso ovunque andasse. Ora guardava dormire la moglie e ricordava le espressioni di dolore, il volto contratto, l’umiliazione del suo corpo in pasto a 7 cinquantenni laidi, mentre lui, sadico voyeur, guardava. La sua dolce elegante, sensuale moglie, sfondata dappertutto, castigata come una schiava. La sua schiava. E quasi sperò di scoprire nuove infedeltà per praticare nuove, fantasiose torture.
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